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Autore: Morghana    17/10/2018    1 recensioni
Una ragazza italiana, fuggita da casa sua per non essere assassinata dalle Armate dell'Orrore Nero... e per sottrarsi ad un inferno. Una creatura, ormai, fatta di solo cervello, completamente priva di sentimenti.
Un ingegnere dalla mente geniale e dal grande cuore, che non desidera altro che tirarla fuori dal mare tenebroso dei ricordi.
Ma ci riuscirà... o finirà trascinato nei suoi gorghi?
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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IL LATO OSCURO (Schegge di memoria)

Libertà va cercando, ch'è sì cara
come sa chi per lei amore rifiuta...”

(parafrasi da Dante, “Divina Commedia”)


 

Si sentì stordito dalla notte trascorsa per metà in dormiveglia e per l'altra metà insonne.

Fu costretto a chiudere con forza gli occhi e poi riaprirli, per mettere a fuoco una serie di bagagli vari nell'ingresso dell'area alloggi del Centro.

In quel momento capì.
E si sentì senza più energie e svuotato sin nell'anima, come non si era mai sentito prima.

Lui, che era la forza di carattere personificata, consapevole delle sue fragilità umane ma che non se ne era mai fatto abbattere, comprese in quell'istante che quella ragazza aveva avuto tra le mani la possibilità di distruggerlo senza neanche volerlo, in quell'anno trascorso ad Omaezaki.

La stratosferica intelligenza di cui era provvisto non gli era servita a nulla, perché lei era stata in grado di oltrepassarne la barriera e penetrare direttamente nella sua anima e nella sua mente, leggendovi dentro come in un libro aperto... e riversandovi il suo mortale veleno.

Il veleno di chi aveva subìto, sopportato e superato di tutto, in termini di maltrattamenti psicologici, emotivi ed anche fisici, affilando la propria mente come una lama per difendersi e finendo per non avere più paura di niente… e, quel che era peggio, per non sentire più il bisogno di nessuno.

In quell'istante si sentì come se avesse sfiorato i fili dell'alta tensione e fosse sopravvissuto solo per un caso.

Si addossò con la schiena alla parete... attendendo.
Ricordando.

*

L'ultima notte trascorsa insieme... la penultima della presenza di Mirella tra loro.

Vai da Jami, Sakon... è lei che può darti quello che vuoi. Non io.”

“Sei convinta che ogni persona che ti si avvicina lo faccia perché vuole qualcosa da te... chi ti dice che qualcuno non possa farlo perché vuole offrirti qualcosa? Ti sembra così impossibile?”
“Possibilissimo, certo. Ma per accettare qualcosa bisogna volerlo, quel qualcosa che viene offerto. In me non c'è nessun desiderio di averlo. Tantomeno volontà di ricambiarlo.”

Non... non è vero, Mirella. Sei convinta di essere vuota, ma so bene che non è così.”
“Infatti non è così. Io sono piena di vuoto. Nel vuoto c'è la pienezza del mio essere. È diverso.”

Sarebbe una bella frase da meditazione Zen, se non fosse che il vuoto che è in te lo hanno creato gli altri... tu lo hai soltanto mantenuto. A che scopo? Perché?”

Perché nel vuoto c'è la mia libertà.”
“Non ti senti libera con me?”

“Solo finché ognuno dei due apparterrà soltanto a sé stesso.”

Mi stai dicendo che non vuoi...”
“No, Sakon. Mai.”

Nonostante il buio della stanza, appena dissipato dal chiarore delle stelle che filtrava dalla finestra, Sakon aveva percepito per l’ennesima volta quel senso di gelo bruciante che gli dava l’immergersi in quegli occhi: due colate di acciaio liquido, punteggiate di scintille azzurre e verdi, raccolte intorno a due aloni color ambra che circondavano le pupille.

Due colori negli occhi, così come due anime in un corpo.

Un’anima capace di sprizzare scintille roventi quando si trattava di correre in aiuto dei più deboli, poco importava che fossero esseri umani o animali.
L’altra forgiata nel ghiaccio, incapace di provare sentimenti.

Non era la freddezza di Pete, autoimposta e sotto forma di corazza, facile da infrangere se si fosse trovato il punto debole.
Non era il fuoco di Sanshiro, tanto votato alla difesa della Terra quanto al riscaldare chiunque gli fosse vicino con l’amicizia e la lealtà… o con l’amore, nel caso di Midori.

No.
Lei era un fuoco che non dava calore ed un ghiaccio che ardeva.

Entrambi allo stato puro, in una coesistenza che sarebbe sembrata impossibile, se non fosse stato per un essenziale punto di contatto: ambedue potevano bruciare.

Quella notte le aveva sfiorato il braccio con la mano, subito seguita dalle labbra… gliel’aveva stretto, per attirarla a sé.

Voleva fare un’ultima prova.

Niente da fare.

Lo sai che mi dà fastidio il contatto fisico, dopo.”

Sì, lo sapeva.
Lei glielo aveva fatto capire bene, la prima volta che l’avevano fatto.

Quella prima volta lui aveva cercato di stringerla tra le braccia, desiderando comunicarle quel che provava al pensiero di averla avuta, cercando di farle sentire che per lui non era un semplice sfogo carnale… ma lei lo aveva stroncato nel suo tentativo, bloccandolo per una spalla e spingendolo – in modo non sgarbato, ma deciso – sul suo lato del letto.

