Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: Unpinguinoperamico    16/10/2018    4 recensioni
(Storia partecipante al Contest "Specchi, ombre e presagi: il doppelgänger" indetto da Shilyss sul forum di EFP.)
Uno, due, tre, quattro, cinque e sei.
Sono i passi che dividono il bagno dalla sua camera da letto. Uno e due sono quelli che Gus deve fare in seguito per raggiungere la scrivania. Nel cassetto della scrivania, accuratamente avvolta in un panno e riposta con la canna rivolta alla finestra, c'è una pistola, una Beretta M9 nera semiautomatica. Gus la prende, la toglie dal panno... non dovrebbe.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Uno, due, tre, quattro, cinque e sei.

Sono i passi che dividono il bagno dalla sua camera da letto. Uno e due sono quelli che Gus deve fare in seguito per raggiungere la scrivania. Nel cassetto della scrivania, accuratamente avvolta in un panno e riposta con la canna rivolta alla finestra, c'è una pistola, una Beretta M9 nera semiautomatica. Gus la prende, la toglie dal panno - non dovrebbe.

Uno, due, tre, quattro... sette, otto;

Gus è di nuovo in bagno, adesso, seduto a gambe incrociate sulla tavola abbassata del water. Davanti a lui, attaccato alla parete del bagno, c'è uno specchio piuttosto grande che Gus ha coperto con un copricuscino logoro. Non gli piace quello che ci vede dentro. Non è il suo riflesso, no, non c’è lui dalla parte opposta del vetro. Gli viene in mente proprio adesso che dovrebbe proprio cambiarlo, il copricuscino logoro, perché lascia scoperto un angolo di specchio che riflette il muro piastrellato. Ma non lo vuole fare - è troppo pericoloso – e così evita brutti incidenti cercando di non entrare nella parte di specchio che rimane scoperta.

Adesso, seduto sulla tavola del water abbassata, appoggia la pistola sul bordo del lavandino in modo da avere le mani libere: così può tenere in una mano i proiettili da lucidare e nell'altra il panno inumidito.

Ecco, adesso può finalmente cominciare a lavorare. Prende un asciugamano e lo bagna imbevendolo di acqua e disinfettante. Utilizza un disinfettante che sa di limone. In realtà non sa esattamente di limone. Sull'etichetta c'è scritto "limone" e Gus non osa discutere ciò che l'etichetta dice, ma potrebbe giurare, e lo giura, che il limone per come lo conosce lui non ha quell'odore dolciastro e caramellato, a tratti nauseabondo. Dall'odore gli pare sapone al limone, che è ben diverso, a suo avviso, dall'odore comune del limone frutto. Le etichette dovrebbero essere oneste e portare scritto "sapone al limone" invece che "limone" e basta. Si sente preso in giro, beffeggiato, e, per non guardare l’ingannevole scritta “limone” sull’etichetta, gira il contenitore dall’altra parte, così da poggiare gli occhi, quando capita, sul retro onesto della bottiglia.

In giro per la casa di proiettili ne ha trovati solo tredici, e uno l'ha buttato. Li ha posati tutti e dodici in fila accanto alla pistola, sul bordo del lavandino. Sono sei da una parte, sei dall'altra. Sono sporchi, incrostati di sudiciume e polvere e batteri – solo lui li vede, però. Lui li vede sempre. Prende un proiettile da ciascun lato, coi guanti di lattice infilati fino a metà avambraccio. È difficile riuscire a pulire due proiettili alla volta, conviene, ma non si può fare altrimenti: se ne prende uno da destra, per esempio, a destra della pistola ne rimangono cinque, a sinistra sei. Se ne prende uno a sinistra, invece, a sinistra cinque e a destra sei. La soluzione è una: due contemporaneamente, cinque- cinque, parità. È sempre meglio restare simmetrici.

All’improvviso, con la coda dell’occhio, a Gus pare di vedere lo sciagurato copricuscino che copre lo specchio cadere e adagiarsi sul lavandino. Non alza lo sguardo, ma sempre con la coda dell’occhio intravede uno sguardo di un blu intenso che gli si appoggia addosso, e un paio di labbra dischiuse a mostrare una fila di denti bianchissimi. Una scarica di brividi freddi gli percorre la spina dorsale, su e giù, su e giù, su e giù, su e... 

