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Autore: chiara_raose    14/10/2018    2 recensioni
"Voltron! Legendary Defender - La nuova frontiera del gioco online!
Vivi la tua avventura intergalattica in prima persona e sperimenta l'esperienza più immersiva di sempre! Lotta, alleati e divertiti con giocatori da ogni parte del mondo!
Disponibile da gennaio e solo per le migliori console 4D!
Prevendite aperte su voltr**LD.net"
E' un gioco, dicevano.
Sarà divertente, dicevano.
Genere: Generale, Science-fiction, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Okay, una bella stretta di mano e congratulazioni a chi leggerà anche questo secondo capitolo! Sarà un po' lungo questo flashback ma spero possa piacervi e rendervi chiare un paio di cose riguardanti l'ambientazione e il gioco in questione. Ringrazio anche LanceTheWolf per il sostegno inconsapevole nella recensione e Eisen im Blut per la sopportazione della mia persona durante le ricerche di idee e consigli.


 
PART I

Una giornata a dir poco pessima non poteva di certo peggiorare, giusto? Keith ricordò di averlo pensato chiaramente quella sera, accettando l'insistente suggerimento di Shiro: tentare la follia. Sarà divertente, gli aveva detto; anzi, garantito. Shiro era l'unico vero amico che aveva avuto in tutti quegli anni, un minimo di fiducia poteva concedergliela. Specialmente ora che, per via del trasloco, saranno costretti a separarsi di parecchi chilometri.
«Così almeno ti posso tenere d'occhio quando sei online»
«Grazie, avevo giusto bisogno di un secondo papà»
Lo prese in giro, potendo scommettere sul fatto che Shiro aveva alzato gli occhi al cielo. Per fortuna lo risparmiò da battute, vista la morte prematura del padre biologico. Dopo la sua morte, sua madre si era presentata a casa dopo averlo abbandonato, reclamando il figlio ora che non c'era più qualcuno a prendersi cura di lui. Keith non aveva mai voluto ascoltare le motivazioni che l'avevano spinta ad andarsene; ma, vista la situazione, non aveva potuto opporsi alla sua decisione di riprendere in mano le loro vite. Era ovvio che scegliesse lo stipendio piuttosto che mantenere la scuola, le amicizie o le abitudini di Keith. No, non si era stupito del fatto che avesse deciso di trasferirsi vicino al lavoro... E no, non l'aveva presa ugualmente bene.
 
Keith sospirò, o per meglio dire, sbuffò provando a districare i vari cavi. Shiro e un altro paio di amicizie avevano fatto una colletta per regalargli quella console. Di seconda mano, certo, ma sufficiente ad adempiere al proprio obiettivo: distrarlo da quelle che erano le preoccupazioni in casa. Non aveva mai avuto modo di appassionarsi ai videogiochi come molti altri e il groviglio di cavi e adattatori aveva demolito qualsiasi voglia di tentare. Visto quanto era costata, però, con che cuore avrebbe potuto buttarla? Era giusto darle nuova vita. Stava quasi immaginandola come metafora per la propria -di vita.
«Ce l'hai fatta?»
«No... cioè, sì... ma non lo so» rispose incerto, corrugando la fronte e guardando i cavi attorcigliati. «Se entrano nella presa vuol dire che è il posto giusto?»
«Secondo la logica: sì» Lo sentì ridacchiare. Keith decise di ignorarlo, osservando il proprio operato. Un'ondata di irrefrenabile orgoglio lo assalì quando si rese conto di non aver intrecciato nella matassa anche le cuffie collegate al telefono. Prese il visore legandolo alla nuca per regolare la misura e la stretta dei lacci, posizionò il microfono che gli solleticava la guancia e strinse tra le dita i due controller manuali provando a muoverli.
Perché era tutto fermo?
Sentendo il silenzio tombale, Shiro prese il coraggio di romperlo senza troppa fatica: «Tutto bene Keith?»
«Credo di sì, a parte il fatto che non parte»
«Hai installato tutto?»
«Sì»
«Hai inserito il gioco?»
«Sì»
«Hai messo il gioco giusto?»
«Shiro.» lo richiamò iniziando a pensare che lo stesse credendo un idiota.
«Cerco solo di capire. Hai calibrato i sensori?»
Keith rimase in silenzio; sollevò il visore, ancora in ginocchio sul pavimento della propria stanza coperto solo da un misero e vecchio tappeto. «No...»
Se prima aveva temuto che Shiro lo pensasse un idiota, ora quel po' d'orgoglio rimastogli gli impediva di ammettere che aveva ragione.
«Ti lascio a impostare i vari sensori; domani ti aiuto a creare il tuo personaggio, okay?»

