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Autore: Glitch_    16/10/2018    1 recensioni
Durante i due anni nel Quantum Abyss, Keith ha visto frammenti di futuro destinati a succedere nell'arco dei prossimi vent'anni. Non tutti sono frammenti piacevoli, non tutti riguardano lui.
Questo è come decide di affrontarli.
[Post settima stagione, Keith/Shiro endgame, Keith/James no happy ending, Lance/Allura no happy ending, Lance/Surprise!, maggiori info nelle note iniziali]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: James Griffin, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ho scritto questa storia dopo aver visto la settima stagione, ad agosto, poi mi si è rotto il computer, poi sono successe un'infinità di cose, e quindi è rimasta su AO3 ( https://archiveofourown.org/users/Fall11/ ) e mi sono dimenticata di postarla qui, ehm. Rimedio, meglio tardi che mai, no? Lascio le note deliranti scritte all'epoca, perché è molto più "divertente" così.

Note iniziali: Keith/Shiro endgame, Keith/James no happy ending, Lance/Allura no happy ending, Lance/Surprise!, Keith e Acxa, Keith e Lance.
La storia copre un arco di vent'anni, tutti i personaggi a turno non si comportano esattamente bene.
È la prima volta che scrivo al presente, ci saranno di sicuro un quintale e mezzo di errori, ma abbiate pazienza. La stessa che ho io a scrivere questo mostro di fic su un cell scrauso e dallo schermo micro. La storia è quasi completa, la posterò man mano che il mio cell sentirà che gli va di collaborare con me. Buona lettura!





«Adam è morto.»
E Shiro è devastato, fissa il pavimento e sembra volere evitare l'universo intero. Lo stesso universo a cui anni prima voleva correre incontro. Ha indosso la divisa della Garrison.
Keith, invece, non sa che emozione fare prevalere.



Acxa scoppia a ridere, è distesa supina su una hoverbike e sullo sfondo c'è un deserto terrestre.
Keith ride con lei, steso sulla propria hoverbike e rivolgendo lo sguardo al cielo. Sanno entrambi che è una risata isterica. Sanno entrambi che rideranno fino a piangere e che non fermeranno le lacrime, e che fingeranno che nessuno dei due stia piangendo.



Keith è alla guida di Black, è esausto. Avvia una comunicazione e sullo schermo olografico compare il volto di qualcuno, un pilota.
«Ti darò la vita che vuoi,» dice Keith, e deglutisce come se avesse in gola manciate di sabbia.
«Keith, aspetta!»
Keith non aspetta, chiude la comunicazione e mette le mani sui comandi di Black, spingendo in avanti.




«Henry?!»
«È breve, semplice, comune sulla Terra. Lance mi ha detto che così gli altri bambini non lo prenderanno in giro. Pidge ha aggiunto che sulla Terra c'è un eroe di fantasia con un nome simile. E ha due consonanti diverse una dopo l'altra, proprio come nel mio nome. Mi piace.»
Alle spalle di Keith, un giovane uomo scoppia in una fragorosa risata divertita.



«Capitano Kogane, il ponte di comando dell'Uranus è suo.»



Keith firma i documenti per il divorzio. E vorrebbe urlare e lanciare oggetti contro il muro. Non è giusto. Non doveva andare così. Non meritavano questo.



Lance è nella sua divisa di capitano, posa sulla scrivania di Keith un sacchetto di carta scura che nasconde una bottiglia di wiskey.
«Beh,» sospira Lance, sarcastico, «credo che ormai sia il caso di trasformarci definitivamente nel tipo di veterani che bevono per dimenticare la guerra.»
Keith ci riflette sopra solo un secondo, poi stappa e beve. Passa la bottiglia a Lance, cercando di lottare contro il bruciore dell'alcol.
Nessuno dei due porta una fede nuziale al dito.



«Pensavo che Blue sarebbe stata mia, capisci? La mia eredità. Ma non mi vuole.»
«E quindi sei venuto a parlarne con Black.»
«Ho pensato che magari mi avrebbe capito. Non so. Tu ti sei mai sentito capito da Black, zio Keith?»



«La verità?» chiede Keith sprezzante a Shiro. «La verità è che tu non sceglierai mai me. Non nel modo che vorrei.»



Keith si sveglia scattando a sedere. Sente delle gocce di sudore scivolargli sul viso e i capelli umidi attaccati sul collo. Respirando a fatica si guarda intorno per essere sicuro di trovarsi dentro Black, in viaggio verso la Terra, non nel Quantum Abyss, non in preda a un ennesimo frammento di futuro non richiesto.

A volte ne ha parlato con sua madre dei ricordi del loro passato, ma non ha mai accennato a quello che ha visto del suo futuro. Keith voleva scoprire e capire davvero la storia dei suoi genitori, ma non in quel modo, non con una condivisione forzata. Nessun ricordo ha chiesto loro il permesso prima di travolgerli.

E così anche il futuro.

Per due anni non ha voluto pensare a quello scorcio di futuro che aveva sullo sfondo decine di teche viola, su cui uno Shiro che stentava a riconoscere gli urlava che non sarebbero andati da nessuna parte e lo attaccava con violenza. Quando poi è tornato al Castello dei Leoni, non ha avuto modo di parlarne con Shiro, tutto è successo in fretta e quel frammento di futuro è arrivato prima ancora che Keith fosse almeno mentalmente pronto ad accettarlo.

Ora Shiro dorme rivolgendogli le spalle, e non sempre la notte ha un sonno tranquillo. Perché mai Keith dovrebbe dirgli che sulla Terra troverà Adam morto?

Keith si chiede anche come Adam, uno dei migliori piloti della Garrison, sia morto. Esclude come causa la malattia, perché sa quanto fosse sano, ipotizza un incidente.

“Ho visto il futuro, arriveremo sulla Terra, torneremo alla Garrison, ma il tuo ex è morto”, come si può dire qualcosa del genere a qualcuno che ha passato tutto quello che ha passato Shiro?

Keith non sa come farlo.

Keith non vuole farlo.

Serra i denti e stringe le dita sulle coperte fino a farsi diventare le nocche esangui.

Scatta l'allarme della sveglia, è ora di iniziare un altro giorno e un'altra routine. Keith è grato per la distrazione.





A Keith piace pensare che ciò che ha portato lui e Shiro l’uno nella vita dell’altro è stato l’essere spiriti affini. Sa che quello che più di tutto li accomuna da sempre è avere la perenne convinzione che niente sia mai abbastanza.

Keith da ragazzino voleva dimostrare di essere molto di più che un orfanello con enormi problemi di disciplina e di gestione della rabbia, ma niente sembrava mai abbastanza da convincere gli altri a cambiare idea sul suo conto, quindi ci aveva rinunciato.

Poi è arrivato Shiro, che voleva dimostrare di essere molto di più che un giovane uomo a cui una malattia stava per infrangere tutti i sogni. Lui non era la sua malattia. La sua malattia non lo possedeva. Per Shiro niente era mai abbastanza, niente riusciva a convincere gli altri, ma sopratutto se stesso, di essere molto di più di quello che diceva una cartella clinica, e che poteva osare di più.

Shiro ha trascinato Keith nella sua orbita. O forse Keith ha trascinato Shiro nella propria. Il punto è che Shiro si è messo con sfrontatezza sulla strada di Keith e gli ha insegnato a smettere di rinunciare a se stesso.

Ma per tutti e due niente era mai abbastanza: erano vittime di una sorta di sete che non dava mai loro pace. Diventare piloti e volare nello spazio non era abbastanza, la velocità non era mai abbastanza, il brivido dei rischi da correre non era mai abbastanza. Entrambi sognavano qualcosa che aveva il colore scuro dello spazio profondo e dell’ignoto. Le stelle non le volevano solo sopra le loro teste, ne volevano essere circondati. Volevano conquistare l’universo.

Ma Keith sapeva che fra Shiro e l'universo avrebbe scelto sempre Shiro.

