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Autore: FridaMooney98    17/10/2018    0 recensioni
Aron e Damian sono Cacciatori. Le loro prede, le Bestie della Luna, sono tanto importanti quanto rare e a loro hanno dedicato una missione che si protrae da secoli. Safiria è malata, indifesa e ferita e, per un triste gioco del destino, si ritroverà sulla loro strada. Attraverso il tempo e viaggiando per l'Europa, i Cacciatori e la ragazza dovranno scoprire cosa si cela dietro la maledizione delle Bestie della Luna. Dal testo: "Damian seguì con lo sguardo la luce del sole, che passando dai fori della tapparella si proiettava sul muro opposto in fasci lucenti. Bisognava coprirli meglio quella notte, subito dopo essere tornati dal giro di perlustrazione. Le “sensazioni” di Damian avevano condotto i Cacciatori in quel paesino, alla ricerca di un nuovo esemplare. Sperando nella buona riuscita dell’indagine, Damian e suo fratello sorrisero, i loro denti brillanti che luccicavano nell'ombra. Al tramonto, l’unico suono nella stanza era l’eco dei loro cuori che acceleravano accogliendo il buio."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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Morgan Hall rientrò velocemente in camera, chiudendosi la porta alle spalle. Sospirò, premendosi le dita sulle tempie. Il viso curato non rivelava i suoi cinquant’anni, solitamente: quella sera invece, li dimostrava tutti. Raggiunse il telefono poggiato sulla scrivania e compose quel numero che ormai conosceva a memoria. –Pronto?- La voce attenta e calma di Cloude lo raggelava ogni volta. Era sempre sveglio, anche quando lo chiamava a notte fonda. –Cloude, anche questa notte Safiria è stata fuori a lungo. Ho cronometrato, un’ora e ventitré minuti.- Lo sentì sospirare. –Questo pomeriggio ho installato una videocamera di sorveglianza dietro le tende della sua stanza. L’ho osservata uscire e rientrare.- Morgan raggelò: -I patti non erano questi… Non voglio che sia messa in gioco anche la sua privacy, non è affatto corretto.- -Signor Hall, lei mi ha chiesto di aiutarla a sorvegliare Safiria e visto che vostra figlia mi sta particolarmente a cuore, lo sto facendo nel modo più accurato possibile.- Morgan non poté contraddirlo. –Se davvero qualcuno sta comunicando con lei, non posso tralasciare l’ipotesi che ci siano i Cacciatori dietro tutto questo.- Quello che Morgan temeva di più stava accadendo? I Cacciatori gli avevano trovati? -E cosa possiamo fare per impedirgli di avvicinarsi ancora?- Cloude stette in silenzio per qualche minuto e nella stanza il tempo sembrò dilatarsi. Morgan sapeva cosa avrebbe voluto rispondere Cloude: portare Safiria lontano, nascosta e… Imprigionata. La sicurezza di sua figlia era la priorità dopotutto, la libertà le era stata negata tempo addietro. Quale sarebbe stata la cosa giusta da fare? –Per adesso, non le permetta più di uscire da quella stanza. Con una certa discrezione, ovviamente… Io proporrei di scovare chi la sta importunando e fare in modo che non sia più una minaccia.- Rispose Cloude, infine. –Stai dicendo che vorresti far fuori tutti i Cacciatori della Gilda? Sai bene quanto sia vasta, eliminerebbero te prima di farti trovare una pista.- Cloude sospirò: -No, certo non posso attaccare la Gilda li dov’è più forte. Però posso colpire i loro seguaci uno ad uno.- -Risaliranno a te. Lo scopriranno.- Cloude rise sprezzante: -Mi sta sottovalutando, Signor Hall. Lei pensi a finanziarmi, il resto lo lasci a me. Safiria è l’unica cosa che conta, per me. L’unica cosa che conta.- E riattaccò. Morgan si sedette sul letto tenendosi la testa tra le mani. Quell’uomo era un folle ma mai come in quel momento aveva bisogno di lui.