La serata era terminata in maniera meno terribile di quanto avesse temuto, grazie a quella promessa.
 
* * *
 
A volte ancora si sorprendeva di dove la tecnologia fosse arrivata. Ascoltava le parole degli altri come incantato. Chissà com’era comodo poter utilizzare la console da seduti o sdraiati senza bisogno di muoversi per la stanza come lui. Grazie al cielo si erano presi un momento di tregua, concedendogli di sedersi con le gambe incrociate. Le braccia tese puntellate sulle ginocchia a giochicchiare con uno dei joystick, tradotto in chissà quale movimento dal proprio alterego. Teneva gli occhi su Pidge che stava raccontando il come si era approcciata al gioco, come aveva iniziato ad entrare in quel mondo. In sostanza lei era stata la prima; aveva fatto la fila al negozio per recuperare una delle prime copie del gioco e si era fatta aiutare dal fratello maggiore a sistemare la console per renderla di ultima generazione. Garry era stato trascinato dal proprio migliore amico che aveva seduto accanto: Charles. Shiro era nel giro da un po’, ma Voltron lo scoprì grazie ad Allura, una nuova conoscenza "on-game" e legata, in chissà che modo, a uno dei creatori del gioco.
«Okay, prossima domanda!» annunciò Garry facendo battere le mani al proprio alterego dalla corporatura massiccia e possente. «Com’è nato il vostro alterego nel gioco?»
«Ricordatemi perchè stiamo facendo il circolo delle confessioni»
«Perchè è divertente! Vuoi dirmi che non sei curioso di sapere come sono riuscito a conquistarmi la razza Altean?»
Non ebbe certezza del fatto che anche l’alterego stesse inarcando un sopracciglio assieme a lui dinanzi alla rivelazione di Charles. «Te la sei conquistata?»
«Certo, c’è chi può avere le cose meritandosele e il sottoscritto è uno di questi»
«Non sono certo che il senso della domanda fosse quello»
«e invece lo racconto perchè Garry me l’ha chiesto» Charles diede un paio di pacche alla spalla di Garry alla propria destra, facendo oscillare tutti i vari gioielli che l’abbigliamento della sua razza gli donava di default. «Inizialmente scelsi la classe del paladino, puntando al gunshooter dal quinto livello. Il mio alterego era figo quanto adesso! Solo non avevo i capelli bianchi.» iniziò indicando la propria tempia «Ogni tre anni, durante l’anniversario di uscita del gioco, viene aperta una quest speciale che, se superi, ti dà la possibilità di ricevere un premio. L’anno scorso ci ho partecipato e in palio c’era la razza Altean»
«Quindi hai vinto tutto da solo?»
«Certo!»
«Hai barato, sicuro»
«Non dire idiozie! Ci ho passato tutta la notte!»
«Ecco perchè non sei venuto a scuola il giorno dopo» intervenne Garry, strappando una lieve risata a Shiro «Quindi hai passato la notte a giocare per avere la razza e poi non sei riuscito ad alzarti la mattina dopo?»
«Detta così non sembra più una cosa bella» mormorò Garry
«Insomma! L’importante è che ci sono riuscito, ora avete un fantastico Altean in squadra e ho fatto la dormita migliore della mia vita quel giorno!»

