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Autore: Bess Black    24/10/2018    2 recensioni
Louis non lo disse mai a nessuno, ma sapeva già come sarebbe andata a finire: l'aveva visto.
Sapeva del cancro di Molly e di quanto lentamente l'avrebbe uccisa.
Sapeva di Lucy e del motivo per il quale parlasse da sola tutto il tempo.
Sapeva di Roxanne e di Fred, e dei macigni che si trascinavano dietro.
Sapeva ciò che nascondeva Lysander. E ciò che faceva Lorcan per coprirlo.
Sapeva di Evelyn Black e tutto ciò che celava quel cognome.
Sapeva di James ed di Albus, e chi dei due si sarebbe pentito alla fine.
Sapeva chi era Derek Nott davvero, chi non era Amelia Nott e quanto sarebbe costato scoprirlo. E quanto sarebbe costato ad Alexander e Denise Rosier.
Sapeva di Scorpius. E Rose.
Sapeva di Lily, finché sapeva di Hugo.
Sapeva di Frank, tanto quanto ne sapeva di Dominique.
Sapeva di ciò che legava Damian Harper ad Adam Zabini. E di ciò che legava lui ad Adam.
Sapeva chi sarebbe rimasto, chi se ne sarebbe andato e chi, dal principio, li avrebbe traditi tutti.
Louis sa già come terminerà questa storia e sa già di essere tra quelli che, alla fine, non ci saranno.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Fred Weasley, Fred Weasley Jr, James Sirius Potter, Louis Weasley, Regulus Black | Coppie: Hugo/Lily, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'isola che non c'è'
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Rimembranze:
  • Nello scorso capitolo abbiamo saputo che c’è qualcun altro che riesce vedere Luke oltre a Lucy, una persona sola - ed è Adam. Abbiamo anche appreso che Luke è in possesso di un’ombra tutta sua e questo prova quanto si stia rafforzando ai danni di Lucy (e Molly).
  • Durante l’attacco dei Dissennatori Derek Nott (che era corso in infermeria a cercare la sorella, senza trovarla) finisce in una stanza dei sotterranei asfissiato ed in ipotermia a causa dell’effetto che i Dissennatori hanno su di lui. Attraverso un’analessi abbiamo scoperto che il suo vero nome è Henri Christopher e che fu adottato dai Nott. Questi, in cambio di metà della sua eredità una volta divenuto maggiorenne, hanno rinunciato alla tutela dei Rosier (Alexander e Denise) e l’hanno preso in custodia. Il Cielo volle che finisse nella stessa stanza in cui era rimasta rintanata Evelyn da qualche giorno, all’insaputa delle poche persone che si erano accorte della sua assenza.
  • Per quanto riguarda Amelia eravamo rimasti alla sua morbosa cotta per Fred e ai suoi infortuni che l’hanno costretta a rimanere in infermeria per settimane, togliendola dalla scena centrale della narrazione: dapprima l’ambiguo avvenimento alla festa di Halloween; successivamente azioni autolesioniste; ancor dopo, la sua presenza, assieme a Hugo e Lily, durante l’attacco che ha portato al rapimento di Joshua Thomas.
  • Per quanto riguarda Joshua ed il suo rapimento/morte-non-ancora-confermata abbiamo saputo qualche cosina in più che potrebbe essere fondamentale: quando Denise Rosier ha per puro caso origliato una parte di conversazione tra l’infermiera e un Auror ha sentito loro dire che si era presentato all’inizio di novembre, fin troppo presto, in infermeria perché aveva perso troppo sangue.
  • Roxanne è in una situazione di disperazione estrema, tale che le ha fatto mettere da parte la propria morale: sappiamo che sta tentando di accumulare denaro il più possibile per l’intervento della madre e che a suo modo Damian la sta aiutando, senza far passare l’aiuto per gesto caritatevole.
  • Ad Hogwarts qualcuno fa il doppio gioco.
 

 
XII.
Buonanotte
Vol. I - Il riposo di Louis


 
Si riavvolge il nastro strappato sott’occhi
del colpevole e di chi colpa volle
ma non svolse, non sconvolse i fiocchi
valori vuoti, dolci in si bemolle

così, gli strappi vertono in rintocchi
sovversi dal vero dell’avvenir folle
verso l’avverso, com’il nastro sott’occhi,
volge al termine ciò che virtù non volle.

Mai più, tu dici? Dico io, sentiti!
Mai più, sì, mai più nastri di menzogne
in si bemolle, di cui m’hai fatto concerto.

Guardami e menti, giura e pentiti,
ora sul tuo volto riconosco le vergogne,
ti guardo e mento, giuro e mi converto.

Sonetto I, Il folle verso





E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de l’acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana;

livide, insin là dove appar vergogna
eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,
mettendo i denti in nota di cicogna.

Ognuna in giù tenea volta la faccia;
da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
tra lor testimonianza si procaccia.

