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Autore: nattini1    19/10/2018    5 recensioni
Long in cui Dean è sprofondato in un sonno magico in seguito a una maledizione lanciata da una strega, che ha decretato si svegli solo alla morte di Sam. Il fratello minore si prende cura di lui, fino all'estremo sacrificio. Entrambi si ritrovano così nell'incapacità di esistere da soli, Sam in Paradiso, Dean sulla terra, e cercano un modo per ricongiungersi. Una volta insieme, affronteranno ogni sfida. Aiutati dall'angelo Castiel, dovranno salvare il Paradiso e il mondo intero.
Hurt/Comfort come se non ci fosse un domani.
Potete leggere tra le righe una leggera wincest e una più evidente destiel.
Partecipa alla challenge del gruppo: Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più stagioni
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Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

25/26 ANNI OTTANTA

 

1. «Gli anni Ottanta sono come i jeans: non sono mai di tendenza, ma sono sempre alla moda. Ovvero, il ruggente decennio delle spalline e dei capelli cotonati è un evergreen in ogni sua sfumatura, dall’abbigliamento all’immaginario che lo caratterizza, che continua a piacere e a influenzare i giorni nostri» (Cecilia Esposito - TV Sorrisi e Canzoni)

 

2. «Mi verrebbe da dire che sia il nostro tempo sia i nostri giochi erano senza regole: avevamo dei tempi lunghissimi e vuoti, riempiti solo dall’ozio, quello vero, e dei brevissimi e zeppi di esperienze nuove e interessanti, se non eccitanti, di giochi di fantasia, come cercare le immagini più diverse nella sinuosità delle nuvole del cielo, e di giochi pratici, come confrontare gli attributi sessuali mentre facevamo la pipì.

Un giorno catturavamo le rane, un altro rubavamo le ciliegie, calpestavamo le ortiche, facevamo a botte per finta. Facevamo insomma tutto quanto potevamo fare, compresi i salti nei pagliai e le corse lungo le capezzagne fiorite. Pensavamo tutto quanto potevamo pensare, senza ordine particolare, senza altro scopo se non quello di escogitare qualcosa di nuovo, di azzardato, senza sapere perché. Stavamo semplicemente crescendo, come alberi, come le erbe nei prati» (Casa Ranuzzi - G. Franzoni)

 

 

 

 

 

 

Mictecacihuatl era fuori di sé per la rabbia: da quando aveva scoperto che un gruppo di cacciatori stava cercando di guarire gli angeli recuperando ingredienti per una pozione, aveva cercato di fermarli. Ma non solo una casualità aveva fatto prendere una direzione imprevista alle sue manovre, ma quell’angelo cocciuto l’aveva ferita (quanto odiava quella specie!) e i suoi amici, quei Dean e Sam che aveva nominato, erano riusciti a liberarlo! Doveva inventare qualcosa di risolutivo, qualcosa che eliminasse il problema alla radice… Pensando a questo le venne un’idea: quegli umani erano organizzati e preparati, ma probabilmente sarebbe stato più facile farli fuori quando ancora erano piccoli e indifesi. Avrebbe mandato qualcuno dotato di grandi capacità nel passato, un necromante di nome Aradris, che era al suo servizio da secoli, letteralmente; lui avrebbe sistemato una volta per tutte la questione.

 

***

 

