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Autore: Koa__    16/10/2018    4 recensioni
Il principe Sherlock vive tutto il giorno tra le quattro mura del suo grande castello, senza mai uscire. Un giorno, però, poiché è troppo annoiato, decide di andare a vedere il mondo. Trascorsi tre giorni e passate tre notti, per nascondersi dai soldati Re Grasso che lo cercano ovunque, il principe annoiato si rifugia in casa di un uomo. Un soldato zoppo di nome John Watson.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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IV.



 
          Nel regno del Re Grasso (che grasso più non era) si sapeva sempre tutto di tutti e non c’era uomo o donna che non amasse il pettegolezzo. Ciò che faceva più gola erano le notizie sulla famiglia reale e il principe era stato oggetto dei più succulenti sussurri. Ciò che in ogni chiacchiera non mancava mai di esserci erano critiche al comportamento dell’amato sovrano. Per me sta esagerando, ciarlavano le donne al lavatoio. Se vuole vivere non da principe, ha il diritto di farlo, tuonavano i contadini. Anche Mycroft sapeva di star sbagliando a comportarsi così: Sherlock era un uomo adulto. Era riuscito a cavarsela da solo un intero inverno, senza agi e comodità. Sherlock, nonostante il brutto carattere, doveva aver trovato la maniera giusta per farsi accettare tra la gente comune. E poi era sveglio, intelligente e aveva accanto un uomo perbene: un soldato del regno, un medico bravo e assennato. Oh, Mycroft ben conosceva John Watson. Aveva fatto svolgere delle indagini sul suo conto, era curioso di sapere cosa di lui avesse conquistato il suo irascibile fratellino. Perciò non dubitava che, grazie al soldato zoppo, il principe fosse riuscito a vivere degnamente. Ma a corte era diverso. La spia e tutti coloro che lo appoggiavano, erano già pronti ad approfittarsi della situazione in cui versava il sovrano, per favorire il nemico. Costoro erano disposti a tutto pur di avere un guadagno. Re Mycroft sospettava che fosse stato proprio uno di loro a riferire a Moriarty della maledizione che lo aveva colpito. E nonostante le ultime novità giunte dal fronte fossero rassicuranti, l’esercito non avrebbe retto ancora senza una valida guida. Qualora i soldati del nemico fossero riusciti a sfondare i confini, sia lui che Sherlock sarebbero stati in pericolo. Forse è meglio che non ci sia, ripeteva a se stesso. Avrebbe dovuto essere tanto saggio fin dal primo momento, non avrebbe dovuto cercarlo ma avere fiducia nelle sue capacità. Così facendo avrebbe mantenuto la salute e il suo regno sarebbe stato al sicuro. E invece si era ostinato a volerlo proteggere, ed era proprio per questo che si trovava in quell’orrenda situazione. Aveva disobbedito, ignorando l’avvertimento datogli dagli stivali incantati. Era andato a cercare il principe, spingendosi ben oltre i villaggi vicini. Aveva cavalcato in lungo e in largo per molti mesi, ignorando il malessere che iniziava a crescere. Tentare di non crollare non era servito a niente poiché contrastare la maledizione era praticamente impossibile. I sintomi erano nati pian piano: aveva cominciato col mangiare poco e a dormire quasi per niente, poi erano arrivate la magrezza, l’apatia e infine anche dolori di stomaco e mal di testa. Se ne stava tutto il giorno a letto a poltrire, certi giorni neanche riusciva a tirarsi a sedere. I medici di corte, che non avevano mai visto nulla di simile, avevano mandato a chiamare un dottore molto esperto. Un moro che padroneggiava le arti magiche e aveva potenti erbe curative. Costui purtroppo non era mai giunto a palazzo. E più i giorni passavano, più il re diventava debole. Presto sarebbe giunta la morte. Non era spaventato dal tragico destino che gli era toccato. La morte faceva parte della vita, lo aveva imparato quando era nato Sherlock. No, lui si sentiva semplicemente molto triste. Non avrebbe potuto salutare il fratello prima di andarsene e neppure passare a lui i sigilli del potere, istruendolo sul da farsi. Che ne sarà del regno? Si chiedeva spesso, lasciandosi andare profondi sospiri. Senza un sovrano, il trono sarebbe stato in balia degli avidi dignitari di corte. Era tutto finito, ripeteva a se stesso prima di chiudere gli occhi e seppellirsi sotto le coperte.
 

          L’umore del re si risollevò soltanto in un mattino di primavera. La servitù aveva già spalancato le finestre, permettendo ai raggi solari e a una brezza invitante di solleticargli i sensi. Non che sole e aria buona avessero la capacità di guarirlo, ma si sentiva stranamente più in forze. Si era addirittura svegliato con della voglia di dolce e stava giusto per chiamare il suo servo personale, quando un ticchettio giunse alle sue orecchie. Capì subito di cosa si trattava. Aveva fatto portar via ogni altro orologio dalle sue stanze, proprio per controllare la pendola incantata. Non può essere che lei, pensò alzandosi dal letto con uno scatto e correndo in direzione del camino.
«Funziona!» aveva esclamato, felice, mentre saltellava come fosse stato un bambino. Si era però dimenticato della maledizione e infatti, subito dopo, crollò esausto sul sofà. Quella maledizione lo fiaccava tanto, che faticava persino a camminare. Adesso, però, non importava più. Aveva una ragione in più per resistere alla morte. D’altronde gli stivali erano stati chiari: riprenderà a funzionare quando lui deciderà di tornare. Da quel momento in avanti, Mycroft aveva iniziato a contare i giorni e a domandare, ogni sera, se ci fossero notizie del principe. E più passava il tempo, più lui si spazientiva. Da quel giorno ne erano trascorsi quindici e il re, quel mattino, aveva trovato la forza di alzarsi e fare alcuni passi per la stanza. Impaziente, guardò fuori dalle finestre ma senza riuscire a godersi le bellezze del giardino.
«Vostra maestà.» Uno dei suoi servitori aveva bussato alla porta, prima di entrare nella stanza. In un primo momento aveva abbassato il capo in segno di rispetto, ora invece lo guardava con titubanza.
«Cosa succede?» domandò il sovrano in risposta. Non si era voltato e ancora seguitava a guardare avanti a sé. Il servo era entrato di corsa, evidentemente trafelato e fremeva dal dirgli qualcosa di importante. Che fosse accaduta una disgrazia? Che Re Moriarty avesse invaso il regno?
«Il principe Sherlock è qui» disse, ancora affannato mentre il re si voltava con uno scatto. «Poco fa è giunto alle porte del castello, dice che è tornato per vedervi.»
«Fatelo entrare dunque» ordinò Mycroft, chiedendo al servo di portargli la vestaglia più pregiata che aveva. «E che nessuno ci disturbi» disse, inoltre, dopo che questi lo ebbe aiutato a vestirsi.
«Vostra Maestà, il principe non è solo.»
«Ma sì, certamente» annuì, ricordandosi soltanto in quei frangenti del soldato. «John Watson è con lui.»
«Non conosco il suo nome, ma alle guardie ha detto che si tratta del suo futuro sposo e che è un medico.»
«C’è nient’altro che dovrei sapere?» domandò, infine, sedendosi sul sofà.
«Con loro c’è anche una donna: una certa Madama Hudson. Il principe ha detto che costei ha dei poteri magici.» Mycroft non fece però in tempo a domandarsi chi fosse quella misteriosa strega, perché proprio allora il principe spalancò le porte della grande camera.
«Fratello mio!» esclamò, camminando in sua direzione. Finalmente era tornato.
 
