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Autore: EmsEms    18/10/2018    0 recensioni
[Golden Kamui]
[Golden Kamui]Tsukishima offre lezioni di russo.
[TsuruTsuki]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alla fine son riuscita a trascinare Speister nel fandom di gk. Il suo betaggio è stata la salvezza, anche perché sono rincoglionita dall’influenza e scrivo ancora peggio di come scriverei da lucida…
 
Per favore leggete le note in fondo <3
 
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della fic, quindi se vi va di lasciarmi un commento, ve ne sarei immensamente grata. Ho un account twitter dove potete venire a pizzicarmi le guance: @Ems_Ems_2
 
***
 
Una volta che Tsukishima fu arrivato al settimo piano, le porte dell'ascensore si aprirono su un corridoio illuminato da due file di lampade da parete, disposte strategicamente in cima alle cornici di quadri che a Tsukishima parvero fedelissime riproduzioni di pittori europei. Hajime si sfilò le scarpe e le lasciò all’entrata, prima di avvicinarsi alle tele per studiarne i dettagli.
 
"Non toccare. Sono autentici!” lo ammonì una voce dal fondo del corridoio. Tsukishima non si sorprese affatto nello scoprire che la voce misteriosa apparteneva allo chauffeur di Tsurumi.  
 
"Autentici? Ma questo sembra un Turner…” commentò Tsukishima, tornando ad osservare il punto in cui le onde di un mare in tempesta si confondevano con un velo opaco di foschia.
 
“Non sembra. È” sbuffò il ragazzo, pulendosi le mani al grembiule legato in vita.  
 
Tsukishima si aspettava che da un momento all'altro Tsurumi si sarebbe palesato in fondo al corridoio e lo avrebbe salvato dallo sguardo di profondo disgusto con cui lo chauffeur lo stava passando in rassegna dall'alto in basso, ma la lancetta dei secondi continuò a ticchettare senza che del padrone di casa se ne potesse scorgere neanche l’ombra. Da una parte l'idea che la sala da pranzo non fosse gremita di personalità di spicco munite di cocktail e sopracciglia inarcate lo rassicurava, sebbene dall'altra questo significasse che lui e l'autista erano soli.
 
"Penso di non essermi presentato adeguatamente la scorsa volta. Mi chiamo Tsukishima Hajime, studio Lettere alla Todai."
 
Tsukishima accompagnò la sua presentazione con un lieve inchino. Non aveva biglietti da visita da offrire. Tutto quello che aveva era una nausea atroce e una busta piena di dango. Quando raddrizzò la schiena, si accorse che l'autista aveva alzato il naso verso il soffitto, aria di chi aveva appena annusato la puzza di universitario squattrinato.
 
"Koito Otonoshin, assistente personale di Tsurumi" rispose brevemente lo chauffeur, prima di sparire dietro una porta scorrevole. Tsukishima ne approfittò per portarsi il colletto della camicia al naso. Profumava di bucato. Con una scrollata di spalle, Hajime si addentrò nell'appartamento sulle tracce di Koito.
 
 
Era tutto come se l'era immaginato. Le pareti erano di un bianco immacolato, l'arredamento era minimal, e la vista a dir poco mozzafiato. A Tsukishima sembrava di essere entrato in uno di quei cataloghi arrogantemente intitolati 'la casa perfetta'. A separare salotto e cucina era un'isola dalla superficie di marmo, circondata da sgabelli dal design semplice e funzionale. Una scala a chiocciola portava ad un soppalco, dove Tsukishima sospettava si trovasse una camera da letto o uno studio. Un'intera parete era occupata da una libreria con gli scaffali stracolmi di libri. Tsukishima provò il desiderio irrefrenabile di sbirciare le costole dei libri, per farsi un’idea di cosa piacesse realmente all’enigmatico padrone di casa. Quando lo sguardo di Hajime si soffermò sul tappeto in mezzo alla stanza, le sue guance s'infiammarono. Non era quel tappeto, ma sembrava ugualmente soffice.
 
"Per poco non mi fai bruciare la cena" sbottò Koito, sbucando da dietro l'isola armato di una teglia incandescente. 
 
