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Autore: Nemesis01    16/10/2018    6 recensioni
Luca è un ragazzo all'ultimo anno di liceo che, nel giorno più brutto della sua vita, incontra il dottor Vittorio Salvemini. Peccato che l'uomo sia "responsabile" della morte del nonno di Luca.
[Storia scritta per la challange "Autumn" del gruppo Boy's love]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita mia per cambiare la storia'
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Si sta come d’autunno sugli alberi

Celeste è questa

corrispondenza

d’amorosi sensi.

(Ugo Foscolo)

 

02 – Fogliesecche

 

“È morto PASQUALE CARUSO di anni 78. Ne danno il triste annuncio i figli Giacomo, Tiziano, Valerio e Anna; i nipoti Luca, Chiara, Valentina; gli amici tutti; i colleghi del consorzio.”

 

Vittorio si era fermato a leggere quel manifesto di lutto mentre, proprio fuori la chiesa di San Domenico Maggiore, da lì a poco sarebbero giunti i parenti, gli amici, i conoscenti di quel signore morto qualche giorno prima. Sebbene fosse poco più che un tirocinante, Vittorio aveva avuto la spiacevole sorte di confutare e dichiarare molti decessi, forse troppi; non che non fosse un bravo medico, anzi: era ritenuto brillante per la sua giovane età, sempre in pari con gli esami, presente ad ogni turno, educato, gentile, adorato anche dai pazienti, ma i turni al Pronto Soccorso prevedevano scontri con casi gravi e quasi senza speranza.

Eppure quella volta successe qualcosa di diverso. Il signor Pasquale Caruso era stato portato dall’autombulanza con codice rosso, aveva perso molto sangue, era già reduce da un intervento alle coronarie, con un’anamnesi che indicava diversi interventi e diverse patologie, forse troppe per potersela cavare anche quella volta. Vittorio era stato in sala operatoria con il primario di cardiochirurgia per assisterlo e, secondo il primo chirurgo, avevano fatto il possibile.

Avevano fatto il possibile,” pensò, accendendosi una sigaretta. Chi era a stabilire la linea tra possibile e impossibile? Perché aveva dovuto arrendersi, perché non aveva potuto provare nuovamente ad aspirare il sangue in eccesso?

 

Queste erano le domande che Vittorio si era posto nelle sere successive; si era chiesto se avesse potuto fare qualcosa di più del possibile in maniera tale che il nonno di quel ragazzino potrebbe essere ancora vivo e non ci sarebbe stato quel manifesto incollato su quel muro. Il rimorso di non aver fatto tutto o di non aver potuto fare di meglio l’aveva tenuto in un loop per due giorni e, infine, aveva deciso di prender parte ai funerali contro ogni consiglio dell’etichetta medica.

 

Le esequie erano fissate per quel giorno e Vittorio entrò in chiesa solo quando questa fu piena e il cortile, poco tempo prima pieno di parenti del defunto, sgombro. Riconobbe subito quel ragazzino che gli era svenuto davanti agli occhi: era impossibile non riconoscerlo. Luca era bello, con quei capelli corvini e gli occhi chiari, le labbra carnose e l’aria di chi è lì per caso, distratto da qualche pensiero.

Il prete fece un bel discorso che commosse i figli del signor Pasquale, e, un po’, anche Vittorio.

Durante la celebrazione qualcuno ascoltava il parroco, altri osservavano l’architettura della chiesa, qualcun altro, invece, piagnucolava e poi c’era Luca. Il ragazzo aveva gli occhi chiusi e le sue ciglia erano inumidite dalle lacrime versate in precedenza; aveva le mani poggiate sul banco e picchiettava con le dita sul legno lucido dei banchi della chiesa. Inizialmente quella sequenza di gesti sembrava puramente casuale mentre, in realtà, Luca ripassava mentalmente quel maledetto spartito che non aveva mai imparato.

 

“Mi, mi bemolle, mi, mi bemolle, mi, mi bemolle, si, re, do, la; do, mi, la, si, mi, la bemolle, si, do, mi…” a questo pensava Luca, mentre il prete chiedeva chi volesse dire due parole. Luca non aveva parole, ma note, per ricordare suo nonno.