- Ehi, bello! –

No… non può essere. C’era… Sì! C’era il copricuscino! Era lì, stava coprendo lo specchio. Gus ne è sicuro. Allora, com’è possibile che Andrea sia riuscito a farlo cadere? Prima d’ora, non è mai successo. Andrea non ha mai attraversato lo specchio. Non è mai successo, no, non può succedere adesso, non è normale, non ha alcun senso, Gus sa che non è normale lo sa Gus lo sa ma quindi perché è successo se non è normale non ha senso…


- Che combini? -

…gus sussulta la sua voce è identica alla sua gus non vuole alzare gli occhi dai proiettili sporchi non vuole che il suo sguardo lo tradisca odia lo odia non vuole che il suo sguardo lo tradisca tum è il suo cuore che fa tum tum tum ora più veloce i proiettili sono proprio sporchi brillano ma sono sporchi quanti virus quanti microbi trasmettono scabbia tifo rabbia un sacco di altre malattie letali e lui lo sa e nessuno lo capisce ma lui sa che il detersivo non sa davvero di limone insomma non è limone lo vogliono imbrogliare adesso lui sa e sa che lo sta guardando con quegli occhi spiritati sa chi lo sta guardando e non vuole alzare gli occhi dai proiettili sporchi non vuole che il suo sguardo lo tradisca odia lo odia non vuole che il suo sguardo lo tradisca...

- Ehi! Ci sei?! -

ecco lo vede è il riflesso che poi riflesso suo non è lui lo sa e sa anche che lo sta guardando il riflesso si chiama Andrea non è il suo riflesso ha vita propria oggi sembra stare male è pallido magro ha le occhiaie e i capelli che sono biondi e lunghi e unti e ha un accenno di barba rossa sul mento anche gus ha i capelli biondi e lunghi e unti e un accenno di barba rossa sul mento ma no né così bianco Andrea invece è molto bianco adesso lo sta guardando e i suoi occhi che sono blu lo inquietano sono folli ha paura lo sa Andrea lo sa e i proiettili sono sporchi farebbe meglio a guardare quelli pulirli sì pulirli...

- Sai, non credo che a Ruth Lowe interessi se i proiettili che la uccideranno sono puliti o meno.  -

ma gus non vuole non vuole trasmetterle la scabbia tifo rabbia un sacco di altre malattie letali vuole solo ucciderla vuole che i proiettili sono puliti non vuole tifo vuole ammazzarla vuole ucciderla vuole accopparla eliminarla...

Il volto di Andrea si illumina: - Esatto! Eliminarla! Parliamo la stessa lingua, finalmente! -

certo che ci capiamo gus ora ha scelto ha fatto la sua scelta ha scelto bene perché ha scelto il bene ma non è bene secondo la gente, ma per Andrea e gus è bene cioè gus vuole Mrs. Lowe e Mrs. Lowe è sposata non è bene che lui ce l'ha e gus no gus vuole avere Mrs. Lowe e se non ce l'ha gus e il marito ce l'ha non è bene perché nessuno se non ce l'ha gus deve avere Mrs. Lowe!
 


Quand’è che ha conosciuto Andrea?

Gus questo non se lo ricorda. Forse lo conosce da sempre. Ha ben chiaro, effettivamente, che fin dalla sua nascita vede dappertutto quel volto pallido, quella faccia scarna che molto spesso si illumina in smorfie buffe ed espressioni grottesche, occhi spiritati di un azzurro glaciale. Il nome, pure. “Andrea qui, Andrea là”. Il suo volto e il suo nome occupano ogni angolino polveroso della sua memoria.

Se non sapesse che Andrea è Andrea, forse potrebbe addirittura pensare che quello che vede sulla superficie dello specchio sia davvero il suo riflesso, e non uno spirito impazzito che lo perseguita spostandosi da un oggetto riflettente all’altro. E se non fosse che Andrea sembra molto più pallido ed emaciato e sfinito e stanco di lui, potrebbero quasi essere la stessa persona. Anche dal modo di parlare, muoversi, comunicare col corpo, sembrano lo stesso identico personaggio - un personaggio un po' inconsueto, certamente, di sicuro non il tipico ragazzo della porta accanto.
Tuttavia, Gus ha l’impressione che Andrea non sia sempre stato nello specchio: ha un vago ricordo di un volto pallido, uguale al suo, che gioca con l’abaco sul tappeto zebrato del soggiorno.

Gus ha sempre avuto una paura matta per gli specchi. Evitava categoricamente di passarvi davanti fin da quando era alto quanto uno sgabello. Sua madre – santa donna! – aveva risolto il problema buttando via ogni specchio buttabile e coprendo con lenzuola e copricuscini quelli che invece non si potevano gettar via. Il suo piano era rimuovere le coperte dagli specchi una volta che Gus sarebbe andato a vivere per conto suo: poi, improvvisamente, sua madre era morta. Di infarto, gli avevano detto. Era il 17 novembre 2007, se lo ricorda bene - allora Gus aveva diciannove anni.  