Perché?”
“Non mi piace sentirmi abbracciare, dopo. Devo sentirmi libera."

"Non ti piace essere abbracciata, dopo aver fatto l'amore? Non ci credo... stai scherzando?"
"Non scherzo affatto. Non sopporto di sentirmi costretta."

Costretta a cosa? Un abbraccio non è un obbligo, né lo è il ricambiarlo… non vedo quale costrizione ci sia.”
“E’ l’abbraccio stesso, la costrizione. Non mi piace sentirmi stringere, salvo che in quei momenti… ed anche in quelli, non oltre certi limiti.”


*

Lì per lì lui aveva lasciato cadere la cosa.

Conoscendo Mirella ed il suo passato di figlia indesiderata e vessata dai moralismi dalla madre e dell’ambiente nel quale viveva, vittima quasi predestinata di bullismo e, buon ultimo, succube del fidanzato violento – ormai ex fidanzato, per fortuna – aveva creduto che lei necessitasse soltanto di spurgare tutti i brutti ricordi ed i rancori che si portava in corpo.

Dopotutto ne era uscita vittoriosa su tutti i fronti: aveva messo sua madre con le spalle al muro, rendendo inattuabili tutte le minacce della donna nel caso lei fosse partita per il Giappone - nonostante ella fosse ben consapevole dei rischi che la figlia correva, restando in Italia - rintuzzando i suoi insulti e le sue basse insinuazioni su quel che andava a fare a Omaezaki con lo sbatterle in faccia che preferiva l’essere una puttana libera, piuttosto che una borghesuccia sposata, madre e prigioniera… era riuscita a far annegare in una figura da chiodi – e da vigliacchi cagasotto – tutti coloro che l’avevano presa “a soggettona da sfottere” e, corona della statua, ce l’aveva fatta a disfarsi del suo ex geloso e manesco, scoprendogli un po’ di altarini di famiglia e causandogli non pochi problemi, oltre a minacciarlo di svelarne altri, se si fosse fatto rivedere.

Gli era venuto da rabbrividire, già solo al pensiero di quel poco che Mirella era stata disposta a raccontare di sé e di quel che aveva passato...

Le restrizioni assurde impostele dalla madre moralista, condite dal darle della donnaccia quando lei si ribellava ad esse, culminate con la minaccia di non farle più trovare a casa i suoi gattini se fosse partita "per andare in mezzo a decine di uomini per fare chissà che cosa" (alla quale la ragazza, esasperata dalla bassa insinuazione e terrorizzata all'idea di perdere le povere bestiole, aveva reagito aggredendola con tale violenza che, se non ci fossero stati i carabinieri a togliergliela dalle mani, l'avrebbe mandata all'ospedale)...

Gli scherni e le umiliazioni che le avevano inflitto compagni di scuola, insegnanti e ragazzi residenti nello stesso luogo dove sua madre, da quasi vent'anni, si era ostinata a voler andare in villeggiatura... villeggiatura che per Mirella era, regolarmente, una tortura dall'inizio alla fine e che sua madre si rifiutava di riconoscere come tale, anche quando a sua figlia era stato spento un mozzicone di sigaretta sul braccio, con tanto di segno riconoscibilissimo!

Anzi: dava la colpa alla figlia del comportamento di quei bulli, maschi e femmine, attribuendola ad un suo presunto "non voler fare amicizia" e con ciò implicitamente giustificando il loro comportamento... salvo minacciarla se, per caso, avesse deciso di ribellarsi sul serio e denunciare - come nel caso della bruciatura di sigaretta o quando, alcune volte, l'avevano anche picchiata - facendole così rischiare di non trovare più chi le affittasse un appartamento in quel residence.

In pratica, a quella donna interessava più la casa di villeggiatura che la figlia... roba da far accapponare la pelle.

Quella stessa sera, casualmente, Midori si era messa a strimpellare sul pianoforte ed a canticchiare... ed, istintivamente, Mirella le aveva corretto la tonalità, rivelandosi così un'esperta di pianoforte e di canto ma, inspiegabilmente, rifiutandosi di esibirsi.

Alle insistenze di Briz, lei aveva rivelato di un'ennesima atroce ed infame umiliazione subìta dai suoi "aguzzini della villeggiatura", come lei li chiamava: si era seduta al pianoforte ubicato nella sala teatro del residence... e ad un certo punto, mentre le suonava, era entrato un manipolo di quei bastardi e l'aveva bersagliata di monetine, come se lei fosse una mendicante che suonasse per carità.

La mortificazione era stata tale che da allora non aveva più toccato un tasto nè cantato una sola nota...

Erano rimasti tutti allibiti.

Nessuno aveva commentato, nemmeno lui.
Cosa ci sarebbe stato da commentare, oltretutto?
L'unica risposta adeguata sarebbe stata il pestare a sangue quei bastardi uno per uno... per tacere della madre che, da sola, avrebbe meritato un discorso a parte.

Un lunghissimo silenzio aveva accompagnato e seguito il lungo racconto di Mirella e la sua ultima rivelazione.

Finché Midori, decisa, non si era alzata e l'aveva invitata a concedere loro l'onore di ascoltarla suonare o cantare, non importava se era fuori esercizioanche se avesse sbagliato nel suonare o avesse steccato nel cantare, sarebbe stato per loro un privilegio.

