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Autore: _Alexis J Frost_    13/10/2018    1 recensioni
[Fate/Apocrypha ]
[ Amakusa Shirou!Centric ]
Maneggiare la katana per me era in realtà un modo per raggiungere un'esaltazione spirituale e mentale e, tanto più divenivo forte, tanto più mi avvicinavo al mio Dio.
Quel Dio che incontravo sempre durante le mie preghiere e che mi parlava con la sua paterna voce.
Alle persone della regione raccontavo le parole che udivo e i messaggi che ricevevo; erano sempre parole d'amore, coraggio e conforto. Ad esser sincero ero convinto che non mi avrebbero ascoltato, che pensassero che fossi pazzo o un fanatico blasfemo. Invece le mie parole erano come frecce che colpivano i loro cuori e il mio animo si riempiva di gioia nel vedere che riponevano in me così tanta fiducia. Ero felice di sapere che la loro fede era tale da ascoltare il nostro Dio anche se non parlava con loro, bensì a un giovane ragazzino.
Ben presto mi guadagnai l'appellativo di messaggero del Cielo. Era così che mi chiamavano.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fin da quando sono nato, tutto quel che ho visto è stato sangue, corpi riversati su loro stessi, teste esposte come monito e minaccia per chi era come me.
Mio padre era un ronin, un samurai senza padrone che aveva aderito al cattolicesimo. Ero nato seguendo anch'io quella religione, credendovi intensamente con tutta la mia anima e il corpo.
Personalmente non pensavo che tutto il Giappone avrebbe dovuto convertirsi, sebbene ci sperassi; in realtà il mio unico desiderio era che i cattolici potessero condurre le proprie vita senza dover essere perseguitati, torturati ed uccisi. Non volevamo creare guerre, il nostro Dio era contrario alla violenza e l'odio. Lo credevo anch'io, sebbene fossi stato condotto sin da bambino verso la via della spada, quella nobile arte che in realtà portava con sé i valori dell'onore, del rispetto, la disciplina,  la dedizione, l'impegno e il sacrificio. Maneggiare la katana per me era in realtà un modo per raggiungere un'esaltazione spirituale e mentale e, tanto più divenivo forte, tanto più mi avvicinavo al mio Dio.
Quel Dio che incontravo sempre durante le mie preghiere e che mi parlava con la sua paterna voce.
Alle persone della regione raccontavo le parole che udivo e i messaggi che ricevevo; erano sempre parole d'amore, coraggio e conforto. Ad esser sincero ero convinto che non mi avrebbero ascoltato, che pensassero che fossi pazzo o un fanatico blasfemo. Invece le mie parole erano come frecce che colpivano i loro cuori e il mio animo si riempiva di gioia nel vedere che riponevano in me così tanta fiducia. Ero felice di sapere che la loro fede era tale da ascoltare il nostro Dio anche se non parlava con loro, bensì a un giovane ragazzino.
Ben presto mi guadagnai l'appellativo di messaggero del Cielo. Era così che mi chiamavano. Sulle prime non credevo di meritarlo, non mi reputavo certamente un illuminato, non volevo esser lodato.
Desideravo soltanto che sapessero che Nostro Signore non ci aveva abbandonati e come noi soffriva per il dolore patito dai suoi figli. Della fama e le esaltazioni...non m'importava. Del resto, cos'ero io se non che un ragazzino? Cos'ero se non che la voce del nostro immenso Padre?
Davvero, non meritavo tutte quelle acclamazioni, ma se servivano a rincuorarli allora le accettavo.
Trovavo incredibile, meraviglioso, vedere gli sguardi delle persone quando mi vedevano. Scorgevo nei loro occhi la lucentezza della speranza, il barlume della fede più profonda.
Senza rendermene conto ero diventato il loro simbolo di salvezza, la guida mortale che Dio aveva donato loro per poter fronteggiare il male di chi era al potere. E mentirei se dicessi che non fosse un pesante fardello, sebbene io non ne abbia mai sentito il peso veramente. Sapevo che il mio percorso avrebbe trovato sulla sua strada sangue e morti; sapevo che non avrei vissuto a lungo. Tuttavia non avrei mai potuto tirarmi indietro, giacché ero sicuro che quello fosse il mio destino e volevo intraprenderlo a testa alta. Ero onorato del cammino che mi era stato predestinato e accolsi a piene mani il mio ruolo, rincorrendo quel mio sogno che poi sarebbe diventato il sogno di noi tutti.
Volevo creare un mondo senza più sofferenza, senza dolore; volevo un mondo dove i cristiani potessero vivere felici. Volevo riportare l'Eden originale sulla terra, senza che alcuna Eva mangiasse il pomo della discordia che ci avrebbe rovinati tutti ancora una volta. Volevo solo un mondo senza sangue. Ne avevo visto sin troppo durante la mia breve vita, pertanto volevo dare un freno a quell'odio, a quelle fiamme di morte e sofferenza. Non era un desiderio sbagliato. Forse utopico, forse presuntuoso nella sua vastezza...ma era puro. E non chiedevo niente in cambio, anzi, ero io disposto a sacrificare la mia vita per questo sogno. Il figlio di Dio era morto per noi e io in suo onore, in onore del desiderio di amore universale che condividevamo, ero pronto a fare lo stesso.