Le chiacchiere procedettero in maniera tranquilla, dove ad uno ad uno tutti i membri di quella folle squadra si conoscevano meglio a vicenda: Pidge aveva scelto la classe del mago con la specifica di stregone, sfruttando le caratteristiche della razza umana come la maggiore adattabilità e intelligenza. "Tanto forza e difesa le si possono alzare con armi e armature" continuava a ripetere ad ogni tentativo di ribattere. Allura, invece, con quella massa di capelli legati dietro la nuca, aveva scelto la stessa classe ma con l'intento, al quinto livello, di scegliere la specifica di baldo per il sostegno; a detta sua era anche riuscita a recuperare la razza Altean in modi, a parole sue “più semplici”, rispetto a Charles. Garry aveva scelto una razza aliena dopo aver letto la spiegazione della loro indole più pacifica, quieta unita ad una resistenza fisica notevole; il che sposava bene con la classe che nel gioco corrispondeva a quella del Tank con la specifica Mecha, effettivamente.
«Io, bè lo sapete tutti: paladino con la specializzazione ravvicinata e spada…» Shiro fu decisamente breve, allargando leggermente le braccia nell’evidenziare come non ci fosse altro da dire.
«Tocca ad Akira»
«Ora voglio proprio sentire» Keith sentì sogghignare Charles mentre pronunciava quelle parole.
«Sappiamo che sei della classe Assassin; ma perchè hai scelto la razza Galra?» gli domandò Pidge prima che intervenisse Allura.
«Avrà voluto fare un tipo di gioco suo. Che importanza ha perchè ha scelto la razza Galra?»
Keith adocchiò Shiro che stava ridacchiando. L’alterego non lo imitava alla perfezione, ma il modo in cui aveva portato un pugno davanti alle labbra lo conosceva fin troppo bene.
«Perchè sono… forti?» si ritrovò a dire lui, sollevando le spalle, non riuscendo a trovare il motivo del problema. Poteva tranquillamente averla scelta sul serio per quel motivo; hanno statistiche e skills non da sottovalutare, in fondo.
«Sì, ma in genere chi sceglie la razza Galra sceglie il tipo di gioco dell’altra fazione: quella dalla parte dell’Impero.»
Keith osservò di nuovo Allura per qualche secondo, prima di fare un sospiro che riecheggiò nel microfono di Shiro.
«Si era sbagliato.»
«Come?»
«Avevo sbagliato la scelta okay? Ma non potevo tornare indietro, per cui-»
«Sul serio tu hai sbagliato a scegliere la razza per il tuo alterego?»
Alle parole di Charles, Keith fu sicuro di esser avvampato, stringendosi nelle spalle per qualche secondo. Resosi conto della cosa, si ammutolì lasciando perdere le giustificazioni, mentre Pidge scoppiò a ridere.
«Dai ragazzi, è la sua prima esperienza di gioco online, capita a tutti»
«“Akira-posso-fare-tutto-meglio”? Davvero?»
«Basta Charles» intervenne di nuovo Shiro nel tentativo di salvarlo dalla figura pessima che gli aveva appena fatto fare. Purtroppo non poteva fermare il gioco e ricominciare dall’ultimo punto di salvataggio.
Per un momento gli mancarono le vecchie console.
«Comunque, la razza Galra con la classe che hai scelto ci sta bene.» disse poi Charles, col tono di voce più accomodante e tranquillo. «Sei diventato una sorta di spia-ninja» aggiunse facendo qualche gesto con le mani per imitare qualcuno di furtivo.
«Charles ha ragione, i Galra hanno statistiche altissime in combattimento, agilità, resistenza. Sono delle macchine da guerra veloci e letali, ancor di più se legate alla classe di Assassin.» si aggiunse Pidge partendo con le spiegazioni logiche e tecniche che avrebbero giustificato la sua scelta, per quanto sbagliata. «E' un po' come fosse nato così. Non ci si può fare niente»