Lei aveva chinato il capo, come se stesse riflettendo, per poi sospirare sommessamente e sedersi al pianoforte.

Era stata un'esibizione, letteralmente, da palcoscenico: una splendida I will survive con un'altrettanto splendida voce da mezzosoprano, scura e provvista di un volume formidabile.

Lui aveva sorriso tra sé.

Chissà, forse il vedersi minacciata a sua volta dall'Orrore Nero, a causa della sua formidabile intelligenza – che avrebbe potuto costituire un pericolo per loro – non era stato un evento totalmente negativo.

Gli era ormai palese la ragione di fondo di tutte le angherie che aveva dovuto sopportare: la mente superiore ed eclettica di quella ragazza era talmente evidente da spaventare e far sentir umiliati tutti coloro che entravano in contatto con lei, istigando in loro l'istinto di svilirla, sminuirla e schiacciarla per ridurla al loro stesso livello e non sentirsi a lei inferiori, anzi, per illudersi di esserle superiori.

Ma lei era libera, ormai... aveva solo bisogno di tempo per lasciarsi tutto alle spalle: umiliazioni, scherno, maltrattamenti, incomprensioni, insieme ad una madre che era stata la sua peggiore nemica.

Lo sfogarsi con la musica e l'amicizia di tutti loro l'avrebbero aiutata a tirarsene fuori.

Sì, ce l'avrebbe fatta.

Ne era assolutamente convinto.

*

Più volte, nei giorni seguenti, aveva ripensato ai trascorsi di Mirella - quelli che lei aveva voluto raccontare, perlomeno, perché era sicuro che ci fosse anche molto altro, sia pur sulla stessa falsariga - e ne aveva concluso che quella ragazza era stata tramutata in una belva feroce tenuta alla catena… ovvio che, non appena le era capitata l’opportunità di liberarsi, non se l’era fatta sfuggire: aveva sfoderato zanne ed artigli e si era vendicata di tutti, riducendoli all’impotenza e senza far grazia a nessuno.

Gli era capitato di essere presente durante una conversazione in “viva voce” del dottor Daimonji con il giudice e due dei carabinieri che l’avevano aiutata, quando era arrivata al limite della sopportazione e si era decisa a raccogliere prove, per poi rivolgersi ad un avvocato e sporgere denuncia: lo stesso magistrato ed i due militari confessarono di essere rimasti increduli dinanzi a tanta intelligenza ed astuzia: prima nel costringere sua madre ed i bulli che l'avevano tormentata a tradirsi, poi nell’individuare i punti deboli di ciascuno di loro – a cominciare dalla sua stessa madre – e della sua ferocia nel colpirli per metterli con le spalle al muro, ridurli all'impotenza e fargliela pagare.

Era stata proprio quella mente, spaventosamente agile e capace di afferrare in pochi secondi quel che altri ci mettevano ore a capire, a persuadere il giudice del pericolo che correva, più ancora del tentativo fallito degli Uomini Uccello di ucciderla, all'uscita di un locale notturno... ed a fargli balenare nella mente l'idea di metterla al sicuro presso il dottor Daimonji, suo vecchio amico, nel suo Centro Ricerche di Omaezaki, a migliaia di chilometri di distanza e ben difeso.

*

Era una giornata plumbea, nonostante fosse estate, quella in cui Mirella era arrivata al Centro... eppure lei portava gli occhiali da sole.

Lui glielo aveva fatto osservare, con un sorriso cordiale ed accogliente, proponendole di toglierli, anche per dare a tutti il modo di guardarla negli occhi.

Lentamente, lei li aveva sfilati via dal viso, fissandolo.
Si era sentito come trapassato da una lama.

Una lama gelida che, tuttavia, lo aveva fatto sentire come arroventato, riscaldato al calor bianco.

Aveva sentito dietro di sé lo sguardo di Jami, la sua assistente, fattosi triste e dolente. Si era reso conto da tempo dei sentimenti della ragazza per lui, ma non riusciva ad analizzare i propri e non voleva precorrere i tempi o, peggio, illuderla.
Già le aveva inferto una ferita terribile, quando si era innamorato di Lisa, la spia di Zela che era penetrata sul Drago e poi, pentitasi, aveva preferito la morte al distruggerli… e non voleva causargliene altre.

O meglio, non avrebbe voluto.

Ma quegli occhi si erano impadroniti di lui ed in un modo ancor più pervasivo ed inquietante di quanto non avessero fatto quelli blu di Lisa: in quelli della giovane zelana c’erano, sì, il fuoco dell’amore per lui ed il gelo dell’odio per coloro che le avevano ucciso il fratello, ma erano nettamente separati… in quelli di Mirella le fiamme ed il ghiaccio coesistevano, erano ognuno l’elemento fondante dell’altro.

Fiamme fatte di ghiaccio.
Ghiaccio fatto di fuoco.
L’impossibile che traeva la sua esistenza proprio dall’impossibilità.

E dietro quegli occhi, lo sentiva, un'intelligenza che - sebbene completamente diversa dalla sua - avrebbe potuto metterlo con le spalle al muro e dargli scacco matto in poche mosse.

Fan Lee, il pilota dello Skylar, li aveva osservati entrambi con attenzione ed, una volta rientrati nel Centro, si era espresso con una frase che l’aveva dipinta alla perfezione… peccato che la piena portata del relativo significato si sarebbe rivelata troppo tardi.

Almeno per lui.
Paradossalmente, proprio per lui.

