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Autore: koan_abyss    18/10/2018    2 recensioni
Lestrade e Mycroft Holmes si incontrano inaspettatamente in Tribunale, e per quanto la cosa sia piacevole, Lestrade è alle prese con il divorzio e un caso complicato. Non ha le forze nè il tempo neanche di pensare a conseguenze e aspettative dopo uno strano mercoledì pomeriggio. O almeno così crede.
CaseFic
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al secondo giro di giostra (avevo ancora un po' di paura)'
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Capitolo 7



“Naturalmente non siete riusciti ad aspettarci, o ad arrestare il sospetto senza scenate,” fa Donovan roteando gli occhi, mentre Lestrade si massaggia il collo e butta giù in fretta un po’ d’acqua.
“Ha provato a fuggire, Donovan. Lo avresti atterrato anche tu.”
“Umph! Pronto?”
Lestrade annuisce deciso: “Pronto.”
“Cosa vogliamo?”
“Tutto.”
Entrano nella stanza degli interrogatori.
Bolton e l’avvocato d’ufficio smettono di parlare. L’uomo non ha l’aria soddisfatta dall’atteggiamento del suo cliente, quando Lestrade lo saluta e sbrigano le formalità necessarie. Donovan fa partire la registrazione dell’interrogatorio.
“Ok, cominciamo. Conosci i tuoi diritti, David, e il tuo avvocato ti ha sicuramente ribadito che non sei obbligato a rispondere alle nostre domande, ma se vuoi un consiglio spassionato, io credo proprio che ti convenga farlo,” comincia Lestrade. “Perché abbiamo richiesto un mandato per perquisire il tuo appartamento e la tua macchina, e se anche ti sei sbarazzato della bici e degli scarponi che indossavi mercoledì sera, quelli che avevi ai piedi mentre infierivi sul viso di James Clarke, sfondandogli il cranio, be’, sono sicuro che qualche traccia di sangue sui tappetini o nel bagagliaio della tua macchina è rimasta di sicuro. Se non ne troveremo lì, forse saremo più fortunati col filtro della tua lavatrice, che ne pensi?”
“Non so di che cazzo parli, te l’ho già detto,” risponde Bolton a denti stretti.
“Ispettore, credo che dovremmo fare un passo indietro, prima di parlare di macchie di sangue ancora da rinvenire,” interviene l’avvocato.
“Molto bene. Allora, dall’inizio: signor Bolton, conosceva Kala Jawanda?” domanda Lestrade scrollando le spalle.
Lui non ha altri impegni o altri pensieri, e se preferiscono fargli fare il Tenente Colombo, facendogli fare domande di cui conosce già la risposta, allora starà al gioco. Lui e Donovan avranno una confessione.
Ci vogliono ore.
Bolton non ammette di conoscere Kala Jawanda prima che Tennyson e Davies portino una deposizione raccolta a tempo di record da un’ex-collega della ragazza alla libreria: contiene il nome proprio di Bolton e una sua descrizione piuttosto fedele.
“‘Non so da quanto si conoscessero, ma vivevano assieme. Kala diceva sempre cose come ‘vado a casa da Dave’ o quando lui chiamava gli chiedeva a che ora sarebbe tornato a casa, quindi…’” legge ad alta voce Donovan.
Sul movente non riescono a smuoverlo, nonostante Lestrade e Donovan si alternino alla ricostruzione dei fatti ancora e ancora.
“Quindi Clarke e Latimer volevano diventare soci…ma non hanno chiesto a te di essere il terzo. Ingiusto, vero? Io sarei stato furioso…”
“Eri geloso di Latimer come eri geloso di Riggs, ai tempi del vecchio locale. Poi finalmente Riggs si toglie dai piedi, Clarke apre la nuova caffetteria, e ti preferisce ancora qualcun altro!”
“Dopo tutto quello che facevi per lui…lavoravi col pubblico, gestivi il magazzino…eri l’unico a dirgli le cose in faccia, l’unico che non si nascondeva dietro un dito…e lui…”
Non vanno da nessuna parte.