Dante Alighieri, Commedia, Inferno, XXXII


 
§§§


 
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – 21 Ottobre 1972
 
Peter Minus lo guardava mentre rideva.
Ed era grottesco: Peter che rideva, come Peter rideva e Peter che lo guardava mentre rideva in quel modo.
Era bastato il Levicorpus di James e la conseguente battuta azzeccata di Sirius: era bastato Severus Piton a testa in giù e Peter aveva squittito la più acuta e fastidiosa risatina che Regulus avrebbe mai udito in un totale di diciannove anni di vita sacrificata.
Eppure Severus a testa in giù non era, davvero non lo era, così divertente – anche da quello che poteva essere l’altro punto di vista; così come la battuta sulle sue mutande: davvero nulla in quel momento faceva ridere.
«Non fa ridere.» aveva osato proferire quando Peter aveva suggerito di far sparire gli indumenti del Serpeverde ancora a testa in giù.
«Ah, allora parli!» James Potter gli aveva sorriso ed era stato quel sorriso, in quell’istante spropositato, a fargli davvero paura: il Grifondoro sembrava piacevolmente sorpreso sul serio, quasi aspettasse solamente la sua reazione. Ma quanta paura gli facesse la bellezza del sorriso di James era un’altra storia che non potrà mai essere raccontata perché non sarà mai vissuta.
«Mettetelo giù.»
Per un istante, mite e frazionario, che Regulus avrebbe rivissuto ed alimentato di significato fino alla morte pochi anni dopo, gli sembrò che James Potter avesse sinceramente ascoltato le sue due parole, che le avesse sinceramente prese in considerazione. Ma Peter Minus aveva nuovamente riso, squittito acutamente, facendo delle sue parole, due parole, due soltanto, grottesca intromissione ed allora gli occhi di Potter si erano improvvisamente illuminati, distratti.
«Difendi Mocciosus?»
Aveva una voce fresca, vigorosa ed intonata, omogenea nella melodia. Regulus avrebbe avuto tristi possibilità, in occasione e in contesto, di sentirla nella vita; mai l’avrebbe dimenticata.
«Reggie, sul serio?» S’era intromesso suo fratello - suo chi? «Non dirmi che in tutto il castello la cotta te la dovevi prendere proprio per Mocciosus?»
James Potter sorrise, non a lui, ma guardandolo; l’orgoglio di chi ama aver ragione e la fierezza di chi gode nel piacere.
«Nah, lascialo fare, è tenero.» l’aveva provocato James, ancora rivolto verso Regulus, le spalle voltate a chiunque altro nella stanza; mai più sarebbe riaccaduto: da quel giorno in poi, lui sarebbe stato l’unico a cui James Potter non si sarebbe rivolto, l’unico a cui avrebbe dato solo e soltanto spalle. Ma Regulus sapeva di non aver posto nella vita di James Potter; non pretendeva altro: almeno dalle sue spalle, sporgendosi un poco al limite, avrebbe potuto scorgere un terzo del suo sorriso senza precipitare.
«Fottiti, James!» aveva sbottato Sirius Black alla battuta accorta del migliore amico, provocandogli sul volto una risata per la quale Regulus sarebbe sempre stato grato al fratello.
«P-potrebbero espellervi per questo.» era stato istintivo rispondere alla provocazione con un’altra; che si trattasse di due tipi dissimili di provocazione era contribuito dal fatto che la sua non era altro che una reazione.
«P-prima dovrebbero venirlo a sapere.» Aveva sorriso James, imitando la sua stessa balbettante labiale sorda. Aveva poi fatto un passo in avanti, ma Regulus non non aveva saputo indietreggiare - e si vorrà sempre bene per non averlo fatto nell’unico momento in vita in cui avrebbe avuto quell’occasione. «Cos’è, sei una spia?»
Sirius aveva fatto un verso di disgusto a cui Regulus non era più famigliare, ma che aveva saputo riconoscere. «Reggie, va bene tutto, ma non la spia.» aveva commentato. «Non li scagioniamo i traditori.»
«Già, ci fanno schifo i traditori!» s’era intromesso Peter Minus.
«Oh oh, Mocciosus deve essere svenuto, ragazzi.» Sirius aveva aspettato di comunicarlo a voce lampante, prima di piegarsi in due dalle risate.
James aveva ridacchiato, ma senza girarsi a vedere la fonte della sua ilarità; solo per continuare a guardarlo e Regulus non poteva che sentirsi vivo. Si sarebbe sentito altrettanto vivo solo in punto di morte, pochi anni dopo: il sorriso caldo di James e la risata gioiosa del fratello addosso assieme a centinaia di inferi che lo stavano già divorando mentre annegava in acque che avevano lo stesso colore degli occhi di sua madre - dei suoi.

C’era energia sanguigna, tra Sirius e James. Era chimica, ma in flusso, non statica; rigenerativa. Era a ritmo cardiaco, era integrale e vitale; organica. Era incisa nei lineamenti, rilassati o contratti - in sistole o in diastole - ogni qualvolta ridevano o sorridevano perché era energia vitale e non c’era muscolo che non irrorasse, densa e fluida; non c’era gesto, persino insignificante, che non alimentasse, diramata e reticolata, veloce e ritmica. E, ancora, non c’era momento in cui non sorridessero o ridessero, dunque era energia autorinnovabile.
Era genetica. James e Sirius erano fratelli.
Erano tutto ciò che poteva essere definito l’ideale fraterno. Ma se Sirius e James erano fratelli dove poteva stare lui? Il flusso tra i due l’avrebbe solo portato via, lontano e tramortito, come la corrente selvaggia di un torrente, la cui sorgente lo rifiutava, destinandolo a stagnare in un emissario buio e fangoso, senza mai sfociare.
Dove poteva mai stare lui in quella stanza polverosa, il cuore a mille come non avrebbe avuto la possibilità di essere mai più, puntato assieme ad una bacchetta tremante contro il fratello di suo fratello?
Dove poteva stare lui laddove non gli spettava posto, dove non gli spettava stare? Come poteva essere lì dove non poteva stare? Dove poteva mai trovare un punto, uno solo se non aveva le coordinate per tracciarlo? Che dovesse strisciare lungo sul bordo delle assi in attesa di essere collocato anche lui, fino a precipitare? Che dovesse precipitarsi per trovarlo? Che dovesse...che dove... Dove? Dove poteva mai nascondersi per vivere?
Che potesse solo scavarserlo un posto suo?
Se ne sarebbe convinto per i pochi anni restanti di vita, ma noi sappiamo che Regulus Arcturus Black nemmeno in tomba avrà mai posto.