«Pronti per domani?»
«Sono emozionatissimo!»
«Neanche quando ho fatto la prova per la razza mi sentivo così elettrizzato»
Charles e Garry si diedero un cinque mentre Pidge si sistemò gli occhiali. «Se seguiamo le direttive che abbiamo deciso oggi, supereremo sicuramente tutte le prove.»
«E quando supereremo quelle prove…»
«... Avremo Voltron.»
Ci fu un attimo di silenzio generale, la tipica calma prima della tempesta. Chissà quanti di loro stavano trattenendosi dal balzare in piedi e saltellare. Charles e Garry non si fecero attendere oltre i due secondi. Poco dopo, tutti iniziarono a uscire e svanire in una serie di fasci luminosi, come teletrasportandosi chissà dove. Solo Charles rimase con lui qualche secondo di più.
«Ci hanno lasciati soli soletti eh?»
«Già...» mormorò in un sospiro. «Allora vado…»
«Senti-» lo sentì mormorare, anche se avrebbe giurato in un leggero sorriso. «Ti va di fare una scommessa?»
Keith sollevò le iridi al cielo, per quanto possibile «Adesso?»
Non era insolito da parte loro far partire qualche scommessa a caso, senza un reale perchè; solo per avere la soddisfazione di battere l’altro. Charles, oltretutto, aveva una fantasia sfrenata nel trovare idee. In quello, glielo concedeva, lo batteva senza problemi.
«Eddai! Neanche l’hai sentita!»
«Penso di non volerlo sapere» si ritrovò a dire con un po’ di ironia e sarcasmo misti assieme.
«Cos’è? Hai paura di perdere?»
«Questa era una bella battuta»
«E perchè non accetti allora?»
«Neanche me l’hai detta; da quando accetto alla cieca?» Charles lo aveva fregato di nuovo.
«Allora la mia idea è questa» cominciò preparandosi come dovesse spiegare il piano di fuga dalla prigione di massima sicurezza. Incrociò le gambe e allargò le braccia pronto a gesticolare come al solito.
«Dando per scontato che riusciremo ad ottenere Voltron; inizieremo a batterci coi leoni, giusto?»
«... sì?» non riusciva a capire dove l’altro volesse arrivare.
«Poniamoci un limite di missioni, al termine delle quali conteremo chi ha abbattuto più nemici col proprio leone!»
Keith si fece sfuggire uno sbuffo divertito, vedendo l’altro tendere la mano per decretare quella scommessa.
«Non mi piace vincere così facile»
«E chi i dice che vincerai?»
«E cosa si vince?»
Charles portò una mano al mento, riflettendo in silenzio per qualche secondo prima di confessare con un filo di voce che non ci aveva pensato.
«Hai pensato alla scommessa ma non a cosa si vince?»
«Per ora rimandiamo la cosa con la soddisfazione, l’eterna gloria e l’incondizionato amore di una donna»
A Keith sfuggì una leggera smorfia che, immaginò, anche il proprio alterego mimò.
«Ah già che te non sei interessato… allora per te l’amore incondizionato di un omaccione tutto muscoli»
Charles aveva scoperto della sua inclinazione sessuale poco tempo prima, per puro caso, intuendola da… non aveva esattamente capito da cosa, ma l’aveva capito.
«In ogni caso, qual’è la soglia?»
«Cinquecento»
«Troppe-»
«Quattrocento?»
«Cento»
«Che gusto c’è così presto?»
«Vorrei essere ancora vivo e giovane quando raggiungeremo tutte quelle missioni»
Charles sbuffò. «Duecento»
«Duecento sia» concluse Keith porgendo la mano come l’altro poco prima.
«Come minimo dovrai dirmi almeno il tuo nome; quello vero intendo»
Quelle parole colsero Keith di sorpresa, non permettendogli di celare l’espressione un po’ perplessa che gli si dipinse in volto.
«Non ti basterebbe chiedermelo?»
«E dove sarebbe il divertimento?» rispose con semplicità l’Altean prima di alzarsi in piedi puntellando i pugni ai fianchi «E tu potrai chiederlo a me; o puoi chiedermi qualcos altro»
«Del tipo?»
«Sei proprio carente di fantasia eh, Akira?»
«E se non volessi sapere niente?»
«Come puoi non voler sapere niente del sottoscritto? Sento che fremi dalla voglia di avere materiale con cui ricattarmi»
Gli sfuggì uno sbuffo divertito mentre si alzava a sua volta. «Ne hai davvero così tanto? Di materiale intendo»
«C'è un solo modo per scoprirlo» lo vide ammiccare e Keith portò le mani in avanti in segno di difesa.
«No, decisamente non voglio saperlo grazie!»
Avevano iniziato a stringere, in un modo tutto strano, amicizia. Era parecchio, ormai, che giocavano; era tanto tempo che si erano uniti a quella squadra creata da un’idea di Shiro e di Allura. Non conoscevano quasi niente l’uno dell’altro; poche cose strettamente necessarie. Si prendevano sempre in giro, ma sapevano che potevano contare su una nuova amicizia. Chissà da quale parte del mondo, ma Keith sapeva che Charles, o quel misterioso ragazzo dietro un alterego con la pelle troppo scura e i capelli troppo bianchi, lo avrebbero ascoltato a priori di tutto. Come lo sapeva? Perchè lui avrebbe fatto lo stesso.
«Ci vediamo domani, spia-ninja»
Lo sentì salutare, mentre portava la mano al solito pulsante per scollegarsi. Lo vide svanire e Keith sorrise, sospirando, ormai solo in quell’ambiente simile ad una radura dall’erba bassa e circondata da colline che scivolavano su un colore lilla molto chiaro. In lontananza quella sorta di mezzo di trasporto e casa che era il castello; loro base come Gilda. Shiro lo aveva spinto a cercare nel gioco un sostegno per superare il suo problema di interazioni sociali. Avere a che fare con le persone reali, ma con la protezione e lo scudo di un alterego, di una realtà fittizia e immaginaria. Che quel trucco, almeno coi membri del gruppo, stesse funzionando?
 