Un’altra data che ricorda bene, e forse anche meglio della dipartita di sua madre, è il 9 aprile 2017: il giorno in cui Mrs. Lowe venne a bussargli alla porta per chiedergli se fosse per caso capace di aggiustarle il lavandino. Bisogna prima dire che i coniugi Lowe abitano l’appartamento davanti al suo fin da quando ha memoria, ma non aveva mai avuto prima d’allora, per un motivo o per l’altro, occasione di parlarle: Gus non esce spesso da casa, anzi, a dir il vero lo fa molto sporadicamente: soltanto quando le condizioni lo rendono strettamente necessario, condizioni quali frigo vuoto e bollette da pagare, e solo allora si azzarda a mettere piede fuori dal suo angolo sicuro e respirare l’aria aperta del mondo esterno.
Era il 9 aprile 2017 e il lavandino del bagno di casa Lowe s’era intasato. Mrs. Lowe è laureata in legge, e quindi di idraulica ci capisce poco o niente: quel giorno era sola in casa e, presa un po’ dal panico, comprensibilmente, aveva preso coraggio ed era andata a bussare al portone di Gus.
La sua reazione quando se la vide davanti agli occhi fu riassunta in balbettii e rossori inspiegabili del volto. È comprensibile: Mrs. Lowe è una donna di una bellezza esotica, tratti marcati, occhi come due calamite. Gus si è sempre chiesto che cosa una come lei possa pensare di uno come lui. Mrs. Lowe con la sua pelle ambrata, i suoi capelli mori innaturalmente ricci, Mrs. Lowe che da quel giorno l'ha sempre ascoltato, sostenuto, aiutato... è abbastanza certo che, e questo lo pensa con gran rammarico, quello che Mrs. Lowe prova per lui non si avvicini nemmeno lontanamente all'amore cieco e folle che s'infiamma nel suo petto ogni volta che annusa l’inebriante profumo di vaniglia che emanano i suoi capelli.

Eppure, lo potrebbe giurare, l’amore tra di loro non manca.

Ma riconosce che l’amore di Mrs. Lowe è distaccato, un po’ insicuro. In parte, Gus la comprende: insomma, è sposata. Ha sposato quello spostato di Jack. Quel tipo non gli piace. Rappresenta - ed è - il classico uomo che ha successo nella vita. Bello, sempre sorridente, felice – con quel sorriso bianco come la neve e radioso come i raggi d’agosto, quel sorriso che a volte è freddo, a volte scottante, talvolta insipido, sotto certi aspetti insidioso, e poi malefico, o carismatico, sempre attraente… Jack è un uomo davvero fortunato: ha un bel lavoro, una bella figlia, una bella casa, una bella macchina, una bella moglie... Gus, al contrario, non ha niente - forse un sorriso vagamente carino, se solo lo usasse più spesso.

Quel 9 aprile 2017 se ne stava in cucina a lucidare le sue posate (benché fossero appena uscite dalla lavastoviglie) quando all’improvviso, inaspettatamente, il suono prolungato del campanello fece tremare la bottiglia d’acqua posata sul tavolo. Le ondine concentriche che si disegnarono sulla superficie del liquido lo indispettirono.

Si alzò e un po’ claudicante – era rimasto seduto per tanto tempo – si diresse verso la porta d’ingresso domandandosi chi mai poteva essere: non veniva mai nessuno. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… Era Mrs. Lowe. La bella, abbagliante, profumata Mrs. Lowe. Quel giorno indossava una camicia lunga e un paio di ciabatte, e i capelli neri le circondavano il volto come la folta criniera di un leone.
 
- Buongiorno, caro! Sai, mi chiedevo se fossi libero di… -

- Sì! Sì, sono libero! -

Mrs. Lowe gli sorrise e, uno due tre quattro cinque, lo portò a casa sua e, uno due tre quattro cinque sei sette otto nove dieci undici dodici tredici, ecco il lavandino. Era sporco! Era lucido, bianco immacolato, ma Gus dentro di sé si sentiva che un lavandino così sporco non era mai esistito. Era colpa di Jack Lowe, si disse, mentre si infilava i guanti di lattice. Di certo non poteva essere Mrs. Lowe la fautrice di tale sporcizia.
Diede le spalle a Mrs. Lowe per tutto il tempo, perché se si fosse girato, lo sapeva, ella avrebbe sicuramente capito che lui, Gus Montagues, era completamente, inesorabilmente cotto, stracotto, infatuato, innamorato di lei. Sarebbe stato compromettente.
Finito di stappare il lavandino, continuò a darle le spalle anche per tutto il corridoio. Uno due tre quattro cinque sei sette otto nove undi… si bloccò.