Nella realtà presente, quella dove nessuno poteva provare quanto il cuore stesse battendo, solo ridere del perché - e rideva, James rideva, ma la risata era chiave di violino contro la pelle vergine di Regulus. Nella realtà vera, Sirius non aveva capito nulla e Regulus non avrebbe mai potuto saperlo, ma James non gliene avrebbe mai parlato, nemmeno in scherzo: l’unico vero momento di vita di Regulus sarebbe scomparso in segreto all’unica persona che glielo aveva donato, soli due anni dopo la sua stessa morte. Era poco, ma James avrebbe sepolto con sé la vita di Regulus, anche solo nell’unico istante in cui era esistita. Era poco, ma era rispetto e se Regulus lo avesse saputo prima di morire avrebbe avuto una ragione in più per morire lo stesso. Nella realtà reale, Peter Minus rideva di lui ed era una vergogna che dovesse fare da colonna sonora finale all’unico momento della sua vita che Regulus avrebbe voluto ricordare mai. Nella realtà, l’unica possibile, l’unica che aveva, il contorno era nero ed i colori neri, su sfondo nero.
Sì, James gli stava sorridendo, ma James sarebbe tornato a Sirius. E Sirius sarebbe tornato a James. E Regulus sarebbe ritornato al nero.



L’unico episodio che Regulus avrebbe rivissuto di quella sera del ventuno ottobre 1972 sarebbe stata la risata roditrice di Peter Minus giungere dal salone di Villa Malfoy otto anni dopo.
Regulus l’avrebbe riconosciuta all’istante ed avrebbe scritto una lettera a James Potter per informarlo di chi fosse la spia, il traditore all’interno della sua cerchia; l’avrebbe bruciata poi e, piangendo, ne avrebbe scritta un’altra con lo stesso contenuto, ma indirizzata ad Albus Silente.
Tale lettera sarebbe stata intercettata da terzi e mai giunta al destinatario.
Ancora oggi si trova tra le pagine dell’enciclopedia nella biblioteca dei Malfoy. Le ceneri della lettera scritta per James le avrebbe spazzate via Sirius Black stesso dal camino di Grimmauld Place, tredici anni dopo.




 
§





 
All’ombra d’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro?
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento

pur lo sofferma allimitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi?





