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Autore: rekichan    21/10/2018    0 recensioni
«Ino ha castato Lussuria Innaturale e tu hai fallito miseramente il Tiro Salvezza su Volontà. Come gli altri centinaia di tiri da quando abbiamo iniziato questa pietosa sceneggiata che mi ostino a chiamare “campagna” – sbadigliò – Ora, o cominci a cercare di farti il cagnaccio, oppure ti faccio spuntare un non-morto alle spalle che ti inchiappetta con il suo femore. Scegli la soluzione che preferisci».
[Pathfinder!AU][SasuKiba][MadaSaku][NaruGaa][DeiIno][HinaTen]
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Kiba Inuzuka, Madara Uchiha, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Gaara
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo III

Critical failure is not the End of your world, is the End of your quest

 

Il martello di Torag[1] sfugge dalle mani di Yangrit. Si solleva in aria e la terra comincia a tremare; da essa, sorgono imponenti montagne dalle cime innevate e le pendici di dura pietra che circondano il villaggio dei nani.

Le venature intarsiate del maglio cominciano a risplendere di luce propria e un’onda di energia divina esplode da esso, dirompente.

«Cosa sta succedendo?» domanda Kalas. Le possenti zampe da lupo artigliano invano il terreno nel tentativo di non cadere.

«Non lo so» ammette Torios, scrutando incantato l’insolito fenomeno. La sua pelle si ricopre di scaglie, indurendosi; il volto si allunga e possenti zanne sembrano squarciare l’epidermide mentre le labbra si ritirano e le ossa s’ispessiscono. Una lunga coda squarcia il tessuto dei suoi pantaloni e ampie ali scarlatte si plasmano dalle sue esili scapole. Nel giro di qualche secondo, al posto dello stregone c’è un piccolo drago rosso, la cui mole riesce a impedire al morfico di essere spazzato via dall’onda d’urto.

Poco lontano da loro, Variel, Jaina e Tessara sono proni sul terreno tremante; le loro mani si artigliano alla nuda roccia, alla ricerca di un appiglio; Niejiena stringe tra le braccia Faunra, la veste da chierica svolazzante. Sentono un grido e un tonfo, ma solo Tessara sembra accorgersi di Saniel che giace riverso a terra, la nuca sanguinante contro la roccia…

 

«Non è giusto! Perché sempre io?»

Madara non si preoccupò neanche di alzare lo sguardo dallo schermo del master. Ignorò deliberatamente la protesta di Naruto e sperò, fra sé, che anche gli altri giocatori facessero altrettanto in modo da riprendere la narrazione.

Con la coda nell’occhio, scorse Sakura tirare una gomitata a Uzumaki sotto al tavolo. Trattenne un sorriso di fronte allo: «Sssht!» della ragazza e si nascose meglio dietro il tabellone quando gli occhi verdi di lei si voltarono a guardarlo, in attesa che continuasse la narrazione.

Percepì con chiarezza un bisbigliato: «Perché con un fallimento critico un colpo alla testa è il minimo» da parte di suo cugino e si affrettò a riprendere prima che scoppiasse l’ennesima polemica.

 

L’unica a restare stabile sul terreno è Yangrit, i cui occhi scuri squadrano con gioia mal celata il miracolo che sta avvenendo. Sotto il suo sguardo entusiasta, la luce comincia ad assumere la forma di un uomo tozzo, dalla lunga barba candida e l’armatura splendente.

«È Torag! – esclama – Torag è di nuovo tra i suoi figli!»

All’improvviso, prima che la figura assuma contorni più definiti, una mano avvolta da un guanto da guerra nero come la notte si stringe attorno al manico del martello e, con forza, lo infrange a terra, spezzandone il maglio in un’esplosione di luce accecante.

Il terremoto cessa all’improvviso, le montagne si ritirano nelle profondità della terra e, di fronte agli sventurati avventurieri, si presenta un cratere dove prima si trovava il martello sacro, i cui frammenti giacciono ora sparsi ai piedi di Yangrit.

Al centro del disastro, un uomo con indosso un’armatura completa di metallo tanto scuro da catturare la luce. Una nube violacea e pestilenziale si diffonde dalla sua persona; sul pettorale spicca, scarlatto e rovente, il ragno con le zanne di Rovagug[2].

«Il tuo dio è morto, nana» sentenzia beffardo, mentre si toglie l’elmo, rivelando il volto umano dalla mascella marcata e spiccati occhi di brace.

