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Autore: chiara_raose    12/10/2018    2 recensioni
"Voltron! Legendary Defender - La nuova frontiera del gioco online!
Vivi la tua avventura intergalattica in prima persona e sperimenta l'esperienza più immersiva di sempre! Lotta, alleati e divertiti con giocatori da ogni parte del mondo!
Disponibile da gennaio e solo per le migliori console 4D!
Prevendite aperte su voltr**LD.net"
E' un gioco, dicevano.
Sarà divertente, dicevano.
Genere: Generale, Science-fiction, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PART I

«Hai finito di mirare alle farfalle?!»
«E tu hai finito di alitare su quel dannato microfono invece di venire ad aiutarmi?!»
«Sono leggermente occupato a colpire i bersagli giusti!»
«Te la faccio vedere io la mira-»
«Dateci un taglio voi due!»
Keith sbuffò leggermente, stringendo maggiormente le dita attorno ai comandi. Non si mosse troppo nel girarsi, col timore di sbattere contro un mobile. Okay li aveva spostati come al solito così da concedersi i movimenti necessari per il gioco, ma la prudenza non era mai troppa viste le passate esperienze coi lividi.
«Garry preparati, Pidge a che punto è il caricamento?»
«Ancora cinque secondi»
La voce di Shiro e della ragazza nelle orecchie grazie alle cuffie bluethoot, sostenute come meglio è riuscito ad incastrarle col visore.
 
«Dovrebbe aver terminato di caricare a breve anche il nostro amico»
«Pronti alla carica?»
Alla voce di Charles si ritrova a lasciarsi sfuggire uno sbuffo divertito «Io sono nato pronto»
«Sì sì, abbassa la cresta»
«Da quale pulpito, vero?»
«Perchè IO posso, ovviamente»
«Ragazzi, pronti»
 
Le dita assaporano i sensori sui due joystick mentre l'immagine che gli si proietta dinanzi è di uno spazio aperto dietro dei comandi creati digitalmente. Stelle e universi che l'immaginazione di qualche genio ha creato. Si osserva attorno, non lasciandosi sviare dai comandi illuminati di una luce rossa intensa, viva, vibrante e carica. Cerca su un ologramma alla propria sinistra la posizione dei compagni, identificati su una griglia e su una mappa dei corrispondenti colori: nero, blu, verde e giallo. Si deve ricordare di togliere la visione della griglia dalla mappa -troppe linee lo confondono spesso.
«Ora!»
 
La voce di Shiro riecheggia nelle orecchie, portando lo sguardo di Keith a indirizzarsi nuovamente dinanzi a sè, dove da una grande nave prendono a formarsi, come piccole formiche appena nate, una serie di piccole navicelle nere e viola. Le dita premono sui sensori, dando nuovamente il via a quella lotta.
 
* * *
 
«Uao quanti punti!»
«Garry, non dirmi che fai l'ingordo anche coi punti ora»
«Almeno quelli non fanno ingrassare»
Dal silenzio che ne seguì, Keith intuì che non era divertente quanto aveva sperato.
«Che c'è?»
«Non merita neanche un mio commento»
«Basta bisticciare ragazzi; il raid è finito, possiamo firmare i trattati di pace?»
 
Keith sogghignò riuscendo a inarcare un sopracciglio dietro il visore. Il suo sguardo seguì per un momento la figura di Shiro e dell'alterego che si era creato: un mezzo androide alto con le spalle pronunciate e un braccio robotizzato; i capelli scurissimi decorati di una ciocca candida sulla fronte e una vistosa cicatrice sul setto nasale. Per il resto Keith dovette ammettere che era stato abbastanza fedele alla realtà.
 
«Abbiamo raggiunto l'obiettivo?»
«No, non ancora» rispose la piccola umana dai capelli castani e corti al punto da sfidare qualsiasi legge gravitazionale. «Siamo ancora lontani, siamo a quota 32»
«Ancora?!»
Keith non badò molto all'alterego di Garry che, nella sua tuta caratterizzata dal colore giallo, mimó una sorta di disperazione mista a stanchezza mal repressa. La sua mente fu rapita dalla figura di Charles, in un angolo: i capelli corti con le ciocche più lunghe ai lati del viso, candide come neve, che carezzavano la pelle ambrata. Le orecchie a punta, lunghe e impreziosite da una serie di orecchini e catenelle dorate, come molti altri accessori tra bracciali -e non solo- che l'altro si portava sempre appresso.
«Charles?»
Si ritrovò a chiamarlo, avvicinandosi con tranquillità per attirare la sua attenzione. «Tutto bene?»
Vide l'alterego altrui guardarlo con quegli occhi azzurri contornati da marchi luminosi sulle gote, prima di notare il movimento meccanico della grafica che lo fece annuire.
«Certo! Temo solo che, per vostra immensa sfortuna, io debba fare un log out un po' frettoloso»
Per un lunghissimo momento Keith non seppe se rimpiangere il fatto che stesse preoccupandosi o se reagire al solito carico di ego altrui.
«Famiglia?»
«Già... bè ci vediamo allora! Buonanotte a tutti ragazzi!»
Un saluto allegro e vide la figura altrui svanire pian piano assieme alla tuta bianca e blu.
 