Stai attento, Sakon... quella ragazza è capace di uccidere lentamente, facendo torcere dal dolore, senza lasciare nemmeno il sollievo di urlare.”

*

Era stata capace di levargli il fiato con quel bacio improvviso, nato come una sfida verbale che sembrava non dover avere un seguito materiale, ma quel che più lo aveva terrorizzato era l'essersi sentito come indotto a baciarla... quasi che la volontà di lei avesse agito come i fili su una marionetta.

Come hai fatto a capire che quel Mostro Nero avrebbe mirato al Centro? Aveva modo e mezzi per distruggere il Drago e noi piloti non potevamo far nulla con i nostri mezzi, i pannelli di uscita erano ostruiti dalle rocce che ci avevano praticamente sepolti... poteva farci a pezzi, eppure tu hai capito quali erano le sue intenzioni ancor prima che Sakon calcolasse la traiettoria dei missili che aveva lanciato per far esplodere le rocce, ti sei resa conto subito che era una manovra diversiva! Come hai fatto?” le avevano chiesto all'unisono Briz e Midori – la pilota di Balthazar, il leone robot e la figlioccia del dottore, addetta alle comunicazioni – appena lei era riapparsa in salotto dopo la battaglia.

Lei si era limitata a quel sorriso da Monna Lisa che la caratterizzava, senza rispondere.
Come al solito.

Solo che quella volta lui, nonostante la sua modestia ed il suo accettare di buon grado l'aiuto degli altri, aveva ceduto alla stizza del vedersi superato in termini di rapidità nei processi mentali e di capacità di prevedere le mosse del nemico.

Aveva atteso che le ragazze uscissero dalla stanza, rassegnate a non ricevere risposta, per prenderla di faccia e chiederle spiegazioni.
Non l'avesse mai fatto.

Stammi bene a sentire. D'accordo che sei stata costretta a fuggire da casa tua ed a rifugiarti al sicuro, visto che il cervello che ti ritrovi ti ha fatto finire nel mirino degli zelani... d'accordissimo che ce l'hai con il mondo intero, visto quel che hai passato tra tua madre e quei bastardi di bulli che ti tormentavano, senza che tua madre facesse nulla ed, anzi, dando a te la colpa delle loro azioni... nulla da dire sul fatto che quel giudice che ti ha aiutato ti ha spedita qui, visto che è un vecchio amico del dottor Daimonji... ma che tu prenda iniziative da terra, impadronendoti del quadro di controllo centrale ed innalzando la barriera magnetica senza nemmeno chiedere l'autorizzazione al dottore o a Pete, questo proprio NO!”

Lei lo aveva fissato senza minimamente cambiare espressione.
Sempre lo stesso sguardo, penetrante ed impenetrabile allo stesso tempo, che lo faceva sentire a disagio, quasi come se fosse lui a doverle dei chiarimenti e non viceversa.

Allora? Mi spieghi come hai fatto ad intuire che stavano per attaccare il Centro? Non c'era nessuna avvisaglia di questo... il mostro si era lanciato contro di noi e ci aveva costretti ad immergerci nel mare, facendo saltare le rocce sommerse che erano intorno a noi per seppellirci sotto di esse! Come hai fatto a capire che lo scopo era soltanto quello di toglierci da mezzo, invece di distruggerci?”

Non hai notato che quel mostro era provvisto di cannoncini con munizionamento tradizionale, oltre che di missili?”
“Sì, e allora?”

Quei cannoncini non avrebbero fatto neppure il solletico al Drago Spaziale... e non mi risulta che quei quattro robot che comandano le armate di Zela siano così dementi da servirsi di armi inutili. Se consideri che lo scopo di qualsiasi arma è quello di colpire un bersaglio... tutto stava a capire quale fosse.”
“Quindi?”

Le munizioni tradizionali di quel tipo di arma hanno il massimo effetto distruttivo sulle strutture in cemento, come sono appunto quelle del Centro Ricerche. Due più due e la somma è presto fatta. Non ho perso tempo in spiegazioni ed ho provveduto per conto mio.”

Perché i tecnici non ti hanno fermata?”
“Lentezza di riflessi? O forse avranno pensato che, in fondo, l'aver innalzato la barriera non avrebbe fatto male alla salute di nessuno.”
era stata la risposta quanto mai irritante, soprattutto perché veritiera, della ragazza.

Sai che potremmo rispedirti in Italia, per questo?”
“Certo, Sakon, ma ci tornerei in abiti estivi, anziché in un bel cappotto di legno... cosa non trascurabile, direi.”

Non trascurabile esattamente quanto la tua indisponenza!”
“Cos'è che ti indispone davvero, Sakon? L'aver ritrovato il Centro ancora in piedi, dopo esservi liberati dalle rocce ed aver distrutto il mostro... o che non sia stato per merito tuo?”

Touché.

Tra l'aver intuito le intenzioni del nemico, l'essere riuscita a prevenirle e l'incontrovertibilità delle sue risposte, il risultato era di tre a zero per lei.

Non poteva neppure sperare nell'intervento del dottor Daimonji, dato che lo scienziato, una volta appresa la sua storia, l'aveva presa sotto la sua ala protettrice e non la considerava più un'ospite, ma quasi una nipotina acquisita... senza contare che, effettivamente, l'intuito e la prontezza della ragazza avevano impedito la distruzione totale del Centro Ricerche.