 
PART II

Allura era rimasta indietro, confinata dietro la parete di delimitazione dell’ennesima prova che avrebbero dovuto superare.
«Perfetto abbiamo perso la curatrice» mormorò Pidge con un sarcasmo neanche troppo velato. Sarebbe stato un gran bel problema se avessero dovuto nuovamente combattere senza qualcuno che fosse specializzato nel curare i membri del gruppo.
«Guardate laggiù; in fondo alla caverna» sentì Garry indicar loro un punto specifico dell’ampio ambiente che li circondava. Sembrava fossero scesi nel sottosuolo per centinaia di metri; ma, nonostante questo, il soffitto risultava essere alto oltre ogni misura umana. Era troppo buio e troppo lontano per controllare la possibile presenza di stalattiti pronti a cader loro sulla testa. Le stalagmiti che li circondavano, in compenso, si curvavano sulla cima, come volessero abbracciare l’aria o raggiungersi da una parte all’altra di un lungo corridoio naturale di pietra. Un alito di vento dalla dubbia provenienza fischiava nelle orecchie creando un ambiente che a Keith ricordò il respiro all’interno di una cassa toracica. Pensieri molto rincuoranti come al solito. In fondo al corridoio, l’unica fonte di luce che si allungava fino a loro e sembrava assumere un colore diverso in base all’inclinazione o al punto in cui si osservava.
«Cos’è che fa tutta questa luce?» si domandò Pidge mentre attivava una magia che fece nascere una sfera luminosa dinanzi a sè grande quanto la sua testa. Gli occhi dell’alterego si illuminarono di un verde brillante e innaturale in quell’intento, mentre Shiro le si avvicinò per sfruttare al massimo la sua magia.
«Avviciniamoci con ca-»
«Chi arriva per ultimo paga pegno!»
La voce di Charles che riecheggiò nelle orecchie con prepotenza lo fece non solo sobbalzare, ma anche fermare dal suo procedere lungo il corridoio. «E tu avresti superato la quest per la razza tutto da solo?»
«Se stiamo fermi qui di certo non succederà niente e la quest non andrà da nessuna parte. Noi nemmeno» non sentì nessuno ribattere. Non potè che pensare che aveva ragione mentre si avviava a sua volta e rapidamente lungo il corridoio «Inoltre, se scopriamo che è a tempo anche questa prova, non ho voglia di rimanere chiuso fuori».
Un po’ come Allura al di là della soglia precedente e chissà quanti altri giocatori a cui non hanno fatto caso.
«E Allura? La lasciamo indietro?»
«Abbiamo scelta?» ribattè Keith alzando le spalle con l’alterego che eseguiva ogni movimento in base ai comandi posti sui joystick. Tornò a camminare, sentendo Charles sospirare e, voltandosi, portare una mano al petto per stendere l'altro braccio con fare teatrale.
«Non preoccuparti principessa mia, tornerò vittorioso a salvarti su uno dei leoni leggendari»
Ah, ecco, gli pareva strano che Charles lasciasse indietro Allura senza dire niente.