Tutti e due hanno collezionato traguardi su traguardi, solo che Keith i propri li prendeva a calci per renderli nulli - prima che lo facessero gli altri confrontandoli con il numero esorbitante di suoi errori - mentre Shiro i suoi li metteva sotto una teca a prendere polvere, passando subito al prossimo obiettivo da raggiungere. Erano tutti e due dentro dei circoli viziosi.

Ora sono entrambi dei soldati con più cicatrici che anni di piena gioventù alle spalle, e Keith sa che in fondo però sono ancora vittime di quella sete, anche se evoluta. Per quanto tempo ancora saranno dei Paladini prima che sarà abbastanza? Quanti altri attacchi dovranno sferrare prima che sarà abbastanza? Quando si fermerà la loro ricerca di giustizia?

Niente è ancora mai abbastanza.

A volte Keith, negli attimi in cui lui e Shiro si scambiano uno sguardo di intesa o vivono un momento di complicità, riesce ancora a vedere negli occhi di Shiro una voglia infinita di velocità e spazi sterminati e sconosciuti. Una voglia che persiste nonostante gli orrori che ha vissuto. Una voglia che contraddistingue anche lui, e Shiro lo sa. Dopo questi attimi, irrazionalmente gli sembra di sentire sulla bocca il sapore e il calore di Shiro, anche se non l’ha mai sentito.

Continuano a orbitare ancora l’uno attorno all’altro e niente è mai abbastanza.





All'arrivo sulla Terra, Keith è stato troppo distratto dalla devastione più totale trovata per rendersene conto, e i droni e le sentinelle che li hanno attaccati non sono stati di grande aiuto, ma ora che si guarda attorno comincia a rendersi conto che il tipo di tuta indossata dalla squadra che li ha recuperati e portati alla base gli è familiare. Alla Garrison quattro anni fa non avevano simili tessuti tecnologici, ma in un frammento di futuro ha visto il volto di un pilota.

Poi uno dei ragazzi che li ha salvati portandoli alla Garrison, quello che gli ha parlato in modo brusco, si toglie il casco.

E Keith per qualche secondo si pietrifica. E poi vuole scappare.

James non gli rivolge la parola. A Keith va benissimo così.

James non deve rivolgergli una sola parola. Non deve.





«Adam è morto.»

Keith dovrebbe mostrarsi più sorpreso, lo sa. Keith dovrebbe dimostrarsi più dispiaciuto, lo sa. Keith dovrebbe spiccicare parola, lo sa.

Keith vorrebbe solo scomparire, nessuno lo sa.

Davanti a lui c'è l'uomo che da ragazzino seguiva recalcitrante, provando a dirsi che non era vero, Shiro non gli avrebbe sistemato tutto ciò che nella sua vita c'era di sbagliato.

Davanti a lui c'è l'uomo che ha seguito disperato fino ai confini dell'universo, fino a una base piena di cloni, provando a dirgli che, non importava cosa avesse fatto di sbagliato, avrebbero sistemato tutto.

Ora niente può essere sistemato, ai loro piedi ci sono i loro cuori a pezzi. Nessuno lo sa, ma lui e Shiro hanno cuori fragili, di vetro, e ora che sono a pezzi non solo sono brutti da vedere, sono anche dannatamente pericolosi, taglienti.

Keith non sa dove i loro cuori spezzati li porteranno.

Probabilmente all'inferno.

«Vado al muro dei caduti,» gli dice Shiro, stringendogli forte una mano sulla spalla prima di andare via.

Keith non gli ha detto niente, proprio come non gli ha mai detto niente di Adam durante il viaggio di ritorno sulla Terra.





Keith ricorda come ha reagito Adam quando si è saputo del fallimento della missione su Kerberos.

Non gli hanno nemmeno dato la grazia di ricevere la notizia in sede privata, non gli hanno detto come hanno perso i contatti con l'equipaggio. Questo per non lasciarsi sfuggire che avevano prove di un'esistenza aliena che aveva catturato Shiro e gli altri, ma la loro mancanza di tatto ha fatto più danni del previsto.

Adam, come Keith, lo ha saputo alla mensa della Garrison, guardando la TV. Si è alzato dalla sedia con espressione rabbiosa e addolorata, e serrando la mascella e i pugni è andato via sotto lo sguardo degli altri cadetti e ufficiali che già stavano cominciando a spettegolare sulle condizioni di Shiro e il suo presunto errore da pilota.

Keith non ha mai pensato che Adam avesse smesso di amare Shiro.

Voci dicono, e Keith sa che Shiro le ha sentite queste voci, che Adam dopo il ritorno di Sam sulla Terra fosse già sul piede di guerra. Voci dicono che l'hanno trascinato fuori dall'ufficio dell’ammiraglio Sanda mentre urlava: “Avevate detto che era morto, ma avevate le registrazioni del suo rapimento! Sapevate che era vivo e che era là fuori e non avete mai fatto niente per ritrovarlo! Mi avevate detto che era morto!”. Voci dicono che aspettasse anche lui con ansia l'arrivo di Voltron. Voci dicono che si è preparato all'attacco dei galra come se si stesse preparando a una vendetta. Voci dicono che pensava che se la battaglia fosse arrivata sulla Terra, lui non avrebbe dovuto dare di meno di quello che finora aveva dato Shiro. Voci dicono che tutto ciò che in fondo voleva era rivedere Shiro.

Alla fine, Shiro ha dato via un braccio e parte della propria sanità mentale, Adam invece la propria vita.

Non hanno avuto l'occasione di urlarsi in faccia quanto erano dispiaciuti.

Keith non pensa mai che Shiro possa smettere di amare Adam.

È da quando Keith ha saputo che Shiro era morto su Kerberos che si chiede quando esattamente si smette di amare qualcuno. Alla sua morte? A un suo tradimento? Quando decide deliberatamente di allontanarsi e troncare i rapporti?

Keith ormai sa che la risposta è che se hai amato davvero qualcuno, niente potrà mai cancellare del tutto dalla tua mente, dal tuo cuore e dal tuo spirito quella persona. L'amore provato potrà evolversi, diventare qualcosa di diverso, ma mai andare via.

È condannato ad amare Shiro per sempre, proprio come Shiro è condannato ad amare Adam per sempre.





Sendak è morto e i galra hanno lasciato la Terra da qualche mese. Va tutto bene.

Keith sta evitando alla grande di parlare con James. Va tutto benissimo.

Può farcela.

Acxa gli ha dato appuntamento al piccolo mercato agricolo della cittadella ricostruita vicino alla Garrison.

Keith la vede davanti a una bancarella. Ha in braccio un sacchetto di carta pieno di pesche e albicocche, e il venditore le sta parlando animatamente infilandole nel sacchetto altra frutta, forse nel vano tentativo di convincerla a comprare altro. Lei è concentrata a contare il denaro dovuto.

Acxa non ha mai avuto dei soldi in mano in vita sua, prima di arrivare sulla Terra. È cresciuta come un soldato e l'Impero Galra fa abbondantemente uso di schiavi e droidi, quindi il concetto di dovere pagare qualcosa con dei tondi metallici e dei foglietti rettangolari di carta le era del tutto astratto. Poi Pidge gliel'ha spiegato, e lei è diventata così rispettosa e seria nei confronti del denaro da essere a tratti inconsapevolmente buffa.

Ad Acxa piace stare sulla Terra, e Keith non ne è sorpreso. Si guadagna da vivere facendo da scout per la Garrison su angoli della Terra di cui ancora si hanno poche notizie per mancanza di comunicazione. Non se la sente di stare con loro, né con i Blades, forse per un misto di senso colpa e voglia di capire ancora meglio qual è la sua strada, ma si dà da fare.

«Mi piace la Terra,» gli ha detto una volta, mentre erano seduti sui gradini di un vecchio palazzo in rovina e lei stava facendo i grattini a Kosmo. «È un pianeta giovane, e anche se ha parecchie cicatrici ed è la base di una ribellione su larga scala, non è un mondo di guerra, è un mondo che sta rinascendo. Non è qualcosa che sono abituata a vedere. È bello.»

