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Autore: gimmickpuppets    22/10/2018    1 recensioni
Dopo la morte di Hart, Kite deve far fronte alle conseguenze, cercando un po’ di conforto nell’unica persona che non può giudicarlo, non sapendo dove andare quando neanche la sua famiglia lo rassicura.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Arclight/ Five, Kaito Tenjo/Kite Tenjo
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Stando vicino all’ormai vicina pazzia, ci vuole tutta la forza di volontà di Kite per non permettere alle sue mani di tremare mentre piega i vestiti di Hart e con cautela li poggia in alcune scatole, come se i vestiti stessi si agitassero, come se fossero spinti da qualcosa.
Il rumore dell’elettrocardiogramma nel loft si fa sentire, accanito e disagevole – tutto troppo rumoroso e inquietante, gli riporta alla mente reminescenze delle camere ospedaliere, in cui una volta viveva, svuotando lo stomaco in recipienti metallici e chiedendo al padre “Sono abbastanza forte adesso?” prima che la sua coscienza si annebbiasse.
S’interrogava per tutto il tempo se quel giorno era stato sopportabile. Soffriva?
Le sue mani scivolano e si aggrappa all’orlo della scatola di cartone finché le sue unghie non lasciano mezzelune sulla superficie. Le sue ginocchia sembrano gelatinose alle giunture e l’agonia risuona fragorosa oltre le sue costole. Non importa quanto desideri, e non importa quanto possa pregare un Dio in cui ha smesso di credere ormai da tempo se rimane una semplice, devastante verità.
 
Hart è morto.
 
Prova a ricomporsi, sollevando una mano a reggersi il ponte del naso, come se potesse fermare l’angoscia dallo strisciare nella sua mente come succedeva frequentemente nelle ore di veglia.
Il sonno sarebbe stato un sollievo ma gli sfuggiva, notte dopo notte, per ripresentarsi nei suoi incubi, svegliandolo coperto di sudore gelato. Agonia – così spesso mascherata sotto l’apparenza di rabbia si era trasformata in lunghi silenzi, borbottando disperatamente da una bottiglia come se potesse rispondere – come se lo volesse. Tutti questi fattori si sommavano a una semplice conclusione:
Stava cadendo a pezzi
E non suonava ignota come prospettiva – essere appeso alla punta delle dita lottando per tirarsi su – ma era come se non ci fosse mai stato senza Hart ad aiutarlo a tirarsi su. Tutto… era stato per lui. Tutto… da quando erano piccoli; dal momento in cui aveva preso in braccio il fratellino per la prima volta.
 
Avrei dovuto proteggerti.
 
C’era una colpa da riconoscere a qualcuno e Kite la attribuiva tutta a Faker. Come aveva osato! Come aveva osato usare il suo stesso figlio come un’arma! Usare Hart… Debilitarlo a tal punto.
Le cose avrebbero dovuto migliorare ma invece erano collassate su loro stesse e ora, beh, ora rimaneva solo questo. Rimanevano solo i suoi vestiti impilati nelle scatole e un orso di peluche che teneva un cuscino a forma di cuore accoccolato solennemente in cima, come ad aspettare delle manine che lo prendessero di nuovo.
Un regalo di loro madre… Un regalo dall’ospedale - indietro… sembra passata una vita – prima che Kite potesse anche solo realizzare per un istante che sarebbe potuto passare in quell’inferno.
 
Tutto quello che rimaneva era questo.
 
Kite finisce di imballare gli scatoloni e li sposta vicino alla porta per essere presi più tardi, portando via con sé solo pochi averi personali in una borsa più piccola mentre va via da casa loro –no, la casa di Faker.
Il suo stomaco si serra alla vista di suo padre – chiamarlo così lascia un sapore amaro in bocca – vicino alla porta.
Non ci sono parole tra loro mentre si avvia alla macchina e lo aggira per prendere l’ultimo pacco.
 
“Ho fatto tutto quello che ho potuto.”
 
“Non iniziare, cazzo.” sibila Kite “è tutta colpa tua. Non hai nemmeno provato a salvarlo, l’hai usato come si usa un’arma.” Afferra Faker per il bavero e lo sbatte contro il muro, le lacrime bollenti nei suoi occhi mentre guarda minacciosamente l’uomo con cui è abbastanza sfortunato da esserne consanguineo.
“Non chiamarmi. Non parlarmi. Non dire a tutti che lo amavi perché non è così! Tu non sei mio padre! E non saresti stato neanche il suo, mai!”
 