Pian piano che si avvicinavano, la luce diventava più forte, fino quasi a seccare gli occhi e riempire tutto lo schermo; ma per quanto camminassero, quel corridoio sembrava non terminare mai. Il soffitto della grotta da scuro era diventato candido, brillante e indefinito. Le stalagmiti si aprivano metro dopo metro, allungandosi in forme del tutto innaturali. Sembravano più delle piante che si arricciavano alla cima e anzichè indirizzarsi alla luce, cercando di sfuggirle.
«Ma non finisce mai?»
«Inizio ad essere stanco… e ad avere fame»
«Non vi sembra strano che stiamo continuando a camminare senza trovare niente quando, fino a un attimo fa, ci hanno massacrato con le prove?»
«Che siano terminate?»
«E allora perchè non è semplicemente apparso tutto per magia?»
Keith ascoltava le loro parole senza distinguere troppo le varie voci, più concentrato a guardarsi attorno in cerca di qualche punto di possibile interazione che avrebbe potuto innescare un meccanismo… insomma far accadere qualcosa. Cosa dovevano fare? Charles doveva aver avuto la sua stessa idea dal momento che lo vide avvicinarsi ad una di quelle strutture anormali e iniziare a posare le mani in giro, tastando la pietra in cerca di chissà cosa.
Fu quel contatto che, dopo qualche secondo, fece illuminare la pietra. Una serie di strisce e linee geometriche scorsero sulla pietra verso l’alto e poi al suolo. Si espansero come una macchia d’olio arrivando, in un attimo, a toccare tutti loro e, specialmente, il suolo sotto i loro piedi prima di farlo frantumare. Se ne resero conto tutti solamente quando già stavano cadendo nel vuoto.
 