La grazia di Cas lo guarì in breve tempo e lui riferì agli altri che la dea si stava preparando a muovere un’offensiva contro di loro. Ben sapendo che affrontare una dea non era una cosa da poco e che probabilmente difficilmente sarebbero sopravvissuti, ognuno la prese in modo diverso: Ellen chiamò sua figlia Jo e le disse che le voleva bene. Sam si mise in braccio Zep e cominciò a leggere le ultime pagine di Good omens, un libro che aveva scovato in una libreria e l’aveva incuriosito perché era dedicato al demone Crowley; si stava chiedendo se Agnes Nutter fosse davvero esistita e se Terry Pratchett non avesse deciso di fare uno scherzo a tutti raccontando una cosa vera, magari era un profeta. Dean afferrò per un braccio Cas, lo trascinò in cucina e aprì un paio di birre: «Domani faremo la pozione, sarà pericoloso… sarebbe il momento di mangiare, bere e fare baldoria!». Dean aveva scoperto con orrore che Castiel reggeva l’alcool molto meglio di lui; per un fugace momento quando l’angelo aveva detto: «Forse comincio a sentire qualcosa!», aveva sperato che si fosse finalmente ubriacato, ma poi, volendo evitare di fare la figura di Gimli con Legolas, disse che era meglio se uscivano a sedersi sul cofano della sua Impala con un’ultima birra. Accese la radio e mise dentro una cassetta degli AC/DC: «Senti, Cas? La rabbia e la potenza dell’heavy metal su delle basi blues, tipiche dell’hard/rock! Questa è l’unica musica che merita di essere ascoltata!»

All’inizio della canzone, una campana a morto scandiva il ritmo lento, quasi maestoso, che andava in crescendo. I toni cupi, quasi infernali, conferivano una grande intensità alla musica potente, graffiante nel cantato.

«Questo Cas è un brano che ricorda il cantante del gruppo, Bon Scott. Alcuni critici hanno accusato il gruppo di satanismo per via del testo della canzone. Cazzate, secondo me si divertivano solo a fare i cattivi». Fece una pausa, poi riprese: «Pensi che rischiamo di sentirle per davvero, le Hell’s Bells, e di sentire solo quelle per il resto dei nostri giorni?».

Stavolta Castiel capì cosa volesse dire ed evitò di puntualizzare che all’Inferno non c’erano campane; gli si avvicinò tanto che Dean poteva sentire il suo respiro sulla pelle mentre lo guardava con intensità e chiedeva: «Dopo tutto quello che hai fatto, pensi di non meritare di essere salvato, di non meritare il Paradiso, Dean?».

Furono interrotti da Bobby che li chiamò a raccolta: «Forza ragazzi, venite qui in casa!».

Bobby si era messo ad armeggiare con il contenuto di uno scaffale e aveva montato un cavalletto su cui pose una macchina fotografica.

Ellen alzò gli occhi al cielo e Dean protestò: «Bobby, nessuno vuole fare una foto ricordo!».

«Silenzio, stai bevendo la mia birra! Avrò bisogno di qualcosa che mi ricordi le vostre facce da deficienti» rispose il vecchio.

«Bobby ha ragione, potrebbe essere la nostra ultima notte sulla terra e sarebbe bello che, se qualcuno non ce la facesse, i sopravvissuti potessero avere un ricordo» intervenne Castiel, fresco dell’esperienza di essere stato dimenticato.

Bobby li fece mettere in posa, programmò l’autoscatto e il flash li accecò per un istante.

Mentre aiutava Bobby a riporre l’attrezzatura, Sam vide che c’era un mazzo di vecchie foto tenute insieme con un elastico. Le prese in mano e le scorse; sorrise riconoscendo Bobby da giovane al braccio della sua prima moglie, Bobby insieme al suo vecchio amico Rufus, una giovane ragazza bionda che identificò con l’attrice Tori Spelling… e poi si soffermò su una in particolare: era ingiallita dagli anni e aveva un angolo piegato. C’erano suo padre, lui e Dean seduti sul cofano dell’Impala in una giornata di sole. John lo teneva in braccio, stringendolo con entrambe le braccia in una morsa dolce quanto ferrea, quasi temesse che qualcuno avrebbe potuto portarglielo via e sorrideva sereno come raramente lo aveva visto fare. Dean era di fianco con l’espressione stirata, tipica dei bambini a cui si dice di mettersi in posa. Potevano avere al massimo sei e dieci anni. Bobby seguì lo sguardo di Sam e commentò la foto: «Anche questa l’ho scattata io! Avevamo preso un colpo, io e John! Non abbiamo mai capito perché, ma un figlio di puttana aveva cercato di farvi fuori! C’è mancato un pelo, ma tuo padre l’ha sistemato! Poi è venuto qui da me e siete rimasti un paio di settimane, intanto che John guariva da una ferita alla spalla».