 
          Sherlock aveva pensato molto al momento in cui avrebbe rivisto il suo re. Quando però si ritrovò al suo cospetto, dopo mesi di lontananza, lo stupore lo lasciò attonito. Non credeva che fosse tanto grave. Era così magro, ancora più pallido di quanto non ricordasse, aveva guance scavate e segni scuri sotto gli occhi che marcavano il viso in maniera malsana. Sta male per davvero, si disse mentre rallentava il passo sino a fermarsi del tutto. Quale malattia poteva averlo ridotto in un simile stato? Pareva un morto, di certo era molto diverso dal fratello che ricordava. Rubicondo e grassoccio.
«Che ti prende? Non riconosci più tuo fratello?» domandò il sovrano, tentando malamente di risollevarsi da dove stava seduto. Era ancora più debole e l’impressione di sentirsi meglio si era dissolta.
«Sei molto dimagrito» azzardò il principe, avanzando con una timidezza che non gli apparteneva. Rischiava davvero la morte? A guardarlo sembrava di sì. John e Madama Hudson sarebbero stati in grado di guarirlo? Sherlock confidava nelle capacità di due delle persone più importanti della sua vita, ma adesso tutta la fiducia in loro stava svanendo. E se quel male fosse un qualcosa di incurabile? Tra tante domande, però, una sola certezza si fece largo in lui: «Si tratta dell’Incantatrice, non è vero?» gli chiese, mentre il malato sovrano annuiva. «Quando l’ho saputo ho sospettato che c’entrasse lei, ma ora che ti vedo ne ho una conferma. Dimmi cos’è successo? E poi riferirai le stesse parole a Madama Hudson, lei è una strega e ti potrà certamente aiutare.»
«Se sono in queste condizioni è soltanto colpa mia» annuì il re, mesto. «Vedi, un mattino di molti mesi fa ho trovato un paio di tuoi stivali ai piedi del letto.»
«Ce li misi io stesso.» Ricordava perfettamente la notte in cui si era intrufolato nel castello. Aveva tentato di convincere John che la malattia di Mycroft non era lo scotto da pagare per la loro libertà, ma adesso non ne era più sicuro.
«L’Incantatrice mi aveva detto di venir qui» spiegò il principe «togliere gli stivali e lasciarli a te. Erano stregati.»
«Pensa al mio stupore quando, svegliandomi, li ho sentiti palare. Ho creduto d’essere impazzito. Però sono stati loro ad avermi detto cos’avevi fatto. Mi hanno riferito che eri in buona salute, che avevi trovato un bravo giovane ed eri ormai lontano da qui. Mi hanno anche avvertito di non cercarti. Se l’avessi fatto, una maledizione si sarebbe abbattuta su di me. E così è stato. Io non avrei dovuto disobbedire. Dovevo arrendermi al tuo desiderio d’essere libero. Ma sappi, Sherlock, che tutto ciò che ho fatto è stato soltanto per proteggerti da questa corte di serpi velenose. C’è un traditore tra loro. In molti lo seguono ciecamente, credono a tutto ciò che costui ha da raccontare. La sua influenza è molto più forte della mia, li ha convinti che eri un mostro pericoloso e che dovevano ucciderti. E ci hanno provato molte volte, se non ti avessi nascosto in quell’ala del castello saresti certamente morto. Io non potevo permettere che ti facessero del male.» Mentre diceva quelle parole, il re ripensò al giorno lontano in cui gli avevano detto che il principe era caduto dal ramo di un albero. Era stata una fatalità, nessuna strana macchinazione. Allora però si era reso conto di non potersi fidare di nessuno, suo fratello sarebbe stato in pericolo ovunque. Ora però e dopo così tanti anni, capiva di aver tarpato le ali a una fiera meravigliosa. Se ne rese conto in quegli istanti. Sherlock era lì davanti a lui, sicuro di sé, maturo e felice con la persona che amava accanto. Non avrebbe potuto trattenerlo di nuovo, il sovrano ben lo sapeva.
«I miei piani per te erano diversi» riprese a parlare, quasi vergognandosi di aver progettato la sua vita senza domandargli il permesso. «Avresti dovuto sposarti con la principessa Molly e dare a questo regno degli eredi. Ma tu hai scelto di costruire una tua vita e forse… forse è stato meglio così. Se quel John Watson ti dà ciò di cui hai bisogno, allora hai compiuto una scelta saggia.» Lo disse con aria stanca, ma ben sicuro di quanto stava facendo. Lo avrebbe lasciato libero, senza mandare soldati a cercarlo. Non gli stava chiedendo di prendere il suo posto, ma di decidere a seconda di ciò che gli diceva il cuore. Dentro di sé, il re comunque sperò che il principe cambiasse idea.
 