Keith ricorda come sua madre in fondo anni fa sia rimasta sulla Terra anche perché era stanca della guerra. Capisce.

Kosmo scatta in avanti proprio quando Acxa ha finito di pagare, uggiola e strofina il testone sulla gamba di lei. Acxa sorride e lo accarezza, poi sicura alza lo sguardo per incontrare quello di Keith e salutarlo.

Insieme vanno alla ricerca di un posto tranquillo e all'ombra in cui sedersi.

A volte Keith si chiede come sarebbe stata Acxa se non fosse cresciuta come un soldato e ammantata dai pregiudizi che l'Impero ha sugli ibridi. Forse avrebbe avuto parte dell'entusiasmo che ha Allura. Quando l'ha rivista dopo la fuga da Ezor e Zethrid, aveva lo sguardo opaco di una persona perseguitata da parecchi fantasmi. Ora sembra più sicura di sé e perfino più giovane.

Krolia le ha consigliato come abituarsi alle temperature terrestri, quali tessuti e capi di abbigliamento usare al posto della perenne tuta da pilota e combattente, per stare più comoda. Acxa ha pure aggiustato la sua dieta, per abituarsi al cibo terrestre. Krolia le ha consigliato subito la frutta gialla, perché a quanto pare i galra ne vanno matti. Acxa ha scoperto di amare le pesche e le albicocche, mentre le fragole le piacciono solo se coperte da quintali di zucchero e una spolverata di cannella. Keith le fragole le detesta, ma in effetti le albicocche gli piacciono fin troppo. Ha visto sua madre guardarlo sorridendo la prima volta in cui, dopo anni nello spazio, ha messo la mano su un barattolo di marmellata di albicocche.

«Che c'è?» le ha chiesto perplesso e col cucchiaio in bocca.

«Niente,» gli ha risposto sibillina.

Keith ha il leggero sospetto che quando lei era incinta suo padre le abbia regalato albicocche a cesti.

Quando infine lui e Acxa trovano un gradino su cui sedersi, Kosmo si accuccia ai loro piedi e li ascolta chiacchiarare muovendo le orecchie ora in direzione di Keith, ora in direzione di Acxa a seconda di chi sta parlando.

Keith non ha ancora ben chiaro cosa lo spinga a volere parlare con Acxa. Certi giorni l'aria dentro la Garrison gli sembra densa, sente montargli un mal di testa sordo e l'improvvisa voglia di scattare a urlare arrabbiato per un nonnulla. In quei giorni non vuole vedere facce conosciute, non vuole vedere nemmeno la propria faccia allo specchio.

Poi esce dalla Garrison e finalmente torna a respirare, chiacchiera con Acxa e tutto sembra alleggerirsi. Loro due non parlano mai della guerra, di come ancora non si sappia cosa sta progettando Haggar e delle dure missioni per liberare dei pianeti dal giogo di irriducibili generali galra. Keith parla di questo con gli altri Paladini e con tutti gli altri della Garrison. Con Acxa parla di cosa piace a entrambi.

Keith ha l'impressione che ad Acxa non piaccia solo la frutta gialla, ma il giallo in generale. Ciò l'ha fatto sorprendere a riflettere sul fatto che in effetti non sa quale sia il colore preferito degli altri Paladini. Dubita che per caso fortuito ognuno abbia il Leone del proprio colore preferito.

Forse gli piace parlare con Acxa perché è un buon campo di prova per cominciare a instaurare vere conversazioni con gli altri.

«E poi mi sono imbattuta in un campo di questi,» gli dice Acxa mostrandogli una foto. È stata scattata dal basso, ritrae lei sotto dei girasoli alti almeno due metri. «Mi hanno detto che seguono la luce del sole, ma non sono senzienti. Sono bellissimi.» Sì, le piace davvero il giallo. «Non avevo mai visto fiori più alti di me che non cercano di mangiarmi.»

Keith prova a non ridere, perché Acxa l'ha detto seria, e considerando certi racconti di Coran quella è una constatazione più che veritiera. Ma fa ridere.

Ricorda quando Hunk, durante la festa con gli arusiani al Castello dei Leoni, lo ha fatto ridere con uno scherzo assolutamente scemo. Gli manca ridere per qualcosa di stupido. Forse dovrebbe chiedere ad Allura se ha mai visto fiori più alti di lei che non cercano di mangiarla. E se il suo colore preferito è il celeste. Non il blu, non l'ha mai vista scegliere qualcosa di blu.

«Ho pensato di affidarti questa,» le dice, passandole una minuscola targhetta metallica da portare al collo con una catenina. «Ovunque io sarò, ovunque tu sarai, ti permetterà di forzare il canale di comunicazione con Black per parlarmi, e io potrò forzare qualsiasi canale di comunicazione a cui sarai più vicina per fare lo stesso. Usala solo in caso di urgenza.» Pidge ne ha create tre ciascuno per se stessa, Lance, Hunk, Allura e Keith, tutte per accedere ai canali dei rispettivi Leoni. Sono simili ai chip che i Blades infiltrati nell'Impero Galra usavano per comunicare con Kolivan, Pidge pensa che a questo punto della guerra possano essere estremamente utili.

Keith sa che Pidge ne ha data una a sua madre e una a Matt, Lance una a sua madre e una a Veronica, Allura una a Coran e una a Romelle, Hunk una a sua madre e una a Shay. Keith pensa che tacitamente tutti loro sanno a che tipo di persona andrà mai l'ultima targhetta disponibile. Lui ha dato la prima a sua madre.

Spiega bene ad Acxa di cosa si tratta e come usarla, lei sembra rifletterci sopra guardando la targhetta sul palmo della propria mano.

«Nei sei proprio sicuro?»

Keith annuisce. «Mi fido di te.»

«Avrei detto che l'avresti data a Shiro.»

«L'Atlas sa sempre come trovare un modo per contattare i Leoni.» Il che è una bugia e lo sanno entrambi, ma Acxa accetta la sua risolutezza, annuisce con un sorriso grato ma malinconico e si mette la targhetta al collo.

Keith non darà mai una delle sue targhette a Shiro, lo sa. Lo ha visto.

«Ti darò la vita che vuoi.»

«Keith, aspetta!»

Forse dovrebbe dare la targhetta a Shiro e cambiare così il futuro. Ma... tenere così tanto a qualcuno da volergli dare la vita che vuole è qualcosa di così estremo da essere bello in modo terrificante, e Keith non crede di essere abbastanza forte da resistere alla tentazione di provare questo. Per una volta nella sua vita vuole un desiderio estremo legato a una persona che non sia Shiro.

È masochistico ed egoistico, ma lo vuole.

Andrà all'inferno.





Keith e James non parlano, battibeccano.

Keith è sulla Terra ormai da mesi e loro due non hanno mai portato avanti una vera e propria conversazione, solo scambi di battute veloci come frustate e che lasciano nell'aria l'odore che precede una tempesta. A volte gli altri li guardano preoccupati.

Sono entrambi frustrati, entrambi con cumuli di rabbia repressa che non vogliono sfogare o hanno paura di lasciare andare, e questo Keith lo capisce benissimo. Gli è perfettamente familiare il concetto di impotenza di fronte a disastri che potrebbero portare via ciò che ha di più caro, immagina che James abbia dovuto stringere i denti fin troppe volte nell'attesa che Voltron arrivasse sulla Terra.

Questo non vuol dire che non vorrebbe dargli un pugno in faccia.

Il problema di base è che i Paladini non sono abituati a ricevere ordini. Keith li guida, ma non ordina, e finora quando hanno combattuto con i loro alleati non c'è mai stata una catena di comando, sono sempre stati tutti pari, sempre pronti a scattare ad aiutarsi a vicenda senza aspettare delle direttive.

Sulla Terra le cose non funzionano così, soprattutto alla Garrison.