Lascia la presa e si allontana prima che possa replicare e parte. Non guarda indietro. Non gli interessa che uomo vede nello specchietto retrovisivo perché alla fine è colpa sua se Hart è morto.
Stringe i pugni finché le nocche non diventano bianche. Le lacrime cadono sulla sua pelle e per la prima volta Kite piange sinceramente, la macchina accostata a un lato della strada, con le ginocchia strette e i palmi sugli occhi.
 
La risata che giunge dopo le lacrime al pensiero della sua stessa morte è amara con una punta di risentimento, il tono prossimo alla pazzia. Il dolore è un’emozione che consuma terribilmente, dopo tutto.
Per quanto provi a negarlo lo colpisce ancora il fatto che non importa quante volte chiude gli occhi, non sarà mai un sogno. L’immagine di Hart freddo tra le sue braccia mentre la linea dell’elettrocardiogramma si appiattisce sarà incisa in ogni pensiero e in ogni sogno – no, in ogni incubo – ed è qualcosa da cui non può mai scappare, non importa quanto ci prova. Il ticchettìo del suo orologio vitale nel suo subconscio risuona attraverso lui come il respiro ansimante di Hart. I giorni non sono in secondi ma in penosi, faticosi rantoli. Cosa non darebbe Kite per avere orologi liquefatti e la classica immagine della morte che si aggira nei suoi sogni, la falce in una mano, le altre dita scheletriche a fargli segno di avvicinarsi, vicine, sempre più vicine.
Invece la morte per lui è l’immagine di Hart in piedi sulla soglia invasa dalla luce con un sorriso spaccato che gli scardina la mascella superiore e inferiore, la lingua che penzola orrendamente bianca mentre larve ed altri insetti strisciano fuori dai frammenti di pelle in decomposizione. Barcolla avanti mollemente, la pelle screpolata e l’andatura rigida, coperto di fango e sangue raggrumato mentre grida che Kite l’ha tradito. E proprio mentre urla e si slancia in avanti Kite si sveglia bruscamente, le mani alla gola, pensando di sentire ancora l’odore della decomposizione. La preoccupazione di Faker gli porta solo rabbia e nessun sollievo dopo una notte così inquieta.
 
Quando è fortunato, non sogna affatto.
 
“Stavi urlando nel sonno.”
 
“Levati dal cazzo!”
 
Sono passate due settimane. Non c’è ancora una fine.
Kite spera che si affretti. Desidera solo aggrapparsi a quella semplice, piccola, ancòra di salvezza lasciando dietro di sé un’illusione di grazia, la concezione della realtà e la sua autoconsapevolezza. Stava già scivolando. E' scivolato per molto tempo. Non riesce a sentire i polpastrelli. Ha stretto il volante troppo forte e gli fanno male le mani. Poggia la guancia contro il rivestimento in pelle e fissa la finestra, gli occhi sulla porta dell’appartamento di Chris, sorridendo debolmente mentre pensa a cosa dirgli.
 
‘Hey Chris. Indovina, mio fratello è morto, odio mio padre e la mia vita è uno sconquasso, puoi dirmi di non preoccuparmene? Puoi dirmi che non me ne deve importare?’
 
I suoi occhi si serrano. Due profondi respiri, uno in più per essere sicuri… Patetico. E' oltre l’essere patetico.
 
Chris gli aveva dato una chiave di riserva dopo il loro ultimo incontro, chiudendo le dita sopra quelle di Kite e dicendogli dolcemente che aveva sempre un posto dove andare, se ne avesse avuto bisogno.
‘So che è malato… So che ci stai provando. Faker non può essere di grande aiuto quindi non esitare a venire.’
 
Kite aveva passato giorni sul letto di morte di Hart, pensando se dovesse chiamarlo e chiedergli di fargli compagnia. Ma che diritto aveva per strappare Chris al calore della sua famiglia che si stava ricostruendo per chiedergli di piangere con lui – piangere per un ragazzino che aveva sempre e solo conosciuto per sussurrargli per avere più e più urla? Per Chris… doveva sembrargli l’immagine della tristezza, Kite che provava sempre ad adularlo… facendo promesse e provando a strappargli un sorriso.
 