 

***

 

2 settembre 1989

 

Aradris non era stato molto entusiasta dell’incarico: gli anni Ottanta erano uno dei periodi che aveva detestato di più con i sintetizzatori, i vestiti con le spalline e quegli orrendi tagli di capelli. Era abituato a manipolare la vita e la morte, ma giocare con il tempo lo spaventava: il tempo era il più antico dei tessitori di trame misteriose e il più imperscrutabile. Interferire con esso era pericoloso, ma gli ordini di Mictecacihuatl non si discutevano e quindi tornò nel settembre 1989 per uccidere Sam e Dean Winchester. Per sua sfortuna, non era affatto semplice trovarli: il loro padre si spostava continuamente da un posto all’altro cacciando ogni genere di mostri e si trascinava dietro i mocciosi. Quindi, Aradris decise di mettere le mani sul primo cacciatore che avesse incrociato la sua strada per domandagli con le cattive dove poteva trovare John Winchester e i suoi figli. Gli sarebbe bastato avvicinarsi abbastanza per poter fare un preciso incantesimo di localizzazione a corto raggio.

 

***

 

John Winchester era di buon umore. Stava guidando in direzione dello Stato di Washington dove sembrava ci fossero degli skinwalker, dopo aver eliminato un covo di vampiri in Montana (la sua esperienza con il napalm nella guerra del Vietnam si era rivelata utile), e aveva appena inserito nella radio una cassetta con Rock you like a hurricane degli Scorpios, una delle canzoni che era uscita qualche anno prima e che aveva adorato al primo ascolto. I suoi figli, seduti sui sedili posteriori, canticchiavano il ritornello. Si fermò a fare rifornimento e ne approfittò per chiamare Bobby per vedere se confermava le voci sugli skinwalker. Bobby era molto agitato: «John, lascia perdere gli skinwalker! Potresti avere un problema molto più serio. C’è un tizio che ha già fatto fuori un paio di cacciatori. Chiede espressamente di te e dei ragazzi, vuole scoprire dove sei. E quando uno non gli dà la risposta che desidera, lo brucia. Rufus è riuscito a scamparla e mi ha avvisato».

John ringraziò Bobby per l’informazione, fece tappa in un supermercato a comprare un po’ di provviste e si fermò nel motel più isolato e fuori mano che trovò nel raggio di venti miglia, dove prese una stanza per lasciare i suoi bambini mentre regolava le faccende con questo tizio. Fece promettere al figlio maggiore che avrebbe badato al fratellino e che non si sarebbero mossi dalla camera, assicurandogli che sarebbe tornato presto. Soprattutto si raccomandò che non andassero nel boschetto dietro al motel.

Quella era la prima volta che restavano da soli e sul momento Dean si era sentito molto fiero per questo incarico importante che gli era stato affidato e aveva cercato di svolgerlo al meglio: aveva preparato la cena (due specie di hamburger che aveva fatto cuocere in una padella riuscendo a non bruciarli) e aveva controllato che Sam si facesse la doccia.

Visto che non c’era il loro severo padre che si comportava sempre come un sergente istruttore pronto a farli esercitare di continuo, imparando mosse di autodifesa o come fare i nodi, passarono del tempo in modo molto spensierato guardando la tv e scrutando il cielo dalla finestra, cercando di immaginare delle forme nelle nuvole. Dei bambini normali avrebbero immaginato cani, pesci, gelati, ma Dean ci vedeva skinwalker, coltelli a serramanico o fantasmi, anche se evitava di dirlo a Sam.