* * *

Keith si rialzò in piedi in maniera nervosa, giocherellando e tamburellando le dita sui due joystick. Era la quarta volta che cadevano nel vuoto dopo essersi sentiti il pavimento sgretolarsi sotto i piedi. La sensazione di cadere nel vuoto stava iniziando a diventare più reale e decisamente prevedibile. Cadevano tornando all’inizio del corridoio, camminavano finchè il paesaggio non iniziava a ripetersi in loop, cercavano di capire cosa fare, tentavano, cadevano e tutto ricominciava di nuovo.
«Inizio a pensare che non dobbiamo toccarle quelle rocce»
«E’ l’unico punto in cui l’ambiente reagisce, devono servire a qualcosa» fece notare Pidge con l’accordo generale.
«Ma se il loro unico risultato è quello di farci ricominciare da capo, magari non è il punto che cerchiamo» puntualizzò Garry mentre camminavano nuovamente lungo il corridoio. Meno male che, quantomeno, non doveva davvero camminare per tutta la stanza. Altro che palestra.
«E quale potrebbe essere un altro punto di interazione? Non c’è nulla a parte quelle»
«Magari dobbiamo solo trovare un punto per raggiungere l’origine del fascio di luce»
«E siamo tutti d’accordo, ma come facciamo se camminando il paesaggio va in loop?» domandò Shiro facendo notare con calma quel dettaglio che salvò Charles dal sarcasmo di Keith. Si lasciò sfuggire un sospiro mentre camminava per ultimo nel gruppo, affiancato a Pidge che aveva una mano al mento nel suo riflettere.
«Deve essere un altro tipo di prova rispetto a quel che ci aspettavamo»
«Cosa intendi?»
«Abbiamo immaginato che per superare il raid, la quest o come la volete chiamare… sarebbe bastato combattere, come tutte le altre -o la maggiorparte- all’interno del gioco. Ma stiamo parlando del fulcro del gioco intero, di Voltron, davvero gli sviluppatori si sarebbero fermati a fare una serie di combattimenti e basta per fare una selezione dei giocatori?»
Shiro incrociò le braccia, fermando il passo dal momento che il paesaggio era tornato a ripetersi. «Dici che potrebbe trattarsi di una sfida tipo puzzle?»
«Intendo una sfida stile RPG»
«Gli sviluppatori di sarebbero affaticati tanto?»
«Sei tu quello pigro» Stavolta Charles non si salvò.
«Gne gné-» lo sentì scimmiottarlo «Vuoi avere la prova del contrario, forse?»
«Fammi vedere di cosa sei capace»
«Non è il momento ragazzi» Shiro li richiamò all’ordine «Dobbiamo cercare di capire come uscire da questa stanza. Idee?»
Keith si osservò attorno, ragionando sull’idea di Pidge. Se era una sfida di quel genere, non si considerava il combattere e basta; per lui risultava più difficile del previsto. «In sostanza non possiamo fare a meno di toccare queste rocce.»
«Non pare ci sia molta alternativa» sentì rispondere a Garry mentre, dal canto suo, Keith si avvicinò un po’ di più alla direzione del fascio di luce. «Ma se vado avanti solo io, ritorno qui o vado da qualche parte?» si domandò piano sentendo Charles affiancarlo.
«Vengo con te»
«Se ci tieni»
«Non posso certo permettere che tu sia l’unico a scoprire se c’è la soluzione al nostro problema più avanti»
Sogghignarono entrambi, Keith ne fu sicuro, anche se in modi leggermente diversi. Con un cenno di intesa agli altri e poche altre parole, i due si avviarono lungo il corridoio.