Keith sa benissimo che qualcuno interpreta il loro scattare ad agire senza aspettare degli ordini come un'insubordinazione, come una mancanza di rispetto e una dimostrazione di spocchia, come a volere dimostrare che loro sono i Paladini e quindi meritano tappeti rossi srotolati al loro passaggio. Non è così. E sa bene che James in fondo non è come gli altri, non pensa che i Paladini pecchino di superbia, solo che dovrebbero cercare di adeguarsi alla catena di comando, ma gli dà sui nervi lo stesso.

«Mi dispiace,» gli dice sincero Inverson, dopo l'ennesimo scontro che Keith ha con un ufficiale della Garrison. «Ormai avete accumulato abbastanza esperienza da stare stretti nel ruolo di cadetti, lo capisco benissimo, c'è una discrepanza che sta creando delle incomprensioni. Proverò a porvi rimedio.»

Keith vorrebbe replicare che non gli importa avanzare di grado, se è questa la soluzione a cui sta pensando, ma un'occhiata di Shiro lo fa desistere.

Usciti dall'ufficio di Iverson, vanno a osservare come lo staff della Garrison sta scaricando dei cristalli di Balmera appena ricevuti.

«Penso che dovresti accettarlo. E sai bene che mi sto riferendo al grado di tenente,» esordisce Shiro, appoggiandosi a una ringhiera protettiva a osservare come procedono i lavori.

Keith gli replica per nulla impressionato. «Per meriti sul campo?»

«Perché no?»

A volte Keith pensa di non essere abbastanza per i suoi compagni. A volte pensa che non lo perdoneranno mai per averli lasciati a favore dei Blades. A volte pensa che non li capirà mai a fondo, non capirà mai i loro bisogni e ciò che li muove, e di conseguenza non saprà mai come sollevarli e tenerli uniti. A volte pensa di non essere abbastanza umano per loro, o abbastanza terrestre.

A volte pensa a mente fredda a quando li ha guidati a portare lontano dalla Terra quel mostro robotico con dentro un alteano, sapendo benissimo che era una missione suicida: loro lo hanno seguito ciecamente, ma in fondo lui chi diavolo è per decidere che loro dovevano morire con lui?

Vittoria o morte un corno, forse è troppo galra per guidare Voltron.

«Keith?» lo richiama Shiro, sorridendo ironico. «Sei ancora qui con me?»

«Quando non lo sono stato?» lo sciorina atono e senza filtri e si rende conto troppo tardi di cosa ha appena detto. Si irrigidisce, vede Shiro fare lo stesso per qualche attimo. Ognuno evita lo sguardo dell'altro.

«Keith...» sospira Shiro.

Lui lo interrompe. «Non sto implicando niente, non è un'accusa.» Ricorda benissimo quanto Shiro fosse suonato ferito e rassegnato quando gli ha chiesto quante volte ancora avrebbe dovuto salvarlo prima che tutto quello fosse finito. Vero, era il suo clone, ma i suoi ricordi e il suo essere erano dopotutto di Shiro.

«Ma stavo proprio pensando al fatto che non sono stato capace di uccidere i miei stessi demoni,» dice Shiro, con una vena di sarcasmo che a Keith fa male. «Io ho incasinato tutto e ho spedito Sendak nello spazio, lui è tornato e tu lo hai ucciso.»

«Non è che uccidere qualcuno sia un atto meraviglioso come regalare dei fiori,» ribatte Keith sullo stesso tono, «non parlarne così.»

«Dei fiori da parte tua potrei accettarli.» E finalmente si scambiano uno sguardo, uno pieno di ironia e complicità, come quando prima della missione su Kerberos si allenavano alla Garrison combattento l'uno contro l'altro.

«Ciò che volevo realmente dire,» puntualizza Keith, tornando serio, «è che uccidere non è magnifico e che immagino che nel tuo periodo di prigionia tu abbia ucciso abbastanza nell'arena. Non credo che tu abbia bisogno di uccidere altro.»

«Forse avrei avuto bisogno di uccidere un ultimo demone.» Niente è mai abbstanza.

«Per dimostrare ancora cosa

«Sembri proprio Adam in questo momento.»

E per Keith è una pugnalata. «Beh, almeno stiamo concordando entrambi sul fatto che ti avrebbe detto la stessa cosa.»

Shiro respira a fondo, stringe le mani sulla ringhiera e alza lo sguardo verso il soffitto. È incredibilmente malinconico. «Non mi piace comunque.»

«Te lo farai piacere,» borbotta Keith, incrociando le braccia sul petto.

Shiro scoppia a ridere. È una risata un po' triste, ma ugualmente piacevole da sentire.

«Ti manca? Adam, intendo,» chiede poi Keith, in uno slancio masochistico. Perché ha fatto una domanda così stupida?

Shiro non distoglie lo sguardo dal soffitto. «Non ho mai pensato che mi sarebbe mancato così tanto.»

Perché ha fatto una domanda così stupida? «Mi dispiace.» E perché sta continuando a dire cose stupide?

Shiro abbassa lo sguardo ma non lo guarda in faccia, gli stringe una mano sulla spalla. «Si va avanti. Si va sempre avanti,» e poi si allontana, e Keith lo segue in automatico come sempre.

Keith avrebbe potuto essere una persona migliore e preparare Shiro a questo dolore. Keith avrebbe potuto dirgli della morte di Adam mesi prima.

Keith è crudele.

Poi Shiro gli parla in tono dispettoso, voltandosi appena a guardarlo. «Accettarai il grado di tenente e te lo farai piacere!»

Keith scoppia a ridere. Forse ama Shiro perché è crudele quanto lui.





Hunk gli ha dato del sorbetto alla pesca per Acxa, chiuso in un contenitore speciale per non farlo sciogliere. Keith sospetta che Hunk stia cercando di attirare verso di loro Acxa come farebbe con un micetto randagio, cioè lasciandole una scia di cibo che la porti fino a loro. Hunk ha un buon cuore, è preoccupato che Acxa pensi che la sua presenza possa creare qualche imbarazzo, ma non è proprio così. Acxa ha sempre fatto tutto quello che era necessario fare per salvare la pelle sua e delle altre generalesse di Lotor, giusto o sbagliato che fosse, e quando si vive così per una vita intera è difficile imparare a essere circondata da persone che non ti pugnaleranno alle spalle al tuo primo accenno di debolezza.

Svuotano con una certa avidità il contenitore stando appoggiati alla hoverbike di Keith. Acxa trova il sorbetto delizioso, per qualche attimo somiglia a un'adolescente che durante un'uscita con gli amici sta provando un nuovo gusto di gelato.

Lui e Acxa non sono mai stati questo tipo di adolescenti. Non lo avrebbe mai detto, ma quel pensiero gli provoca un po' di senso di perdita.

«Vuoi fare una cosa divertente?» le chiede all'improvviso.

Acxa lo guarda stranita, Keith non sa se sia perché glielo ha chiesto serio o perché ha usato la parola “divertente”, ma in entrambi i casi la capisce benissimo. «Cosa?»

«Correre su una hoverbike.»

Impiegano un po' di tempo a trovare una hoverbike in prestito per Acxa, ma lei impiega pochi minuti per capire i comandi e come guidarla. Ha uno strano brillio negli occhi quando sente il motore avviarsi: Keith lo sapeva che lei era una a cui piace la velocità.

Corrono liberi verso il deserto, ed è meraviglioso. Finora come piloti si sono sempre scontrati in battaglia, ma fare a gara così a chi va più veloce è molto diverso. È cento volte meglio. Ridono, si prendono in giro urlando contro il rombo dei motori.

Forse ogni tanto dovrebbe portare Black a fare corse simili, non l'hai mai fatto con lei. Potrebbe piacerle.

Al tramonto, si fermano nel deserto, Keith le fa vedere da lontano dov'è cresciuto. Poi si stendono sulle hoverbike a guardare il cielo.