Louis dorme seppellito.
È steso avverso, col capo verso preghiera e contro redenzione, volto verso la lapide in marmo sacro di bianco liscio poiché spoglio d’immortalità: nessun nome la irruvidisce per incisione o sporgenza, solo quella che Louis sa essere una caricatura del tempo. Ed arredarsi di saputo e non capito ormai gli è ritornello in sonno, in sogno, in veglia, in memoria.
La data di nascita è stata invertita con quella di morte in un’anastrofe chiasmica che vede, ma non è capace di decifrare perché i numeri sono segni grafici sconosciuti a tutte le facoltà interpretative che ha, e per giunta, ogni numero incurva in semicerchio fino a sostituirne un altro e lasciarsi sostituire, a catena.
Sdraiato conficcato nel buco geometrico conta i numeri sconosciuti che piroettano su marmo in una danza matematica tra data di nascita e di decesso; tra vita e morte. Capisce, capisce solo e lo tormenta ma non lo preoccupa, che quella è la fossa di una tomba che mancava, una tomba che non c’è e non ci sarebbe stata nemmeno in seguito, ma gli appartiene. Non sa e non capisce che in sogno soltanto l’abiterà mai.
Scivola tre volte contate quando tenta d’alzarsi e rinascere dal fango che puzza di vita, cercando d’uscire dalla cavità, ma quando è finalmente in piedi il terreno gli dista per illusione ottica ad uno scalino melmoso di terra innacquata.
Nel cimitero c’è Lucy.
È seduta a gambe incrociate davanti ad un cadavere arrotolato in lenzuola bianche di misero e non di sacro, questa volta. Non si muove e Louis sa che lei del cadavere è custode, altrimenti è custode di ciò che significa.
Si siede vicino a lei, a gambe incrociate a parteggiare la custodia di quel corpo privo di ragione di stare nel suo sogno e privato di ragione di stare in vita per mancata ragione d’altri o giusta ragione di vita.
«Lo dobbiamo fare.»
Lucy traccia un cerchio sul terriccio fangoso, ma non lo chiude. Louis la guarda circoncidere la linea curva e fermasi prima d’unirla – il cerchio ha così un inizio ed una fine e, quindi, non è un cerchio.
«E tu lo sai, Louis, lo sai.»
Sorride, perché forse sa di aver pronunciato le stesse parole di lei nel sogno di piume che piovevano come parole di piombo. Lei? Lei chi?
«È quello che facciamo quando crollano i ponti. Portiamo a termine le strade, ma lo facciamo con asfalto distrutto di altre ed coi resti spogli delle coscienze.»
«Costruzione e distruzione sono arte di vivere.» ricorda Louis con voce tratteggiante, come la rugiada tra fango ed erba a scacchiera con le tombe sul cimitero. «Ma i ponti sono gli unici capolavori perché sono i primi a crollare, sempre prima delle strade, ma solo dopo le coscienze.» tiene gli occhi aperti nell’aria umida e vivida di freddo, mentre evoca carezze care alla memoria. «Me lo ha detto lei.» Lei? Lei chi?
«Chiedimi perché i ponti sono i primi a crollare, Louis.»
Guardò il cadavere insaccato in bianco e glielo chiese. Si assicurò di tenere lo sguardo fisso anche mentre lei rispondeva.
«Perché quando crollano le coscienze, nessuno sa più sorreggere i ponti.» fece una pausa, una sola, scandita. «Lo sai cosa significa questo, Louis?»
«Cosa significa, Lucy?»
Si volta verso di lui e lo fa toccandolo, prima sulla spalla, poi sul petto che lui le ha immediatamente rivolto. «Forse tu non hai mai sentito un ponte crollare.» con l’altra mano gli accarezza il collo ed il tocco gli fa male di torpore e calore perché è lo stesso tatto di lei. Lei? Lei chi?
«Cosa… cosa si sente quando un ponte crolla?»
«Dolore.» Gli occhi di Lucy non erano mai stati tanto verdi, verdi quanto quelli di lei. Ma lei chi? «Dolore, Louis, si sente dolore.»
«Io lo sento.» mise le mani sopra quelle di Lucy sul suo petto e sulla sua nuca. «Sento dolore adesso.»
«Lo so.» lo cullò. «Ma non è tuo.»
«È tuo?» chiese allora.
«È suo.»
«Di lei?»
«Di lui.» Lui? Lui chi?
«C’è qualcosa… si può fare qualcosa per evitare che i ponti… per evitare che crollino?»
«Non lo so, Louis, dimmelo tu. Si possono curare le coscienze?»
Lentamente, come una carezza regressiva, decrescente per durata ed intensità, involutiva nel suo torpore, Lucy lo priva del tocco delle sue mani che apre nell’aria ventosa, dopo averle poggiate sulle ginocchia tremanti.
«Pecchi di virtù, Louis. Erri di magnificenza. Tu sei l’apogeo e lo sarai da ogni volta in cui tangerai il perigeo, e per questo non avrai mai tomba.» Era una profezia – lo aveva capito dal tono greve, grave, gravido di significanti che celano i significati dei significati. «Per questo sarai tu a seppellirci e commemorarci. Noi viviamo in morte della tua perpetua immortalità in vita ed in morte.»
Louis si porta le mani al viso e si tocca gli occhi: di lì a poco piangerà.
«È per questo che lo dobbiamo fare. E tu lo sai, Louis, lo sai
Guarda il cadavere. Certo che lo sa: devono seppellirlo.
Lucy lo prende per mano, mentre s’alza, elevandolo in un’aria ancor più ventosa e fredda; tremendamente viva. Lo guida oltre il cadavere, verso un gonfiore di terriccio limaccioso, poco verde.
Cadono sulle ginocchia all’unisono e all’unisono scavano nel fango, violando con le mani la terra ed estraendola dalle sue mancate radici.
Louis estrae manciate di terriccio madido, lo estrae col pugno e lo guarda prima di metterlo da parte – ecco ciò che resta, ciò che rimane alla fine: fango. Alla fine sarebbe rimasto solo fango.
Lucy immerge le braccia fin sopra i gomiti e lui la imita perché sa – e lo sa come se glielo avessero sussurrato per notti – che quella tomba deve essere scavata con le mani, che deve essere strappata alla terra così come la morte strappa i suoi figli da lei.
Incavano una conca di terreno vuota – vuoto, ecco ciò che rimane alla fine – e Lucy gli prende le mani, palmo contro fango e fango contro l’altro palmo, ma le dita intrecciate consolidano l’unione.
«Non ho mai voluto che tu soffrissi, Lucy. Volevo solo aiutare, non credevo ci sarebbero state conseguenze. Io ci tengo a te. È sempre stato così e sarà sempre così.»
«Guardati.» gli sorride – e quel sorriso è troppo funesto, troppo consapevole. «Come puoi non essere tu la parte migliore di te stesso? Come puoi non essere tu il tuo dettaglio più bello?»
Scuote il capo e vuole solo fermarsi al centro del fango e parlarle o ascoltarla farlo, ma un occhio gli si chiude e metà della sua vista viene deviata, spinta contro vento e schiaffeggiata in un altro momento e in un altro luogo. Le immagini si sovrappongono in sembianze coagulanti, personificazioni disperse oltre i contorni, metamorfosi rovesciate sulle sue palpebre che tentano di riconciliarsi per addensamento – chiude entrambi gli occhi, ma le incarnazioni non diradano, si fanno più nitide, rafforzate dalla sua immaginazione in sogno, dal sogno nel sogno ed il sogno nel sonno.
L’occhio destro vede Lucy davanti a lui tendergli la mano e stringerla con, di e nel fango; l’occhio sinistro vede Lucy seduta in un gelido pavimento e gli mostra la nitidezza delle due ombre che proiettava il suo corpo sotto un’unica luce. Una delle due ombre al cospetto di Lucy, quella che chiaramente non era sua, si divide e coniuga in altre due ombre simmetriche e, terminata la mitosi, le due metà uguali parlano.