          Dopo che Re Mycroft aveva concluso quel suo discorso, il principe rimase per molti minuti immobile dove stava. Soltanto dopo che John ebbe tossicchiato, Sherlock avanzò in direzione del re. Era stato troppo impegnato a studiare e a fare esperimenti, e non si era mai interrogato sul perché Mycroft lo avesse costretto a una vita da rinchiuso, nemmeno quando, da adulto, era scappato per poter vedere il mondo. Ma il re aveva sbagliato a portare quel peso da solo, e se c’era qualcosa che il principe Sherlock odiava era essere sottovalutato da suo fratello.
«Non hai fatto altro che raccontarmi delle bugie, Mycroft. Però grazie per esserti preso cura di me. L’hai fatto nel modo peggiore, ma non mi aspettavo niente di meglio da un idiota. E comunque puoi stare tranquillo, ho già un piano per il tuo traditore.»
«Fratello» sussurrò il re, affaticato. Aveva un debole sorriso sul volto che gli colorava appena le espressioni. Era felice e allo stesso tempo preoccupato, ma era fiero che Sherlock avesse deciso di aiutare il regno in difficoltà. «E dimmi, non rimpiangerai il mondo là fuori?»
«Beh, io…»
«Raccontami com’è, io temevo ti deludesse e che la realtà fosse inferiore alle tue aspettative.»
«Oh, invece è meraviglioso! Dovresti vederlo tu stesso. Sono tutti così… così idioti. Ma non tutti quanti, eh. E poi ci sono moltissime cose interessanti: animali, insetti ed erbe velenose. È stupendo.» Nel sentirlo parlare a quel modo, Re Mycroft sorrise con maggior forza. Aveva ritrovato il bimbo di un tempo. Lo stesso che gli portava bestioline orripilanti e che correva per i corridoi, contento d’aver trovato una nuova pianta da catalogare. Non era mai cambiato, si era solo spento come la fiamma di una candela in balia del vento. E la colpa era soltanto sua. John Watson invece era riuscito a riaccenderne l’entusiasmo e ad alimentare il fuoco che aveva dentro. Lo stesso medico che, timido, adesso si teneva in disparte.
 

          Il soldato zoppo dava di sé l’impressione di una persona che non era mai stata al cospetto di un sovrano, come un qualsiasi altro membro dei ceti bassi del popolo. Eppure le sue espressioni dicevano ben altro, a buona ragione. Si era reso conto soltanto in quel momento che il suo amato era un principe. Non che non lo avesse compreso anche prima, anzi, diavolo se lo sapeva! Ma nella vita di tutti i giorni che conducevano degnamente al villaggio di Baker, erano più le volte in cui ordinava a Sherlock di fare qualcosa, che quelle in cui realizzava di star parlando a un membro della famiglia reale il quale, ipoteticamente, avrebbe anche potuto farlo arrestare o impiccare. Ad ogni modo lo aveva seguito fin dentro alle stanze del sovrano e ora se ne stava in disparte e in silenzio. Ben attento a quanto i due fratelli avevano da dirsi, studiava al contempo la malattia del re. Dev’essere un qualcosa di potente, si ritrovò a pensare a un certo momento. Poi però, Sherlock prese a parlare e le sue riflessioni morirono lì.
«Forse non sarei mai tornato. Io e John abbiamo vissuto nel villaggio di Baker, a due settimane di cammino da qui. Avevamo delle stanze nella casa di Madama Hudson, erano modeste, ma ce la siamo cavata egregiamente. Sai, lui è un medico e io… anch’io facevo qualcosa. Aiutavo le persone, ero un consulente.»
«Un consulente di chi?»
«Di chi ne aveva bisogno» rispose il principe, orgoglioso del mestiere che si era inventato. «Ho fatto arrestare dei criminali, canaglie che altrimenti sarebbero sfuggite alla giustizia. Ho aiutato le persone e sai, credo di esserci portato. Lo dice anche John! Lui è… Ah, lo devi conoscere, è l’uomo migliore del mondo, il più saggio e di certo anche il più bello. John, vieni qui.» Fu a quel punto che il soldato zoppo si fece avanti. Aveva modi ritrosi, si era inchinato profondamente al cospetto del re e si mordeva le labbra come se non sapesse bene cosa dire.
«Vostra Maestà» disse, impacciato, prima di sollevare lo sguardo su Sherlock. Lui odiava i formalismi e il fatto che John fosse così impettito, lo faceva proprio ridere. «Mi chiamo Watson e un tempo sono stato un vostro soldato. Dopo aver riportato alcune ferite sono stato congedato e ora svolgo la professione di medico. Voglio che sappiate che ho protetto vostro fratello al meglio che ho potuto. Per lui darei la mia vita, sacrificherei il mio amore pur di vederlo felice.»
«Non ne dubito» mormorò il re, sempre più fiacco «so tutto di te, John Hamish Watson e…» In quel momento però, il sovrano cadde svenuto. A stento le braccia del principe riuscirono a sorreggerlo.
«Chiamate Madama Hudson» urlò a un servitore giunto di corsa. «Chiamatela subito.»
 
