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Autore: _Akimi    22/10/2018    2 recensioni
[lieve Fryecest - AU!70s - Writober]
"«Ogni scusa vale per fare rissa, secondo te.»
Una paternale piuttosto breve, oggi, ma non poteva darle torto; era nato per quel genere di cose, non sempre andavano bene - e il suo viso sporco di sangue ne era una prova -, ma sapere di avere un posto dove tornare rendeva il sapore di una sconfitta un poco più sopportabile.
«Sono tempi duri, sai, non siamo tutti tipi da accademia. Dobbiamo trovare qualcosa da fare.»
Era una mezza verità, una stoccata per dirle che sì, era fiero dei suoi risultati al prestigioso King’s College London, non smetteva di volerle bene nonostante fosse dannatamente pignola, ma mentre lei si nascondeva dietro ai vecchi Classici, toccava al povero Jacob affrontare la realtà lì fuori.
E no, non era per nulla una piacevole realtà.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evie Frye, Jacob Frye
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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What do I get?

 
Marylebone, Londra
1979


Jacob l’aveva fatta diventare un’abitudine, per il bene comune non era cosa da considerare gesto raffinato o propriamente legale, ma per lui non vi era nulla di inopportuno nel forzare una finestra per entrare in un appartamento.
Era chiaro, non si trattava di una finestra o casa qualsiasi - era colpa di sua sorella, Evie - diceva lui - perché dopo mesi di riappacificazione forzata, ancora non si era decisa a lasciargli una copia della sua chiave.
Aveva buone ragioni per non farlo, ma ogni volta che si incontravano, Jacob la faceva sembrare una casualità, come se fosse del tutto accettabile auto-invitarsi a casa d’altri a qualsiasi ora del giorno.
Capitava di chiedersi se non stesse abusando troppo della pazienza della gemella, ma era un dato di fatto - proprio perché erano fratelli! - Evie non poteva permettersi di sbattergli la porta in faccia, abbandonandolo, di conseguenza, ai pericoli della grande Londra.


Non era il caso di Marylebone, un elegante quartiere in cui abitare, tanto eccellente da provocare un naturale senso di disgusto nel suo animo; era sufficiente la vista degli ordinati edifici o dei volti dei passanti - con le loro automobili mangia-soldi e i modi aristocratici, per rendersi conto di quanto fosse un ambiente noioso.
Eppure, cercava di trattenere i propri pregiudizi appena giunto lì perché sì, seppur non superficiale e diversa dalla maggioranza, anche la sua Evie faceva parte di quell’élite.
I suoi colleghi all’università, se avessero saputo, non l’avrebbero trattata al medesimo modo, ma lei manteneva un muro di ferrea riservatezza con tutti a lezione - silenzio dovuto anche da una dose di implicita vergogna, ma era passata la fase in cui Jacob reputava offensivo tale comportamento.
Ora si impegnava a mantenere quel fragile equilibrio instaurato con difficoltà e, infatti, nell’ultimo periodo il loro rapporto aveva preso una piega positiva - per alcuni versi allo stremo delle convenzioni sociali -, ma non era il momento più adatto per pensare ai vari errori di valutazione che entrambi commettevano ogni giorno.

Allora, per distrarsi osservava l’appartamento, non smettendo di considerarlo un posto freddo in cui vivere.
Nel salotto, da poco arredato, aleggiava ancora un fastidioso profumo di nuovo, un dettaglio impreziosito dalla maledetta poltrona in cui era solito sedersi in attesa del ritorno dell’altra.
Non aveva ancora capito il motivo per cui i mobili fossero ancora coperti dalle pellicole di protezione, ma in cuor suo era grato della meticolosità della sorella perché queste ultime sottolineavano le orme del suo passaggio, rivelando silenziosamente quanto Jacob Frye non fosse più un fantasma nella vita di Evie, ma un elemento reale, quotidiano, più familiare di quelle stesse mura.
Era una minuzia da non sottovalutare perché nulla era scontato nella loro relazione; essere parte della medesima famiglia significava poco o nulla per entrambi - diversi, da sempre, e l’unica eredità del loro defunto padre era essere testardi, tremendamente testardi.
Ma nell’ottica dello stesso Jacob, solo Evie riusciva a rendere l’ostinazione una qualità affascinante - una tra le tante altre che la caratterizzavano.
Scommetteva che avrebbero litigato di nuovo, quella sera, e sentendo il tintinnio di chiavi fuori dalla porta, si rese conto che vi trovava un qualcosa di stupidamente divertente nei loro battibecchi; forse non allettante quanto le risse di strada giornaliere, ma Evie sapeva tenergli testa quanto il peggior teppista delle vie di East End.