Yangrit, caduta in ginocchio a raccogliere i pezzi del martello, si rialza furente ed esclama…

 

«Cazzo che figo!»

L’esclamazione di Sakura lasciò per qualche secondo interdetti tutti i presenti, almeno prima dello scoppio di una fragorosa risata collettiva. La ragazza ebbe l’accortezza di arrossire, prima di unirsi all’ilarità generale con un: «Scusate, mi è proprio sfuggita».

«Spero che Yangrit non lo abbia detto in game[3]» la prese in giro Ino, dandole una leggera pacca sulla spalla.

«Nuova ship! – esclamò Naruto. Balzò in piedi e alzò il bicchiere di coca-cola al soffitto – Brindiamo alle nozze di Yangrit e del tizio misterioso seguace di Rovagug che ha appena ucciso il suo dio!»

Altra risata. Madara si strinse la fronte tra le dita, indeciso se interrompere quella farsa o meno; lanciò un’occhiata ai suoi giocatori: sembravano divertirsi, nonostante Sakura avesse disgregato l’intera epicità del momento. La tensione che aveva abilmente creato si era dissolta in un turbine di sorrisi, battute e bicchieri che si alzavano in ulteriori brindisi improbabili. La scena gli strappò un sorriso che morì prima di arrivare alle labbra. Uno solo dei giocatori non sembrava partecipe al divertimento collettivo: Sasuke aveva il volto contrito, un dito grattava nervosamente la superficie della scheda – la sua preziosissima scheda – e gli occhi scuri parevano lucidi, quasi sul punto di scoppiare in lacrime per la frustrazione e la rabbia.

Non notò che Kiba aveva intercettato il suo sguardo verso il cugino, né come la fronte di questo si fosse corrugata all’improvviso notando lo stato emotivo di Sasuke. Percepì solo il movimento di Sakura, ignara, verso il ragazzo, il sorriso a metà tra il divertito e l’imbarazzato ancora dipinto su volto. Non fece in tempo a fermarla, a impedirle di accendere inconsapevolmente la miccia. La mano della ragazza si posò sulla spalla di Sasuke, mormorò qualcosa che Madara non riuscì a udire…

«Non c’è un cazzo da ridere!»

L’urlo di Sasuke fece calare il silenzio tra i presenti. Sakura si ritrasse come scottata a quello scatto improvviso, confusa. Solo Gaara, nella sua ingenuità, domandò un candido: «Perché?­».

«Perché state facendo un macello! Torag è morto! Morto! Non lo capite questo? – il volto di Sasuke era trasfigurato dalla rabbia. Paonazzo, non riuscì a far capo al suo solito autocontrollo. Squadrò tutta la tavolata, soffermandosi poi su Sakura. Era la sua migliore amica, forse l’unica persona con cui avesse mai realmente sviluppato un rapporto di confidenza, e lo sapeva… sapeva che non si meritava quello che stava per dire, ma le parole sgorgarono fuori di lui come un fiume – Sei una nana! Il tuo personaggio dovrebbe essere disperato e l’unica cosa a cui riesci a pensare è quanto sia figo il png del master? Stai rovinando tutto! Non avrei mai dovuto portarti qui! Non quando non te ne frega un cazzo del gioco, ma solo di provarci con mio cug…»

«Basta così».

La voce gelida di Madara interruppe l’esplosione di rabbia di Sasuke. Il ragazzo si ammutolì seduta stante, di fronte allo sguardo sconvolto dei presenti. Hinata si era ritratta sulla sedia, spaventata, un braccio di TenTen avvolto attorno alle spalle. Ino gli lanciava occhiate furibonde accanto a un Deidara palesemente interdetto; Gaara aveva cominciato a grattarsi nervosamente il braccio, Naruto sembrava in procinto di scoppiare a sua volta. In piedi, Uzumaki si avvicinò al posto di Sasuke e lo spintonò, facendolo quasi cadere dalla sedia.

«Ma chi ti credi di essere? – sbottò con aria di sfida – Fai tanto il grosso con quei dadi, ma sei solo uno stronzo arrogante! Fatti sotto e vediamo che cazzo sai fare senza una scheda a pararti il culo Uchiha!»

«Ho detto basta!»

Stavolta Madara fu costretto ad alzare la voce.

«Uzumaki, vatti a sedere. È una ludoteca, non un fottuto bar. Sasuke – inspirò a fondo – credevo fossi abbastanza grande per partecipare alle mie campagne, non un moccioso che rovina il gioco a tutto il party. Vattene a casa e torna quando avrai imparato come si gioca tra persone adulte».