«Ora che abbiamo trovato la sua parte migliore, non ci resta che distruggerla, ma lentamente. Come lui ci ha creati.»

L’immagine sinistra muore nel cimitero quando Louis riapre gli occhi e la vista s’ingloba nell’unica realtà onirica nell’immaginario che ha davanti, si riconcilia a cerniera e, allo stesso tempo, per dissolvenza; barcolla sul posto e sbatte più volte le palpebre.
Lucy è più vicina perché è entrata nella buca che hanno scavato, tutt’un tratto più profonda così come tutt’un tratto era stata meno profonda quella da cui era risorto lui.
Si sporge verso di lui, in punta di piedi, e gli tocca il viso accarezzandolo con, di e nel fango.
«Hai lasciato che divenisse la tua parte migliore perché vivessi, perché mi salvassi, non è vero? Io per questo ti perdono, Louis. Perché ho lasciato che lui, invece, divenisse la mia parte peggiore perché vivesse. La tua parte migliore è la tua espiazione.»
«Luke?» le domanda – ed ora sta piangendo. «È sempre stato lui la tua parte peggiore, non è vero? Com’è possibile?»
«Non si può negare la vita, Louis. E, soprattutto, non si può negare la morte. È la morte che nega.» lo cerca con le mani, lo accarezza con la punta delle dita. «Non temere, io ucciderò la mia parte peggiore pur di salvare la tua parte migliore – e tu lo sai, Louis, lo sai
Lo avvicina a sé e Louis si lascia avvicinare e baciare. Le sue labbra e le labbra di Lucy si abbracciano.
«Brucia.» Non contiene l’impulso che lo persuade a toccarle le labbra con le dita.
«Brucia da morire.» Lucy chiude gli occhi per piangere sotto le palpebre al dolore di ciò che lui le ha detto e fatto.
«E continua a bruciare.» lo disse toccando le proprie labbra, questa volta.
«Si spegne ora, per bruciare per sempre.»
Louis tenta di scendere nel buco di fango con lei perché anche lui vuole chiudere gli occhi e piangere, ma lei lo ferma e pur di farlo riapre gli occhi.
«Voglio che tu sappia che io ho scelto e sceglierò sempre la tua parte migliore.»
È solo quando il cadavere alle sue spalle s’alza in piedi, strappandosi di dosso le lenzuola, che Louis si rende conto che anche il corpo di Lucy, ora affondato nella buca, è sempre stato nudo al suo fianco. E sta già capendo, ma vuole che lei esca dalla fossa che l’ha aiutata a scavare; sta già capendo chi è la sua parte migliore, solo che non vuole vedere Lucy in una fossa.
La stringe con, di e nel fango perché teme che sprofondi nella tomba che hanno scavato al centro di quella terra rugiadosa.
«No, non temere, Louis. È in tua fede che io, oggi e per sempre, mi affido alla tua parte migliore.» pronuncia il suo voto e per questo ritrae le mani dal suo petto.
Il cadavere alle sue spalle non è un cadavere, è la sua parte migliore e gli passa a fianco, scendendo nella fossa con Lucy.
«Adam.» Louis piange il suo nome.
Conficcati nella frana, Adam e Lucy si tengono per mano e guardano verso l’alto per raggiungerlo nell’unico modo in cui possono: con gli occhi. Louis li raggiunge con lacrime, prima d’inginocchiarsi e cercare di raggiungerli, invece, con le mani, le stesse con cui ha scavato loro la tomba e sa – perché tu lo sai, Louis, lo sai – che con le stesse mani dovrà anche seppellirli.
«Mi dispiace.»
Non è la loro morte, per questo il terreno è tanto rugiadoso, vivo: è la loro unione e non può che essere commemorata dalle sue mani.
«Tornerò a prendervi.»
«No, non lo farai.» gli disse la sua parte migliore. «È per questo che io sono qui. Perché tu non ci sarai.»
Adam e Lucy si stringono l’uno all’altra, sdraiati nella fossa e Louis copre, ripara, apparta i loro corpi col terriccio; vincolandoli al connubio, in nozze funebri.
Trascina una pietra di lapide bianca frantumata a metà sul fianco destro della loro sepoltura e non a capo, per indicarne l’anomalia. Con una scaglia appuntita della pietra si ferisce un dito più volte, finché non sgorga abbastanza sangue da permettergli di tracciare sulla superficie liscia della mezza lapide il suo commiato ultimo:

Vivete in fede della mia parte migliore

L’avrebbero letto al loro risveglio – quando lui non ci sarebbe più stato.
Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.