Sicuramente lo scienziato l'avrebbe rimproverata e le avrebbe ingiunto di non fare mai più colpi di testa, ma le avrebbe anche detto che il risultato ottenuto compensava l'errore... cosa vera, senz'altro, ma che non avrebbe certo sortito l'effetto di tenerla a freno, se si fosse presentata un'altra situazione simile.

L'unico modo per impedirle ulteriori iniziative azzardate era quello di inibirle l'accesso alla sala controllo dell'edificio principale... e lo avrebbe fatto, altroché se lo avrebbe fatto.

Per questa volta ti è andata bene, sei riuscita ad impedire un disastro e questo nessuno lo nega, ma non possiamo rischiare altre alzate d'ingegno da parte tua. D'ora in poi il tuo pass verrà ristretto negli accessi, sappilo.”

Fai pure.”
Ancora quel sorriso snervante...

Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, sappi anche questo. Forse finora hai privilegiato troppo il tuo lato istintivo... sarebbe ora che tu dessi spazio anche a quello razionale, magari imparando a tacere.”

Sembri supporre di essere l'insegnante adatto, al riguardo.”
“Chissà...”
“Bene, accomodati. Sono curiosa.”

Si erano fissati l'un l'altra... lui con occhi colmi d'ira, anche se si stava sforzando di mantenere il controllo, lei con un'espressione di noncurante sfida.

Gli si era avvicinata lentamente, senza abbassare lo sguardo.
Aveva finito per abbassarlo lui.

Sulle sue labbra.

Ed il cervello lo aveva abbandonato.
Per la prima volta.
La prima di tante.

L'aveva afferrata a due mani dietro la nuca, sprofondando con la bocca nella sua.
Non avrebbe saputo dire quanto era durato quel bacio, ma non avrebbe mai dimenticato quel gelo rovente che lo aveva congelato e sciolto nello stesso istante.

Nessuno dei due disse nulla, quando si staccarono.

Ognuno se ne era andato per la propria strada, dopo un fugace sguardo di sbieco... lei verso la sua stanza, lui in sala computer.

*

Non si erano più parlati per giorni.

Solo sguardi.
Per giorni interi.

Quelli di Sakon indagatori, colmi di domande inespresse, di desiderio di avvicinarsi a lei ed, allo stesso tempo, di timore dell'accorciare le distanze.
Quelli di Mirella imperscrutabili.

Cos'aveva quella ragazza nella testa?
Cosa si agitava nella sua anima?
Cosa vedevano i suoi occhi?

Se lo era chiesto migliaia di volte, sin da quando era arrivata.

Ora quelle domande non erano più colme di affetto e comprensione: erano dettate dalla paura.
La paura di non riuscire a dominare il suo corpo, che gli sembrava come aver sviluppato una volontà propria: la volontà di toccarla, di sentire di nuovo la sua pelle sotto le mani e la sua bocca imprigionata nella propria.

All'inizio quella sensazione era sfuggita ad ogni analisi ma ora, ad aumentare quel tormento, si era aggiunto l'aver capito quale nome darle.

Desiderio.

*

Com'erano finiti lì?
Non riusciva a ricordare.

Sapeva solo di aver avvertito il tepore delle sue guance sotto le mani... poi non aveva capito più nulla.

Aveva chiuso gli occhi e le si era quasi avventato addosso, come un assetato che si avventasse sull'acqua, sentendo ricambiare il suo trasporto con uguale frenesia.

Ore ed ore di passione senza alcun freno, nel silenzio più assoluto... infranto solo dai loro sospiri, dai loro gemiti, dalle loro grida.
Non si erano detti neppure una parola.

Solo quando lui aveva provato ad abbracciarla, cercando di estendere il contatto fisico al di là del sesso, lei aveva parlato.

"Lasciami."
"Perché?"
"Non mi piace sentirmi abbracciare, dopo. Devo sentirmi libera."

Poche parole, brevi e dirette, con un tono basso e tranquillo che non lasciava spazio a dubbi su quanto sottintendevano: quanto era appena accaduto tra loro era stato di suo gradimento... ma non voleva spingersi nell'intimità.

Sesso, sì... ma niente altro.

*

Era rimasto immobile, con la mano ancora posata sul suo braccio, per poi lentamente distendersi di nuovo al suo fianco, facendo attenzione a non toccarla.

All'inizio gli era parso normale che non le piacesse sentirsi avvolgere in un abbraccio: le ricordava troppo la prigionìa morale e materiale, fatta di moralismi e bigottismi, vessazioni ed imposizioni, divieti assurdi con motivi ancor più assurdi, il tutto inflittole praticamente sin dalla nascita.

Ma, nonostante avessero continuato ad incontrarsi di nascosto nella stanza di lei – approfittando della sua ubicazione defilata rispetto a quella delle altre ragazze – quel suo rifiuto di qualsiasi contatto fisico al di fuori del puro sesso e dei baci furtivi che si scambiavano, quando non c’era nessuno in giro, continuava ostinato ed immutabile.

Una volta lo aveva addirittura cacciato via, a causa del suo insistere nel tentare di stringerla a sé, dopo l’amore.