Madara lo vide sbiancare, incredulo. Sasuke boccheggiò un paio di volte, come per dire qualcosa, poi l’orgoglio ebbe la meglio. Gli lanciò uno sguardo di fuoco e, alzatosi, ripose le proprie cose dentro lo zaino, con rabbia.

Solo quando incrociò di sfuggita il volto di Sakura che lo fissava sconvolta e con gli occhi verdi pieni di lacrime, percepì il peso delle proprie parole ed ebbe la decenza di abbassare lo sguardo mentre usciva dal Konoha Comics&Games.

Quando il rumore dell’uscio che si chiudeva alle spalle di Sasuke risuonò nel silenzio del locale, Madara si lasciò andare a un sospiro esasperato.

«Kiba, accompagnalo a casa. Per favore» sussurrò. Inuzuka non se lo fece ripetere. Annunciò al gruppo che sarebbe tornato nel giro di un’oretta e seguì il giovane Uchiha.

«Noi continuiamo… - cercò di spronare i giocatori. In silenzio, rimestarono un poco con dadi e schede - Sakura – tono secco. Sakura trasalì sulla sedia, poi concesse a Madara la sua totale attenzione - il tuo dio e creatore della tua specie è appena stato ucciso da un misterioso seguace di Rovagug. Cosa fai?»

 

 

Kiba trovò Sasuke seduto a terra in un vicolo poco illuminato. Ringraziò il fatto che fosse notte fonda e che non ci fossero rumori di sorta a inquinare l’aria, altrimenti non avrebbe mai sentito i singhiozzi soffocati che lo avevano guidato verso la figura china, nascosta al buio tra due bidoni della spazzatura.

Si avvicinò con cautela, indeciso sul da farsi. Aveva deciso di dare una bella strigliata al ragazzo, non appena uscito; si aspettava una litigata, una discussione feroce e accalorata che si sarebbe conclusa con un «Vaffanculo», o un silenzio tombale e stizzito da parte di Sasuke. Attendeva, insomma, una nuova tempesta in cui anche lui si sarebbe potuto scaricare dell’irritazione che aveva accumulato durante la quest, ma trovarsi di fronte a un ragazzino piangente era qualcosa che Kiba non avrebbe mai immaginato e che, a suo parere, andava oltre ogni sua capacità di consolazione.

Riuscì a non farsi sentire da Sasuke mentre si avvicinava; solo quando gli fu davanti, Uchiha si accorse di lui. Con gesto stizzito si passò la manica del giubbotto di jeans sul volto e bofonchiò un: «Che cazzo vuoi?» pieno di inconsistente arroganza.

Kiba sospirò. Tirò fuori il pacchetto di sigarette stropicciato dalla tasca, ne estrasse un paio e ne accese una, porgendola poi a Sasuke.

Sospirò di sollievo quando, dopo qualche secondo di stasi, il ragazzo tese la mano e accettò la sigaretta fumante. Solo allora, Inuzuka si permise di accendere la propria. Tentennò un poco, poi, con un cenno del capo, addusse allo spazio libero accanto a Sasuke.

«Posso?»

Uchiha annuì, scostandosi un poco. Kiba si sedette al suo fianco. Espirò una nuvola di fumo, gli occhi rivolti al cielo, senza guardare il ragazzo al proprio fianco, né dar peso alle sue occhiate perplesse. Rimasero in silenzio in quel vicolo buio che puzzava di immondizia, a fissare il nulla, entrambi incapaci di affrontare una discussione. Kiba sentì tutto il peso di essere “l’adulto” della situazione. Era più grande, spettava a lui far ragionare Sasuke e spronarlo a rientrare e scusarsi con gli altri, soprattutto con Sakura, ma non riusciva a trovare le parole adatte.

Sentire piangere Sasuke lo aveva sconvolto più del previsto. Aveva un’idea ben precisa del cugino di Madara, idea che era stata appena stravolta completamente. Aveva identificato Sasuke come un ragazzo che nascondeva dietro al cinismo e all’arroganza un’emotività dirompente; il modo in cui s’illuminava quando parlava della campagna era appassionato, caloroso… un crogiolo di sentimenti che faticava a gestire e che celava al mondo, svelandoli solo tramite il gioco. Mai avrebbe immaginato che, in mezzo a essi, si potesse nascondere una rabbia così distruttiva e una fragilità altrettanto profonda.