Impallidì.

Tremò.

Sudore freddo.

Uno specchio.

Era lì, davanti a lui. Proprio lì davanti!

Quel tizio, quello… stronzo! Capelli biondi e lunghi e un accenno di barba rossa sul mento. Era consapevole che Mrs. Lowe, in piedi dietro di lui, lo stava guardando anche lei.
La paura divenne invidia. L’invidia, gelosia. E la gelosia si trasformò in fredda rabbia quando Mrs. Lowe disse, sempre con gli occhi puntati sullo stronzo nello specchio: - Grazie mille, Andrea. -
Che bastardo! Non solo si prendeva lo sguardo di Mrs. Lowe, ma si arrogava pure i ringraziamenti che spettavano a lui! Farabutto, canaglia, immondo pezzo di fango!

Andrea…

Andrea era il suo nome.

Andrea, Andrea, Andrea.

Andrea?

Andrea!

La realizzazione attraversò le sinapsi di Gus come una scarica di energia elettrica. Molti lo avevano chiamato “Andrea”. Prima d’allora il motivo gli era sempre stato oscuro. Insomma, che ragione aveva il suo maestro privato di chiamarlo Andrea, quando lui si chiamava Gus? Erano nomi tanto diversi! Adesso, invece, capiva. Quando a tavola sua madre diceva Andrea, si riferiva in realtà al riflesso di Gus nel cucchiaio da brodo. Quando il maestro diceva Andrea, si riferiva in realtà al riflesso di Gus nella maniglia della finestra. In un modo o nell’altro quel bastardo, quell’Andrea gli aveva sempre rubato la scena.

Ringraziavano lui.

Parlavano con lui.

Consideravano lui.

E Gus, che era lì, era presente, rimaneva sempre con un pugno di mosche.

Quel pomeriggio tornò a casa più nervoso di prima. Uno due tre quattro cinque…

Andò di filato in bagno e si chiuse la porta alle spalle così forte che il copricuscino logoro che copriva lo specchio cadde e si adagiò sul lavandino.

Ed eccolo, Andrea. Aveva il sorriso maligno del diavolo.

- Ciao, bello. – disse – Ti offendi se ti dico bello? –

Sì.

- Molto bene, bello. Vedi, ho una cosa da dirti. Finalmente hai tolto il copricuscino logoro così possiamo parlare faccia a faccia! –

Vattene via.

- Il fatto è proprio questo: io, finché non mi ascolti, da qui non mi sposto. –

Dimmi, allora.

-  Dobbiamo uccidere Mrs. Lowe. –

Cosa dobbiamo fare?

- Uccidere. C’hai in mente? Coltello, pistola, veleno… morta stecchita! Mi segui, bello? O vuoi un disegnino? -

Cosa stai dicendo?

- Senti, bello, seguimi e tappati la bocca. Tu ami Mrs. Lowe da dodici anni, ma lei è sposata con Jack. Se non ti sbrighi la situazione del cazzo non si sblocca. -

Ma che c’entra uccidere Mrs. Lowe?

-  Ed è qui che ti sbagli! C’entra! In ogni film che si rispetti c’è sempre il protagonista e l’antagonista, no? Bene e male che lottano tra loro, bene che vince, male che perde… Ecco, vedila come bene e male. Tu, caro mio, sei il bene. Sei la vittima! La ami e non puoi averla! Lui invece è il male, il male che ha, perché lui ha, ma che non vede quanto è fortunato ad avere. Quel Jack del cazzo ha i paraocchi, comprendi? –

Quindi devo ammazzarla?

- Lui è il mal… -

Sì, ho capito. Ma in questo caso non è più giusto ammazzare Jack?

- Senti, sono belle parole le tue: giustizia, unicorni, arcobaleni. Ma non hai mai concluso niente in vita tua, quindi vuoi farti dare un consiglio da un amico? –

Sei un amico?

- Sono te! Più amico di te stesso chi c’è? –

Non sono molto convinto che sia la scelta giusta.