Per questa ragione, quando compii sedici anni, divenni il capo della Rivolta di Shimabara.
A questo punto devo dire che però vi fu un piccolo aneddoto antecedente quest'evento, il quale mi procurò il totale appoggio della mia gente, già a me devota senza dubbio alcuno. In quel periodo venne rinvenuta una poesia, la quale parlava della profezia di San Francesco Saverio. Egli diceva che sarebbe presto giunto un inviato dal cielo per liberare il Giappone e dato il nome che mi era stato dato tempo addietro, nessuno ebbe alcun dubbio sulla corrispondenza con la mia persona.
Ero io l'inviato di Dio, io colui che avrebbe dovuto porre la parola fine alle persecuzioni. Già... quella non era altro che una prova in più sulla via che avrei dovuto percorrere.
Organizzai le truppe al meglio, escogitai piani dettagliati e fattibili. Ordinai alle donne e ai bambini di chiudersi nella mura del castello, perché lì sarebbero stati al sicuro, lì avremmo avuto la massima difesa.
E sulle prime, la fortuna fu davvero dalla mia parte. Riuscimmo a fronteggiare molti degli attacchi dello shogunato e personalmente vinsi ogni volta che fummo costretti a combattimenti frontali con altri guerrieri. Tuttavia  la nostra più grande debolezza alla fine venne messa a nudo: non avevamo alleati. Eravamo da soli, soli contro lo shogunato e le sue forze. Le munizioni e le provviste cominciavano a diminuire di giorno in giorno e il morale dei miei compagni si abbatteva sempre di più. Io intanto pregavo, pregavo incessantemente e cercavo una soluzione, uno spiraglio di luce.
Ma il mio Dio non aveva risposte da darmi, neanche lui riusciva a concepire tanto odio e tanta violenza.
Cominciai a scrivere su dei fogli che appesi alle pareti del castello. Su questi dicevo che chiunque mi avrebbe accompagnato in quegli assalti, sarebbero stati miei amici nel nuovo mondo che avremmo creato, che avrebbero raggiunto la pace con me. Ci stavo riuscendo, stavo davvero cominciando a rincuorarli...ma la storia si ripeté. Tra quelle genti vi era un Giuda pronto ad osservarci morire: il suo nome era Yamada Uemonsaku.
Sì, fu lui a rovinare tutto correndo dalle forze dello shogunato per elencare tutte le nostre difficoltà e punti deboli, uno per uno. Lui segnò le nostre sorti e fu anche l'unico a restare in vita.
Fummo sconfitti durante un assalto a sorpresa, dove morì chiunque si trovasse all'interno del castello. Quarantamila vite, quarantamila cuori fermati, uccisi senza pietà alcuna. Molti erano donne e bambini. Ci credete? Non ebbero pietà alcuna neanche per loro, decapitati anch'essi come tutti gli altri, come tutti noi. Ed io lottai, lottai con tutto me stesso, facendo appello a tutte le forze che avevo in corpo. Brandii la mia spada fino alla fine ma...non ce l'ho fatta. Ero solo un ragazzino di sedici anni, ero solo la voce del Dio. Nostro Signore proclama amore e non poteva plasmare me come una macchina da guerra, come uno sterminatore imbattibile. Se mi avesse reso tale...se mi avesse dato quella forza...l'amore, allora, dove sarebbe finito? La misericordia che fine avrebbe fatto?
Sangue. Ancora una volta la mia vista si riempì di sangue, e di morte, e di dolore. Ero destinato a vedere un simile orrore fino alla fine, impotente e sconfitto da quell'odio ingiustificabile.
E poco prima di morire, ricordo di aver veduto un'immagine splendida e luminosa. Era un mondo senza guerre e senza un odio, dove i bambini ridevano e giocavano felici; era un mondo dove non esisteva violenza, discriminazioni e morte. Era un mondo avvolto dalla luce.
E alle spalle di quel mondo, vidi una luce ancor più grande che piangeva. Assurdo...ma la Luce più luminosa stava piangendo, perché sapeva anch'egli che quella era solo una visione, la trasposizione di un sogno che gli uomini non erano ancora pronti ad accogliere.
"Tornerò tra cent'anni e avrò la mia vendetta!"
Annunciai, in preda alla frustrazione, la rabbia, la tristezza, l'angoscia e la consapevolezza della morte. Sì, avrei vendicato quegli uomini, quelle donne e quei bambini. Avrei vendicato coloro che erano morti solo perché avevano deciso di camminare nella grazia di Nostro Signore.
Dopodiché la lama mi tagliò la gola e il messaggero del Cielo tornò al suo Dio, come una povera anima sofferente bisognosa della pace eterna e il conforto del proprio padre.

Angolo dell'autrice
Finalmente riesco a scrivere qualcosa su questo personaggio che amo follemente. Il writober mi sta dando davvero tanti spunti e sono contenta di star riuscedo a scrivere cose che progettavo da molto tempo senza riuscirci.
Grazie a chiunque leggerà. A presto!
  
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