«Mi tocca chiedertelo,» esordisce Acxa. «Perché passi così tanto tempo con me? Credevo che voi Paladini aveste un rapporto più stretto.» Non c'è stata traccia di malizia nella sua voce, solo semplice curiosità.

«Non è che non m'importi di loro,» anzi gli importa più di quanto gli piacerebbe ammetterlo, dato che quando il clone di Shiro gli ha detto che il resto del team era morto ha pensato che, ok, andava bene morire con Shiro, perché tanto aveva perso pure loro. «È che a volte ho bisogno di una via d'uscita. Non so se capisci...»

«Forse hai condiviso con loro degli spazi stretti per troppo tempo.»

«Probabile. Sono importanti per me, ma ho bisogno di una via d'uscita. Ogni tanto necessito di uscire fuori dal sistema in cui siamo finiti. Di non vedere le loro facce.»

«Non credo che sia un male tracciarsi una via d'uscita, almeno per come la intendi tu,» commenta lei. «Ho passato buona parte della mia vita con Ezor, Zethrid e Narti, sempre pronta a trovare una soluzione che tenesse conto di tutte e quattro, sempre pronta a guidarle ma... lo sai com'è finita.» Segue un attimo di silenzio. «Se solo avessi avuto una via d'uscita prima, se solo avessi avuto l'occasione di ascoltare più voci diverse prima, come sarebbe andata? Non sto dicendo che prima o poi i tuoi amici ti tradiranno...»

«Lo so, l'ho capito cosa intendi. Avere amicizie di tipo diverso può salvarti la vita, perché ti offrono punti di vista diversi.»

«O ti possono preservare la sanità mentale,» aggiunge lei. Poi esita un po'. «Credi che staremo mai davvero bene?»

Le risponde sarcastico. «Lo siamo mai stati?»

Acxa scoppia a ridere tenendo lo sguardo rivolto al cielo. È una risata isterica, Keith la segue a ruota. Ridono fino a piangere silenziosamente per qualche attimo, entrambi fingono di non vedere che l'altro sta piangendo. Keith le è grato.





Inseguono per l'universo le bestie robotiche di Haggar alimentate da alteani vivi da ormai quasi cinque mesi, quando infine il grado di tenente arriva a pesare sulle spalle di Keith e degli altri Paladini.

Lance dice che con le nuove divise hanno un aspetto fantastico. Lui, Pidge e Hunk si scattano un mucchio di foto in pose assolutamente ridicole.

Keith si scorcia i capelli scoprendosi la nuca. Quando sceso da Black si toglie il casco, è piacevole passarsi la mano sul collo sudato e non avere più capelli appiccicati sulla pelle. Inoltre, e non sa come sia potuto succedere visto che non erano ubriachi, lui e i Paladini si sono fatti dei tatuaggi uguali, il simbolo di Voltron ma in colori e posti diversi.

Hunk lo ha giallo sul polpaccio sinistro, Allura blu sulla caviglia destra, Pidge verde sul polso sinistro, Lance rosso sul braccio destro.

Keith nero sotto la nuca. Non ricorda nemmeno più di chi è stata l'idea di tatuarsi tutti insieme, ma considerando che a volte gli secca che il suo simbolo nero non sia così facile per lui da vedere perfino a uno specchio, forse gli piace più di quanto vorrebbe ammettere.

Keith ama andare nella palestra della Garrison quando sa che non incontrerà nessuno degli altri Paladini o Shiro, e quando non c'è quasi nessuno agli attrezzi. È un momento solo suo, e sa che agli altri fa schifo, ma a lui piace constatare che è un bagno di sudore perché si è allenato fino a ridursi così.

Prima di infilarsi nel cubicolo di una delle docce, si ferma all'armadietto a prendere il necessario per lavarsi. Aperta l'anta, si sofferma per qualche attimo a piegare il collo per scrocchiare le ossa, socchiude gli occhi e infila le dita fra i capelli corti sulla nuca, sospirando al pensiero di quanto sia bello non avere più addosso una massa di capelli lunghi bagnati.

Sente qualcuno entrare nella stanza. Capisce subito che è Shiro, rilassa le spalle ma rimane a occhi socchiusi, per quanto preferirebbe essere da solo. È facile riconoscere il suono dei passi di Shiro, perché per via del braccio meccanico scarica sulle gambe il peso corporeo in modo diverso. Anche se Keith sapeva riconoscerlo a occhi chiusi anche prima che partisse per la missione su Kerberos.

«Ehi,» lo saluta Keith, senza voltarsi a guardarlo.

«Ehi,» lo ricambia Shiro. E poi si ferma proprio dietro Keith. «Non ricordo se ti ho mai visto con la nuca scoperta. Questo è...»

Keith sente le dita di Shiro contro la sua pelle, vicino il bordo del colletto della maglia. D'istinto serra i denti, la sua mano lascia i capelli e va a bloccare le dita di Shiro.

Entrambi si pietrificano, sorpresi da quella reazione.

«Scusa,» mormora Shiro. «Io... sono così abituato a toccarti da quando ci siamo conosciuti, che forse ho dimenticato che ora potresti prenderla come un'invasione di spazio personale,» scherza, ma il suo tono è imbarazzato. E triste. «Abbiamo passato molto tempo separati. Non ci conosciamo più come una volta. Non sei più un ragazzino.»

Quando Keith era un cadetto appena adolescente dal temperamento e dall'umore pessimi, Shiro era il giovane tenente e “fratello maggiore” che ridendo gli scompigliava i capelli, che gli stringeva una mano per incoraggiarlo a non mollare, che lo sollevava di peso e se lo caricava in spalla dispettoso quando durante un allenamento con combattimento corpo a corpo vinceva. Quello era il tipo di gestualità e intimità che li legava. Ora è Keith a essere un giovane tenente, e a quanto pare ha appena scoperto che la sua nuca è una zona fin troppo sensibile al tocco altrui. Avrebbe preferito non saperlo.

Keith deglutisce a stento, fatica a parlare. «Non si tratta di questo... è solo che... Solo che mi hai colto di sorpresa. E non sono abituato ad avere la nuca scoperta e toccata. Tutto qui.» Non si volta a guardare Shiro in faccia, resta fermo.

Per qualche secondo si sente solo una doccia gocciolare lontano in sottofondo.

«Volevo solo vedere il tatuaggio,» dice Shiro, e per qualche ragione sta continuando a mormorare. «Posso?»

A Keith viene in mente Pidge: lei ha il tatuaggio in un posto molto più visibile rispetto agli altri, e spesso capita che la gente incuriosita le chieda se può vederlo meglio e se lei può spiegare perché l'ha fatto. Lei in risposta manda tutti in posti poco carini da dire, dicendo che un tatuaggio è un fatto personale.

Forse dovrebbe fare come Pidge e dire a Shiro di no.

Invece, senza proferire parola, allunga una mano all'indietro e la stringe sulla maglia sudata per tirarla giù e scoprire il tatuaggio.

Ancora una volta si sente solo la doccia gocciolare.

«Posso toccarlo?» chiede Shiro, con un tono basso e ruvido che Keith non gli ha mai sentito prima d'ora.

«Sì,» gli risponde subito, sbagliando.

Sente le dita di Shiro percorrere la curva del simbolo, e chiude gli occhi. Poi le dita di Shiro scorrono su fino all'attaccatura dei capelli, per poi scivolare giù.

Sanno entrambi che quello non è un tocco amichevole, è inutile negarlo.

Keith si chiede a che gioco Shiro stia giocando, perché sa benissimo quanto ancora gli manchi Adam. Quel tipo di mossa non è... bella, non è pulita. Finiranno solo per farsi male.

Keith ne vorrebbe ancora.

Molla la presa sulla maglia e si scosta chiudendo l'anta dell'armadietto. «Vado a farmi una doccia. Ci vediamo a cena alla mensa.» Non gli lascia spazio per fraintendimenti. Non vuole che lo raggiunga in doccia, non vuole che lo aspetti in posti dove siano da soli. Non vuole, non può farsi questo. Ha ancora delle briciole di dignità e di rispetto per se stesso, grazie.

