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Autore: ChiiCat92    22/10/2018    0 recensioni
"Una luce rossastra sfarfallava sul retro della sua retina, a intermittenza gli faceva vedere il mondo con coloro sfalsati.
Non era mai un buon segno quando quella luce iniziava a lampeggiare. Significava che aveva subito abbastanza danni da costringere il suo sistema interno a notificarglielo."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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18/10/2018


Needle and Thread



Una luce rossastra sfarfallava sul retro della sua retina, a intermittenza gli faceva vedere il mondo con coloro sfalsati.

Non era mai un buon segno quando quella luce iniziava a lampeggiare. Significava che aveva subito abbastanza danni da costringere il suo sistema interno a notificarglielo.

Normalmente avrebbe fatto finta di niente, una scrollata del capo, un dente smussato a furia di stringere la mandibola, e via, di nuovo nella mischia.

Stavolta no, non riusciva a mettere a tacere l'allarme che continuava a fischiargli nelle orecchie, e a spegnere quella maledetta luce rossa.

Arrancò ancora di qualche passo, quanto bastava per uscire fuori dal campo visivo degli uomini con i fucili che lo stavano inseguendo, e si permette contro una parete. Non per nascondersi, non per avere la linea di tiro pulita per tentare di sparare in testa a quei bastardi, ma per godere del refrigerio del cemento, e della sua resistenza.

Secondo i calcoli del suo hub neurale c'erano quattro pallottole attualmente conficcate da qualche parte nel suo busto; avrebbe potuto scoprirne la precisa ubicazione, ma bastava la luce rossa lampeggiante a fargli capire che non voleva saperlo.

Stava perdendo una notevole quantità di sangue, notevole per uno che ha il 90% potenziato da augumentations militari. Jensen si ritrovò a pensare con stupore che, tutto sommato, perdere tutto quel sangue lo faceva sentire ancora vivo.

Il dolore era sopra i livelli massimi sopportabili e se rimaneva cosciente era solo per le continue, minuscole, precise scosse elettriche che l'hub mandava direttamente alla corteccia cerebrale, il regalino che David Sarif gli aveva fatto per impedirgli di morire. Questo lo rendeva praticamente immortale? No, solo difficile da abbattere, e più deciso a uccidersi.

Con la vista annebbiata dal rosso dell'allarme riuscì a malapena a capire che gli uomini avevano perso le sue tracce. Fosse stato più lucido avrebbe riflettuto sulla loro inettitudine: con le tracce di sangue fresco come una scia, era inconcepibile che non l'avessero trovato.

Tanto meglio, no?

Confuso, Jensen si affacciò sulla strada buia, lercia, inalando i marci effluvi di Detroit. Odore di casa, una casa che era cambiata molto dalla sua infanzia.

Dove andare?

Il suo appartamento era compromesso, non aveva dubbi a riguardo, prendere una stanza in un motel era fuori questione (anche perché, avrebbe sanguinato sulla moquette all'ingresso, ed era abbastanza sicuro che al proprietario non sarebbe piaciuto): non c'era un solo posto sicuro in cui potesse rifugiarsi. O sì?

Strinse gli occhi come per costringersi a riflettere, il continuo lampeggiare della lucina rossa gli faceva venire l'emicrania. Pensò vagamente ai Natali passati con i suoi genitori, l'albero acceso in salotto tutta la notte che lampeggiava candidamente passando dal verde al bianco al rosso e poi di nuovo al verde.

Pritchard.

Aveva ancora gli occhi chiusi, mentre nelle orecchie squillava argentino il suono del telefono quando inoltra una chiamata.

Tuu, tuu, tuu.

“Non rispondere, Francis.”

Tuu, tuu, tuu.

“È meglio per te se non rispondi.”

Tuu, tuu, tuu.

Però non riusciva a non sperare che lo facesse, che prendesse la chiamata con un sospiro frustrato, e che lo salutasse con il solito allegro entusiasmo.