Chris non gli doveva nulla, e la pietà non piace a Kite.
 
Appartamento C-5. Ingegnoso.
Le labbra di Kite si stirano verso l’alto e bussa lentamente, ogni colpo che vibra attraverso di lui. Spera quasi che non sia in casa, ma mentre lo pensa, la serratura scatta e la porta si apre. Chris è poggiato contro il vano, le maniche arrotolate e i capelli legati mentre asciuga il piatto che tiene. La sua espressione dice tutto quello che Kite ha bisogno di sapere. Lo stava aspettando.
 
“Christopher.”
 
“E’ peggio di quanto pensassi.” L’espressione confusa di Kite lo spinge a spiegarsi.
 
“Non mi chiami mai Christopher a meno che non sei teso. Entra. Faccio il caffè.”
L’interazione è così semplice che stride con tutto quello che è successo negli ultimi giorni. Chris è l’immagine della gentilezza e tutto quello che gli ha offerto è un caffè e un posto a sedere. E’ più di quanto merita, veramente, soprattutto considerato quanto ha pensato a sé stesso dal funerale.Da quei giorni guardando Hart deperire.
E’ colpa sua e nonostante ciò Chris si comporta come se fosse un bambino che deve essere fatto sedere e confortato.
 
“Cioccolata calda… se ne hai un po’.” Kite si prende il colletto e apre i primi due bottoni per adeguarsi al calore della stanza.
Chris stava cucinando, è percepibile dalla leggera umidità e dall’odore di spezie e patate bollite nell’aria.
“Cucini per una festa?”
“Thomas sarebbe dovuto venire ma sarà troppo occupato con le nuove… ehm, accolite.” replica mentre alza le mani. Kite rimane alle sue spalle mentre si muove per la cucina e porta una casseruola e un fornelletto al bollitore. “E’ stato un bene che ti sia fatto vivo. Speravo solo che le circostanze fossero migliori.”
 
“Pensavo di chiamare prima –“
 
“Non hai chiamato affatto. Ma nemmeno io avrei chiamato, se al tuo posto ci fossero stati Michael o Thomas. Sono questioni private.”
 
Chris poggia la tazza e versa il mix di cioccolato assieme alla panna e a qualcosa che odora come sciroppo di caramello - l’odore alza un fumo caldo e umido oltre i suoi occhi - mentre mescola.”Sono stato al funerale. E’ stato bello.”
 
“Ti ho visto. Non avevo voglia di parlare."
 
“Ho sentito che non eri al ricevimento.”
 
“I funerali sono per i vivi. Ed io non ho nulla da spartire con chi rimane.” Kite rimane dietro il tavolo mentre tira a sé la sedia e finalmente si siede. “Tutto ciò che amo è scomparso.”
 
“Non… dire così, sembra uscito da uno di quei film che odi. ‘Tutto ciò che amo è scomparso’… Se stai provando ad essere melodrammatico ci stai riuscendo.”
Chris poggia la sua tazza davanti a Kite e si siede dall’altra parte del tavolo, l’espressione accigliata.
“So che non è facile, ma…”
 
“No, non lo sai!”
Kite sbatte la mano sul tavolo, stringendo le dita in un pugno sopra il legno. “Non lo sai Chris, cazzo, perché non hai mai dovuto perdere nessuno!” si alza rabbiosamente e sbatte le mani sul tavolo, facendosi avanti.
“Quando mai hai perso qualcuno che amavi?”
 
“Mia madre.”
Kite si ferma, guardando Chris con la bocca asciutta per lo shock. Non che non lo sapesse, ma sentirlo dalla sua voce è così… tanto da ammutolirlo. “Ma tu non dovevi proteggerla.”
 
“No, ma dovevo fare da genitore a due bambini. Due fratellini che mi tenevano la mano chiedendomi perché mamma era in una scatola di legno. Perché mamma non tornava a casa. Thomas aveva ancora gli incubi quando andò in orfanotrofio, quindi non dirmi quello che ho perso o no. Non hai il diritto di farmi la predica, Kite.” Chris rimane seduto, gli occhi in quelli di Kite per tutto il tempo.
“Non hai il diritto di dirmi che tutto è perso.”
 
Kite rimane immobile prima di tornare a sedersi lentamente e rilassare le dita. “E’ diverso.”
 