“Uhm, scusi io… Ahem… Cercavo Tsurumi…?” borbottò Tsukishima, lisciandosi la camicia come se non ci avesse già passato il ferro da stiro tre volte prima di decidersi a indossarla.
 
“Non è ancora tornato” sbuffò lo chauffeur, posando la teglia sul piano della cucina e sfilandosi i guanti da forno.
 
“E… gli altri?” domandò Hajime, gettando un occhio sul contenuto della teglia nella speranza di trovarvi una porzione per due persone di qualsiasi cosa Koito avesse cucinato.
 
Altri?” gli fece eco Otonoshin, facendo il giro dell’isola e strappandogli di mano la busta che aveva portato.
 
“Sono dango…”
 
“Beh, puoi buttarli nel cestino. Ho ordinato un dolce dalla migliore pasticceria di tutta Tokyo” ribatté Koito, restituendo il sacchetto al suo proprietario dopo averlo ispezionato con la stessa espressione disgustata con la quale aveva accolto Tsukishima nell’appartamento.
 
Hajime rimase immobile ad osservare il valletto personale di Tsurumi arruffare le penne per un sacchetto di dango. Qual era il suo problema?
 
“C’è un bagno?” chiese Tsukishima, esasperato dalla nota isterica che tingeva ogni parola pronunciata dal suo interlocutore.
 
“Corridoio. Prima porta a destra. Non usare gli asciugamani. Me li sporchi.”
 
“E con cosa dovrei asciugarmi le mani, di grazia?”
 
Ad occhio e croce, Tsukishima avrebbe dato a Koito la sua stessa età, nonostante lo chauffeur si sforzasse di dimostrare più anni di quanti ne avesse realmente. Era evidente come Koito si impegnasse ad emulare il suo capo, a giudicare dai vestiti di marca e dalla colonia che Tsukishima riconobbe subito essere quella di Tsurumi. Del portamento elegante di Tsurumi, però, non rimaneva che un’eco nei gesti affettati di Koito, il quale si muoveva a scatti, come se i suoi arti fossero telecomandati a distanza da qualcuno e quel qualcuno si divertisse a premere play e a riavvolgere velocemente il nastro in continuazione.
 
“Usa questo” sbottò Koito, allungandogli un pezzo di carta da cucina.
 
Se c’era una cosa che Tsukishima aveva imparato dal suo tirocinio presso un liceo privato, era come trattare con gli adolescenti in preda agli ormoni e al disagio sociale. Koito sembrava rientrare nella categoria.
 
Tsukishima emise un lungo sospiro, prima di arrampicarsi su uno degli sgabelli e avvicinare il viso alla teglia.
 
“Ha un profumo buonissimo. Cos’è?”
 
Koito rimase immobile con un angolo del pezzo di carta ancora stretto fra l’indice e il pollice. Dopo una decina di secondi, il ragazzo ritrovò la sua artificiosa compostezza e si avvicinò alla sua elaborata creazione con il petto gonfio di soddisfazione.
 
“Filetto di manzo in crosta” spiegò brevemente Koito, tirando fuori dalla credenza un vassoio così lucido, da potersi specchiare.
 
“Mai assaggiato” commentò Tsukishima, appoggiando i gomiti sull’isola e riposando il mento sugli avambracci incrociati.
 
Con una serie di velocissime acrobazie, Koito riuscì a disporre il filetto sul vassoio.
 
“Non mi sorprende” sbuffò il cuoco improvvisato, iniettando una punta di sarcasmo nella sua frecciatina. 
 
“Perché lavori per Tsurumi?” chiese Tsukishima, sviando ancora una volta la conversazione, in modo da evitare altre spiacevoli insinuazioni. C’era una buona probabilità che Koito si dimostrasse un’esauriente fonte di informazioni su Tsurumi. L’arredamento non era stato di grande aiuto, in quanto gli aveva mostrato solo il buongusto del padrone di casa, ma l’assistente personale di Tsurumi era decisamente un altro paio di maniche.   
 
“Mi paga bene” rispose prontamente lo chauffeur, slegandosi il grembiule e ripiegandolo con cura.
 