              
          Le maledizioni erano brutte e Madama Hudson ben lo sapeva. Aveva aiutato molte persone a liberarsene e un paio ne aveva mandate anche lei, a suo marito. Era passato molto tempo da allora, ma ricordava di non essere molto brava a lanciare stregonerie. Era decisamente più capace a scioglierle, però. Quella che aveva colpito il re era di certo la peggiore che avesse mai visto. Il sovrano non era soltanto circondato dall’oscurità della magia nera, era anche fiaccato nel corpo e nella mente. Non aveva più molto tempo da vivere, se non avesse fatto subito qualcosa sarebbe morto presto. E lei non poteva permettere che quella fattucchiera da due soldi la battesse. Non si era mai sentito che Madama Hudson fosse meno capace dell’Incantatrice. Quella si vantava tanto solo perché aveva una casa che posava su zampe di gallina, come se fosse una comodità lo spostarsi di continuo per il bosco incantato.
«Vostra Altezza, vi proibisco di morire. Andarvene per una stupida maledizione sarebbe la vergogna di un re» gli disse mentre iniziava a visitarlo e John, dal lato opposto del letto, dentro al quale Mycroft era stato adagiato, faceva altrettanto.
«Potete fare qualcosa?» domandò Sherlock, in apprensione.
«La magia dell’Incantatrice è molto potente, sarà difficile estirparla» annuì Madama Hudson con convinzione «ma forse, con l’aiuto di John e se combiniamo la sua medicina con la mia magia, potremmo guarirlo del tutto.»
«Sono d’accordo» annuì il soldato zoppo, mentre il principe offriva loro ogni comodità di quel ricco castello.
«Io ho bisogno delle mie erbe e dei miei medicamenti» enunciò John «le ho lasciate nelle bisacce della sella.»
«A me serve la cucina» disse invece Madama Hudson «devo preparare una pozione e necessito di alcuni ingredienti. Sono ingredienti comuni, non sarà difficile trovarli. Una cosa, però, forse sarà più complicata da trovare.»
«Di cosa si tratta?» chiese il principe, in apprensione. Avrebbe fatto qualunque cosa e speso qualsiasi cifra se fosse stato necessario.
«Mi serve un oggetto a lui molto caro, qualcosa da cui non si separa mai. Di affettivo. Le maledizioni sono legate allo spirito della persona, per contrastarle serve una grande passione, un amore profondo o sincero. Può essere di qualunque tipo, basta che il sentimento sia forte e onesto.» Sherlock rifletté su quelle parole per qualche istante. Mycroft non aveva passioni profonde e segrete. Non sapeva nulla nemmeno dei suoi divertimenti privati, neanche era certo che gli piacessero le donne o l’intimità in generale. Però era stato molto legato alla loro madre. Il principe non l’aveva mai conosciuta, era morta dandolo alla luce. Ma sapeva che suo fratello aveva conservato diversi oggetti come la pendola sopra al camino e un anello. Lo stesso che portava al collo, appeso a una catenina. Da quello non se ne separava mai e non l’avrebbe lasciato per niente al mondo.
«Tenete» disse, recuperando il piccolo oggetto «questo è il ricordo più caro che ha, era di nostra madre. Tu» disse quindi al servo, con tono di comando «accompagna Madama Hudson nelle cucine e fai in modo che abbia tutto ciò che le serve, poi vai alle scuderie e prendi le bisacce del dottor Watson e portale qui. John, puoi restare tu con lui?»
«Certamente» annuì il soldato zoppo «tu che farai?»
«Nella sala del trono, è tempo che la famiglia reale riprenda in mano la situazione.» E una volta che ebbe detto questo uscì dalla stanza. Suo fratello era nelle mani migliori che potesse trovare, sperava che riuscissero a salvarlo, ma se così non fosse stato avrebbe preso lui il suo posto. Doveva far capire alla corte di essere degno di governare e che sarebbe stato capace di scacciare i nemici. Non aveva esperienza in fatto di tattica militare, ma quel che sapeva su Moriarty e sul traditore gli sarebbe certamente bastato.
 
 
          Le convinzioni di Mycroft sulla spia si erano rivelate corrette. A Sherlock ne fu chiara l’identità non appena ebbe varcato la soglia della sala del trono. I nobili stavano discutendo sul da farsi e la conversazione pareva concitata. Tra la malattia del sovrano e Re Moriarty che premeva ai confini del nord, a palazzo urgeva una presa di posizione. Avevano tardato fin troppo e non potevano permettersi ulteriori indugi. Il principe non impiegò molto a capire che, tra di loro, c’era forte spaccatura. Da un lato, i fedeli di Sua Maestà sostenevano che avrebbero dovuto mandare l’esercito così da far capire al nemico che il regno era ancora forte. Il più accanito sostenitore di quella fazione era indubbiamente Lord Lestrade, capitano della guardia reale e il più vicino al sovrano. Un’idea non poi tanto sciocca, rifletté Sherlock mentre si decideva a camminare tra loro a testa alta. Appena lo avevano visto, infatti, il silenzio era sceso sulla sala del trono. Tutti lo guardavano. Fingendo di ignorarli, Sherlock riuscì a leggere il disprezzo sui volti di chi si sarebbe opposto con forza a una sua presa di potere. Costoro erano quelli che credevano alle dicerie sulla sua fragilità mentale. Oh, adesso sapeva cosa dicevano di lui e rimpiangeva quel tempo in cui, preso dai suoi studi, ignorava quanto male potesse fare l’opinione delle altre persone. Ma il principe annoiato, anche se a fatica, aveva imparato a non temere più nessuno e smise semplicemente di preoccuparsene.
 