Lestrade e Donovan si scambiano un’occhiata fosca e Lestrade fa portare dell’acqua per tutti.
Donovan esce un minuto e Lestrade lascia che Bolton e il suo avvocato si godano qualche secondo di silenzio.
“Non ti importava niente di James Clarke,” fa, alla fine, appoggiato allo schienale della scomoda sedia di metallo. Fissa il soffitto. “Riggs dice che eravate amici, o comunque vicini, ma non è vero, giusto? Era il tuo capo e basta, non andavate d’accordo, ti faceva infuriare la maggior parte del tempo e quando c’è stata l’occasione di dimostrarti un po’ di apprezzamento, niente. Preferiva Latimer.”
“Ispettore…” sospira stancamente l’avvocato, ma Lestrade lo ignora.
“Lo capisco. Che fossi così arrabbiato da volergli fare del male, che tu sia andato da lui per affrontarlo e l’abbia ucciso.”
“Non l’ho ucciso io,” risponde Bolton, pronto.
Donovan rientra e si siede senza una parola. Lestrade fa un gesto con la mano, alle parole di Bolton, come a dire che non è importante.
“Davvero, chiunque nelle giuste condizioni potrebbe pensare di uccidere il proprio capo,” continua. “Ma Kala? Perché uccidere Kala?”
Allarga le braccia e guarda Bolton, perso. A Bolton tremano le labbra.
“Perché lo hai dovuto fare, David?”
“Non le avrei mai fatto del male,” mormora Bolton, abbassando lo sguardo. “Io l’amavo.”
“Lo so. Lo so che l’amavi. So che le dicevi tutto, so che sapeva quanto Clarke ti facesse impazzire, e cercava lo stesso di calmarti, vero? Ed era preoccupata: era troppo buona e si preoccupava anche per quello stronzo di Clarke. Per questo era andata da lui, la sera che tu volevi affrontarlo. Magari non voleva che tu facessi stupidaggini. Lo so che l’amavi,” ripete Lestrade. “Come so che ti senti in colpa per averle fatto del male. Hai perso il controllo, non sapevi quello che facevi. Sei quasi impazzito dal dolore, quando te ne sei reso conto…”
“Io…io…” Bolton deglutisce e non continua.
“L’amavi e non volevi lasciarla lì, sdraiata nel fango. I suoi bellissimi capelli sporchi di fango…”
“Basta…” sussurra Bolton. “Non volevo farle del male…”
“Se l’amavi e non volevi farle del male, perché è morta, David?”
“Non è stata colpa mia!”
“Di chi è stata?”
“Clarke!” strilla Bolton, con voce rotta. “Di Clarke, dannazione, di Clarke!” Picchia il pugno sul tavolo con forza.
“Cos’ha fatto Clarke?”
“Ha lasciato che lei lo difendesse!” grida Bolton. “Quel verme ha lasciato che lei lo difendesse da me! Ha lasciato che colpissi lei…” Bolton deglutisce a vuoto e ansima pesantemente. “E poi è scappato,” aggiunge.
“Tu l’hai inseguito.”
Bolton sbatte le palpebre. Pare rendersi conto di quello che ha appena ammesso. Alza gli occhi al soffitto.
“Sì,” risponde.
“L’hai raggiunto e l’hai pugnalato. Poi hai infierito sul cadavere, perché ti aveva fatto colpire Kala.”
“Sì.”
“Hai spostato i corpi, perché volevi ritardare il momento in cui li avrebbero scoperti. Hai preso i documenti di Kala, e la sua bicicletta, perché sapevi ci avrebbero portato a te. L’unico che conosceva entrambe le vittime.”
“Non rispondere,” ordina l’avvocato e Bolton scrolla le spalle, ma non conferma né smentisce le ultime parole di Lestrade.
Lestrade sbuffa dalle narici e scuote la testa.