Col passare del tempo non sapeva davvero come tenere occupato il fratellino: quel bambino era troppo sveglio, troppo curioso e faceva una quantità di domande che avrebbero messo alla prova anche la pazienza di un santo, figurarsi la sua. Sam era sempre stato un bambino tranquillo, ma ora cominciava a chiedere perché dovevano sempre spargere sale ovunque andassero, non vedeva più solo il lato divertente della cosa. E poi aveva mille paure. Quella sera, prima di andare a letto prese una manica del fratello: «Dean, ho paura di dormire da solo: sotto il letto potrebbe esserci un mostro!».

Dean rispose comprensivo: «Non c’è nessun mostro». E ne era assolutamente certo perché aveva controllato sotto il letto, anche se era una precauzione superflua perché il loro papà aveva inciso sulla porta vari sigilli che impedivano a varie entità sovrannaturali di entrare. Ancora per un po’ voleva cercare di nascondere la verità a Sam, cioè che i mostri esistevano, ma non gli avrebbero fatto del male perché il loro papà non l’avrebbe permesso; il loro papà era un supereroe che li combatteva ed era il migliore.

«Ma se qualcuno viene a farci del male?» continuò Sam.

Dean sbuffò: «Ci sono io a proteggerti!».

Sam non sembrava molto convinto, quindi Dean lo guardò con fare cospiratorio: «Se racconti a papà anche solo una virgola di quello che sto per dirti, ti uccido» e tirò fuori da sotto il cuscino una pistola.

«Papà mi ha insegnato a usarla l’anno scorso, vedi, non devi aver paura!» spiegò.

Sam sembrò tranquillizzarsi un po’, ma poi chiese: «Perché papà non è qui?».

«Sono sicuro che sarebbe qui, se avesse potuto, ma aveva del lavoro da sbrigare» rispose evasivo Dean.

«Io ho ancora paura che ci siano i mostri, posso dormire con te Dean?» insistette Sam, quasi con le lacrime agli occhi.

Dean cedeva sempre; da quando suo padre gli aveva messo in braccio il fagottino di sei mesi aveva consacrato la sua vita e la sua anima a proteggere il fratello, sia da quelli che erano i pericoli reali, che da quelli immaginari. Gli fece posto accanto a sé e Sam si asciugò gli occhi e si infilò tra le coperte, stringendosi al fratello. Dean gli carezzò la testa: «Quando ti sveglierai starai meglio, te lo prometto!».

Rimase sveglio mentre sentiva il respiro di Sam farsi più leggero, poi si rilassò e chiuse gli occhi, non immaginando che nella notte oscura c’era qualcuno che stava venendo per loro. Aradris aveva messo a frutto le sue informazioni e si muoveva con passo sicuro verso il motel. Con tutti i suoi poteri, avrebbe potuto evocare uno stuolo di non morti per aiutarlo, ma gli sembrava non fosse necessario: poteva occuparsi da solo di due mocciosetti e di un cacciatore alle prime armi.

Era passata da un pezzo la mezzanotte, quando Dean sentì qualcuno armeggiare con la serratura della porta. Portò la mano sotto il cuscino, stringendo l’impugnatura della pistola. Una figura si stagliò nella cornice della porta e Dean trasse un sospiro di sollievo perché anche nella pallida luce della luna aveva riconosciuto suo padre.

John entrò nella stanza tenendosi la spalla: la ferita era superficiale, ma faceva un male cane, soprattutto perché aveva dovuto trascinare il corpo del tizio nel boschetto dietro il motel, dove aveva scavato una buca dentro cui aveva bruciato il cadavere. Non si era allontanato molto e aveva pattugliato la zona come un lupo che sorveglia la tana dove stanno i suoi cuccioli, finché non aveva visto un losco figuro avvicinarsi e lo aveva sentito borbottare a bassa voce quello che indubbiamente era un incantesimo di localizzazione. Il fumo che si levava dal bastoncino di incenso che il figlio di puttana teneva in mano si era mosso contro vento verso di lui e a quel punto non aveva esitato: aveva mirato alla testa e aveva premuto il grilletto della pistola su cui aveva montato un silenziatore. Era stato veloce, ma non abbastanza perché lo stregone, o quello che era, aveva fatto in tempo a lanciargli un incantesimo che lo aveva preso alla spalla destra.