          «Non diciamo idiozie.» Con queste esatte parole il principe rispose all’ennesimo “no” pronunciato da uno dei membri della corte. Il quale sosteneva con arroganza che, per quanto mosso da nobili sentimenti, il principe non fosse nelle condizioni più adatte per prendere delle decisioni.
«Non diciamo idiozie. Il solo motivo per cui lor signori non si fidano» esordì Sherlock, con tono vagamente scherzoso «è perché mi credete un pazzo.» Avrebbe voluto urlare e far capire a tutti quanto lo avessero ferito con le malelingue. Ma non lo fece perché non sarebbe servito a nulla, anzi, avrebbe dato la conferma che non era la persona più adatta a prendere delle decisioni importanti. Perciò non aveva gridato, al contrario aveva mantenuto un tono pacato e una postura ferma e decisa. La capacità di convincere gli altri a fare ciò che desiderava non era consolidata come quella di Mycroft, ma sentiva comunque di avere una qualche abilità. D’altronde, non aveva convinto John ad amarlo? No, non era andata esattamente così, ma in quel momento gli piacque pensare di riuscire ad avere un po’ d’ascendente sulle persone. E poi aveva la ragione dalla propria parte.
«So che molti di voi credono a mio fratello e che, per questo motivo, daranno credito anche alle mie parole. Bene, sappiate che con questo discorso mi rivolgo a coloro le cui menti sono state influenzate da male parole. Falsità instillate appositamente per mettervi contro la famiglia reale. Siete stati indotti a credere una verità modificata, vi è stato detto che il re mi aveva nascosto perché si vergognava di me e voi avete creduto che fosse così perché, come sappiamo tutti, per mio fratello era importante che io restassi in un’ala segreta del castello. Non sono pazzo e come potete vedere non sono nemmeno deforme ed è buffo pensare che la colpa è soltanto vostra. Mi volevate uccidere e più volte ci avete tentato, anche se inutilmente. Volete sapere i motivi? A me paiono ovvi, ma dato che siamo qui a parlare… Se fossi morto prima di dare a questa famiglia un erede, qualcuno tra voi avrebbe avuto la strada spianata verso il trono. Incontrare i favori di un re dilaniato dal dolore per la perdita del fratello prediletto, sarebbe stato troppo facile. Conosco Mycroft, ciò che desidera è unicamente il bene del regno. Avrebbe senz’altro indicato un suo successore, e chi meglio di colui che gli era stato tanto vicino in un momento di dolore? Un piano subdolo e molto ben congegnato, ma che non ha funzionato. E sapete perché? Perché un giorno ho incontrato John Watson e ho chiesto l’aiuto dell’Incantatrice. Lei era la variabile che il nostro traditore non ha saputo prevedere. E infatti ha perso.»
 