- Ucciderla è giusto, perché così né tu né lui potrete averla. Non vince nessuno, non perde nessuno. Se non l’ammazzi, invece, solo lui l’avrà. Ti sembra giusto, questo? NO! È male! È il male! Se invece ammazzi Jack, pensi davvero che Mrs. Lowe vorrà saperne ancora di te? –

Sei proprio sicuro – sicuro al cento per cento, intendo – che non c’è altro modo?

- Sì! Convintissimo, croce sul cuore! –

Ma se poi non va bene? Se poi mi beccano? Se finisco in carcere? Se verrò divorato dai rimorsi per sempre?

- Fidati di me, bello. Fidati e basta! -  
 
 


 
 
Gus ripone i primi due proiettili nel portamunizioni della pistola e prende i successivi.

Altri due. Non uno, perché se ne prendesse uno sarebbe asimmetrico. Che non è bene. Che, anzi, è malissimo! Dal 9 aprile, cioè da quando ha avuto quella folgorante conversazione con Andrea, ha cominciato a dividere le cose che gli capitano o che deve far capitare in due categorie: quelle giuste e quelle sbagliate. Ha scoperto che in questo modo è molto più semplice prendere decisioni, soprattutto quelle importanti. Prima di afferrare altri due proiettili copre di nuovo lo specchio. Lo fa perché odia Andrea. Odia vederlo. Lo manda sempre fuori di testa. Ora però si è calmato, e si è calmato anche il suo cuore.

Dico calmato per così dire.
Ha ancora addosso quell’inquietudine asfissiante che lo segue da quando ha tolto la pistola dal cassetto. È pesante ed è ancora più pesante di lei ogni proiettile che contiene. Ma, Andrea lo dice sempre, essa pesa in questo modo inconsueto perché racchiude dentro di sé ogni sofferenza del futuro. È una pistola carica non di proiettili, ma di sofferenze.
Sarà come levarsi un dente.

C’è una poesia, che gli raccontava sempre sua mamma. Adesso non ricorda bene di chi era, e non la ricorda nemmeno tutta, ma di ciò che rammenda sa persino l’intonazione che sua mamma usava mentre gliela recitava.
 
     -  Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
       questa morte che ci accompagna
       dal mattino alla sera, insonne,
       sorda, come un vecchio rimorso
       o un vizio assurdo. I tuoi occhi
       saranno una vana parola,
       un grido taciuto, un silenzio.
       Così li vedi ogni mattina
       quando su te sola ti pieghi
       nello specchio. O cara speranza,
       quel giorno sapremo anche noi
       che sei la vita e sei il nulla…
-
 
Tutt’a un tratto gli si tronca la voce – le parole vengono fagocitate da un pensiero martellante che gli si insinua tra gli anditi del cervello. Bene e Male. Sono le parole che Andrea gli ripete sempre. Bene e male, bene e male, gliele ha ripetute così tante volte che ormai ha perso la concezione del loro significato. Che cos’è il Bene? Che cos’è il Male? Il Bene, dice Andrea, è quello che per Gus è Bene. Ma il Bene di Gus non è poi il Male di Mrs. Lowe?

Un’azione può essere quanto positiva per uno tanto negativa è per l’altro. Questo non è affatto un pensiero astruso, bensì una considerazione empirica che, anche se ci pensa solo ora, è stata presente nella sua coscienza fin da quando Andrea gli ha fatto la proposta d’ammazzare Mrs. Lowe. Bene e Male alla fin fine sono concetti che tra loro si sovrappongono. Allora perché darsi tanto tormento? Allora perché indugiare? Se è così, così come Gus ha teorizzato, perché mettere in discussione ciò detto da Andrea?

Ognuno, dopotutto, deve fare i propri interessi.

Proprio così, pensa, devo fare i miei interessi.

I miei interessi.

miei.
 
 Verrà la morte e avrà i tuoi occhi questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera,
insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo…
 
Due proiettili a posto, nel portamunizioni.

Altri due – uno a destra, uno a sinistra.

Due a posto.

Altri due…

Prima che possa accorgersene ha già finito i proiettili, e l’unica cosa che rimane sul bordo del lavandino è una pistola col portamunizioni carico di pallottole pulite. Ansimante, sudato, lascia andare lo straccio per terra. 

È il momento.

Ha dodici colpi a disposizione.

Oggi ne userà soltanto due.
 