“D’accordo, non importa.” Alza le mani e poi si alza a sua volta. “Continueremo dopo. Donovan.”
“David Bolton, è formalmente accusato dell’omicidio di Kala Jawanda e James Clarke,” dice Donovan e non riesce a trattenere un sorriso.
“Donovan,” la riprende Lestrade a bassa voce, appena escono dalla stanza per gli interrogatori, “è pur sempre della morte di due persone, che si parla…”
“Lo so, boss. Ma è stato fantastico,” sorride ancora lei.
Davies e Tennyson fanno partire un applauso e Lestrade si concede un’espressione soddisfatta: quella mattina non sapevano neppure il nome della ragazza, ora hanno arrestato il suo assassino.
Non lascia che tutti si perdano nel giubilo: “Ok, d’accordo, bene. Un lavoro fantastico, tutti quanti. Sul serio. Ma abbiamo appena iniziato. Dobbiamo chiarire un sacco di questioni, ci sono ancora un sacco di buchi.”
Ed è vero: bisogna rintracciare la famiglia di Kala Jawanda; perquisire casa di Bolton; trovare la bici e gli scarponi, magari (ma Lestrade ci spera poco) l’arma del delitto; qualcuno dovrebbe aggiornare Riggs e Margareth Clarke; Latimer deve venire a deporre…
Donovan annuisce, come se avesse sentito i pensieri di Lestrade riordinarsi: “Ci mettiamo al lavoro.”

La domenica si trasforma in lunedì.
Nell’appartamento di Bolton trovano la bicicletta di Kala Jawanda, troppo voluminosa per disfarsene discretamente, a quanto pare. Trovano anche due computer portatili, che vengono impacchettati e spediti a Tecnologia e Informatica all’istante. Lestrade si prende due minuti, alle otto in punto di lunedì, per chiamare Jeff e ricordargli che la faccenda è urgente; così per le 11.30 sanno che uno appartiene a Bolton e uno a Jawanda: Bolton ha usato quello della ragazza per scrivere alla famiglia di lei a Manchester, negli ultimi giorni, ed ecco perché nessuno si è accorto della sua scomparsa.
Lestrade ha un collega a Manchester che gli deve un favore; lo prega di avvertire i genitori della ragazza, dopo averlo istruito sul caso. Lascia anche il suo numero, nel caso i genitori vogliano parlare con lui di persona, prima di dover venire a Londra.
“Dio, povera gente…” sospira con Donovan. “Come si fa ad accettare una notizia del genere?”
“Almeno sanno da subito che il responsabile pagherà,” risponde lei. “Non hanno dovuto passare l’inferno di Margareth Clarke.”
“Mh, non so. Margareth Clarke ha vissuto il peggio e ora avrà almeno questo conforto, ma i Jawanda non sapranno mai che il dolore potrebbe essere anche peggio.”
“Il dolore è dolore. Li tormenterà comunque, boss. Non ci pensare: noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo.”
“Hai ragione.”
Che idiozia mettersi a questionare una cosa del genere, ma il pensiero di una famiglia che scopre la morte della figlia dopo quasi una settimana lo riempie di tristezza.
È una buona cosa che aver risolto il caso abbia dato una scossa a tutti, li abbia riforniti di nuove energie: nonostante i pensieri, riescono a sistemare tutte le questioni urgenti, interrogatori e deposizioni e acquisizioni delle prove, incidenti probatori e perizie. Il caso è sicuro e solido, anche se il lavoro non è finito (non lo sarà fino alla sentenza), e il lunedì sera Lestrade può congedare tutta la squadra con l’ordine di non farsi vedere il giorno dopo.
Lui ha ancora una faccenda da sistemare prima di andarsene a casa, e sale fino alla divisione Risorse Umane.
“Ispettore Lestrade!” lo saluta con calore Khaty Wilkies.
La donna si sta preparando ad andarsene e una collega dell’Ufficio Legale la aspetta vicino alla porta.
“Abbiamo sentito dell’arresto per il caso di Parsons Green,” fa Khaty.