Ugo Foscolo, Dei Sepolcri







Louis urlò, prima di svegliarsi. E anche dopo essersi svegliato.
Era stato lo stesso urlo a risvegliarlo del tutto, non era stato il soffocare sottoterra della sua parte migliore nel sogno o il suo vago soffocare nero nel sonno, ma il soffocare nella sua mente; per questo aveva urlato una seconda volta, per sconvolgersi quanto era necessario al fine di non morire sepolto né sotto il fango, né sotto le sue palpebre – in nero.
«Stai fermo.»
Febbricitante, scostò la coperta infervorandosi del frigido freddo fermo che sarebbe crollato addosso al sudore cristallizzato in una fodera invisibile sulla sua pelle, come vento perpendicolare l’avrebbe sepolto d’aria – quanto di terra la sua metà migliore stava soffocando.
«Fermo.»
Una mano grande e aperta gli impedì d’alzarsi, ma nessuno lo ricoprì. Fu la seconda consapevolezza, per associazione, a sollecitarlo a rendersi conto che non era solo; non era postumo, non era reduce di ciò che c’era di Lucy e ciò che c’era di Adam nel sogno – forse solo di ciò che c’era e non c’era di lui.
Aprì gli occhi, allora, e cercò quelli di Fred per primi. Cercò il suo sguardo verde acqua tra i recami smeraldini della trapunta vellutata che aveva spinto da parte, in quello delle tende che gli incorniciarono il contesto caldo e stabile della stanza; lo cercò al suo fianco, alle sue spalle e chiuse gli occhi quando non li trovò.
Li riaprì una seconda volta per non piangere, in cerca degli occhi di James, come una cara consolazione, seppur istantanea come erano sempre stati i suoi abbracci poco permissivi, buoni e reali; cercò l’azzurro vivido e sempre lucido, quasi fulgente, ma lo trovò cristallizzato e fessurato in uno sguardo affilato e ferrigno, fosco.
«Che… che giorno è?» pose la domanda a bocca chiusa perché la sua voce era stata consumata dalle urla durante il sonno. Aprì la linea curva che creavano le sue labbra supine, fiducioso che nonostante tutto ciò che c’era di burrascoso negli occhi che lo stavano scrutando, senza guardarlo, l’unica altra persona in quella stanza con lui sarebbe rimasta ad aspettare che finalmente parlasse. «Che giorno è oggi, adesso?»
Associò il grigio metallico a capelli neri e tratti pronunciati, marcati e li congiunse, disegnando a mente il volto nonostante fosse esattamente di fronte al suo. Abbozzò nella tela ad olio che aveva dipinto dietro le sue palpebre due spalle larghe, alte e perpendicolari alle lunghe gambe parallele. «Io so chi sei.»
«Puoi sederti, ma lentamente.» rispose l’altro. «Non alzarti, sverresti.»
Louis allungò una mano, sapendo che non sarebbe riuscito a toccarlo perché si stava già allontanando verso la porta. «So chi sei, io lo so.»
Il ragazzo abbassò la maniglia della porta per troncargli la frase. «Finché non so cos’hai e non gli trovo rimedio, non posso lasciar passare nessuno.» lo disse guardandolo, come se fosse il debutto dell’unico vero scambio di parole. «Un solo nome.»
Dunque Louis distolse gli occhi e rinunciò a sedersi, accontentandosi di girarsi sul fianco a cercare con una mano chi non c’era, ma avrebbe voluto ci fosse. «Non c’è rimedio per l’avvenire.» ci volle qualche momento in più, ma arrivò a dargli il nome: non fu il primo a venirgli in mente, ma fu l’unico a rimanerci.

Derek Nott scese le scale che portavano dai dormitori maschili alla Sala Comune contando tutti i presenti. Era solito a scenderle contando i gradini, uno ad uno, saltando il solo primo o l’ultimo – per principio d’esclusione.
Quando contò i presenti applicò la stessa teoria: contò la sorella di Louis Weasley perché fu la prima a venirgli incontro; contò il ragazzo Paciock che l’aveva seguita; contò Roxanne Weasley perché non appena sceso aveva cercato Adam e per trovare Adam aveva dovuto cercare prima Damian; contò allora il fratello della Weasley, che teneva ancora la testa tra le mani e non accennava a rialzarla; affianco a lui sedevano Hugo Weasley e Lily Potter, contò anche loro, ma in un’unica somma; Scorpius fu il primo a parlare – il primo tra coloro ai quali avesse intenzione di rispondere – dunque contò Rose Weasley, seduta tra lui ed Albus Potter. A quel punto Evelyn Black dovette contarla.
«James Potter.» ripeté il nome con la stessa inclinazione che aveva assunto la voce di Louis nel pronunciarlo. «E nessun altro.» aggiunse ristabilendo il suo tono.