          Appena ebbe finito di parlare, un vociare aveva preso a serpeggiare tra i nobili presenti. La corte era agitata e nervosa, in molti si domandavano di chi stesse parlando, altri invece si rifiutavano di credere di essere stati manipolati in quel modo. Era più comodo pensare che il fratello del re fosse un povero malato di mente, che ammettere d’essere degli idioti, aveva pensato Sherlock. Egli se ne stava seduto sul suo trono e sorrideva soddisfatto. Aveva preso posto accanto a dove avrebbe dovuto sedere il re e, per la prima volta da che era venuto al mondo, si sentiva orgoglioso d’essere un principe. Stava giusto pensando che sedere su un trono fosse meraviglioso, quando il parlottio dei nobili si fece più insistente. A quel punto si levò con uno scatto. Doveva far capire chi era al comando o si sarebbero rivoltati contro di lui.
«Questo è falso!» tuonò Lord Lestrade, facendosi largo sino a giungere al suo cospetto. Era scandalizzato e vivacemente arrabbiato. Sherlock poté sentire il vigore nella forza delle sue parole e uno sguardo fiero e nobile. Se tutti fossero come lui, pensò, questo regno non sarebbe infestato di traditori. «La corte ha molta stima del re e anche di voi, principe. Nessuno desidera la vostra morte, né qualcuno ha tentato mai di uccidervi.»
«Ciò che è stato detto è un’indecenza» tuonò invece il Duca di Trevor, accigliato * «e, a mio avviso, conferma quel che tutti già sapevamo: voi siete pazzo e vostro fratello ha fatto più che bene a rinchiudervi.»
«Io so quel che dico» enunciò invece Sherlock, ghignando appena. Era certo che quell’uomo dicesse il vero e che, in una qualche maniera, fosse in buona fede. E qui stava il punto. Erano assolutamente convinti di essere nel giusto e di fare il bene del regno. Erano stati abilmente manipolati e lui avrebbe dovuto portare prove solide a suo favore. Per fortuna ce n’erano fin troppe.
«Lord Lestrade, Duca di Trevor, amici fidati di Sua Maestà Re Mycroft» disse rivolgendosi a ogni nobile presente in quella sala. Li guardò tutti quanti negli occhi, uno dopo l’altro catturò le loro attenzioni. Sherlock ebbe la sensazione che pendessero dalle sue labbra e che, nonostante l’odio, non potessero fare a meno di starlo a sentire. Mycroft avrebbe detto che Sherlock, il quale somigliava tantissimo alla loro madre, ne aveva ereditato il tutto il fascino.
«Sono certo del buon cuore di molti di voi, ma non tutti qui sono dei leali sudditi. Poco fa ho avuto un colloquio con mio fratello il quale, affinché lo sappiate, sta venendo curato dalle abili mani di un guaritore e da quelle di una strega. Ma di questo ne parleremo in un secondo momento. Ora è necessario che vi dica alcune cose» fece una brevissima pausa, dopodiché inspirò profondamente quasi tentasse di infondersi il coraggio necessario. Aveva già fatto cose del genere, ma un conto era parlare a un soldato idiota o a un giudice di una zona remota del regno, ben altro era il dire tutto quello davanti a una corte di serpi velenose.
«Il re è fin troppo protettivo nei miei confronti e non era d’accordo con la mia decisione di lasciare il castello, ma entrambi siano convinti di un fatto: c’è una spia di Re Moriarty tra le mura del palazzo e questo traditore si trova proprio qui con noi, adesso.»
«Di chi si tratta?» chiese Lord Dimmock, il quale aveva iniziato a guardarsi attorno con sospetto. Che un pugnale fosse pronto nella sua schiena? Si domandò.
«Lo dite voi, Lord Moran? Oppure posso pensarci io, se preferite.» Fu allora che tutti si voltarono verso il fondo della sala, là un uomo molto alto e dai folti capelli rossicci, se ne stava appoggiato al muro e sorrideva mellifluo.
«E io che credevo che quell’idiota di vostro fratello fosse nelle mie mani» borbottò costui.
«Principe»lo additò invece Lord Lestrade «vi rendete conto che quella che avete mosso è un’accusa molto grave? Se non avete prove di ciò che state dicendo, vi pregherei di porgere le vostre scuse.» Non si stupiva di una tanto accorata difesa, Lord Moran era tenuto molto in considerazione a corte. Faceva parte di una delle famiglie più in vista di tutto il regno, era cresciuto insieme a Mycroft e ne era diventato un amico.
«Mi rendo perfettamente conto della gravità della situazione, mio buon Lestrade e so di essere nel giusto» enunciò con fare solenne. «Egli mantiene contatti con Re Moriarty e io credo che lo faccia da molti anni, gli passa informazioni sul nostro esercito e sulla famiglia reale. Le prove le avete davanti al vostro naso e nemmeno ve ne accorgete. Per prima cosa: una volta al mese riceve una lettera dal suo alleato, non siglata con i sigilli reali, ovviamente. E dopo averla letta la brucia. Vi chiederete come faccio a saperlo. Ci sono dei segni nerastri sulle dita delle sue mani, li ho visti prima. E se ciò non dovesse convincervi c’è della cenere sul polsino della camicia: ne ha bruciata una prima di venire qui. Voi direte che potrebbe essersi sporcato per sbaglio, ma quanti di voi hanno a che fare con faccende che toccherebbero a dei servi? Di certo non un nobile tanto illustre come il nostro Lord Moran. Ma non è questo il segno più evidente, direi che la prova lampante sta nell’anello che porta al dito. È stato cesellato con una pietra molto particolare che si chiama ametista. Viene estratta in diverse zone del mondo, tra cui il regno di Boris, lo Zar di tutte le Russie al quale Re Moriarty ha fatto visita diversi anni fa. Hanno stretto una solida alleanza e scommetto che quella pietra era un dono dello zar in persona. ** Ma il nostro generosissimo Moriarty non ha voluto tenerla per sé. L’ha invece donata al proprio amante. Dico bene? È venendo a letto con voi che quel demonio vi ha convinto a tradire il vostro re, il vostro più caro amico? Avete rinnegato tutto, la famiglia, i valori che vi sono stati insegnati e tutto per che cosa? Per del potere? Banale.»
«E che pensate di fare, arrestarmi? Ho amici in tutto il vostro stupido regno, l’Incantatrice è mia alleata. Sarò libero prima che voi possiate rendervene conto.»
«Oh, ma io non ho nessuna intenzione di farvi arrestare» enunciò il principe mentre il parlottio diventava ancora più insistente. Alcuni pretendevano la sua testa, altri che venisse impiccato seduta stante. «Non accadrà nulla di tutto questo, al contrario il suo ruolo ora diventerà vitale. Lord Sebastian Moran verrà scortato sino ai confini, andrete da Re Moriarty e gli direte che i suoi piani per invaderci sono falliti. Gli direte anche che il principe Sherlock è tornato al castello e che governerà mentre Re Mycroft viene curato. Inoltre farete sapere che il regno degli Holmes è ora protetto dalla magia di una strega più potente dell’Incantatrice e, se ciò non lo convincerà, dovrà affrontare il nostro esercito.» A quel punto si diresse verso un tavolo sopra al quale erano accatastate mappe e carte di varia natura. Ne prese una che faceva al caso suo e si mise a cercare il luogo che aveva in mente.
«Le cascate di Reichenbach, chiamate in questo modo per via di un duca prussiano che portava quel nome. Lo sfortunato si gettò da lì dopo che Re Moriarty lo aveva tradito e spinto a rivoltarsi contro suo padre. Si tratta di una storia penosa, che da quelle parti conoscono molto bene. Chiedete a Madama Hudson, lei saprà raccontarvela meglio di quanto non possa fare io.» Aveva indicato il punto sulla mappa e molti dei dignitari lo avevano raggiunto e avevano preso ad ascoltarlo con interesse. «Sono un luogo suggestivo, io e John le abbiamo visitate mentre vivevamo al villaggio di Baker. Il nostro esercito si apposterà in questo punto. Qui c’è una vallata molto ampia.»
«Ma Altezza Reale» lamentò Lord Dimmock, preoccupato da quella che sembrava essere una scelta infelice «in una vallata come quella non avremo vie di fuga, se le cose dovessero mettersi male saremmo spacciati.»
«Sbagliate!» tuonò il principe, sicuro di quanto stava dicendo «ce ne sono diverse che passano attraverso le montagne. Certo sarebbe impegnativo e patiremmo il freddo, ma saremmo salvi. Istruirei i generali io stesso sui percorsi da seguire. Non temete, Lord Dimmock, sono sufficientemente sano d’aver pensato a tutto.» In risposta a una così chiara spiegazione, costui chinò il capo in segno di rispetto. A fronte di quel gesto Sherlock si ritrovò a sorridere, li aveva in pugno.
«Come potete essere sicuro che Re Moriarty passerà proprio da lì?» domandò invece il Duca di Trevor «ci sono tanti altri valichi ai confini col suo regno.»
«Avete indubbiamente ragione, ma dubito che lo farà. Re Moriarty è un abile stratega militare, però pecca d’impazienza. Lui vuole invaderci ora e poi se decidesse per uno qualsiasi degli altri passaggi userebbe l’estate per raggiungerli. A quel punto gli toccherebbe affrontare le montagne con l’inverno, cosa che gli sconsiglio vivamente di fare se desidera non perdere metà dei propri uomini. No, amici miei, quello è l’unico passo favorevole. Fidatevi delle parole del vostro principe.» E una volta che ebbe detto questo tornò a sedersi sul suo trono. Aveva vinto.
 