«Non stavo piangendo» sussurrò Sasuke, a un tratto. Kiba si sforzò di trattenere un sorriso divertito a quel tentativo di riacquistare la dignità perduta di Uchiha. Gli posò una mano sulla testa, scompigliando i soffici capelli neri.

«Certo che no – lo schernì bonario – Stavi solo idratando gli occhi».

«Non stavo piangendo!»

Kiba provò quasi sollievo a quello scatto. Era di nuovo il Sasuke che conosceva: irritabile, permaloso e stizzito. Qualcosa con cui sapeva come confrontarsi, come prendere. Colse la palla al balzo.

«Datti una calmata Uchiha – lo bloccò, spegnendo la sigaretta a terra – Non me ne frega un cazzo se stavi piangendo o meno. Là dentro ti sei comportato da stronzo, ne sei consapevole?»

Sasuke scostò lo sguardo. Si raccolse nuovamente su se stesso, le braccia appoggiate sulle ginocchia a coprirgli metà volto, lasciando scoperti solo gli occhi scuri.

Bofonchiò qualcosa. Kiba ghignò.

«Non ho capito» mentì.

«Mi dispiace» Sasuke cercò di imprimere un tono di stizza alla sua frase, senza riuscirci. Le scuse uscirono in un pigolio flebile, soffocato.

Kiba gli passò un braccio attorno alle spalle; fece un po’ di forza per attirarlo contro di sé e rimase stupito dalla passività con cui il ragazzo lo lasciò fare. Di solito Sasuke opponeva resistenza a un contatto fisico più consistente, quella volta, invece, assecondò il suo movimento. Quando sentì la mano di Sasuke serrarsi attorno alla stoffa della sua maglia, la confusione si fece più forte. Quella reazione non era normale, non per quello che era un litigio di poco conto, non per un semplice gioco… non era da Sasuke.

D’istinto, lo strinse un po’ più forte contro di sé per rassicurarlo, da cosa non lo sapeva neanche lui. Dopo qualche minuto, cercò di attenuare la presa, di scostarlo. Ora sarebbe andato tutto bene, gli avrebbe detto di rientrare, di scusarsi, che un cedimento poteva capitare a tutti, ma che non valeva la pena mandare all’aria un’amicizia per una campagna di Pathfinder. Era così certo della riuscita dei suoi intenti che, quando al suo tentativo di scostarsi Sasuke serrò la propria presa e avvertì il corpo del ragazzo tremare per i singhiozzi, non seppe come reagire.

«Mi dispiace – un gorgoglio soffocato, disturbante – Non volevo… non volevo rovinare tutto».

«Sasuke… - Kiba deglutì – Non… non fa niente… ora torniamo dentro e ti scusi con Sakura. Se vuoi te la vado a chiamare così non devi rientrare. Stai tranquillo, è solo un gioco…» cercò di rassicurarlo; passò la mano tra i capelli scuri, tenendolo stretto contro di sé. Poteva sentire le lacrime bagnargli la maglietta e il suo cervello spostò in automatico l’attenzione sul fatto che erano in mezzo a un vicolo, al buio, circondati dalla spazzatura.

«Non è solo un gioco – altro singhiozzo. Il respiro di Sasuke era incostante, reso frammentario dal pianto e dal muco – Non capisci… non puoi capire! Quella campagna è… è tutto! Se Madara non mi farà più giocare…»

«Ce ne saranno altre – tentò di incoraggiarlo – E magari con master meno sadici di tuo cugino. Però se ci tieni così tanto possiamo corrompere Madara. Magari diciamo ad Hashirama che ti ha trattato male, sono sicuro che lo tormenterà talmente tanto da farti riammettere».

«Non capisci… - Sasuke sembrava un disco rotto. Scosse il capo, tirò su col naso, poi il pianto prese di nuovo il sopravvento. Sotto il braccio che lo circondava, Kiba sentiva il petto del ragazzo alzarsi e abbassarsi con sempre più difficoltà sotto il peso di quel singhiozzare disperato – Madara ha ragione! Ho rovinato tutto! Tutto! Era l’unica cosa a cui tenessi davvero e l’ho distrutta…»

«Dai troppa importanza ai GdR. Vedrai che domani sistemiamo tutto, con Sakura e con tuo cugino. – la puzza che arrivava dai cassonetti cominciava a dargli fastidio, ma preferì concentrarsi su quella piuttosto che sul pensiero che Sasuke avesse un serio problema di dipendenza dal gioco di ruolo. Non era il momento per dirgli che, viste le sue reazioni, forse era meglio che non continuasse a giocare – Che ne dici se ora andiamo a casa?»