Da lontano Vittorio sembrò notare quella strana combinazione e vide le labbra del ragazzo incurvarsi in un sorriso.

 

Quando la funzione fu terminata la chiesa si svuotò in pochi secondi; solo due persone erano rimaste nel grosso androne, seduti sui banchi.

Luca rimase lì adagiato anche quando il prete si fu allontanato e aveva lo sguardo rivolto verso un grosso crocifisso alle spalle dell’altare, sembrava apprezzare la solitudine e il profumo d’incenso; Vittorio, invece, aveva fatto una preghiera per l’anima del defunto ed era rimasto seduto qualche banco più dietro ad osservare il ragazzo. Dava l’impressione di essersi ripreso da quel giorno pur conservando quell’aria malinconica e stanca. Senza nemmeno rendersene conto, Vittorio si scoprì ad osservarlo con più attenzione del previsto, tant’è che seguì i suoi movimenti con la coda dell’occhio anche quando si alzò per lasciare il luogo sacro.

 

Luca si era seduto su una colonna di pietra recisa e guardava la gente entrare e uscire dalle gelaterie; la chiesa era nel pieno centro storico e un viavai di persone sorridenti gli passavano davanti. Cos’avevano da essere tanto allegri tutti quanti?

Aveva bisogno dell’empatia del mondo, Luca, che aveva perso quanto di più caro avesse al mondo e si trovava lì, senza un posto in cui andare, senza nessuno da abbracciare, senza nessuno che potesse dirgli che sarebbe andato tutto bene.

 

- Hey… -

Luca sollevò lo sguardo e fu sorpreso nel ritrovarsi di fronte quella testa riccia. Lo avrebbe riconosciuto tra mille, come poteva dimenticarsene? Gli aveva detto che suo nonno non ce l’aveva fatta, dando vita al proprio trauma. Il ragazzo aveva sognato ogni notte quel dottore venirgli incontro in quel corridoio e dirgli “tuo nonno sta bene, deve riposare un po’”, ma questo non aveva cambiato la realtà dei fatti.

- Ciao. – borbottò stiticamente.

- Mi dispiace per… Sai… Tuo nonno. –

- Mh-h. Anche a me. –

- Sì, lo so. Volevo solo dirti che… Era una brava persona. – Vittorio abbassò gli occhi, giocherellando distrattamente con un sassolino che era finito sotto la scarpa.

- E che ne sai tu, eh? – rispose Luca, in maniera piuttosto irriverente, - Lo conoscevi? Sapevi chi era? Sapevi che non era solo un pezzo di carne su un tavolo? –

- Capisco che tu possa essere arrabbiato, anche io lo sarei al tuo posto, ma non credo che rispondermi male potrà sanare le cose. Vedi, io sicuramente non conoscevo tuo nonno come e quanto te, ma lui è stato il primo signore che ho visitato in reparto, il mio primo giorno in ospedale. Mi ha tanto parlato dei suoi nipoti, della sua vita, era molto carino ed elegante. Mi è dispiaciuto non aver potuto fare qualcosa per tenerlo in vita. –

- Sì, certo, come no. Vorrei poter dire “la prossima volta ci affideremo ad uno più bravo”, peccato che non potrà esserci una prossima volta. – Luca lo fissò ad occhi sottili carichi d’odio e risentimento. Probabilmente una parte remota del suo cervello sapeva che non era stata colpa di Vittorio se suo nonno non ce l’aveva fatta, ma i sentimenti gli avevano tanto offuscato il senno e non riusciva a comportarsi in maniera razionale e obiettiva.

- Io spero che tu non ti debba ritrovare in questa situazione, ma se proprio dovesse capitare, mi auguro che ci sia uno più bravo. –

 

La risposta che il medico gli aveva appena dato spiazzò Luca che abbassò lo sguardo, fissando i lacci colorati che aveva abbinato alle scarpe di tela nere. Il ragazzo arricciò il labbro e, qualche attimo dopo, si rimise in piedi e, per quanto possibile vista la differenza d’altezza, sollevò lo sguardo verso l’altro.