 
          I Lord fecero presto a convincersi delle cattive intenzioni di Lord Moran e, scandalizzati, si ritrovarono a fare ammenda per il proprio comportamento. Sostenevano di essere stati raggirati, ma che avevano sempre agito per il bene del reame e del sovrano. Dal canto proprio, Sherlock si ritrovò a ringraziare tanta codardia. Portarli dalla loro parte era stato più facile del previsto, non dubitava che Moran non avesse fatto alcuna fatica a manipolarli. A persuaderli però, oltre alla prospettiva di perdere tutti loro averi, c’era adesso anche il timore di finire nelle prigioni del castello (per non dire impiccati). Il principe compatì la loro superficialità e sapeva che avrebbero meritato una sonora punizione, ma non fece nulla. Una simile decisione spettava a suo fratello. Perciò non disse niente, preferì mostrarsi comprensivo e rimandare simili questioni a quando il re si sarebbe ripreso. Il che, per sua somma gioia, accadde qualche giorno più tardi. Gli impegni di palazzo e le faccende da sbrigare in vece del sovrano, lo obbligavano a rimanere lontano. Ma non c’era notte che non trascorresse al suo capezzale. Accanto, come sempre, il suo soldato zoppo. John aveva cercato di rassicurare come meglio poteva il principe, il quale evitava di nutrirsi e riposare adeguatamente.
«Devi dormire, Sherlock e mangiare come si deve» lo rimproverò una sera, poiché preoccupato. Era appena entrato nella stanza del re dopo una giornata trascorsa a sbrigare certe scartoffie ed era evidentemente stanco. Aveva il viso pallido e profonde occhiaie sotto gli occhi.
«Non vorrai finire come lui.»
«Mio fratello è stato maledetto, John. Io non ho semplicemente fame e, come ben sai, dormo molto poco. Le tue raccomandazioni non hanno senso d’esistere.» Il soldato zoppo sapeva che si trattava di una causa persa, eppure continuava a insistere. Delle volte prendeva anche personali provvedimenti. Quella notte per esempio, era riuscito a riportarlo nel suo letto e a farlo dormire adeguatamente, anche grazie a una certa pozione soporifera di Madama Hudson. Tutte le mattine, poi, gli faceva preparare una colazione sostanziosa e faceva in modo che finisse ogni pietanza nel piatto. Tutto questo andò avanti per tre lunghissimi giorni. Tre giorni durante i quali lui e Madama Hudson avevano fatto l’impossibile. Il re assumeva una pozione magica e John gli preparava degli speciali medicamenti. In un primo momento, non vedendo miglioramenti, avevano temuto per il peggio. Ma al mattino del quarto giorno si resero conto che la cura stava facendo effetto. Era appena sorta l’alba quando John oltrepassò la soglia delle stanze reali, trovando Re Mycroft sveglio e già occupato nel suo lavoro. Certo era ancora steso a letto, ma si era fatto portare delle carte che stava leggendo.
«Avrete ripreso un bel colorito, Vostra Maestà» gli disse, prima di avvicinarsi e prendere a visitare il paziente.
«Ma bene» rispose il sovrano, mellifluo «il famoso John Watson, l’uomo che ha salvato prima mio fratello e poi anche me. Ho un grande debito con voi, dottore, come posso contraccambiare alla grazia che mi avete fatto?»
«Volete che sia sincero?» chiese John. Non era abituato a indugiare sulla verità e, sebbene fosse un sovrano, aveva giusto un paio di cosette da dirgli. Si portava nel cuore certe parole fin dal giorno in cui aveva incontrato Sherlock e aveva capito chi fosse in realtà. Venire a conoscenza della vita che quel bellissimo e intelligentissimo ragazzo aveva fatto, gli aveva spezzato il cuore. Non gliene importava nulla che fosse sbagliato, voleva che Mycroft non facesse di nuovo lo stesso errore perché questa volta il principe ne sarebbe morto.
«Ma naturalmente.»
«Bene» mormorò, aveva stretto i pugni e inspirato così da cercare un po’ di coraggio. Pareva pronto per una guerra e, forse, una battaglia, lo era per davvero. «Volete davvero ricambiare? Beh, allora permettete a Sherlock di fare qualcosa. Lui ha così tanto da dare agli altri… sono certo che sarebbe di grande utilità per tutti. Ha un’intelligenza che se non avessi visto con i miei occhi ciò che è in grado di fare, stenterei a crederci. A Baker aveva avviato un’attività, qui potrebbe fare la stessa cosa. Sono sicuro che sarebbe sprecato se rinchiuso in una stanza a far nulla.»
«Siete davvero innamorato di lui, John» osservò il re, pacato. Aveva sollevato lo sguardo dalle proprie carte e ora guardava negli occhi quel bel soldato zoppo.
«Lo sono moltissimo e tanto che… Insomma, se volete che si sposi con una qualche principessa e dia a questo regno degli eredi, allora dovrete giurarmi che sarà felice con la donna che sceglierete per lui. Se così mi assicurerete io mi farò da parte e non avrò obiezioni. Ma se non potete giurarmi una cosa simile, io vi dico che ve lo porterò via, Mycroft. E non importa di chi accidenti voi siate, se il re o la regina del mondo. Tutto ciò che conta per me è Sherlock e lo proteggerò anche a costo della vita.» Appena ebbe finito di parlare, non levò gli occhi dai suoi. Era fiero di quanto aveva detto e ora poteva anche farlo arrestare. Sarebbe finito in prigione per una giusta causa. Era stato sfrontato e troppo sfacciato, come suo solito non era riuscito a trattenersi dal dire la propria. Sebbene sapesse che Mycroft non era un tiranno e che era severo e giusto, negli istanti che seguirono si ritrovò a domandarsi se non l’avrebbe fatto sbattere fuori da lì immediatamente. Non poteva di certo dare ordini a un re, eppure il soldato zoppo l’aveva proprio fatto.
«Adesso capisco perché gli piacete così tanto» disse, con tono mellifluo mentre chiedeva di aiutarlo a sistemarsi meglio a sedere. «Non temete, mio buon dottore, ho intenzione di fare di lui il consulente di questo regno e sono più che certo che sarà perfetto per il ruolo che ho pensato.»
«E per gli eredi? Come farete a dare eredi alla vostra dinastia?»
«Oh, presumo che dovrò essere io a farmi coraggio. È giunto il momento di prendere moglie.»
«Non c’è forse una certa Regina Ann Thea che attende una tua proposta, fratello? Quella povera donna non sa che destino le spetta, a fianco di un pomposo idiota come te. Dovrei scriverle e metterla in guardia» scherzò invece Sherlock, il quale era intervenuto nella conversazione giusto in quel momento.
«Avvierò i trattati al più presto e ora se foste così gentili da farmi portare da mangiare, ve ne sarei immensamente grato.» John rise di gusto di fronte all’espressione disgustata del proprio amato, il quale si era espresso in una filippica circa il fatto che non volesse sapere di Mycroft che faceva bambini. Era stato con aria scandalizzata che poco più tardi l’aveva trascinato via, fuori da quelle stanze. È andata bene, pensò Sherlock camminando a fianco del suo John.
 

