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Autore: darkimera    13/07/2009    5 recensioni
Helizabeth vorrebbe essere come tutte le altre normali sedicenni. Peccato solo che abbia strani poteri psichici. Peccato solo che un vampiro millenario abbia messo gli occhi sulla sua gola...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero a casa da sola.

E avevo paura.

Ma non c’era assolutamente niente che non andava, niente per cui dovessi essere allarmata.

O almeno doveva essere così se fossi stata una normale sedicenne.

Per mia sfortuna non lo ero. Riuscivo a percepire cose che gli altri non avvertivano. Spesso mi capitava di riuscire a vedere le anime delle persone, vive o morte che fossero.

Per questo, adesso che ero seduta sul divano in salotto cercando di concentrarmi sul libro che tenevo davanti, sentivo che nei dintorni della casa c’era una presenza terribile e oscura che si stava avvicinando.

Ripresi a leggere per l’ennesima volta l’inizio della pagina, cercando di escludermi dal mondo intorno a me. Ma il silenzio era anche peggio per certi versi.

Scoraggiata, chiusi il libro e lo appoggiai sul tavolino basso davanti a me.

Andai in cucina per bere un bicchiere d’acqua. La sensazione di pericolo sembrava non volermi abbandonare, facendomi stare con tutti i sensi all’erta.

All’improvviso il suono del telefono spaccò il silenzio. Sobbalzai violentemente rovesciando un po’ d’acqua e poi mi affrettai a rispondere.

-Pronto? – mi sentivo la gola stranamente secca.

-Tesoro? Sono io.

La voce resa metallica dal telefono era quella di mia madre.

-Ah! Sì… come va la cena di lavoro?

-Ecco proprio per quella ti ho chiamato. Non siamo ancora arrivati al ristorante, ci siamo persi e… insomma credo rincaseremo un po’ più tardi del previsto. Sai, ora che ritroviamo la strada e tutto…

-Uhm…ok…quindi a che ora sarete qui?

-Bah, credo per mezzanotte…vero, John? Sì, più o meno mezzanotte.

Guardai l’orologio. Erano quasi le dieci. Dovevo sopportare più o meno due ore di ansia creata da qualcosa di sconosciuto. Sbuffai.

-Che c’è? Perché sbuffi?

-No, niente… ci vediamo dopo. Ciao.

-Sì, vai pure a letto, ok?Ciao.

Riattaccai.

No, non potevo sopravvivere per due ore in tutto quel silenzio o sarei impazzita.

Ritornai in salotto e accesi la televisione. Poi pescai dal portagiornali il telecomando e cominciai a fare un giro di canali.

Sport, una sit com, un quiz…mi fermai solo quando beccai un film. Era una ridicola commedia romantica piena di sentimentalismo gratuito, ma me la sarei fatta andare bene.

Mi stravaccai sul divano e mi ripetei per l’ennesima volta che era tutto tranquillo e non sarebbe successo niente.

Verso le undici sentii il bisogno di andare in camera mia. Non ne capivo il motivo, il film non era ancora finito, non dovevo andare a letto, né prendere chissà cosa.

Sapevo solo che dovevo andarci.

Salii con calma le scale e feci il corridoio fino alla porta della camera. La aprii e l’oscurità più totale mi avvolse. Stavo per accendere la luce quando due punti rossi attirarono la mia attenzione.

Mi girai.

Fuori dalla finestra era accovacciata una figura che si confondeva con la notte. E i punti rossi che emanavano luce propria erano posizionati all’altezza dei suoi occhi.

L’ansia che aveva lambito la mia coscienza fino a quel momento divampò come un incendio e si trasformò in panico.

Chi era quella cosa davanti alla finestra? Che ci faceva lì? Cosa voleva?

-Fammi entrare.

Aveva parlato e la sua voce mi sembrò innaturale, asessuata. Ma anche così suadente da non riuscire ad opporvisi.

Sentii il mio corpo muoversi verso la finestra. Volevo farlo entrare.

Ma non ero io a muoverlo. Non era la mia volontà.

Sentivo la mente leggera, incapace di intendere e volere. Cercai di riprendermene possesso.

Andai a sbattere contro una sottile barriera. Ritentai e quella barriera si ruppe.

NO! Urlai mentalmente.

Il mio corpo si fermò a un soffio dalla finestra.

Riuscivo a vedere gli occhi cremisi baluginare di fiamme di rabbia.

-Fammi entrare.

Questa volta la sua voce aveva assunto i toni bassi e prolungati di un ringhio.

-Non sei il benvenuto.

Non so perché dissi così, sentivo solo che, per quanto assurda in quel momento, era la frase giusta da dire.

Lo sentii sibilare furioso.

-Fammi entrare, Helizabeth.

Ritentò cercando di dare alla voce un tono il più suadente possibile.

Non gli risposi. Mi voltai e presi ad uscire dalla stanza.

-HELIZABETH!!!

Ringhiò per attirare la mia attenzione.

Feci finta di niente e raggiunsi di corsa il salotto.

Mi buttai sul divano e presi a stringere convulsamente un cuscino. Ero agitata, tremavo.

Guardai senza vederla veramente la televisione. Alle orecchie mi arrivava distante la musica che accompagnava i titoli di coda.

Dentro di me, sentivo che quell’essere se n’era andato.

Almeno per ora.

 

 

  
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