Nonostante Koito stesse facendo di tutto per nasconderlo, a Tsukishima non sfuggì il rossore che era spuntato sulle sue guance. Tsurumi era senz’altro ricco e generoso, ma Tsukishima dubitava che quella fosse l’unica ragione dietro alla scelta di Koito di diventare il suo assistente. A guardarlo bene, non sembrava affatto a corto di soldi.
 
“Tutto qui?”
 
“È uno scrittore formidabile” aggiunse Koito, mordendosi il labbro inferiore e ingoiando opinioni che avrebbero rivelato un tipo di ammirazione ben diversa da quella espressa fino ad allora.
 
Prima che Tsukishima potesse continuare il suo interrogatorio, il telefono di Koito trillò nella tasca dei suoi pantaloni.
 
“È Tsurumi. Dice che c’è traffico” lesse ad alta voce Otonoshin, tenendo il telefono ad un centimetro dal naso per paura che Tsukishima potesse spiare lo schermo del cellulare. Hajime intravide la scintilla negli occhi di Koito spegnersi. Forse era stato troppo duro con l’assistente. Alla fine aveva preparato una cena deliziosa per due, conscio del fatto che a consumarla sarebbero stati la sua cotta e un altro uomo. 
 
“Ehi, non ti preoccupare. Basterà riscaldare tutto più tardi” intervenne Tsukishima, in un patetico tentativo di consolare lo chauffeur.
 
“Non mi aspetto che uno come te possa capirci qualcosa di cucina, ma il sapore cambia una volta riscaldata una pietanza” sbottò Koito, amareggiato.
 
“Se è così, allora mangiamo adesso. Sono sicuro che Tsurumi non se la prenderà se cominciamo senza di lui.”
 
Quando Tsukishima si rese conto di aver invitato Koito alla cena romantica che aveva aspettato con trepidazione per tutta la settimana, era ormai troppo tardi per ritornare sui suoi passi.
 
“Io non dovrei essere neanche qui. Mi è stato detto di cucinare e basta.”
 
“Beh, hai cucinato per un esercito, quindi non vedo perché tu non possa rimanere.”
 
Tsukishima voleva prendersi a schiaffi. Erano passati due anni dalla sua ultima relazione, e il suo cervello aveva deciso di sabotare l’appuntamento con l’uomo dei suoi sogni per un tipo che non aveva fatto altro che prenderlo a pesci in faccia.
 
“Puoi cenare con noi ad una condizione” annunciò Tsukishima, facendo spazio sul piano di marmo davanti a sé. Koito rimase con il fiato sospeso, finché non vide l’ospite armeggiare con il nodo della busta di dango.
 
“Devi provarne almeno uno.”
 
 ***
 
Tsurumi si gettò il trench sulle spalle appena varcata la porta della redazione. Goccioline fini come spilli cominciarono subito ad impigliarsi nei suoi vestiti, obbligandolo a portarsi la giacca sopra la testa. Aveva lasciato l’ombrello in ufficio, ma non aveva nessuna intenzione di tornare a prenderlo. Era in ritardo. Mostruosamente in ritardo.
 
Appena raggiunta la strada principale, segnalò ad un taxi di fermarsi. Riuscì a scansare per un pelo gli schizzi che le gomme dell’auto avevano provocato frenando su una pozzanghera, ma la persona dietro di lui fu meno fortunata. Una voce che il caporedattore conosceva bene cominciò a snocciolare una serie di insulti mezzi borbottati.
 
Tsurumi aprì la portiera del taxi reggendosi ancora il bavero del trench sopra la testa, nella speranza che l’uomo dietro di lui non lo riconoscesse.
 
“Tsurumi!” tuonò lo sconosciuto, prima che Tsurumi potesse richiudere la portiera.
 
“Wada, da quanto tempo non ci vediamo. Ti dispiacerebbe richiamarmi? Sono terribilmente in ritardo per un appuntamento importante.”
 
“Ti ho chiamato venti volte stamattina. La prossima volta deciditi, o sei in riunione, o sei in vacanza in Europa.”
 
Tsurumi sorrise, memore della lista di scuse che aveva consegnato alla sua segretaria nel caso Wada avesse chiamato.
 