Tempo forse cinque minuti e anche Pidge e Garry seguirono il suo esempio, lasciandolo solo con Shiro.
«Ehy, tutto bene?»
«Sì, certo»
«Sei silenzioso»
«Dimmi qualcosa che non so»
Il tono ironico di quell'ultima frase ebbe la forza di far ridacchiare Shiro. Keith sorrise soddisfatto di quella piccola conquista personale.
«Davvero, se c'è qualcosa, puoi sempre alzare il telefono e chiamarmi»
«Lo so, solo-» la voce si spense in gola per un secondo, smorzandosi in un sospiro «Solo era più facile quando abitavi qui dietro»
Cadde il silenzio. Un silenzio pesante, nostalgico, nel petto del ragazzo. Keith sperò che Shiro non comprendesse la moltitudine di significati dietro le sue parole. Shiro era un fratello, l'unico amico che avesse davvero mai avuto, ma stavolta sperò diventasse cieco e sordo. Stava davvero rimpiangendo di aver aperto bocca. Soffocò un secondo sospiro, mentre lo sguardo scivolò sull'ambiente creato digitalmente: l'ambiente sicuro di una nave spaziale; una sorta di castello reso tale per lo più. Un ambiente sicuramente più interessante del proprio pavimento di casa.
Quel silenzio stava cominciando a stargli stretto, però.
 
«Shiro, senti...»
«Lo so. Tranquillo, sono fiducioso che troverai amici anche al di fuori di questo gioco»
Beccato.
«Shiro-»
«Ti ho suggerito il gioco per farti sciogliere, non per evitare il problema»
«Io non ho nessun problema»
«Keith, sul serio-»
«Devo andare»
Shiro esitò in silenzio e Keith lo sentì sospirare nel microfono.
«... D'accordo, si è fatto tardi in fondo. Ci sentiamo?»
Annuì istintivamente, sapendo che il proprio alterego stava mimando i suoi stessi e brevi movimenti. La mano destra salì al visore, tenendo premuto il pulsante che l'avrebbe fatto uscire dal gioco con la solita sigla animata: Voltron - Legendary Defender.