          Dopo quel giorno, tutto andò come doveva. Sebastian Moran non mise più piede nel regno degli Holmes mentre Re Moriarty rinunciò all’offensiva, ritirando le truppe dai confini a nord. Il re si riprese completamente e, dopo qualche tempo, avviò i trattati con la Regina Ann. Il matrimonio venne celebrato in un bellissimo giorno di primavera e, due mesi più tardi, la sovrana annunciò di aspettare un bimbo. John era stato nominato medico di corte e la sua zoppia era scomparsa. Si era convinto che fosse stata Madama Hudson, ma costei gli aveva detto che l’amore sa guarire ogni cosa e da quel momento il buon dottore non era stato più sicuro di nulla. Il Principe Sherlock invece era diventato il consulente ufficiale del reame. Ogni mattina riceveva sudditi di ogni tipo, bottegai, contadini, sodati, persone provenienti fin dai luoghi più remoti. C’era sempre un problema da risolvere. Certo, non sempre erano misteri interessanti, molto spesso si trattava di questioni noiose, ma a Sherlock andava bene così. Anche perché aveva la giusta dose d’avventura mentre, nel pomeriggio, si richiudeva nella sua biblioteca a suonare e a fare esperimenti. John, ovviamente, gli era sempre accanto e il principe era felice proprio per questo. Sebbene di recente avesse iniziato a scrivere in maniera sdolcinata delle loro avventure, Sherlock lo amava lo stesso. Erano felici e ciò tanto gli bastava.
 

          Una sera, molto tempo dopo la guarigione del re, il principe non più annoiato se ne stava tra le braccia del suo soldato non più zoppo. La notte era già profonda e il freddo pungente dell’inverno era alle porte. Poco distante, un camino scoppiettante li riscaldava con il suo calore. Sopra di loro, stelle ricamate con maestria su un tessuto di broccato.
«A cosa pensi?» domandò John a un certo momento. Non aveva smesso di accarezzargli i capelli ricci o di baciarlo di tanto in tanto, però lo vedeva fin troppo distratto e voleva capirne le ragioni. Che un qualcuno dei suoi casi lo tenesse tanto impegnato?
«All’Incantatrice.»
«Mh, devo essere geloso?» gli rispose con aria di scherzo, pur restando drammaticamente serio. Non gli piaceva proprio quando pensava a quella donna. Era meglio se rimanevo zitto, pensò arrabbiato con la propria stupidità.
«Mi chiedevo se non ci abbia aiutati perché mossa da sentimenti sinceri.»
«Quella donna non è mossa da niente di sincero e di certo non ha voluto aiutarci, guarda cos’ha fatto a tuo fratello.»
«Ascolta il mio ragionamento» gli disse invece Sherlock, scivolando sopra il suo corpo e bloccandolo sotto di sé. Adesso non solo non aveva più argomenti con i quali ribattere, ma si trovava nella posizione di non potergli negare più nulla. Doveva soltanto starlo a sentire.
«Lord Moran era in combutta con Moriarty» spiegò il principe «hanno sempre cercato di farmi fuori usando il fatto che mio fratello era molto protettivo e hanno fatto circolare brutte voci sul mio conto. E scommetto che la prima guerra contro il suo regno, è stata scatenata proprio da Moran. Però a un certo momento la situazione, per loro, sembrava essersi fatta propizia: io ero fuggito e Mycroft era stato maledetto. L’Incantatrice deve aver raccontato tutto quanto, ma deve aver omesso la tua presenza nella mia vita oppure loro non devono aver dato troppa importanza al nostro amore. Io e te ci siamo dati coraggio a vicenda, John. Ci siamo supportati e tu mi hai spinto a tornare al castello. Lei ci ha dato una vita insieme e non era tenuta a farlo. Avrebbe potuto maledire Mycroft in qualsiasi momento oppure farci uccidere da una delle sue creature, e invece ci ha dato un cavallo parlante.»
«Intendi dire che voleva aiutarci? Non lo so, Sherlock, sembra essere una donna che più di tutto ama il proprio divertimento. Forse hai ragione tu e desiderava realmente vederci felici, magari nei suoi piani c’era il liberarsi di voi per poi avvantaggiare i suoi amici. O forse sono vere entrambe le cose. Credo che non lo sapremo mai.» Il soldato zoppo avrebbe voluto seriamente riflettere sulla teoria che Sherlock gli aveva sottoposto. Non si era mai fidato dell’Incantatrice e mai lo avrebbe fatto, tuttavia sentiva che non era poi così sbagliato domandarsi quale fosse stata la strategia di quella strega. D’altronde era una donna misteriosa e ambigua, non era mai chiaro che cosa pensasse, né quali fossero i suoi reali sentimenti per gli Holmes. D’altronde Moran la credeva amica sua e di Re Moriarty, eppure viveva in pace nel regno degli Holmes. Avrebbe voluto davvero pensarci, tuttavia non riuscì in nulla. Il suo principe annoiato aveva preso a baciarlo e non avrebbe più smesso. Da quel momento non ci pensò mai più e lui e Sherlock vissero per sempre felici e contenti.
 
 
 

Fine
 
 
 
 
*Non si riferisce tanto a Victor quanto a suo padre. Diciamo che volevo trovare uno un po’ stronzo, e ho optato per lui, dato che nei racconti non mi ha fatto una buona impressione.
**L’ametista viene estratto in alcune zone del mondo, tra cui la Russia. Ai tempi in cui è narrata la storia (ovvero i primi del ‘600), al potere c’era Boris, della dinastia dei Godunov.
 
 
Note: Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito questo esperimento. Ringrazio ovviamente Nirvana_04 per il supporto, le correzioni e ovviamente anche i consigli che mi ha dato e che mi sono serviti non solo per questa storia, ma per la mia crescita personale.
   
 
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