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Autore: Lyla Vicious    22/10/2018    1 recensioni
E se fosse lui l'ammiratore segreto misterioso? Nah, non era così stupida da illudersi che un tipo del genere fosse il classico principe azzurro.
Assomigliava piuttosto a una versione punk e ulteriormente disadattata di un personaggio dei film di James Dean che andavano per la maggiore ai tempi dei suoi genitori.
Un ribelle senza causa, dunque.
“Toglitelo dalla testa” la fece rinsavire Margareth:” Non è assolutamente il tipo per una relazione seria.”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Più tardi, 27 Giugno 1990

 

Il Sunrise Bay era una struttura che si ergeva in una zona isolata della città di Londra.
Era grigia e decadente, nonostante avesse approssimamente soltanto vent'anni.
Infatti era stata costruita negli anni settanta per essere destinata ad ospitare i primi pazienti, quando ancora non rappresentava un tabù il termine “manicomio” e quando era ancora comune definire qualcuno come pazzo.
All'epoca esisteva ancora l'elettroshock, per curare gli individui che soffrivano di depressione e catatonia, e ci si accingeva ancora a considerare l'omosessualità come una malattia.
Fortunatamente era tutto cambiato, per quanto talvolta il personale medico si comportasse tutt'ora in maniera aggressiva e prepotente.
Ma Judy non aveva in mente nessuno di questi fatti, anzi, tremava dall'emozione di incontrare il mittente dei fiori che riceveva ogni giorno.
Si era dedicata alla ricerca dell'abito perfetto durante tutto il pomeriggio, aiutata come sempre dalle sue compagne di stanza.
Si era quasi trattata di una sfilata di moda, da quanti vestiti aveva provato e scartato in quasi quattro ore.
In parte le aveva dato l'impressione di trovarsi nel camerino di un centro commerciale anzichè nella stanza fredda e impersonale di una clinica psichiatrica, mentre Margareth la attendeva fuori dalla porta socchiusa e Veronica era distratta dalla lettura di un romanzo.
Dopo ore e ore trascorse a vestirsi, spogliarsi tentando di nascondere le sue cicatrici e a rovistare in mezzo a tutti gli abiti che si era portata da casa, finalmente Judy trovò ciò che faceva al caso suo.
Era un vestito color turchese che aveva comprato alcuni anni prima.
Aveva delle spalline piuttosto ampie, come si usava ancora in quel periodo, e fasciava perfettamente il suo corpo esile, fino ad arrivare appena sopra alle ginocchia.
Ovviamente, per coprire le sue gambe martoriate, aveva optato per delle calze nere.
In fondo non faceva neppure troppo caldo.
Le due amiche, inoltre, l'avevano sistemata e truccata, sciogliendole i capelli.
Si era sentita nuovamente carina dopo quella che le era parsa un'infinità di tempo.
Dopo un mese trascorso ad indossare camici deformi, finalmente aveva ripreso a piacersi e aveva ricominciato a percepirsi come un essere umano.
Era una sensazione strana, ma molto piacevole.
E nel frattempo barcollava sui tacchi mentre si accingeva a salire verso il tetto dell'enorme edificio.
Aveva il cuore a mille, batteva come un intera orchestra di percussioni.
Non riusciva a frenare il sorriso che le si stampava sulle labbra a causa dell'emozione dell'imminente incontro.
Si sentiva stupidamente felice e non riusciva a farne a meno.
Di lì a qualche minuto avrebbe incontrato colui che le dedicava così tante piacevoli attenzioni da diverse settimane.
Era così idealista da immaginarselo come il classico principe azzurro dall'armatura lucente e dal cavallo bianco che apparteneva alle favole di quando era bambina e di quando i sogni sembravano più vicini e concreti.
Tutto sembrava possibile durante l'infanzia.
Era l'adolescenza a creare le prime disillusioni e a mostrare ciò che l'esistenza ci aveva nascosto in realtà.
Un compito ingrato, certo, ma pur sempre necessario.
Judy continuava a salire la scalinata che conduceva al tetto, piano dopo piano, sempre in equilibrio precario sui tacchi delle scarpe nere che portava ai piedi.
Aveva l'impressione che sarebbe svenuta nel lasso di qualche secondo, non era abituata a una simile quantità di emozioni positive.
La sua sensibilità l'aveva costantemente posta nelle condizioni di dover soffrire, farsi del male e infliggersi punizioni dolorose.
Era sempre stata così dannatamente fragile, da inghiottire le proprie emozioni in qualsiasi modo le fosse possibile.
Ma in quell'istante non intendeva rendersi un facile bersaglio per i propri pensieri negativi, non si sarebbe autosabotata.
Mentre era imbambolata nelle sue riflessioni, intanto aveva raggiunto il tetto.
L'atmosfera notturna rendeva il tutto ulteriormente angoscioso e inquietante, soltanto il flebile bubolio di un gufo contribuiva a rompere il silenzio.
La ragazza controllò l'orologio che aveva al polso.
Mancavano giusto cinque minuti, era palese che si trovasse lì da sola, in balìa dei rumori della notte.
Chiaramente non era concesso, ma vietato in modo categorico, l'accesso al tetto del Sunrise Bay.
Specialmente una volta trascorso l'orario del coprifuoco.
Ogni paziente era tenuto a rimanere a dormire nella propria stanza, nessuna eccezione, quindi era stata piuttosto oculata nell'eludere la sorveglianza, uscendo quatta quatta e non facendosi né vedere né sentire da anima viva.
Per fortuna nessun membro del personale aveva notato quella sospetta fuga in penombra.
Ormai i giochi erano fatti.
Chi si sarebbe trovata davanti? Forse quel ragazzo strano, Mike?
No, non si avvicinava neppure lontanamente all'archetipo del ragazzo dai gesti romantici nascosti nel cilindro.
O almeno era più semplice che nascondesse un coltello a serramanico.
Durante quegli ultimi cinque minuti passò in rassegna una carrellata di possibili ragazzi, perfino tutti i Pet Shop Boys e Dave Gahan dei Depeche Mode.
Ma no, non poteva di certo essere così stupida da crederci sul serio, Dave Gahan non avrebbe assolutamente messo piede in un ospedale psichiatrico solo per lei, tra l'altro non nella Sunrise Bay.
Il campanile lì vicino scoccò i rintocchi delle dieci, ben scanditi l'uno dall'altro, come bambini in fila indiana.

Uno.

Mancava l'ultimo piano.

Due.

Judy si approcciò ai primi gradini, i piedi traballanti dai tacchi delle scarpe.

Tre.

Il suo cuore saltò un battito.

Quattro.

Le mani le iniziarono a sudare.

Cinque.

Omioddio, lo stava facendo davvero?

Sei.

Era troppo tardi per tornare indietro.

Sette.

Era troppo tardi per pentirsi.

Otto.

Lo voleva, lo voleva così tanto.

Nove.

Era giunta agli ultimi gradini.

Dieci.

Ancora un passo, un piccolo passo, e avrebbe conosciuto quel ragazzo misterioso.

Fece un respiro profondo.

 

  
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