 
       I tuoi occhi
       saranno una vana parola,
       un grido taciuto, un silenzio.
       Così li vedi ogni mattina
       quando su te sola ti pieghi
       nello specchio. O cara speranza,
       quel giorno sapremo anche noi
       che sei la vita e sei il nulla…
 
 


 
 


 
 
 
 
L’ispettore Banquo affondò il grosso naso rosso nella sciarpa di lana per ripararsi dalle sferzate d’aria gelida che quel burrascoso 13 gennaio percorrevano il suolo di New York.

- Che storia è questa! – disse tra sé e sé. 

Era vecchio, ormai, a pochi mesi dalla pensione, e poteva vantarsi – sempre che quello si potesse considerare motivo di vanto – che nella sua lunga carriera d’ispettore e di poliziotto ne aveva viste di tutti i colori. Nessun caso, tuttavia, anche il più stravagante, era singolare e bizzarro come questo che gli era capitato tra capo e collo. Il caso dello specchio, l’avevano soprannominato, che, sebbene fosse un caso di per sé risolto, pareva il più ingarbugliato di tutti.
Entrò nell’edificio che si trovava in Kronborg Avenue davanti al bar che una volta avevano denunciato perché vendeva superalcolici ai ragazzini. La scena del crimine era al terzo piano. C’era un ascensore di quelli con porte di vetro e legno verniciato di rosso, ma preferì prendere le scale: mentre saliva voleva scacciare la condensa che gli annebbiava il cervello per schiarirsi le idee. L’assassino aveva utilizzato cinque proiettili. Nel portamunizioni dell’arma, rinvenuta lì accanto, ce n’erano altri sette: sette proiettili lindi e pinti come mai ne avevano visti. La scena era alquanto inusuale anche per chi, come lui, aveva passato la sua vita da pendolare tra un omicidio e l’altro: mai era capitato che di fronte al cadavere, che si trovava nel corridoio, ci fosse uno specchio da parete il cui vetro era stato frantumato in maniera brutale da colpi di proiettile. L’assassino era un certo Montagues, un giovanotto italo-americano alto e biondo e con un accenno di barba rossa sul mento, che abitava nell’appartamento di fronte. Non aveva moventi, o almeno così sembrava: i vicini sostenevano che era da sempre un ragazzo solitario e gentile e a modo e che erano rimasti spiazzati dalla sua azione tanto quanto adesso lo erano i poliziotti. Non si sapeva dove mettere il naso. I poliziotti avrebbero desiderato archiviare l’argomento al più presto, ma, in ogni caso, il rapporto andava compilato. Come, quando, chi, dove e perché sarebbero stati inseriti in una pagellina protocollo e poi archiviati, in seguito si sarebbe passati al caso successivo. Senza trovare il “perché”, tuttavia, nessuno sarebbe andato da nessuna parte.
Quando l’ispettore giunse al terzo piano le sue ginocchia erano di gelatina; effetto della vecchiaia maledetta.
- Buongiorno Banquo! – esclamò prontamente la voce roboante di Titus, il vecchio giornalista con cui aveva lavorato ad una dozzina di casi. Era in piedi sull’uscio e lo aspettava con una pesante cartella in pelle di camoscio sottobraccio.
Titus era un uomo sulla sessantina che nonostante questo era arzillo come un ventenne. Il suo portamento e la figura alta e tozza, per non dir gigante, rimandavano ad un giocatore di football con la faccia da bambino. Aveva occhi grossi e bovini e un lungo naso che terminava con la punta all’insù. Ebbene, quando lo vide, l’ispettore Banquo s’intristì al pensiero che sarebbe stato il loro ultimo incontro in divisa da lavoro. 

- Cosa ne pensi, mio buon amico? – domandò.

Titus s’espresse in una scrollata di spalle: - Bah, sai com’è! Dopo tutti questi anni che lavoro al Times ho cominciato a comportarmi professionalmente anche al di fuori del lavoro: difficilmente m’azzardo ad esprimere opinioni personali, in special modo se davanti ho un esperto cui debbo fare tanto di cappello! –

Banquo era infastidito dal suo comportamento riservato: - Insisto, amico mio. Ho un disperato bisogno del tuo parere! In realtà, ammetto che un’idea me la sono già fatta. Tuttavia, vorrei confermare i miei sospetti; se sono fondati o no. –

Titus, allora, scrollò le spalle. Banquo sapeva che non lo faceva apposta; che era un tic.