Probabilmente non avrebbe avuto bisogno di un medico, ma qualche punto di sutura gli avrebbe permesso di guarire più in fretta. Dean si alzò e andò verso suo padre, trattenendosi a stento dal lanciarsi tra le sue braccia. Lo scontro si era svolto in fretta, ma, come dopo ogni caccia, John si sentiva emotivamente e fisicamente distrutto. Dean gli mise la mano sulla spalla, lo guardò dritto negli occhi e disse piano per non svegliare Sam: «Va tutto bene papà». A John si strinse il cuore: non avrebbe dovuto essere il suo bambino a dirlo, avrebbe dovuto essere lui a rassicurare Dean, ma riuscì solo a fare un mezzo sorriso.

Si mise a sedere e chiese al figlio di portargli del whisky e il kit del pronto soccorso; bevve una dose generosa di liquido ambrato e ne usò molto meno per disinfettare la ferita, poi prese l’ago ricurvo che Dean aveva preparato con del filo e lo avvicinò alla spalla. Ricucirsi con la sinistra non sarebbe stato semplice. Dean si fece avanti e chiese: «Vuoi che faccia io?». John fece ceno di sì, dopotutto lo aveva fatto allenare su delle braciole di maiale apposta in previsione di un momento come questo. La mano del bambino sorprendentemente non tremava e spinse l’ago contro la pelle della spalla, scalfendone però solo la superficie; non era una timorosa esitazione, ma solo l’inesperienza che lo aveva fatto agire con troppa poca forza. La dolorosa lentezza esasperante con cui mise il primo punto rischiò di far urlare John, ma con i tre successivi andò meglio. Alla fine non venne un lavoro molto pulito e di sicuro sarebbe rimasta una cicatrice evidente, ma a John non importava: «Quando sarai più grande ti porterò con me e un giorno cacceremo anche con Sam e ci occuperemo di queste dannate cose insieme, immagino che saremo più forti come famiglia». Il bambino sorrise, andò a lavarsi le mani dal sangue e tornò nel letto accanto al fratellino, che si mosse nel sonno rannicchiandosi contro di lui.

John li guardò, uniti come due calamite e inconsapevoli che quella sera era quasi morto di paura al pensiero che avesse potuto capitare loro qualcosa; erano tutto quello che aveva, se non si considerava la sua vendetta… ma per quella non provava amore. Anche Dean chiuse gli occhi, spossato. Non per la prima e nemmeno per l’ultima volta, John pensò che aveva messo troppo peso sulle sue spalle, lo aveva fatto crescere troppo in fretta. E Dean si era preso cura di Sammy e si prendeva cura addirittura di lui. E non si era mai lamentato. Forse un giorno sarebbe riuscito a dirgli quanto era orgoglioso.

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

I viaggi nel tempo sono una cosa molto delicata e nella mia storia non esistono paradossi temporali, nemmeno una dea può cambiare il passato. Quello che si può fare è cambiare il futuro con le proprie azioni.

John non avrebbe mai potuto vincere il titolo di padre dell’anno, ma ha fatto del suo meglio con i figli e di sicuro ha sempre cercato di proteggerli; è un personaggio che ho sempre amato molto, spero di avergli reso giustizia.

La foto che vede Sam è quella che compare nel pilot (ho finalmente iniziato il rewatch!).

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Ringrazio chi legge e chi ha la bontà di lasciarmi il suo pensiero!

 

   
 
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