Tuu, tuu, tuu.

Starà di certo dormendo, si disse Jensen, un po’ sollevato dopotutto, starà dormendo, e quando domattina troverà la chiamata io sarò già morto.

« Pronto? » fu la funerea risposta.

Chissà, magari aveva esitato tanto a rispondere perché aveva visto da chi proveniva la chiamata.

« Francis. » sussurrò lui, sapendo perfettamente che l'uomo all'altro capo del telefono avrebbe sentito.

Nel silenzio di scariche statiche che seguì, Jensen vide Pritchard alzare gli occhi al cielo.

« C'è un motivo specifico per il quale, Adam, mi chiami alle tre del mattino? »

Il fatto che usasse il suo nome e non il cognome fece sorridere Jensen, suo malgrado.

« In realtà sì. » disse, sbrigativo come sempre. « Ho...un'emergenza, ho bisogno del tuo aiuto. »

« Ma certo. » sbuffò Pritchard, come se non fosse assolutamente pronto ad aiutare Jensen, come se non volesse, come se non fosse già schizzato in piedi per prendere il palmare lasciato sul comò. « In quale strano posto vuoi infilarti che richiede la mia assistenza? Di quale effrazione o sequestro illegale verremo accusati stavolta? »

« So che ti prudono le mani al pensiero, Francis, ma non è niente del genere. » sospirò l'uomo. Avrebbe davvero voluto solo accasciarsi in un angolo e morire, così tutto quel dolore sarebbe andato via. « Posso venire da te? È davvero una cosa... importante. »

Pritchard riflettè qualche drammatico istante, poi acconsentì con uno sbuffo quando già Jensen si era avviato, su gambe stabili solo perché non erano di carne e ossa.

Quando raggiunse l'appartamento del collega quasi gli crollò in braccio, sfinito, pallido, le labbra esangui. Inutile sarebbe stato per Pritchard chiedergli cosa fosse successo, perché lui non sarebbe stato in grado di rispondergli, non con parole di senso compiuto almeno.

Senza esitazioni lo fece sdraiare sul tavolo della cucina, metodico come lo era sempre, attento, preciso, ma coperto di sudore gelido: tutto quel sangue gli faceva girare la testa.

Analizzando il corpo di Adam con il palmare trovò i proiettili, non avevano causato danni gravi ma andavano estratti. Non era sicuro di riuscirci, e neanche di volerci provare, ma le mani si mossero per lui. Per prima cosa svuotò metà bottiglia di liquore sulle ferite per disinfettarle, mentre l'altra metà la versò in gola all'uomo nella speranza che lo intontisse abbastanza da non fargli sentire il dolore. Ne dubitava, ma Adam, se fosse stato più presente, l'avrebbe apprezzato.

Estrarre i proiettili con un magnete e delle pinze a becco fu la cosa più simile all'Allegro Chirurgo che Pritchard avesse mai fatto dai tempi dell'infanzia, ma riuscì, e dovette congratularsi con se stesso per non essere svenuto.

L'odore di alcool nell'aria era forte tanto quanto quello del sangue, e a tratti Pritchard tratteneva il fiato per non inalarlo.

Jensen mugolò qualcosa, tentò di allontanare l'uomo con una mano, ma lui gliela prese e gliela accomodò gentilmente lungo il busto.

« Hai chiesto il mio aiuto, ora fatti aiutare. » forse aveva usato un tono più dolce del previsto, più accondiscendente, ma lo nascose a se stesso.

Adam volse lo sguardo spento verso di lui, abbozzando appena un sorriso. « Grazie. »

« Oh non è niente. » bofonchiò lui in risposta. « La prossima volta che intendi rischiare la vita sul tavolo della mia cucina vorrei essere avvisato. »

Jensen, però, aveva finalmente perso i sensi.

A Pritchard, ora, non rimaneva che prendere ago e filo: c'erano un bel po’ di ferite da ricucire.



   
 
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