“Bel lavoro,” offre l’altra donna. “Chi è l’avvocato d’ufficio?”
“Uh…Wood?” risponde Lestrade scrollando una spalla. “Non voglio trattenerti, Khaty, ma mi servirebbe un consiglio.”
“Ma certo,” risponde Khaty.
“Mi servirebbe un avvocato.”
La donna dell’Ufficio Legale sgrana gli occhi: “Riguarda il caso? C’entra il tuo strano investigatore?”
“Cosa? No!” risponde Lestrade. Si schiarisce la gola: “Mi servirebbe un avvocato divorzista,” precisa. “È una cosa personale, ovviamente, e non mi andava di discuterne davanti a una pinta con uno dei ragazzi…”
Lestrade non è certo il primo poliziotto a divorziare, ma ha già sopportato la sua dose di chiacchiere e pettegolezzi quando se n’è andato di casa la prima volta e poi è tornato, solo per andarsene definitivamente dopo le feste natalizie. Khaty Wilkies è una consulente psicologa e ogni conversazione con lei è protetta dal segreto professionale. Vale lo stesso per la sua collega.
Khaty annuisce: “Ho qualche nome da consigliare. Posso inviarle una mail domattina per prima cosa, Ispettore.”
“Lo apprezzerei molto.”
Lestrade vuole mandare avanti la faccenda, e tanto vale sfruttare la botta d’adrenalina che gli ha procurato chiudere il caso. Una volta fatto il primo passo si è instradati, e se dovesse perdersi di nuovo ci penserà l’avvocato a pungolarlo a dovere.
Augura una buona serata alle due donne e se ne torna finalmente a casa dopo trenta ore di lavoro quasi ininterrotto. Dorme non appena spenta la luce, distrutto, soddisfatto e malinconico: è il primo caso grave che risolve da quando è solo. È troppo stanco per rendersi conto si tratta in effetti dell’unico caso che abbia mai risolto senza tornare a casa e trovarsi sotto gli occhi il meraviglioso promemoria vivente che il suo lavoro ha uno scopo, ma si sveglia comunque con l’insopprimibile desiderio di vedere le ragazze.
Si fa bastare una telefonata estemporanea che manda in visibilio Vicky e Grace e fa imbestialire Becky, perché ora sono tutti e quattro in ritardo per la scuola e il lavoro, ma Lestrade deve pur sopravvivere a un altro giorno, là fuori.
E sopravvive, pur se provato, a una giornata allo Yard solitaria, passata a occuparsi di burocrazia a report sulle spese che si sono accumulati durante la settimana precedente. Prepara una bozza sulla chiusura del caso per i giornalisti consultandosi brevemente al telefono con Donovan, e alle 17:30 è pronto ad andarsene, il peggio delle pratiche sistemato.
Ha una mezza idea di passare da Baker Street, per dire a Sherlock che il caso è risolto, ma dubita che a Sherlock interessi davvero e teme che non riuscirebbe a dribblare un invito al pub da parte di John, e non si sente ancora pronto a dire a qualcuno che ora ha un avvocato, e un primo incontro proprio il girono successivo durante la pausa pranzo (Donovan farà commenti? Certo che sì, dannazione).
Lestrade non ha ancora preso una decisione definitiva sulla sua destinazione, quando esce dal suo ufficio e attraversa il piano.
Un’improvvisa cacofonia di strilli e una generale commozione lo risvegliano dalle sue elucubrazioni: Sherlock gli sfila davanti sbraitando in faccia a un furioso Ispettore Capo Hillerton. Un paio di agenti sembrano indecisi se agguantare Sherlock o trattenere Hillerton e John segue il gruppo con passo baldanzoso.
Lestrade si copre la faccia con le mani e geme disperato: “Perché, Sherlock, cazzo, perché…John!” strilla poi. “Che succede, si può sapere?!”
John allarga le braccia, l’espressione che dice ‘scusa, amico’ e Lestrade sospira esasperato e si accoda al gruppo per salvare il salvabile.