 
Ventinove giorni prima del ritorno di Louis – Sala Grande



Evelyn mise giù il cucchiaio nel piatto ancora mezzo pieno di zuppa di verdure verdi e fu tentata anche di risputare ciò che aveva ingerito dopo aver assistito al loro scambio di parole. «Ti stai fingendo amica di Denise Rosier per avere informazioni?»
Lily non sbuffò solo perché stava masticando un pezzo di pollo particolarmente poco cotto, rubato dal piatto di Hugo. «Nah.» parlò prima di deglutire. «Mi sto fingendo amica di Denise Rosier per avere informazioni che potrebbero salvare il culo a tutti, anche il tuo.» precisò senza deviare alcun tipo di attenzione verso di lei, dai piatti che si era servito il cugino. «A proposito dell'ingratitudine di Evelyn... James?» prese la forchetta di mano a Hugo ed infilzó malamente le sue patate al forno, rivolgendosi poi verso James e puntandogli contro la forchetta ripiena, ma non i suoi occhi. «Ho detto alla Rosier che la trovi affascinante. Così, per stimolarla.»
Il Potter rialzò il capo dalle pergamene che studiava a tre scatti, i primi due tentavano di constatare l'importanza di ciò che gli poteva essere o meno rivolto, ancor prima di comprenderlo del tutto. «Tu... aspetta, tu... tu hai fatto cosa?!»
Lily scrollò le spalle e mise finalmente in bocca le patate. «Hai detto di tentare di tutto per avere la sua fiducia.»
Evelyn spinse il piatto di zuppa fino a farlo tintinnare col vassoio che aveva davanti e la divideva dal ragazzo. «Sirius!» si rese conto di aver strillato in modo particolarmente acuto e fece un pausa, cercando di calmarsi e reprimere ogni manifestazione fisica della sua indignazione. «Sirius, per l'amor del Cielo, è una ragazzina!»
«Ha la mia età.» fece notare Lily poco impressionata. «E poi non capisco qual è il problema, credevo fosse Albus a piacerti?»
Evelyn trattenne il respiro su un altro già trattenuto. Improvvisamente il capo di altre tre o quattro rialzato, mentre la guardavano reagire: Lily era stata musicale abbastanza da far suonare la frase come interrogativa,
«Oppure hai proprio una cosa per i Potter? Mi devo preoccupare?»
«No-non-» era sicura di essere rossa in volto, mentre si sforzava per non sbattere più volte le ciglia.. «Lily, questo non ha nulla a che fare con me.»
«Appunto.» concordò la ragazzina, i cui toni continuavano a restare leggeri, soffici. «Dovresti cercare di dare una mano, invece di fare la melodrammatica. Se la Rosier non ha aiutato a far rapire il mio migliore amico, sono solo contenta.» continuava a mangiare nel frattempo. «Nessuno ce l’ha con lei e francamente lei non è nemmeno nella lista.»
Evelyn non era sicura di quale fosse il preciso motivo del bruciore nello stomaco, ma sembrava glielo stesse sciogliendo dall’interno. «Lista?» senza volerlo si era voltata verso James.
Il Potter la stava già fissando e si prese qualche istante ulteriore di tempo per farlo anche ora che lo ricambiava, prima di tirar fuori una pergamena spiegazzata invece che arrotolata da sotto il mantello.
Evelyn la prende in mano con più noncuranza con quanta ne avrebbe messa per restituirla.
LISTA SOSPETTATI PRIMARI:
(in ordine ascendente)
A. Rosier
A. Zabini
D. Nott
S. Malfoy
D. Harper
H. Huxley

Aveva spalancato gli occhi leggendo. «Scorpius? Sul serio?»
«Ci spiace…» aveva brontolato James, guardando la sua zuppa. «ma dobbiamo essere prudenti.»
Il labbro inferiore della Black aveva tremato e lei s’era affrettata a ricongiungerlo a quello superiore in modo da non dare a vedere alcunché. «Dispiace a te e a chi?»
«Beh… io, Fred, Lily e Hugo, Nicky e chiunque stia contribuendo alle indagini.» aveva parlato in fretta e James Sirius parlava sempre in fretta quando era a disagio. Riusciva a riconoscerlo anche in come stesse evitando di reggere il suo sguardo.
«A me in realtà non dispiace.» Lily si spostò al suo fianco, lasciando Hugo al suo piatto e servendosi immediatamente due coscia di pollo. «Cioè, sono affari suoi se ci rimane male.» scrollò le sue spalle ed i capelli rossi le coprirono un poco il lato del viso a cui Evelyn stava per rivolgersi, prima che James l’anticipasse.
«Sì, voglio dire, non c’è bisogno di allarmarsi se sa di essere innocente.» fece prima di riempirsi la bocca di una cucchiaiata di zuppa di cipolle.
Evelyn sentì un bisogno di respirare aria fresca incontrollato e vitale, e questo la distrasse dal senso delle parole di James e dalla loro risonanza: «Rose.» fece, allora. «Rose che cos’ha detto?»
Ci furono un paio di sguardi scambiati. Tra Lily e Dominique, così come tra Dominique e James.
Egualmente, fu quest’ultimo a risponderle e lo fece con le maniere d’un portavoce ufficiale, composto e diplomatico. «Rosie sa benissimo di cosa si tratta, sa che non riguarda Scorpius. Sa che stiamo solo cercando di risolvere tutto… tutto questo disastro.»
«Ma… possibile che…» s’interruppe da sola. Ciò che avrebbe detto era il caso che lo confidasse e non che lo dicesse semplicemente.
«Evelyn, Louis è sparito.» James aveva messo da parte la zuppa, ma ancora non s’era servito altro. «È di Louis che stiamo parlando… è mio fratello
La Black non poté che annuire. «Hai ragione.» si sforzò. «Anzi, se qualcosa che posso fare per dare una mano, non es-»
«In realtà c’è qualcosa che potresti fare.» s’intromise Dominique, abbastanza serena. «Parli con la Bones, giusto?»
Evelyn esitò, due volte in più di quanto intendesse. «Cosa c’entra Katie?»
«Nulla, non sospettiamo di lei.» la rassicurò James immediatamente, scuotendo il capo.
«Cerchiamo qualcuno che abbia confidenza con Rosier e Nott, quei due sembrano abbastanza impenetrabili.»
«Oh.» s’affrettò ad annuire, il più tranquillamente possibile. «Certo, le chiederò se sa qualcosa.» non le avrebbe chiesto nulla; l’avrebbe solo avvertita.
James allungò una mano per cercare la sua ed Evelyn non esitò a concedergliela, nonostante si vergognasse del tremore. «Non devi, se non ti senti a tuo agio.»
Strinse la sua mano mentre rispondeva perché almeno così gli altri non avrebbero notato il tremore; a Sirius poteva confidarlo, anche se imbarazzata. «No, io… vorrei aiutare.»
Lily sorrideva guardando le loro mani strette sopra il tavolo. «Potresti provare a parlare tu stessa con Nott, giurerei di averlo beccato un paio di volte a guardarti il culo.»
Evelyn stava guardando già James, quindi poté notare l’inarcamento curioso delle sopracciglia - e nessun’altra reazione.
«Oh Lily!» Dominique stava ridendo, piuttosto sinceramente. «Non c’è bisogno di mentire, non vorremmo mai che la piccola Black si mettesse strane idee in testa.»
Per quanto rendesse solamente la situazione più imbarazzante, Evelyn continuò a tenere gli occhi congiunti a quelli di James, mentre si sentiva impallidire per l’umiliazione; non voleva offrire altri momenti di debolezza e raccoglierne altri di vergogna ed imbarazzo, ma solo negli occhi fraterni di James non vedeva la differenza.
James non aveva detto nulla, non s’era permesso di far battute così come non s’era azzardato a parole consolatorie: era sparita per una settimana, rinchiusa in una fredda e polverosa stanza qualunque tra quelle in cui nessuno entrava mai, in ipotermia e in inedia; nessuno si era accorto di nulla. Eppure in una settimana i pettegolezzi avevano fatto in tempo a girare e rigirare in tutte le forme ed avevano raggiunto il grado di sviluppo e di maturità che, a quanto pare, permetteva a chiunque di tirare fuori l’argomento, in termini comici o drammatici che fosse; ma agli occhi di James nulla era mai successo: lei era sempre stata lì. Poteva riprendersi laddove si era lasciata riflessa sugli occhi grandi e meravigliati di James
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Il ritorno di Louis: l’indomani