«In linea teorica, se il paesaggio va in loop, dovremmo tornare da loro»
«C’è solo un modo per scoprirlo, no?» gli rispose inarcando un sopracciglio, citando vagamente le parole del giorno prima da parte dell'Altean.
«E intanto di cosa parliamo?» propose Charles aprendo leggermente le braccia nell’evidenziare che, a quanto pare, di tempo ne avrebbero avuto almeno un po’.
«Non saprei; magari di come risolvere questo mistero?»
«Penso sia meglio parlarne con gli altri. Siamo cinque menti contro due attuali» puntualizzò sollevando l’indice e il medio, nel contare loro due. «A meno che ci venga l’illuminazione»
«Come non fossimo abbastanza illuminati» ironizzò istintivamente, riferendosi al fascio che puntava verso di loro e verso cui stavano provando a dirigersi. Sentì Charles ridacchiare leggermente, puntando le mani ai fianchi.
«Comunque potremo parlare di altro, degli affari nostri, di che bel tempo che c’è, di quanto sia buono il gelato…»
«Vuoi davvero intraprendere una conversazione su quanto sia buono il gelato?»
«Perchè? Non sei d’accordo forse?»
«... Vero» si ritrovò a dire poco dopo, continuando ad avanzare lungo il corridoio, fin quando non iniziarono a intravedere delle figure, grandi quanto formiche, in lontananza. Non fu difficile distinguere le tre figure dei compagni in controluce.
«Mistero risolto»
«A quanto pare, quindi, la soluzione è in questa zona… ma come lo capiamo?»
«Non saprei… inoltre questa luce che continua a cambiare colore sta iniziando a stancarmi gli occhi»
Keith a quelle parole fermò improvvisamente il passo. Charles fece lo stesso, perplesso, quando non lo sentì più al proprio fianco, volgendosi in sua direzione con un sopracciglio arcato verso l’alto.
«Akira? Tutto bene?»
«I colori.»
«Che?»
«Che colore avevano le luci quando toccavamo la rocca?»
«Blu, mi pare… almeno quando ho toccato io la roccia erano blu»
«E le altre volte?»
«Le hanno toccate Garry e Shiro»
«Non chi le ha toccate. I colori!»
Charles ci pensò su qualche secondo. Keith lo vide, per quanto possibile e reale fosse, sbarrare gli occhi. Impiegarono meno tempo di quanto avessero potuto prevedere a raggiungere gli altri e porre loro la medesima domanda. La reazione fu più o meno la stessa, specialmente da parte di Pidge.
«Una volta sono state verdi, poi gialle e anche rosse» la memoria infallibile di Garry diede conferma al sospetto di Keith, accendendo definitivamente la lampadina nel cervello di Pidge.
«I leoni. Sono i colori di quattro dei cinque leoni di Voltron»
«Mancherebbe il nero»
«Le luci non possono illuminarsi di nero… o sì?» domandò Garry perplesso dalla cosa, osservando Charles in cerca di risposte, ma ritrovandosi un’alzata di spalle.
«Forse è solo un caso, però…»
«No, hai fatto bene a notarlo Akira» lo interruppe Shiro con calma «Potrebbe non essere un dettaglio messo a caso se stiamo parlando di una prova differente dalle altre. Dobbiamo solo trovare i vari tasselli del puzzle e unirli per trovare la soluzione all’enigma»
«L’idea del puzzle gli piace proprio» sentì mormorare Charles ad Garry con una leggera gomitatina.
«Ma perchè le luci hanno cambiato colore in modo randomico?» domandò Pidge forse più a se stessa che hai presenti. Erano numerose le volte in cui dovevano ringraziare il fatto che Pidge dimenticasse di avere un microfono di fianco alle labbra.
«Probabilmente non sono in modo randomico, anzi»
«In sostanza, dobbiamo mettere in sequenza i colori, giusto?» domandò Garry gesticolando la cosa con le mani dinanzi a sè. «Ma come facciamo a recuperare i colori se vanno a random? E, soprattutto, in quale sequenza?»
«I colori sono collegati alle nostre azioni. Non abbiamo toccato sempre la stessa roccia, giusto?» intervenne Charles questa volta, sorridendo soddisfatto a vedere come il silenzio degli altri gli stesse dando ragione. «Per la sequenza, esiste qualche sequenza particolare quando si parla dei Leoni di Voltron?»
«L'ordine in cui si compongono forse?» azzardò Keith allargando leggermente le braccia. «O il come sono disposti in una copertina o nella struttura di Voltron...»
«O in ordine alfabetico?»
«Teoricamente la logica porta a porre il Leone Nero per primo e così salta l'ordine alfabetico, Garry»
«Qualcuno si ricorda la descrizione del gioco se sono elencati in modo particolare?» chiese Shiro, senza risultato.
«Non possiamo neanche scollegarci per andare a controllare...»
«A meno che...» intervenne nuovamente Shiro con fare pensieroso. «Allura? Ci sei ancora?»
 
* * *
 
Keith spense la console, osservò la sigla animata del logo che si formava davanti agli occhi prima di togliersi il visore e fissare il vuoto per qualche secondo. Rimase col visore tra le mani per quei secondi eterni, finchè non sentì nascere spontaneo un sorriso sulle labbra, ampio e liberatore. Un sospiro profondo e la schiena che si abbandonò al fianco del letto a cui si era appoggiato, reclinando la testa fino a trovare la morbidezza del materasso.
«... Sì!» esultò alzando un braccio al cielo e riabbassandolo in segno di vittoria, per quanto in un verso soffocato a causa dell'ora tarda. Per un lungo momento, si dimenticò anche del trasloco che lo attendeva. Per un lungo momento dimenticò anche le parole di Charles rivolte al gruppo prima di scollegarsi: "Al raggiungimento di 200 missioni, organizziamo un incontro dal vivo".
   
 
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