Due ore dopo, Sherlock non ha ancora finito di fare i capricci, ma ora bisticcia con suo fratello nell’ufficio di Lestrade. John è seduto in un angolo e si lascia sfuggire un sorrisetto ogni tanto e quando Sherlock esce come una furia dalla stanza lasciando la porta spalancata, si alza per seguirlo.
“Credo che prenderemo un taxi,” butta lì a Mycroft, che fissa suo fratello con le labbra ridotte a una linea sottile. “Ciao, Greg. Scusa il disturbo,” fa invece a Lestrade, passandogli davanti sulla via per l’ascensore.
Lestrade scuote la testa, poi si affaccia nel suo ufficio.
“Ispettore,” lo saluta Mycroft, l’irritazione ancora percepibile nella sua voce. Ma le successive parole non ne recano traccia: “Grazie per averci offerto la privacy del suo ufficio. Non che a Sherlock importi granché, della privacy o della discrezione,” termina con un sorriso asciutto.
“Già,” sorride Lestrade. “Senti, io…stavo andando a casa, quando Sherlock e John sono piombati qui a mettere le mani nel sangue a Hillerton, e…”
“Certamente,” risponde Mycroft annuendo e uscendo dall’ufficio. “Non è mia intenzione farle perdere ulteriore tempo, Ispettore, dopo questa settimana così impegnativa. Le mie congratulazioni per aver risolto il caso, e di nuovo, le mie scuse più sentite per il comportamento di Sherlock. Anche se non posso accompagnarle alla promessa che niente del genere si ripeterà,” aggiunge scuotendo la testa.
“Nah, ci sono abituato,” risponde Lestrade scrollando le spalle. “Ti accompagno giù.”
Si affianca a Mycroft e l’altro uomo sorride appena quando Lestrade si dirige alle scale di servizio da cui lo ha fatto uscire quel venerdì, prima della conferenza stampa.
“In ogni caso, non era necessario che venissi di persona, per sistemare i casini di Sherlock. Potevi telefonarmi,” mormora Lestrade quando sono a metà della prima rampa.
“Sì,” ammette Mycroft.
“E sapevi che Sherlock era ancora arrabbiato perché lo hai prelevato all’aeroporto, l’altro giorno, e cercava un pretesto per fartela pagare,” continua Lestrade.
“Sherlock…ha indubbiamente colto l’occasione per sfogare un po’ di scorno su di me, nel più infantile dei modi,” conferma Mycroft.
Lestrade raggiunge il pianerottolo e si gira a guardare l’altro qualche gradino più indietro. Mycroft torreggia su di lui, l’espressione volutamente neutra.
“Sei venuto lo stesso fino a Scotland Yard…”
Nel corso della giornata, visto che suo cervello non era più concentrato sul caso Clarke, Lestrade ha pensato parecchio a Mycroft, a partire dal loro incontro di quasi una settimana prima.
Mycroft è stato rapido ad accettare i suoi inviti, espliciti e non espliciti, in quell’occasione, e le sue parole erano state “Non c’è niente di questo piccolo arrangiamento a cui lei debba pensare, se non vuole.”
Ma poi era comparso allo Yard venerdì mattina, sapendo che Lestrade aveva una conferenza stampa, e se davvero i giornalisti fossero stati un problema, si sarebbe presentato in un altro orario, per parlare con il vice-Commissario. Sempre che si trattasse di un compito che la sua assistente, Anthea, non poteva sbrigare da sola.
Mycroft sostiene il suo sguardo e sul suo volto si disegna un sorrisetto compiaciuto.
“Tutto questo è perché speravi che…accadesse di nuovo. Tra noi dico,” fa Lestrade, dopo essersi schiarito la gola.
“Speravo che lei realizzasse che non sarei avverso all’opportunità, Ispettore, sì,” sorride Mycroft.
“Ci sarei dovuto arrivare prima,” recrimina sottovoce Lestrade sentendosi scaldare la faccia.