Si era talmente irritato, nel veder rifiutare il suo abbraccio e, con esso, la sua volontà di aiutarla, di tirarla fuori da quell’abisso nel quale i ricordi la tenevano ancora prigioniera, che avrebbe voluto chiuderla lì, su due piedi.
Dopotutto lei era stata chiara: amici finché si voleva, a disposizione l’uno dell’altra per qualsiasi cosa, sesso a volontà e senza limitazioni ma “niente implicazioni sentimentali, niente legami, niente gelosia”.

Una faccenda così la si poteva, appunto, chiudere senza problemi.
Ma, allora, perché non lo aveva fatto?

Ancora si chiedeva come avesse potuto accettare quella situazione che andava contro ogni suo principio morale ed etico: non era un puritano, per niente – e di questo Mirella aveva avuto ben modo di rendersi conto, sin dalla prima volta che erano stati insieme – ma fino a quel momento aveva considerato inconcepibile il sesso senza sentimenti… tanto più se a volerlo era una donna.

Eppure era proprio in quel tipo di situazione che si era ritrovato invischiato: in un sesso cerebrale e materiale, fatto di testa e di corpo ma totalmente privo di cuore.

Un delirio di sensi, dove le uniche tre cose che non avessero diritto di cittadinanza erano i tabù, le inibizioni… ed, appunto, i sentimenti.
Perché?

E, soprattutto, cos’era quella cosa che gli aveva impedito di tirarsi indietro di fronte a quella situazione malsana, carica di erotismo ma completamente senz'anima?

A suo tempo l’aveva paragonata ad un animale inferocito… ed era precisamente così che, in alcuni di quei momenti si era sentito anche lui: un animale, nient’altro che un animale in preda alla lussuria.

Una sensazione disgustosa, che non gli era piaciuta affatto.
E allora.. perché?
Perché continuava ad andare da lei?

Sfogo dei sensi? No, non era il tipo, per niente… anche perché a lui non interessava la carne in sé stessa ed, in ogni caso, non gli sarebbe mancato modo di porre rimedio, tanto per conto proprio quanto trovando altra compagnia.

Attrazione fisica?
Forse, in parte… Mirella non era una che passasse inosservata, anche se strettamente parlando non era una bellezza mozzafiato come Jami, non aveva il fascino della solarità come Briz e tantomeno quello dell'ingenuità come Midori.

Era uno strano miscuglio del meglio e del peggio.

Ne ripercorse il corpo ed il volto con la mente.

Un fisico da falsa magra, piccolo e robusto, un fascio di nervi e muscoli con appena un’ombra di morbidezza dato da quel velo di grasso che – ahimè, avrebbero detto le altre ragazze, chiamandolo cellulite – tutte le donne avevano… tagliato a metà da una vita strettissima che non poche esponenti del sesso femminile le avrebbero invidiato per mano di legge.

Il seno dall’attaccatura bassa, tanto da poter sembrare quasi cadente, era invece sodo e pienissimo… mentre al contrario il fondoschiena, che lo aveva intrigato sin dall’inizio, era alto e tonico e faceva da degno completamento a due gambe lunghissime, nonostante lei fosse alta appena un metro e sessanta.

Un viso che era regolare e simmetrico nel suo essere un misto di curve e di spigoli, soffice e della giusta pienezza nelle labbra ma duro nei lineamenti e tagliente nello sguardo.

Ma non era soltanto una questione puramente fisica.

Quegli occhi... quegli occhi che lo avevano fatto avvampare e rabbrividire nello stesso momento in cui li aveva fissati per la prima volta: gli era sembrato di sbattere contro due pareti di un grigio metallico, cangiante in verde o in azzurro a seconda della luce, luminoso e freddo come un incendio di ghiaccio.

Era rimasto paralizzato nell’osservarli, quasi a scomporli ed analizzarli… ed aveva notato in essi una particolarità rarissima: erano bicolori.

Due cerchi ambrati segnavano il confine tra le iridi e le pupille… istintivamente gli era balenato alla mente il sole durante un’eclissi, con il nero della sagoma lunare che ne bloccava la luce accecante ma che, contemporaneamente, lasciava filtrare l’alone luminoso della corona solare.

Il fuoco del sole.
Il gelo del metallo.

Quei due occhi avevano realizzato la più impossibile delle fusioni.

Fondendo anche il suo cervello.

*

Erano trascorsi più di undici mesi dal suo arrivo: allo scadere del dodicesimo, avrebbe dovuto andar via.

La sua nuova destinazione, per motivi logistici e di sicurezza – non essendo lei una militare, non poteva restare più di un anno nel medesimo posto – era il Centro Ricerche annesso al Cosmodromo di Baikonur, nell'Asia centrale.

Proprio la sera prima, l'ultima della sua permanenza a Omaezaki, glielo aveva sbattuto in faccia.

Neanche morta.”

Si erano ritrovati in salotto, dopo cena, come molte altre volte.
Tra un discorso e l'altro con i compagni, era saltato fuori il discorso figli, che ciascuno di loro aveva tranquillamente dichiarato di volere.

Avevano chiesto anche a lei cosa ne pensasse, ma lei era rimasta zitta, con quell'onnipresente sorriso enigmatico, per poi uscire sulla terrazza.

Lui l'aveva raggiunta, come sempre, senza neanche domandarsi più il perché.

Era da tempo che non badava più agli sguardi dei compagni, alcuni rassegnati ed altri colmi di disapprovazione.