«Ok,» mormora Shiro, e lo lascia passare. Lo lascia andare.

Keith resta fermo sotto il getto d'acqua a maledirsi per almeno dieci minuti.





Shiro è un uomo di classe, quindi finge che non sia successo niente.

Keith gli è grato, e se nel frattempo per sfogarsi capita che una volta o due infierisca su un generale galra già a terra, è un dettaglio che sa solo Lance, che gli urla dietro che diavolo gli è preso. Keith non gli risponde.

Lance però sa come mantenere i segreti, è un dettaglio che Keith ha imparato standogli sempre più accanto sul campo di battaglia. È il classico braccio destro che sa come tenere stretti a sé dei segreti e omettere verità per non farle pesare sul team. Nei mesi passati, le volte in cui sono stati messi all'angolo da truppe galra, è successo che lui e Lance si siano scambiati degli sguardi, dicendosi in maniera tacita quanto la situazione fosse pessima e pericolosa. In quelle occasioni, Lance si è stampato un ghigno sul viso e ha annunciato al resto del team, che non poteva vederli in quel momento, che sarebbe stato un gioco da ragazzi per loro due uscire da li, e di stare tranquilli.

Keith sa bene che non sarebbe mai stato un buon braccio destro, lui non è capace di omettere verità, sa solo come sputare fuori verità crude senza badare alle conseguenze.

Quel giorno lui e Lance si trovano in missione lontano dalla Terra, per provare a ripulire una vecchia base dei Blades che, dopo essere rimasta vuota per anni, è stata occupata da un generale galra.

Sono nascosti in una caverna in attesa che si avvicini il cambio di guardia alla base. Si tolgono i caschi e Keith si fa scrocchiare il collo.

Lance mantiene la bayard posata sulla spalla. Maneggia quel fucile con la sottile rabbia repressa e la rassegnazione di chi ha alle spalle qualcosa di fragile da proteggere e fra le mani un mezzo troppo piccolo per farlo, ma lo accetta. È un cecchino.

«Ho avuto una conversazione un po' strana con Shiro,» mormora Lance, aggrottando al fronte.

Keith si irrigidisce. «In che senso strana?»

«Mi ha detto che circolavano voci che tu avessi cercato una hoverbike per Acxa, e mi ha chiesto se fosse vero. Ho risposto di sì. Mi ha domandato se sapessi dove foste andati. Ho risposto di no.»

Lance sa che lui e Acxa sono andati nel deserto. Sostengono inespressivi lo sguardo per qualche secondo.

«Perché gli hai mentito?»

«Perché è strano che l'abbia chiesto a me e non direttamente a te. E perché...» la voce di Lance si vela appena di imbarazzo, «amico, non ho idea di che rapporto abbiate veramente tu e Acxa, non è compito mio svuotare il sacco su dove andate per stare da soli.»

Keith si lascia sfuggire un sorriso affettuoso e riconoscente. «Io Acxa non abbiamo quel tipo di rapporto, perché preferisco gli uomini. Ma grazie per la discrezione, davvero.»

Lance scrolla le spalle come a dire “Non c'è di che”. Sembra un po' più rilassato, ma non ha smesso di essere sospettoso. «Non capisco però perché l'abbia chiesto a me,» rimarca.

«Quando è successo?»

«Cinque giorni fa.»

Quindi prima dell'incidente in palestra. Shiro ha saputo di lui e Acxa e poi l'ha toccato in quel modo. Se Keith pensava che prima la situazione fosse complicata, ora pensa che faccia schifo.

Lance lo osserva, sembra che stia soppessando il suo silenzio in risposta alla sua ultima replica. «Cosa sta succedendo fra te e Shiro?»

«Vorrei proprio saperlo.»

Lance annuisce. «Ok. Solo... quando lo capisci, non tenermi all'oscuro, perché l'ultima volta che Shiro è stato così strano e io non ho capito cosa stava succedendo... le cose non sono andate molto bene.»

Keith sorride sbuffando. «Non si tratta di una situazione di una simile portata, ma credo che in parte tu possa avere ragione.» Se lui e Shiro dovessero arrivare a un punto di contrasto, sarebbe percepibile sul canale di comunicazione fra Voltron e l'Atlas. Gli altri non capirebbero il perché di quell'atmosfera, ma Lance potrebbe sviare la loro attenzione.

«Sono qui, amico. Non dimenticarlo,» lo rassicura Lance, serio.

Keith sorride di nuovo. «Fidati, non lo dimentico.»





Al ritorno sulla Terra da quell’ultima missione con Lance, Keith ha bisogno di una via d'uscita o rischia di impazzire.

Chiama Acxa.

«Vuoi provare a vedere quanto impiega un ibrido galra a ubriacarsi con un alcolico terrestre?»

Acxa gli risponde di sì, forse perché quando è con lui lascia andare la parte di sé che è curiosa come una scimmietta.

Si procurano della vodka alla pesca.

Quando sono entrambi finalmente brilli, Keith la porta su Black, perché all'improvviso trova magnifica l'idea di fare vedere a Acxa l'interno di Black una volta tanto che non stanno scappando da un pericolo imminente. Tipo Ezor e Zethrid che li vogliono uccidere.

Keith fa sedere Acxa sul sedile di comando, che quando scatta in avanti coglie Acxa di sorpresa. Dei capelli le finiscono sul naso, Keith scoppia a ridere.

«E questo,» le dice dando delle pacche sullo schienale del sedile, «è il posto dov'ero seduto quella volta che hai provato a uccidermi mentre ero impegnato a inseguire Shiro.»

«Davvero un bel ricordo.»

«Inseguo sempre Shiro,» biascica scivolando a sedere. «Perché inseguo sempre Shiro?»

«Aspetti il momento in cui sarà lui a inseguire te?»

«Non so.» Si passa una mano fra i capelli scompigliandoseli. «Forse?»

Acxa si alza dal sedile e si siede a terra di fronte a lui, incastrando i piedi fra i suoi. «Cosa c'è fra te e Shiro?» chiede, e suona più che altro come un invito a raccontarle tutto quello che lui vuole, circondanto da un velo di conforto.

«Una storia lunga una vita. Senti...» sbuffa forte rassegnato e poi prosegue. «Quando io e lui ci siamo conosciuti, ero solo un ragazzino con dei grossi problemi di disciplina. Lui cercava nuove leve per la Garrison alla mia scuola, io gli ho rubato la macchina.»

Acxa sembra trattenersi, poi scoppia a ridere nascondendo la testa fra le braccia.

Keith ride con lei. «Lo so, lo so! Shiro ha pagato la cauzione per farmi uscire di prigione, mi detto che vedeva del potenziale in me e io gli ho creduto. Da quel punto in poi ho sviluppato la classica cotta che un adolescente può avere per un ragazzo più grande che sa fare un sacco di cose fiche.» Singhiozza. Dio, è ubriaco.

Axca sorride. «È una cosa tenera.»

«No, è stato un disastro!» La corregge. «Perché Shiro all'epoca stava già da anni con un altro pilota suo compagno di squadra, Adam, e sai cosa? Sia Shiro che Adam erano miei insegnanti. Erano insieme ovunque

«Mi dispiace.»

Keith scrolla le spalle. «Cose che possono capitare a un adolescente. È solo che... ero convinto che Shiro potesse sistemare la mia vita, dargli un nuovo senso. Ero sempre stato attratto dallo spazio, forse i miei geni galra cercavano di dirmi qualcosa, e Shiro mi ha dato la fiducia necessaria a credere che ce l'avrei fatta, sarei diventato un pilota. Poi è andato in missione su Kerberos, e fra tutte le cose più pazzesche che sarebbero potute succedergli, è stato rapito dagli alieni. Ah

Acxa ridacchia di nuovo nascondendo la testa fra le gambe.