Sherlock avrebbe detto che guardava ma non osservava (ma meno Sherlock sapeva di quella storia, meglio era per tutti).
“Era preso dal suo caso, Ispettore,” lo scusa Mycroft, con aria magnanima.
“Puoi darmi del tu?” ridacchia Lestrade, sopraffatto dall’assurdità della conversazione.
“Eri…distratto,” si corregge Mycroft.
“Ho dato per scontato che si trattasse di…una botta e via,” dice Lestrade, in imbarazzo.
“Non deve essere niente, se non…” comincia Mycroft, irrigidendosi appena.
“No, no! Cioè…non lo so cosa può essere. Non è un gran periodo, per me. In Tribunale…ho avuto l’impressione che tu fossi…e il cielo sa se non mi serviva un po’ di apprezzamento…”
“Nutro la più profonda ammirazione, per te, e questo sentimento non è scevro da una certa attrazione fisica,” risponde Mycroft, sorridendo di nuovo. “Devo confessare che mercoledì non ho saputo resistere all’offerta.”
Lestrade ride e si pasa una mano sul viso: “Oh, dio. Chissà cos’hai pensato di me!” Si schiarisce ancora la gola. “Io…uh…ce l’avevo scritto in faccia? L’hai dedotto già in Tribunale che pensavo a noi due che scopavamo?”
Si può morire di vergogna all’età di Lestrade?
“Non l’ho dedotto in Tribunale,” risponde Mycroft gentilmente, scendendo un gradino verso Lestrade, “né al caffè. Ma ricordo il momento in macchina in cui hai deciso che mi avresti invitato a salire. Conto di ricordarmelo a lungo,” aggiunge a mezza voce.
Lestrade non può impedire a uno stupido ghigno di aprirsi sulla sua faccia. Sale un gradino verso Mycroft.
“Forse vuoi tenere a mente anche il prossimo momento,” suggerisce.
“Mh?”
“Vieni da me,” sussurra.
Mycroft chiude gli occhi per un istante, come se davvero stesse salvando quel ricordo nella sua memoria sterminata, poi li riapre e annuisce: “Andiamo, allora?”
“Solo un attimo.”
Lestrade sale l’ultimo gradino che li separa e addossa Mycroft al muro, una mano sul fianco e una che scorre lungo il braccio di Mycroft fino alla spalla e da lì alla nuca, per fargli piegare il collo e poterlo baciare.
Mycroft sussulta e si aggrappa alle sue spalle, preso di sorpresa.
Lestrade lo bacia con foga, schiudendogli le labbra, cercandogli la lingua e succhiandola piano, mentre il suo pollice traccia piccoli cerchi sul fianco di Mycroft, sfortunatamente sopra il tessuto della sua giacca.
Poi Lestrade si ritrae piano e prima di staccarsi da Mycroft sfrega le labbra su quelle socchiuse dell’altro, sospirando ad occhi chiusi. Quando li riapre, Mycroft lo sta fissando con vago rimprovero.
“Scusa. Ci pensavo da venerdì,” sorride Lestrade.
Mycroft sbuffa piano. Non ha lasciato cadere l’ombrello, ma Lestrade è certo che sia solo perché lui non ha insistito a dovere: per quanto sprovviste di telecamere, le scale sono pur sempre un luogo pubblico.
Lascia andare Mycroft e lui si riassetta gli abiti senza commenti, ma con un curioso sorriso soddisfatto. Lestrade è certo che il suo ghigno non sia da meno.
“Andiamo?” ripete Mycroft e Lestrade annuisce e lo segue.


Note:
E siamo arrivati alla fine:) Grazie per aver letto fin qui, grazie per le recensioni e il supporto!
Finalmente è tornato Mycroft. Mi spiace si sia visto così poco.
Nelle mie intenzioni questa storia dovrebbe far parte di una serie, quindi potrebbe esserci qualche aggiornamento in futuro, ma non garantisco sui tempiXD
   
 
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