“La morte è una parte dell’essere umano. Non ti farà meno male o sarà migliore ma non sei il solo che si è sentito così. Traine conforto. Altri sono sopravvissuti e così puoi fare anche tu.” Chris allunga una mano sul tavolo per poggiarla su quella di Kite e sospira. “C’è qualcos’altro, non è vero?”
“Ho bisogno di qualcuno con cui piangerlo. Qualcuno che non sia Faker.”
Kite gira il palmo all’insù per intrecciare le loro dita. Le lacrime bollenti che ha represso gli sfuggono in un’ondata dolorosa e Kite vorrebbe urlare.
Tutto quello che può fare è ingoiare un singhiozzo.
 
“Non mancherà a nessuno. Nessuno tranne me.”
 
“Ci sono Yuma. Tori. Shark. A me mancherà, Kite. Mancherà al mondo, Ma tu…-“
 
“Nessuno lo sapeva. Tutti sapevano della sua malattia e di quello che gli è successo, ma lui… lui è…” Kite si preme un palmo sugli occhi e prova a rilassare il respiro. “E’ stato più di questo.” Stringe la mano di Chris e prende pochi respiri. “Era la mia ragione per lottare. Era quello che mi faceva andare avanti anche quando il mio corpo era agli estremi. Avevo uno scopo –“
 
“Vivere ogni giorno dopo l’altro non è abbastanza? Avevi bisogno di essere così necessario? Kite, tu puoi sopravvivere perché la sua fine non è la tua!
 
“Hart era l’unica cosa importante!”
 
“Ti dovrebbe importare di te stesso!”
 
Sono entrambi in piedi, la tazza di Kite rovesciata con la cioccolata che gocciola da un angolo del tavolo. Le loro mani rimangono tese, ognuna stretta finché la tensione non cala abbastanza da permettere a Chris di aggirare il tavolo e stringere Kite a sé.
E in quel momento, circondato dalle braccia di Chris che la perdita risuona a Kite nel petto con tutta la sua potenza. Tutte le volte che aveva stretto Hart, strofinandogli la schiena e promettendogli che tutto si sarebbe aggiustato. I momenti in cui ripeteva ad Hart quanto lo amava e nonostante Hart rispondesse raramente sapeva che ricambiava ogni parola. Per tutte le urla che desiderava Kite glieli restituiva quante erano le notti passate avvolti in coperte a raccontargli storie e dandogli tutto l’amore che Faker non gli aveva mai dato.
Kite cade tra le braccia di Chris, nell’abbraccio di qualcuno che lo ama quanto lui amava suo fratello.
Singhiozza contro il suo petto, i pugni chiusi contro il tessuto della sua maglia mentre prova ad allontanarlo e finisce solo per essergli più vicino. Le sue ginocchia sembrano di gelatina, la testa pulsa dolorosamente… Chris è caldo – è sempre stato caldo, lo è sempre stato…-, Chris è solido –lo è stato… lo è…–, Chris è tutto quello che Kite non può essere in un momento dove singhiozza come un bambino.
 
–Chris c’è sempre stato.–
Perché Chris gli ha dato uno scopo. Perché Chris gli ricorda che lo scopo è lui stesso.
 
I suoi singhiozzi spezzati e urla si placano in deboli singhiozzi, cadendogli a peso morto controe facendolo abbassare contro il pavimento lucidato, ancora bagnato dalle loro bevande rovesciate.
“Mi dispiace tanto,” sussurra contro il tessuto “sono squallido.”
 
“Non direi squallido, ma…” Chris poggia il mento contro la testa di Kite e sospira “Come ti senti?”
 
Kite sbatte gli occhi doloranti e fa un profondo respiro “Meglio di quanto non mi senta da giorni.” mormora “Non mi fa male il petto.”
Preme ancora il viso contro la spalla di Chris e lascia andare un sospiro tremante “Ora cosa succederà?”
 
“Ora guarisci.”
 
Kite schiude ancora gli occhi e annuisce lentamente. Guarire…
E’ un inizio.


Angolo traduttrice:
La mia prima traduzione! Ringrazio gimmickpuppets per avermela lasciata tradurre e chiuncque passerà a leggere. Qui ---> https://m.fanfiction.net/s/10756992/1/ad-patres trovate l'originale

 
   
 
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