«Farò finta di essere stupita di trovarti qui.»
La luce era ancora spenta, appena visibile era la sua sagoma nell’oscurità del corridoio d’entrata, ma Evie, invece, lo aveva già riconosciuto - come se bastasse un respiro o il suo modo di sedersi per capirlo.
Era sempre stata la più attenta tra i due, Jacob lo ammetteva a stento, ma per quanto riguardava il sarcasmo, per lei la battaglia era persa in partenza.
«Che ci posso fare, la mia sorella preferita si mostra sempre così garbata nei miei confronti.»
Non lo era, ma un fondo di verità si celava dietro alle sue parole; un’arma a doppia taglio, l’ironia, quando Evie era lì intorno; era troppo intelligente per capire i suoi scherzi, ma per evitare discussioni, si limitò a rispondergli con un mormorio disattento.
Si aspettava di più, un rimprovero, forse, ma quando luce fu - l’espressione sul bel viso della gemella si tramutò in una smorfia di velata apprensione.
Erano sempre stati entrambi emotivamente costipati - se così si poteva dire -, tanto che in alcuni casi Jacob si domandava perché si preoccupassero ancora l’uno dell’altro.
Aveva una risposta, ma sapeva quanto fosse poco opportuna per due persone unite da un inscindibile legame di sangue.
«Jacob, che cosa hai combinato questa volta?»
Borsa a terra, mani sui fianchi - era una prassi che attendeva con sciocca trepidazione; non avrebbe dovuto considerarla una sana abitudine, ma aveva un debole per l’innata maturità della sorella, per i momenti dove le inutili diatribe si dissipavano e rimaneva solo il buono di entrambi.
«È colpa dell’aria che c’è oggi a Londra, dovevamo scaricare tutti un po’ di adrenalina.»
Lo disse indicando il giornale che si era portato appresso – il Freedom - ora dimenticato sul tavolino di vetro davanti a lui; notò gli occhi di Evie posarsi sulla prima pagina e, da un suo lieve sbuffo, non era difficile capire quanto condividesse la sua delusione.
Parlavano raramente di politica, ma era un argomento che appassionava Evie - lei e la sua voglia di cambiare il mondo -, mentre Jacob aveva un approccio tendenzialmente meno diplomatico.
Una cosa era certa: a nessuno dei due il nuovo primo ministro Thatcher pareva portare buone nuove per il paese.
«Ogni scusa vale per fare rissa, secondo te.»
Una paternale piuttosto breve, oggi, ma non poteva darle torto; era nato per quel genere di cose, non sempre andavano bene - e il suo viso sporco di sangue ne era una prova -, ma sapere di avere un posto dove tornare rendeva il sapore di una sconfitta un poco più sopportabile.
«Sono tempi duri, sai, non siamo tutti tipi da accademia. Dobbiamo trovare qualcosa da fare.»
Era una mezza verità, una stoccata per dirle che sì, era fiero dei suoi risultati al prestigioso King’s College London, non smetteva di volerle bene nonostante fosse dannatamente pignola, ma mentre lei si nascondeva dietro ai vecchi Classici, toccava al povero Jacob affrontare la realtà lì fuori.
E no, non era per nulla una piacevole realtà.
«Ricordati che sono più grande di te e questa, fino a prova contraria, è casa mia.»
La frase riecheggiò a lungo nel silenzio che susseguì; la vide scomparire dal salone per lunghi attimi, un’assenza che metteva alla prova il suo temperamento, ma quando la vide ritornare con in mano prontamente un kit medico, dovette ammettere di sentirsi sollevato.

«Intanto, quattro minuti di differenza non ti autorizzano a trattarmi come un bambino.»
Evie in tutta risposta inarcò un sopracciglio, premendo una garza sulle sue ferite con eccessivo compiacimento; il borbottare dolorante del fratello non pareva toccarla - una piccola rivincita contro il suo essere uno sprovveduto.
Dall'altra parte, Jacob era combattuto davanti alla sua reazione: avrebbe potuto rimproverarla, dicendole che gioire delle sofferenze altrui non fosse segno di buona condotta, ma l'espressione divertita sul volto di lei fu sufficiente per perdonarla ancora una volta.
«Mai pensato di lasciare quella facoltà di topi da biblioteca e fare infermieristica? Secondo me la divisa non ti starebbe poi così-»
«Jacob Frye, non ti azzardare neppure a dirlo.»
Un'altra ondata di dolore gli colpì viso – nulla che lo stupisse particolarmente, ma il lieve rossore che colorava il paio di guance costellate da lentiggini gli ricordava che, nonostante i litigi, ciò che desiderava lo aveva sempre avuto davanti agli occhi.



 
  
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