 
PART II

Keith quando aprì gli occhi la mattina successiva, aveva solo voglia di distruggere la sveglia contro il muro. Com'era possibile che l'estate fosse già finita? Si rigirò nel letto, osservando il soffitto della propria camera e provando a lottare contro le palpebre che volevano irrimediabilmente chiudersi. Dietro di esse, già immaginava la scena muta, quando lo avrebbero presentato alla classe come nei film. Che poi, accadeva davvero così?
«Keith, alzati che fai tardi»
«Sto male» borbottò facendo uscire un tono di voce più scocciato di quel che avrebbe voluto, ancora ovattato dal sonno.
«Muoviti pigrone»
Il primo giorno. Sua madre ci tenne troppo all'idea di accompagnarlo fino a scuola, anche solo perchè imparasse la strada o i posti dove prendere il pullman.
«Puoi lasciarmi qui»
«Sicuro?»
«Sicurissimo» si affrettò a rispondere, mentre scendeva dall'auto, a un paio di centinaia di metri dall'ingresso. Non aveva idea di quale mentalità avessero le persone che da quel giorno lo avrebbero circondato, non voleva partire con un passo falso. Almeno ci voleva provare.
L'edificio si presentava come una struttura molto quadrata; nel senso letterale del termine. Era grande, molto grande, immensa avrebbe osato dire. I mattoni rossi contornati, sugli angoli, da quelli di colore più chiaro; due file di finestre e tutte con le arcate sulla cima. La facciata principale aveva un ingresso sobrio, senza colonne o porticati, ma due brevi rampe di pochi gradini. Il sentiero asfaltato che, come un corridoio, invitava alle scale d'ingresso era circondato da un prato verde ben curato e da alberi che ancora non si rassegnavano all'idea di dover far cadere le loro foglie. La scuola sembrava abbracciare quel giardino con due strutture che venivano più avanti rispetto alla facciata principale. Non sembrava solo quadrata, lo era anche all'interno; il corridoio percorreva il perimetro della scuola disegnando un quadrato. Anche le decorazioni del pavimento erano in tema quadrati. Keith corrugò la fronte sentendosi vagamente circondato da figure geometriche, mentre avanzava con calma lungo il corridoio. Sistemò la tracolla sulla spalla, soffocò la voglia di mettersi le cuffie e tornò a ignorare la folla di gente che entrava con lui percorrendo la strada verso le aule con la sicurezza che, in linea teorica, avrebbe avuto anche lui tra qualche mese.
Dopo un paio d'ore con il conselor... Keith si accorse che non erano due ore solo quando adocchiò l'orologio sulla parete. Dio; sembravano passate già due ore anzichè mezz'ora. Il problema era che ora, sulla porta in fondo al corridoio a sinistra, lo aspettava la tortura peggiore: la presentazione alla classe. Prese un respiro profondo, trascinando i piedi con lentezza per ritardare fino all'ultimo quel fatidico patibolo.
"Ciao, sono Keith". No, sembrava sciocco partire con un banale 'ciao'. Forse era meglio partire senza un saluto? Semplicemente presentarsi: "Sono Keith Kogane". Meglio. La figura del burbero scorbutico che non saluta era migliore di quella dell'idiota che in realtà è terrorizzato dall'idea di essere troppo al centro dell'attenzione.
«LAARGOOO»
Quell'urlo lo fece sobbalzare, portandolo a voltarsi e l'istante successivo, ad aggrapparsi alla parete con una mano. Sorresse la borsa che stava cadendogli dalla spalla, osservando la schiena del ragazzo dai capelli castani che era appena passato di corsa. «EHY!»
«SCUSA SONO DI FRETTA!!»
"Per forza, visto il ritardo!" Lo osservò sparire dietro l'angolo e, mentalmente, Keith memorizzò le principali caratteristiche del ragazzo così da individuarlo ed evitarlo in futuro: pelle leggermente scura, capelli castani. Saranno sufficienti.
Tutto procedette meglio del previsto in classe, fino al cambio ora, dove si diresse al proprio armadietto scoprendo anche che era leggermente difettoso. Osservò il sistema a scatto dell'armadietto inarcando un sopracciglio prima di battere un pugno sul freddo e sottile metallo, vedendolo aprirsi quasi in automatico, spalancandosi per riflesso. Molto sicuro e a prova di ladri...
Delle voci sottili lo distrassero per qualche secondo, portandolo a inquadrare un gruppo di tre ragazze che, non appena incrociarono il suo sguardo, si voltarono parlottando tra loro. Keith sospirò, tornando al proprio armadietto.
«Non è colpa mia se finisco sempre in queste situazioni!»
«Ah no?»
«Ovvio che no!»
«Lance, lo dico per il tuo bene, illudersi non risolverà il problema di essere un ritardatario cronico»
«Sempre molto incoraggiante, Katie.»
I due armadietti accanto al proprio si chiusero in contemporanea con un colpo secco e Keith si ritrovò a incrociare il viso del ragazzo di quella mattina. «Tu-»
Una ragazzina più giovane di loro e coi capelli castani molto chiari legati in una coda alta, li osservò alternando gli occhi da uno all'altro dopo il coro che avevano fatto di quel semplice monosillabo. «Volete stare così ancora per molto a fissarvi?»
I due rimasero in silenzio a fissarsi, studiandosi l'un l'altro, neanche fosse cominciata chissà quale sfida. Fu il castano a sciogliersi per primo, con un leggero sospiro. «Scusa per l'incontro traumatico. Io sono Lance!»
Keith lo osservò porgergli la mano, alternando lo sguardo dalle dita agli occhi di un blu intenso. Non si accorse di non aver avuto reazione alcuna per, forse, un arco di tempo troppo lungo; almeno finchè non vide Lance inclinare il capo.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
«Non ho nessun gatto»
«... Lasciamo perdere» Lance alzò le mani in segno di resa, mentre Keith si stava dando del perfetto idiota.
«Io sono Katie. Sei nuovo giusto?»
«Sì...» si notava così tanto?
«E qual'è il tuo nome?»
«Keith»
Lance gli sorrise dandogli una sonora pacca sulla spalla, iniziando a parlare a raffica. Scoprì così che Katie era più piccola di loro... decisamente più piccola. Era al primo anno mentre loro erano al quarto. Non domandò come si fossero conosciuti. Lance gli parlò anche di un altro ragazzo, Hunk, che quel giorno non era presente. Parlò e parlò, Dio quanto parlava! Aveva fatto bene ad annotarsi di stargli lontano!
C'era solo un grosso, enorme, immenso, gigantesco, titanico problema: ogni volta che Lance sorrideva, Keith aveva la sensazione di cadere nel vuoto.
Brutto, bruttissimo segno.
   
 
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