Loro consideravano Mirella un'ottima amica - e di fatto lo era, piacevole e spiritosa, discretissima e di lealtà a tutta prova - ma anche una pessima compagna, per qualsiasi uomo: il suo spirito libero ed indipendente, il suo rifiuto di qualsiasi legame, il suo viscerale bisogno di una libertà definitiva l'avevano fatta collocare nella categoria di donne dalle quali fuggire, se si cercava qualcosa di più di una semplice avventura... e, quel che era peggio, il fatto che lei lo sapesse benissimo e non si curasse minimamente dell'opinione altrui la rendeva doppiamente pericolosa.

Tutti ormai avevano intuito che loro due se la intendevano, pur non stando insieme... ma, anche se nessuno si era permesso di fiatare al riguardo, aveva capito bene che non riuscivano a capacitarsi di come proprio lui, il supergenio, si fosse fatto intrappolare in una sorta di limbo senza futuro.

Sì, era precisamente un limbo senza futuro quello che lui e lei stavano vivendo: non avevano mai pronunciato la parola amore, mai fatto un progetto che si basasse sul noi, fosse pure l'andare a cena insieme alla mensa del Centro, mai parlato di sé stessi e dei propri desideri ed aspirazioni nella vita, salvo quando Mirella gli aveva detto apertamente che non intendeva essere per lui qualcosa di più che un'amica con la quale condividere anche il letto.

Quella situazione andava chiarita una volta per tutte.

Per un attimo si chiese perché tenesse al parlarne... e, per un altro attimo, volle pensare che fosse per amore di verità e per il bene di Mirella.

Ma dovette riconoscere che erano tutti paraventi che stava frapponendo tra sé stesso e la verità: lui voleva trattenerla a Omaezaki... voleva tirare fuori quella che, secondo lui, era la vera Mirella e tenerla lì con lui... insieme a lui!

Avrebbe potuto ottenerlo facilmente: sarebbe bastato chiedere al dottor Daimonji di assegnarle un ruolo preciso a bordo del Drago o nel Centro, che si trattasse di un ruolo logistico o amministrativo poco importava, lei non avrebbe avuto nessuna difficoltà a sostenerlo adeguatamente.
Sapeva bene che il dottore, pur malvolentieri, non glielo avrebbe negato.

Si appoggiò in silenzio alla ringhiera. Al suo fianco, come tante altre volte.
Come una delle tante serate cominciate chiacchierando come due semplici amici e finite nella sua stanza, trasformati in due amanti.

Due amanti senza amore.
Perlomeno da parte di lei.
Da parte sua... non lo sapeva più.

In quell'anno aveva tentato disperatamente di soffocare quello che sentiva e quello che provava per lei, facendosi quasi violenza per convincere sé stesso che non poteva essersi fatto irretire da una donna tanto lontana da lui per carattere, indole e sentimenti... ma quando era con lei, in quei momenti, quella parola, come una bomba innescata, era stata più volte sul punto di esplodergli nelle labbra ed aveva dovuto mordersele, per non pronunciarla.

Perché non si sentiva sicuro di sé stesso e di ciò che provava... o per non perderla?

Ma non c'era più nulla che lui potesse perdere, quella sera, visto che il giorno dopo lei se ne sarebbe andata.
Una speranza, tanto azzardata quanto sconvolgente, gli aveva invaso il cuore.

Forse...

Come mai non hai risposto a Midori?” le aveva chiesto, in tono apparentemente discorsivo.
Parli della sua domanda riguardo all'avere figli?”
“Mh-mh... esatto. Non hai mai pensato di averne, un giorno?”

La risposta, diretta e senza fronzoli come nel suo costume, non si era fatta attendere.

Due sole parole. Lapidarie.
Neanche morta.”

Non ti piacciono i bambini?”
“Non mi piacciono né mi dispiacciono, semplicemente mi sono indifferenti. Non ne ho mai desiderati e non sono disposta a cambiare la mia vita per un qualcosa che non considero necessario.”

Ma non pensi che...”
“Sakon, risparmiami le considerazioni sulle gioie che possono dare i figli e sulla presunta incompletezza di una donna che non sia madre... non mi interessano e non intendo vivere in base alle idee altrui.”

Non ti sfiora l'idea di poter sbagliare, al riguardo?”
“Non ti sfiora l'idea che potrei avere tutti i diritti di sbagliare e di voler continuare a sbagliare, se mi sta bene così?”

Ti starebbe bene anche il rimpiangerlo, un giorno?”
“Meglio rimpiangere i figli non avuti per scelta che rimpiangere quelli avuti per forza.”

Qualcosa mi dice che ti stai facendo condizionare da ciò che hai vissuto.”
“Al contrario: faccio tesoro di ciò che ho vissuto per non farmi condizionare in futuro.”

Allora rispondi ad una sola domanda... ma pensaci bene, prima di farlo.”
“Sembra quasi una minaccia.”

No, affatto. Non sarebbe da me e lo sai bene. Semplicemente mi occorre conoscere la risposta... per me stesso.”
“Sentiamo...”

Se tu fossi rimasta incinta, durante la tua permanenza qui... cosa avresti fatto?”

Gli aveva risposto senza esitazioni né tentennamenti.
Quel che ho già fatto in passato con uno dei miei ex, Sakon. L'avrei interrotta. Con o senza il tuo consenso. Forse non ti avrei neppure detto di essere incinta."

Un pugno nello stomaco.

Ancora una volta.