- Beh, se me la metti così, il mio parere te lo do anche. Ma prima, è meglio che veda coi tuoi occhi. –
 
Entrarono nell’appartamento. Vennero accolti da una donna con una criniera di foltissimi capelli neri, che indossava un abito bianco e attillato che ne esaltava le curve. Una bellissima donna, indubbiamente. Era la testimone oculare - si chiamava Ruth Lowe. Insistette subito nel mostrar loro la scena del crimine, con tono conciso e sbrigativo, come se non avesse visto l’ora di togliersi poliziotti, ispettori, telegiornali e brutta esperienza dai piedi. Ciò nonostante, pareva agitata. Si mordeva il labbro, si torturava le dita, continuava a spostare il peso da un piede all’altro. All’ispettore Banquo sembrò opportuno domandarle prima cos’era successo e come era successo. 

- Ha bussato alla porta. – spiegò. – Gli ho aperto, ovviamente. Ero sola in casa, sapete, Jack e Sally erano fuori a fare la spesa. Lui… lui è sempre stato tanto gentile con me. Un paio di volte mi ha aiutata con il lavandino; il lavandino fa sempre storie. Insomma, ieri sera mi s’è presentato alla porta e l’ho fatto entrare. Sembrava agitato e… cioè, mi sa che un po’ agitato lo era. Era pallido pallido, come un fantasma. Sono andata di là per preparargli il tè e quando sono tornata indietro ecco che lo vedo lì immobile davanti allo specchio del corridoio che sta piangendo. Non l’ho mai visto così. Aveva… oh cielo! Aveva una pistola in mano! Stava parlando da solo, anzi urlava, e lì mi sono preoccupata. Mi è caduta la teiera per terra! Vedete? Ci sono ancora i pezzi sul pavimento, lì, vicino alla porta del bagno; non me li hanno fatti raccogliere. - 

- Cosa diceva? – domandò Titus, senza sollevare gli occhi dal blocco degli appunti.

- Oh, cose da pazzi! Stava parlando con sé stesso, immagino. –

- Come fa a dirlo? –

- Guardava nello specchio e ripeteva il suo nome. “Andrea” qui, “Andrea” là. Non l’ho mai visto così, giuro. –  
   
Banquo parve riflettere: - Ha detto qualcosa prima di sparare? –

- No… nulla di significativo, cioè. –

- Ne è sicura? –

La donna ci pensò su: - In effetti, qualcosa ha detto. Sarebbe meglio dire ha fatto. Mi ha dato un foglio e ha detto leggilo dopo. Ce l’ho ancora qui, non l’ho nemmeno toccato. Venite, coraggio! –

Li portò in salotto e li fece accomodare su un divanetto foderato in rosso. Dall’arredamento della casa, Banquo avrebbe potuto giurare che i coniugi Lowe erano gente raffinata e di buon gusto. C’era un grosso lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto.

- Eccola qui. –
Mrs. Lowe gli consegnò una busta ingiallita dal tempo e ricoperta da una sospetta macchia rossa. Quando Banquo la prese, la donna si pulì prontamente le mani sul grembiule.

- La posso leggere? – chiese.

Lei scrollò le spalle: - Non è una… come la chiamate voi? Una prova? Be’, in ogni caso faccia pure. –

Banquo annuì. Strappò con delicatezza la carta della busta e ne estrasse con estrema attenzione il contenuto: si trattava di un foglio di carta bianca su cui era stata scritta una poesia con calligrafia estremamente curata, tanto da sembrare battuta a macchina. Cominciò a leggerla tra sé e sé, finché Titus non gli ricordò la sua presenza con un colpo di tosse.

Seccato, si schiarì la voce e si schiarì la gola:
-     Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
       questa morte che ci accompagna
       dal mattino alla sera, insonne,
       sorda, come un vecchio rimorso
       o un vizio assurdo. I tuoi occhi
       saranno una vana parola,
       un grido taciuto, un silenzio.
       Così li vedi ogni mattina
       quando su te sola ti pieghi
       nello specchio. O cara speranza,
       quel giorno sapremo anche noi
       che sei la vita e sei il nulla… -


La scritta terminava qui, alla parola “nulla”, ma l’assassino vi aveva aggiunto accanto una frase in matita rossa, cioè quattro parole eccessivamente ordinate tracciate in vermiglio.
L’ho fatto per vendetta.
 