«A quei tempi, quale terrestre sarebbe mai potuto finire rapito dagli alieni andando in missione nello spazio? Shiro, ecco chi,» continua Keith, e scrolla le spalle. «Quando poi è tornato sulla Terra, l'ho seguito nello spazio. Ho attraversato l'universo con lui. Sempre. E vorrei poter dire di essere maturato, di essere andato oltre quella cotta, ma non è così. Perché lui ha sempre scelto me, non nel modo in cui vorrei, ma ha sempre scelto me.» Distoglie lo sguardo dai loro piedi incrociati e inizia a fissare il soffitto interno di Black, poi prosegue a parlare.

«Mi ha scelto per la Garrison quando mi ha conosciuto a scuola. Mi ha sempre scelto quando c'era bisogno di qualcuno che andasse veloce e fosse preciso. Mi ha sempre scelto per guidare delle missioni. Mi ha scelto come suo sostituto. Mi ha scelto per Black... cazzo, tecnicamente mi ha dato lui Black, visto che la sua coscienza era in lei!» sbotta. «Mi ha sempre scelto, ha sempre puntato su di me e io l'ho sempre seguito. Fino ai confini dell'universo. Potrei morire per lui. Già più volte l'ho praticamente fatto. Ma lui non sceglierà mai me, non come vorrei.»

«Se questa storia continua da anni,» gli domanda Acxa, «cos'è cambiato adesso da farti reagire così?»

«Nel Quantum Abyss ho visto dei frammenti di futuro. Ho visto che prima o poi saremmo tornati sulla Terra, considerando il tipo di abbigliamento che io e gli altri indossavamo in questi flash, ma soprattutto ho visto Shiro che mi diceva che Adam era morto. Non ho visto l'intera scena, ma ho percepito cosa percepiva il me stesso del futuro, quindi sapevo che in quel momento eravamo sulla Terra da poco, e che quindi Shiro avrebbe trovato Adam morto non appena tornati. Ma non gliel'ho detto.»

«Keith...»

«Ho detto a me stesso che non gliel'ho rivelato perché non riuscivo a infliggergli questo dolore, che non era giusto dargli anche questo colpo e che forse... non so, mi sono raccontato un mucchio di bugie. Ma la verità è una: Shiro e Adam avevano rotto prima che lui partisse per Kerberos, ma Adam era l'amore della sua vita, e forse per Shiro l'idea di lui sulla Terra è stata una motivazione per continuare a sopravvivere in questi anni nello spazio. E sai quando in genere ci si accorge di amare qualcuno più di quanto si vorrebbe ammettere? Quando quel qualcuno viene a mancare. Quando mi hanno detto che Shiro era morto in missione, sono stato così devastato da pensare che non avrei più amato nessun altro in vita mia, perché avrei sentito la sua mancanza per sempre

«Keith...»

«Volevo solo un altro paio di giorni di Shiro per me, perché sapevo che poi avrebbe pensato solo ad Adam.»

«Questo non fa di te una persona orribile.»

«Forse. Ma indubbiamente fa di me un codardo.»

«Non sarebbe comunque cambiato niente. La storia non sarebbe cambiata,» sottolinea Acxa.

«Cambia per me. Non riesco a dimenticare che non ho avuto il coraggio di dirglielo. E poi qualche giorno fa Shiro...» esita, sbuffa e inchina il capo in avanti infilando una mano fra i capelli. «Shiro mi ha toccato, e non in modo amichevole, non in modo semplicemente fraintendibile, no. In modo sensuale. Come se mi volesse. E ora sto impazzendo. È ancora a lutto per Adam, va sempre al muro dei caduti davanti alla sua effige ogni volta che succede qualcosa di importante, ogni volta che la ribellione fa un passo avanti. Sta dedicando a lui ogni vittoria. Durante una conversazione mi ha detto che gli sembravo Adam. Sono abbastanza lucido e maturo da capire che se mi vuole toccare non è esattamente perché è innamorato di me. Si sente solo. E lo capisco, eh? Umanamente lo capisco, ma provare a non sentirsi solo usando me è una mossa che fa schifo.»

«Forse dovresti parlargli?» gli suggerisce perplessa.

«Lo farò. Quando sarò sobrio, ma lo farò. Nel frattempo, lasciami dire che tutto fa schifo. E che mi sa che sto avendo la sfiga di avere una sbronza triste.»

Lei gli dà delle pacche consolatorie sulla testa. «La vodka però è buona. Dovremmo provare quella al melone, la prossima volta.»

Keith annuisce. «Concordo.»

Acxa gli picchietta un dito sulla fronte per invitarlo a guardarla in faccia; sta sorridendo, ma con una certa serietà di sottofondo. «Ehi, se nel Quantum Abyss hai visto qualcosa che mi riguarda e che pensi sia troppo pesante da portare con te, possiamo dividere il fardello. Puoi dirmelo.»

Keith ricorda un bambino bellissimo, dal colorito umano e le orecchie a punta, con dei radi capelli castani in cima alla testa e sulla nuca ciocche blu come quelle della mamma. Non può portare via ad Acxa una sorpresa e una gioia così grande. «No niente di simile.»

«Ok.»

Meno male che il Quantum Abyss non gli ha dato solo cose brutte.





Il pomeriggio dopo, Keith bussa allo stipite della porta aperta dell'ufficio di Shiro. Ha aspettato un momento in cui quell'ala della Garrison fosse quasi deserta.

Shiro lo accoglie sorridendo da dietro la scrivania. «Ehi!» gli accenna a entrare pure e sedersi.

Keith scuote la testa, incrocia le braccia al petto e appoggia il fianco allo stipite. «Grazie, ma preferisco stare qui.»

Shiro lo guarda stupito, ma accetta la sua decisione. «Come vuoi.»

«Abbiamo bisogno di parlare.»

Shiro abbassa lo sguardo e lascia cadere piano sulla scrivania la penna che ha in mano. «Lo so. Puoi chiudere la porta?»

«No.»

«Ma Keith...»

«No.» Niente spazi chiusi, niente posti in cui Shiro possa metterlo all'angolo.

«Ok,» sospira Shiro.

«Avresti potuto chiedere direttamente a me di Acxa e della hoverbike.»

Shiro sorride rassegnato. «Quindi Lance te l'ha detto.»

«Siamo andati nel deserto, se proprio ci tieni a saperlo. Le ho fatto vedere dove sono cresciuto.» E Keith sa che questo farà male a Shiro, perché prima quello era qualcosa che aveva condiviso solo con lui, eppure gliel'ho appena detto. Di proposito.

«È la tua ragazza?»

«No. Shiro, esattamente, com'è che ancora non l'hai ancora capito che non mi piacciono le ragazze?» gliel'ho chiesto sarcastico, ma con affetto.

Lui abbassa lo sguardo e si passa una mano sulla nuca. «Credo che tu mi conosca da abbastanza tempo da sapere che sono un disastro in queste cose.»

«Già.» Sospira e torna serio. «Il punto però è che puoi chiedermi di Acxa, e se qualcosa in qualche modo ti disturba, puoi parlarmene.»

«Non mi disturba sapere che passi del tempo con Acxa.»

Keith non ne è per nulla impressionato, e glielo dimostra. «È per questo che invece di domandarlo a me lo hai chiesto a Lance?»

Shiro trae un respiro profondo, si alza dalla sedia e si appoggia di schiena alla scrivania, di fronte a Keith. «Puoi chiudere la porta ora?»

«No.» Come l'altra volta non vuole lasciare spazio a fraintendimenti. Non vuole fargli credere che va bene confidarsi e magari poi baciarlo di slancio seguendo la foga del momento. Keith non sa che farsene di singoli momenti simili.