“Fammi spazio” sbottò Wada, salendo sul taxi e sbattendosi violentemente la portiera alle spalle.
 
Tsurumi appoggiò una mano guantata sul vetro che separava i sedili poteriori da quelli anteriori e fornì il suo indirizzo all’autista.
 
“Voglio sapere perché hai dato il sì all’articolo di Maeyama.”
 
“C’eri anche tu alla riunione” rispose distrattamente Tsurumi, sbottonandosi la giacca.
 
“La riunione in cui avevamo votato contro l’articolo? Sì, c’ero anch’io.”   
 
“Allora avrai visto che molti erano a favor-… Svolti a destra al prossimo semaforo.”
 
“Sì, ma la maggioranza ha votato ‘no’. Sai benissimo che va contro la politica del nostro giornale. Non piacerà ai lettori e ci creerà un sacco di problemi.”
 
Tsurumi estrasse un fazzoletto dal taschino interno della giacca e si asciugò il viso dagli schizzi di bava che Wada stava sputando. Non era la prima volta che Tsurumi lo vedeva andare su tutte le furie. In realtà, il caporedattore non ricordava di aver mai intrattenuto una conversazione dai toni pacifici con il direttore resposabile del giornale. I due non si erano mai piaciuti, e gli attriti si erano acuiti nel momento in cui Tsurumi era stato promosso caporedattore.
 
“Insomma, stiamo parlando di un amico del proprietario! Come ti sei permesso di…”
 
“Wada, tu come lo chiami un evasore fiscale?” chiese pacatamente Tsurumi, notando come fuori dalla finestra le macchine fossero ferme, imbottigliate nel traffico.
 
“Non avevi il diritto di indagarlo, ti avevo espressamente dett-” ringhiò Wada, prima di essere di nuovo interrotto da Tsurumi, il quale sembrava assorbito completamente dalla missione di tornare a casa il prima possibile.
 
“Seconda a destra, è più lunga, ma c’è meno traffico” suggerì Tsurumi, avvicinandosi alle fessure nel vetro in modo che l’autista lo sentisse nel frastuono della pioggia battente e dei clacson.
 
“Wada, Maeyama ha fatto un ottimo lavoro” concluse Tsurumi, accavallando le gambe e incrociando per la prima volta lo sguardo del direttore.
 
Wada era così livido di rabbia, da non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto.
 
“Ha raccolto informazioni attendibili e non ha infranto nessuna legge per ottenerle. Non vedo perché non dovrei premiare i miei uomini.”
 
“Vorrai dire i miei uomini!” ribatté Wada, trattenendosi dall’afferrare Tsurumi per il colletto della camicia.
 
“Mettiti bene in testa che qui comando io.”
 
Tsurumi si leccò il labbro inferiore prima di rispondere, sorriso malizioso sulle labbra.
 
“Oh, non mi permetterei mai di disobbedire. In fondo il giornale è tuo, no?”
 
Wada ingoiò un groppo di saliva che minacciava di scivolargli dall’angolo della bocca.
 
“Oh, ma guarda tu, siamo arrivati” cinguettò Tsurumi, aprendo la portiera per sgusciare fuori dal taxi.
 
“Cerca di non arrabbiarti troppo. Ti farai venire l’ulcera” commentò Tsurumi, zucchero che ricopriva ogni sua singola parola. Il caporedattore stava per chiudere la portiera, quando si ricordò della visita di Arisaka.
 
“Ah, ho ordinato dei nuovi macchinari a nome tuo, spero non ti dispiaccia.”
 
Wada emise un singulto strozzato, ma prima che potesse tornare ad abbaiare, Tsurumi aveva già chiuso la portiera.
 
***
 
Siamo in Giappone, America o Italia? Bella domanda. Teoricamente siamo in Giappone, ma per quanto riguarda i giornali mi sono affidata alla wikipedia italiana, quindi -> Direttore responsabile: è un po’ il tramite fra il proprietario del giornale e il caporedattore. Di conseguenza Tsurumi è un gradino più un basso di Wada, ma riesce comunque a mettergli i piedi in testa.
  
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