- Senti, mi dispiace. Non volevo risponderti così. –

- Non preoccuparti. È un periodo difficile per te. So com’è perdere qualcuno di prezioso. –

 

Luca sorrise debolmente e annuì; in un secondo momento si voltò verso la madre che, da lontano, lo chiamava a voce alta per dirgli che dovevano andare.

- Io vado allora… Grazie per essere venuto, - farfugliò rapidamente, quasi avesse voglia di scappare.

Vittorio non ebbe neanche il tempo di rispondere a quei saluti, o ad offrirgli il proprio supporto morale che il ragazzo era già scomparso. Non seppe spiegarsene il motivo ma si era convinto che i loro destini dovevano essere collegati. Non si era mai sentito così.

 

   

 

Vittorio era seduto nella stanza degli specializzandi; stanza poi, era uno sgabuzzino con una brandina d’emergenza, un paio d’armadietti e una scrivania. Il ragazzo era seduto proprio sopra quest’ultima mentre mangiava un sandwich rinsecchito farcito con della maionese e una fettina di prosciutto, ossia tutto quello che gli era rimasto in frigo, il che gli aveva ricordato che avrebbe dovuto fare la spesa. Vittorio guardava fuori da quella finestra sporca mentre diede un morso al panino quando si accorse che il cielo si era imbrunito e l’aria raffreddata. Era da qualche giorno che si sentiva così, con il freddo dentro, come cullato da una strana apatia. Forse era vero, pensò, quello che diceva Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi / le foglie”.

 

Nonostante la sicurezza di un lavoro fisso e ben retribuito, un monolocale arredato e la cena sempre servita, Vittorio non riusciva a trovare pace. C’era qualcosa che non andava, si sentiva svuotato da quell’ingenuità che l’aveva sempre caratterizzato, era diventato diffidente e malpensante. Questo l’aveva portato a chiudersi in sé stesso e diventare schivo con gli altri, riducendo le sue interazioni sociali solo ai fini lavorativi almeno fino a quando Luca non gli era svenuto davanti. Quando l’aveva visto perdere i sensi aveva avvertito il bisogno di stargli accanto; Luca aveva risvegliato il lato di sé che aveva sempre apprezzato: quello umano. Quello dove i pazienti “non sono solo carne da macello” ma nonni amorevoli, sorelle simpatiche, cugini collaborativi.

 

La pioggia cadeva sempre più forte, le gocce erano talmente grosse che sembravano sassolini lanciati contro quei vetri tanto spessi e appannati. In quel momento avrebbe voluto avvolgersi in un morbido plaid davanti ad un camino, mangiare un cornetto caldo e bere cioccolata calda quando il proprio cercapersone iniziò a squillare.

Vittorio si ficcò il resto del pranzo in bocca e deglutì neanche fosse una compressa quando lesse sul display del dispositivo “emergenza in pronto soccorso” e, di conseguenza, iniziò a correre fino a raggiungere il piano terra dell’ospedale, saltando qualche gradino di tanto in tanto.

 

- Dottor Salvemini, mi scusi per aver badgato lei, ma gli altri erano in pausa e… -

- Non si preoccupi Leonida, mi dica pure! –

- C’è un ragazzino di diciott’anni, dolore intercostale forte, casi cardiopatici in famiglia, è arrivato qui con un codice giallo! -

- ECG? –

- Irregolare, è così giovane… -

- Dobbiamo muoverci! – Vittorio si catapultò letteralmente di sotto, trovando il ragazzo indicato dall’infermiera. Alzò gli occhi verso di lui quando, con rammarico, scoprì che si trattava proprio di Luca Caruso.

 

   

 

 

Note a margine

Eccomi, con il mio ritardo fisiologico, con il secondo capitolo di questa storia.

Che ne pensate? Io personalmente credo che, impegnandomi, forse potrebbe uscire qualcosa di decente.

Per il resto attendo, come al solito, i vostri pareri!

 

 

 

   
 
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