Safiria non dormì affatto, quella notte. La mattina non provò neppure ad alzarsi dal letto, la testa pesante e le gambe rigide. Isobel bussò a vuoto parecchio prima di stancarsi e lasciar perdere la sorella. Safiria sentì i due uscire di casa, rumorosamente, poi il silenzio. Si rigirò fino a quando il suo stomaco non la costrinse a scendere in cucina. Mirtillo la seguì paziente, questa volta senza insistere per avere il cibo. La giovane, chiusa in se stessa, era riuscita a zittire ogni pensiero fino a quel momento.  La vista del suo riflesso nel grande specchio del soggiorno, però, la riscosse. Corse in cucina, una mano premuta sulla bocca, sconvolta. Poi, come il rompersi di una diga, tutta la tensione di quelle notti le rovinò addosso. Il peso era insopportabile, aveva la nausea. –Dannazione, dannazione!- Safiria sbatté le mani sul bancone, le lacrime che le sgorgavano copiose dagli occhi azzurri. Si accasciò al suolo, piangendo come da tempo non faceva. I singhiozzi erano così forti da scuoterle il petto, fino a farlo dolere. Perché succedeva? Perché la sua vita non poteva essere come quella di tutti gli altri? Chi doveva ascoltare? Cosa doveva fare? Il senso di solitudine e smarrimento la schiacciava: sola, sola contro tutto il mondo. Da una parte la sua famiglia, l’uomo che amava, la sua casa, i ricordi di sua madre; dall’altra uno sconosciuto, un mondo di cui non sapeva nulla, in cui non sapeva se credere, un’illusione che diveniva una strana realtà. Quando sarebbe arrivato il momento, cosa avrebbe fatto? Che strada avrebbe intrapreso? Lasciare ogni sua certezza, il luogo che le aveva permesso di vivere… Per cosa? Anche se cercava di negarlo sapeva, nonostante tutto, che l’avrebbe fatto: avrebbe lasciato tutto pur di vivere una vita diversa. Anche se dovesse attenderla la morte, alla fine della strada. Quando le lacrime smisero di uscire e il suo corpo si fermò dal tremare, Saf si alzò, come un automa, si pulì il viso e si apprestò a svolgere le sue mansioni quotidiane. Quel pomeriggio rimase seduta sul divano, fissando la televisione accesa senza vederla. Avrebbe atteso Cloude per la lezione delle cinque, avrebbe finto che tutto andasse bene. Ma quando il professore suonò alla porta, non riuscì a muoversi. Perché avrebbe dovuto? Come poteva fingere quando quell’uomo meraviglioso le donava il suo tempo? Tanto, se ne sarebbe andata, non meritava la sua attenzione. Cloude continuò a suonare per alcuni minuti. Poi Saf sentì un rumore di chiavi e si alzò di scatto. Cloude spalancò la porta, il volto adombrato dalla preoccupazione. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Safiria sembrò rilassarsi ma non accennò a muoversi. Safiria lo fissò: -Perché lei ha una chiave di casa mia? Da quando ne ha una?- Cloude si morse l’interno della guancia, a disagio: -è una precauzione, nel caso accadesse qualcosa…- Safiria indietreggiò involontariamente: -Mio padre non me ne ha parlato. Me lo avrebbe detto, sono sempre sola in questa casa, per la mia sicurezza il patto era che solo lui e Isobel avessero una copia della chiave.- Safiria sentiva che qualcosa non andava. Cloude le nascondeva la verità e questa era una certezza che la feriva. –Non farne una tragedia, è solo una chiave!- Sorrise il professore. Safiria alzò il mento: -Oggi non voglio fare lezione.- -Non sei malata, questo è sicuro. Non vedo perché non dovremmo fare lezione.- Alzò un sopracciglio lui. Quando chiuse la porta dietro di se, Safiria deglutì, a disagio. –Questa è casa mia. Vorrei essere io a decidere, per favore.- Cloude si avvicinò, lo sguardo dolce. Safiria si sentì avvampare: quegli occhi non avrebbero mai smesso di farle quell’effetto? Lui le prese la mano, avvicinandosi ancora. –Non essere così arrabbiata con me, mi ferisce profondamente.- La sua voce era miele. Saf annuì, incapace di muoversi. Lui continuò con quel tono dolce, come se parlasse ad un bambino: –Andiamo a fare lezione, poi non mi avrai più fra i piedi.- Saf si sentì stupida. Si stava comportando come una pazza, sicuramente Cloude non avrebbe mai avuto cattive intenzioni, lui non sapeva nulla di tutta questa storia, voleva solo il suo bene. Saf sospirò, passandosi le dita tra i capelli: -Mi scusi, non so cosa mi sia preso. Sono solo molto stressata.- Cloude si avviò verso il salotto, senza dar peso a tutto ciò: -Non ti preoccupare, le giornatacce capitano a tutti. Ora veloce! Prendi il libro di letteratura inglese, ultimo capitolo.-

Damian si svegliò di soprassalto, invaso da un senso di pericolo come da tanto non lo sentiva. Aron era sdraiato accanto a lui, addormentato. Doveva essere tardo pomeriggio e da li a poco il sole sarebbe calato. Si tirò a sedere, madido di sudore. Nella stanza non c’era nulla di anomalo. Scrutò con non poca difficoltà l’esterno della canonica dalle fessure delle finestre, tutto era al suo posto. Tornò a sedersi, scolando mezza bottiglia d’acqua in una sorsata. Probabilmente stava sognando, si disse. Non riuscì più a prendere sonno e aspettò l’arrivo della notte. Rodolf rientrò poco dopo il tramonto, portando la colazione ai due nipoti. Damian scosse Aron con poca gentilezza e questo lo fulminò con lo sguardo: -Sono sveglio, non c’è bisogno che mi stacchi una spalla.- Come se fosse possibile. Aron era molto più grosso di lui. E più forte. Mangiarono in silenzio, poi Damian si apprestò ad uscire, diretto a villa Hall. Aron lo osservò: -Fai il tuo dovere. E non deludermi, fratello.-

-------------- Dopo una lunghissima, lunghissima pausa, ecco un nuovo capitolo! Purtroppo sono successe tante cose e ho dovuto lasciare da parte questa storia, nonostante mi stia tanto a cuore. Spero di essere nuovamente attiva e di riuscire a pubblicare un capitolo a settimana! Grazie a chiunque sia giunto fino a qui, Frida
   
 
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