L'ennesimo di una lunga serie, cominciata con l'ostinato rifiuto di lasciarsi abbracciare dopo ogni amplesso e culminata con quell'atroce affermazione, crudele ed incontrovertibile, che non lasciava spazio a fraintesi né sulle sue decisioni riguardo ad ipotetici figli né sulle sue posizioni riguardo a lui... con quelle parole lei gli aveva detto, indirettamente ma chiaramente, tre cose ben precise: non ho intenzione di rinunciare a me stessa ed alla mia libertà, non mi interessa quel che tu possa provare o pensare, non conti abbastanza per me da preoccuparmi dei tuoi desideri e sentimenti.

Il che, per semplificazione, portava ad una conclusione altrettanto precisa: Sakon, tu per me non significhi nulla.
Anzi, peggio: Sakon, tu per me non sei nessuno.

Il dolore di quel colpo micidiale gli si irradiò per tutto il corpo, in maniera quasi fisica, al prendere atto di quella semplice verità.

Una verità che aveva sempre avuto dinanzi agli occhi.
Sempre.

Semplicemente, non aveva voluto vederla.

Per un istante aveva avuto la tentazione di accusarla di averlo ingannato, ma la fredda mano della consapevolezza gli aveva tenuta chiusa la bocca: lei non lo aveva mai ingannato, su nulla.
Non si era mai mascherata e, tantomeno, si era mai mostrata per quello che non era.

In quell'istante si era reso conto di quanto la verità, nuda e cruda, potesse essere più fuorviante di una menzogna, se estranea al proprio modo di pensare... e, soprattutto, se estranea al proprio cuore.

"Bene... ora so quanto mi occorreva sapere. Ti ringrazio, Mirella. Di tutto."
"È stato un piacere."

Lo stesso tono discorsivo che aveva usato lui per introdurre il discorso... solo che per lei non era un tono "di facciata": era assurdamente, realmente e completamente distaccato dal significato delle parole pronunciate.

Dalle parole... e da lui.
Lei, idealmente, era già lontana.

Aveva avvertito una fitta nel cuore, come se quell'organo, per lui così importante e per lei totalmente assente, stesse implorando un'ultima possibilità per far venire alla luce quello che aveva dentro.
Ma sì... in fondo, che aveva da perdere?

Lei fissava il mare, poco distante, scintillante sotto la luce della luna.

Aveva tirato un lungo respiro silenzioso, prima di posarle una mano sulla spalla, invitandola a voltarsi verso di lui.
I loro occhi, a poca distanza, si erano incontrati.
Per l'ultima volta.

"Non posso accettare il tuo modo di pensare e di vivere, ma l'ho sempre rispettato... per questo ho taciuto fino adesso."

La sua voce era suonata come un sussurro, bassa e profonda, satura di rimpianto.

"Ti ho sempre amata..."

"L'ho sempre saputo."

Un velo di impalpabile malinconia sembrò coprirle la voce.
Il primo e, anch'esso, l'ultimo accenno di debolezza che Sakon avrebbe mai visto in lei, che era tornata a fissare il mare mentre lui rientrava in salotto senza fermarsi, dirigendosi in camera sua.

Si erano detti tutto.
Non c'era altro da dire... né da fare.

Mentre era in ascensore si era chiesto come sarebbe stata la loro vita, se lei avesse accettato il suo amore... ma non aveva avuto difficoltà a darsi una risposta: sarebbe stata un inferno. Prima o poi la sua indole indipendente ed il suo rifiuto di qualsiasi ruolo tradizionale, a cominciare da quello di madre, avrebbero avuto il sopravvento... e lei lo avrebbe abbandonato.

Se ne sarebbe andata, esattamente come avrebbe fatto il giorno dopo.

Senza rimpianti.
Senza nostalgie.
Senza guardarsi indietro.

Un nodo di pianto gli aveva stretto la gola, ma si era imposto di trattenersi.

Non sarebbe servito a nulla.

*

La vide in distanza, mentre salutava man mano tutti i membri dell'equipaggio... il dottor Daimonji, Pete, Sanshiro e via via gli altri.

Fu tentato di andarsene, quando lei gli si avvicinò per congedarsi, ma il suo corpo rifiutò di muoversi.

"Sakon..."
"Mirella...”
“Addio, Sakon. Buona vita e buona fortuna... per tutto.”

Tentò di darle un bacio, l'ultimo, sulle labbra, ma lei voltò il viso e gli porse la guancia.

Si girò rapidamente e raggiunse l'uscita, mentre cavallerescamente gli altri ragazzi le avevano già caricato i bagagli in macchina ed il dottore era già seduto al posto di guida.

I suoi capelli lunghi e fulvi, ondeggianti nel vento, scintillavano di riflessi ramati.

L'ultimo ricordo che avrebbe avuto di lei.

Non l'avrebbe rivista mai più.

*

*
Il personaggio di Mirella, ovviamente OC, è realmente esistente... diciamo che questa, più che una one-shot, è una sorta di mini-biografia scritta mediante "l'ausilio" del mio personaggio preferito, ovviamente con alcuni dettagli "adattati" al contesto dell'anime.
Qualcuno, non ricordo chi, una volta disse che mettere per iscritto i ricordi che fanno male è un'ottima cura cicatrizzante. Sarà... io ci ho provato.
Prendetela come vi pare... sfogo, esercizio autobiografico o come volete.
Forse l'ho scritta più per me che per chi legge... chissà.
Kiss&Love
Morghana

  
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