Sperò con tutto se stesso che Sasuke acconsentisse, mettendo fine a quella situazione così complessa da gestire. Avrebbe mandato un messaggio a Madara per avvisarlo che non sarebbe tornato; riaccompagnato Sasuke a casa, sarebbe andato anche lui a dormire e l’indomani tutto sarebbe tornato come prima. Sarebbe andato a lavoro, avrebbe bisticciato come suo solito con Madara, svolto le proprie incombenze… tutto senza dover badare a un ragazzino adolescente che sembrava aver scambiato la sua spalla per il muro del pianto.

Trattenne un sospiro di sollievo quando, alle sue parole, Sasuke tirò su col naso un paio di volte e poi si staccò da lui. Gli sorrise e gli accarezzò la testa un’ultima volta, prima di alzarsi. Porse la mano a Uchiha per aiutarlo a tirarsi in piedi, ma questi non la prese.

«Vai a prendere la moto – sussurrò – Ti raggiungo tra un attimo».

Kiba annuì. Gli raccomandò con un mezzo sorriso di non farlo aspettare troppo e andò a prendere la sua Yamaha, un po’ più sereno.

 

Rimasto solo, Sasuke si richiuse per qualche secondo tra le proprie braccia. Avvertì le lacrime pungergli gli occhi di nuovo, premendo per uscire. Le ricacciò indietro con rabbia, mentre avvampava di vergogna per il proprio comportamento. Aveva trattato malissimo Sakura, aveva rovinato il gioco a tutti ed era scoppiato a piangere proprio di fronte a Kiba…

Abbassò la fronte tra le proprie gambe, svuotato d’ogni emozione. Inuzuka non aveva compreso, non poteva capire quanto quella campagna significasse per lui. Ce ne saranno altre, gli aveva detto in completa buonafede. Certo, ce ne sarebbero state altre. Magari migliori, magari peggiori, ma quella… quella era la sola che lui avrebbe potuto giocare in una parvenza di normalità, senza un orologio che ticchettava come una spada di Damocle sulla sua testa.

Non era “una campagna”, era “La Campagna”; l’avventura di una vita. Era la sua vita e Sasuke se l’era lasciata sfuggire dalle mani. Non solo, aveva compromesso l’amicizia con Sakura, rivelando davanti a tutti, davanti a Madara stesso, della sua cotta; aveva fatto arrabbiare il cugino e si era umiliato davanti a Kiba che, ora, avrebbe sicuramente pensato che lui fosse solo un moccioso, un marmocchio, come lo definiva spesso.

Complimenti Sasuke, pensò, Hai fatto più fallimenti critici in una sera che in tutta la tua esistenza di merda. E ti sei anche pianto addosso in mezzo alla spazzatura.

Sentì il rumore della moto avvicinarsi. Con fatica, si chinò carponi sul selciato lordo. Fece pressione sulle braccia e sollevò il bacino verso l’altro, in modo da attenuare il peso sulle gambe divaricate. Avvertì i muscoli contrarsi e tendersi per un istante, poi i crampi dolorosi, l’orribile sensazione di cedimento… strinse i denti e riuscì a tirarsi in piedi. Attese qualche secondo appoggiato al muro, prima di raccogliere lo zaino e raggiungere Kiba che lo attendeva già col casco in mano.

 

 

N/A: oggi ho avuto la serata libera dopo mesi e mi sono messo a scrivere. E quello che ho scritto, tra la preparazione della quest di lunedì e ancora l’hype per quella di ieri sera (in cui – ehi! – i miei giocatori hanno riconsegnato proprio il martello di Torag, ma io non sono stronzo come Madara e non ho fatto uccidere il dio da nessuno), è stato il nuovo capitolo di questa maledetta storia, che aveva il compito di portarmi gioia e invece mi porta solo lacrime.

Per dire: quando lo scrittore fa fallimento critico nel tenere a bada i propri pg, questo è il risultato.

Ora torno nei miei meandri di solitudine, che devo ancora scegliere un paio di maledizioni con cui uccidere gente <3.



[1] Torag è la divinità dei Nani, che credono che li abbia creati a sua immagine e somiglianza. Il suo simbolo è un martello da guerra.

[2] Rovagug è il dio della distruzione e del Caos. Risiede da tempo immemore al centro della terra, dove è stato imprigionato dalle altre divinità.

[3] In game è un modo per definire quando si parla “in gioco”, quindi ruolando.

   
 
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