Banquo rabbrividì. Quella frase era qualcosa di inspiegabile e, nella sua inspiegabilità, alquanto allarmante. Quel caso era un caso particolare e l’ispettore l’aveva capito fin da subito. Il caso comprendeva come tutti gli altri un assassinato – un giovanotto con i capelli biondi e lunghi e un accenno di barba rossa – e un assassino. Caso voleva, però, che le due figure coincidessero. Inoltre c’era un dettaglio insolito, se si escludevano i cocci della teiera lasciati cadere da Mrs. Lowe. C’era lo specchio del corridoio che era stato rotto, frantumato, distrutto; i poliziotti sostenevano che l’aveva distrutto con quattro dei cinque proiettili che aveva usato. Ne aveva diretto uno allo specchio e uno alla sua tempia. Lo faccio per vendetta. Cosa voleva significare quella frase? Che cosa voleva dire con quest’unione di vocaboli Andrea Montagues? Il senso letterale era chiaro. Voleva vendetta. Ma su chi? Su sé stesso? Perché voler vendetta su sé stesso?
 
- È Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi. –

Banquo si girò di scatto verso Titus, che aveva parlato. – Com’è che hai detto, amico mio? –

- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, - ripeté pazientemente il giornalista, - è Cesare Pavese, ispettore. –

- La conosci? – chiese. – Mi ripeti la fine? –

Pazientemente, Titus si mise lì e gli ripeté la parte che su carta mancava: -
 
Per tutti la morte ha uno sguardo.
  Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
  Sarà come smettere un vizio,
  come vedere nello specchio
  riemergere un viso morto,
  come ascoltare un labbro chiuso.
  Scenderemo nel gorgo muti. -

 
Banquo corrugò le sopracciglia. Perché scrivere quella poesia in un foglietto che doveva essere il suo biglietto d’addio? Cosa significava? Ce l’aveva un significato, almeno? Se era scritto, sì. Ce l’aveva. Doveva avercelo. Involontario o meno, il significato dietro l’azione di un uomo c’è sempre. La poesia diceva – anzi, doveva dire - qualcosa dell’assassino, perché se l’aveva scritta, per qualsiasi motivo, perché gli piaceva, o perché la odiava, o perché l’aveva appesa al mobile d’ingresso (perché l’aveva appesa al mobile d’ingresso?) emotivamente parlando doveva avere un significato.
Poi le sopracciglia si distesero.
Come vedere nello specchio riemergere un viso morto.
Ecco! Quando lo avevano convocato, gli avevano mandato il PDF di qualsiasi informazione recuperata nei confronti di Andrea Montagues. Ce n’erano poche – era un tipo che per tutta la vita aveva vissuto nell’ombra. Però, vagando nel guazzabuglio di documenti posseduti dall’ospedale in cui era nato, avevano rinvenuto un’informazione che lì per lì poteva essere inutile. Adesso soltanto capiva la sua importanza.
Andrea Montagues era convinto di essere un’altra persona. Secondo Banquo, aveva creduto in vita di essere Gustavo Montagues. Erano gemelli siamesi, nati l’uno a distanza di venti minuti dall’altro. Poi Gustavo era morto: entrambi avevano nemmeno tre anni.
Era possibile che in culla si fosse abituato a sentire il nome Gustavo, tanto che alla fine aveva creduto fosse davvero il suo nome. Era un evento raro, ma Banquo aveva letto, non ricordava dove, che poteva succedere: per compensare la morte di un tuo caro, finisci per prendere la sua identità.

- Signora, è importante. – disse rivolto a Mrs. Lowe – Sa dirmi cos’ha detto Andrea prima di sparare? –

- Non ricordo… -

- Si ricordi! –

Mrs. Lowe fece una smorfia infastidita: - Le ho detto che se non ricordo non ricordo! È inutile insistere! In ogni caso, ha cominciato a urlare parolacce davanti allo specchio. Poi ha detto qualcosa tipo… non ricordo eh, però mi sembra che abbia detto qualcosa come… “mi hai sempre rubato la scena, Andrea”. Poi ha sparato allo specchio. - 

L’ispettore prese a misurare il corridoio a grandi passi pensierosi.


“Su te sola ti pieghi nello specchio…”
“L’ho fatto per vendetta...”

“Come vedere nello specchio riemergere un viso morto…”
“Mi hanno sempre rubato la scena…”


L’ispettore Banquo guardò lo specchio in frantumi con aria corrucciata. Per adesso c’erano troppe incognite, troppi punti di domanda. Il profilo di Andrea Montagues rimaneva ancora nascosto nel buio.
In altre parole, il caso necessitava ulteriore indagine, ulteriore meditazione; ma con ogni probabilità, entro un mese o due, i fatti sarebbero stati ricostruiti per intero e subito dopo archiviati.
Siamo all’inizio, si disse l’ispettore Banquo. Un inizio non proprio buono, ma è pur sempre un inizio.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Unpinguinoperamico