Shiro abbassa lo sguardo e porta le mani all'indietro per stringerle sul bordo della scrivania. «Da quando siamo tornati sulla Terra, non riesco a fare a meno di pensare che mi è stato rubato del tempo. Forse Adam aveva ragione. Forse non avrei dovuto impiegare il tempo che mi restava da vivere con lui per andare su Kerberos. E non si tratta solo di Adam...» esita appena. «Il clone mi ha rubato del tempo,» dice a fatica. «Mi ha rubato il tempo che avrei potuto passare con voi, mi ha rubato il momento in cui avrei potuto essere io a lasciarti andare dai Blades, perché fidati: so bene cosa significa essere trascinati indietro quando invece si sente di volere andare solo in una certa direzione. E poi il Quantum Abyss mi ha rubato due anni della tua vita, sei tornato cambiato. Sono tornato sulla Terra e ho scoperto di non avere più tempo con Adam. È da quando mi hanno diagnosticato la mia malattia che lotto contro il tempo, e mai una volta che io vinca. Tu sei l'unica persona di cui mi fido ciecamente e che c'è stata fin dall'inizio, e io... non voglio che mi rubino altro tempo. Ho bisogno del tuo tempo.»

Cade il silenzio fra di loro, come qualche giorno prima in palestra. Stavolta di sottofondo c'è il ticchettio dell'orologio da parete dell'ufficio.

«Non sono Adam.»

«Lo so.»

«Non posso sostituire Adam.»

«Lo so.»

«Davvero?»

Sostengono lo sguardo per qualche attimo.

«Chiudi quella porta, Keith.»

«No. Ti capisco, ma non sono Adam.»

E Shiro non sta negando niente. Non si stanno nemmeno guardando in faccia.

«Mi dispiace, Keith.»

«Ne abbiamo passate insieme di peggio, supereremo anche questo casino.»

Non aggiungono altro, e dopo qualche attimo di silenzio Keith mormora “Ci vediamo alla mensa” e va via.

L'unica cosa che Keith riesce a pensare è che in fondo sarebbe potuta andare molto peggio.





Keith chiede a Lance se gli va di far fare un giretto ai loro Leoni. Lance rimane sorpreso solo per un attimo, poi capisce. Keith porta Kosmo con sé.

Volano fino all'oceano, e Black e Red fanno le fusa felici mentre Keith e Lance fanno a gara a chi per prima raggiungerà la meta prefissata.

Atterrano su una scogliera, posizionando i Leoni abbastanza vicini da potersi comodamente parlare anche stando seduti ognuno sulla testa del proprio Leone. Kosmo si acciambella attono a Keith e lui inizia a raccontare a Lance quello che è successo con Shiro, perché glielo deve e perché sa che Lance sa mantere i segreti.

«È una situazione schifosa,» è il commento di Lance.

«Non l'avrei mai detto.»

«Dacci un taglio con il sarcasmo, amico,» borbotta Lance. «Mi dispiace per questo casino, ok?»

Kosmo uggiola, Keith lo gratta dietro un'orecchio. «Scusa... Non sono abituato a... vivere cose simili,» dice con una punta di imbarazzo.

«E chi lo è? Senti, siamo solo una banda di ex ragazzini che è finita per caso a guidare della macchine da guerra magiche a forma di Leoni, e poi siamo finiti in guerra. Onestamente, pensi che esistano al mondo persone abituate a una cosa simile?»

«No.»

«E pensi allora che possono esistere persone abituate a vivere una situazione incasinata come quella fra te e Shiro?»

«No.»

«Bene.»

Si scambiano uno sguardo e poi scoppiano a ridere isterici. Kosmo li guarda perplesso.

«Supereremo anche questa, team leader,» gli dice Lance quando si calmano.

«Lo so. Ci spero.»





Keith ormai è un tenente da qualche mese, eppure continuano a sorgere dei dissidi interni.

Keith sa che non avrebbe dovuto intromettersi nella parte di campo di battaglia degli MFE, davvero. Sa che non avrebbe dovuto mettersi in mezzo e falciare un paio di navicelle galra con la lama mandibolare di Black.

È solo che non ha potuto fare a meno di farlo.

Troppe volte in passato si è trovato in galassie sconosciute e circondato da navi ammiraglie galra, troppe volte ha dovuto decidere da solo quale amico o alleato salvare prima, troppe volte ha dovuto decidere con freddezza se valeva la pena lanciarsi come un proiettile e sacrificarsi per salvare l'universo. Ha sempre fatto tutto da solo, o sotto la guida di suoi pari, non sa seguire degli ordini.

Ovviamente, l'MFE più in pericolo in quel momento era stato quello di James.

Keith deve ammettere che quando si tratta di James, non riesce più a ragionare in modo lucido. Perché James è una promessa e una garanzia. La promessa che amerà di nuovo e sarà magnifico, e la garanzia che anche le cose magnifiche possono finire.

Vorrebbe che James non si innamorasse mai di lui.

Vorrebbe però anche innamorarsi di James.

Keith è solo un semplice essere umano: vuole sapere com'è provare quel tipo di amore corrisposto, almeno una volta nella vita.

Al ritorno sulla Terra, i Leoni e gli MFE non comunicano fra di loro, l'atmosfera è tesa.

All'atterraggio, quando Keith scende da Black, vede James avanzare verso di lui, togliendosi il casco furioso.

«Non sai mai fare un passo indietro, vero?» lo accusa James. «Tutto quello che finisce per caso nel tuo mirino diventa una tua cazzo di preda e non gli togli gli artigli di dosso neanche se sei morto!»

Keith, interiormente, ammette che quella è una buona descrizione della sua persona. «Ti ho solo dato una mano, ammetti che ti ho salvato il culo e finiamola qua.»

«Perché cazzo mi sto prendendo il disturbo di aiutarvi mettendomi in gioco, se ogni singola volta devi mettere a rischio la tua vita per qualcosa che potrei risolvere anche io da solo?»

«Non ti ho mai chiesto di rischiare la vita, e comunque quello non era nulla di troppo pericoloso.»

«Beh, io invece ti sto chiedendo di non sprecare la tua cazzo di vita, perché questo Leone,» indica Black e subito dopo Keith, «è legato a te, nessun altro può guidarlo, e se tu muori, noi siamo finiti. Ho passato anni della mia vita ad aspettare che Voltron tornasse sulla Terra, e se pensi che io sia disposto a farlo morire solo perché non sai porre freno alla tua voglia di sterminio, ti sbagli di grosso!»

«Pensi sul serio che mentre voi aspettavate il nostro arrivo noi ce la spassassimo? Abbiamo visto amici e alleati morire sotto i nostri occhi, ho visto centinaia di persone innocenti raccolte come se fossero cibo di scorta solo per produrre da loro energia, ho visto una bomba stare per esplodere con l'obiettivo di distruggere una galassia intera e non sapevo nemmeno se la mia vita sarebbe bastata per fermarla. Pensi davvero che mi diverta vedere un nuovo alleato in pericolo? Pensi davvero che mi diverta l'idea di vedere il mio pianeta natìo quasi distrutto?»

«E tu pensi che per noi sia stato divertente stare per anni sono una cupola protettiva vedendo dall'altra parte gente morire? E tu pensi che sia stato diventente sentirsi impotenti perché in inferiorità numerica e impossibilitati a comunicare con tre quarti di mondo? E tu pensi sia stato facile alzarsi tutte le mattine e sapere di non avere a disposizione delle armi adatte per porre finire all'occupazione di Sendak? Ho ascoltato i miei genitori morire, Kogane, non ti permettere di giocare con me la carta a chi si è sentito più impotente nella vita!»

Prima ancora che Keith possa avere qualsiasi tipo di reazione, la voce di Pidge si intromette fra di loro come un coltello da lancio.

«Volete smetterla di spargere testosterone per la pista d'atterraggio? È disgustoso,» grida furiosa.

Keith arretra e volta le spalle, sente James fare altrettanto.

Quando Keith svolta l'angolo ed entra nel corridoio che lo porterà agli spogliatoi, è costretto a sostenersi poggiando una mano al muro, perché lo sa, lo sente: questo è l'esatto momento in cui cambierà tutto.

   
 
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