«È… è mio fratello! Sono… Io sono la prima che dovrebbe aver il diritto di vederlo!» Dominique Weasley parlò attraverso le lacrime. «Tu non puoi decidere… non puoi…»
Rose Weasley s’affrettò a raggiungerla e lo fece abbracciandola direttamente – tre secondi di interazione umana ai suoi occhi superflua che gli diedero il tempo di trovare una risposta meno diretta di quella che aveva intenzione di propinare ai presenti. «Finché è sotto la mia custodia posso.»
«Forse avremmo semplicemente dovuto portarlo al S. Mungo.» Albus Potter non mancò di mettere in dubbio le proprie capacità intellettive per la quinta delle volte in meno di tre ore. «Sarebbe stata la scelta più sensata.»
Rispose come credeva fosse giusto rispondergli: senza guardarlo. «Puoi ancora portarcelo. E magari spiegare loro perché il suo cuore batte al contrario.»
Fu silenzio, allora. Una piccola rottura, malcelata in crepa che creò un precipizio sonoro sottile, ma profondo.
Sorrise. «Finché non mi dite una volta per tutte che cos’ha non posso aiutarlo.»
Adam non smetteva di muovere le mani, iperattivo e tremolante. «È a rischio?»
Andò a sedersi nell’unica poltrona libera, dato che quella che occupava solitamente ospitava Evelyn Black in vestaglia da notte.
«Come?» La vestaglia era bianca d’un bianco troppo bianco.


 
Ventotto giorni prima del ritorno di Louis


«Prenda un biscotto, signorina Black.»
«Pren- prendo che cosa?»
«Un biscotto, prego.»
Con un cenno basso la incitò alla ciotola di vetro cristallino che a chioccia raccoglieva rotondi frollini zuccherati. Timida di mano più che di verbo, Evelyn ne prese uno e si affrettò a portarlo alla bocca prima che la professoressa indicesse ed intavolasse discorso. Lo addentò in quattro morsi, almeno uno in più del necessario, e lo masticò con inaspettato agio, tanto quanto riuscì poi a deglutirlo con cedevole scioglievolezza.
«L'incontro d'orientamento d’oggi è per gli studenti Serpeverde. Quello dedicato agli studenti Grifondoro era invece la settimana scorsa, signorina. Posso sapere il perché del suo disimpegno?» la guardò attraverso le lenti degli occhiali corrugando le sopracciglia, poi abbassò il capo per guardarla al di sopra di esse.
Evelyn rimuginò sul sapore zuccherato del biscotto in bocca. «Io sono- non sono stata bene.»
La professoressa srotolò una pergamena in cui la Black lesse distintamente i nomi: Amelia Nott; Céline Rousseau; Molly Weasley. «Eppure il suo nome non figura nel registro dei ricoverati in infermeria.» stabilì la professoressa.
La ragazza, in risposta, si sedette meglio, dondolandosi a disagio sul posto ed improvvisando una schiarita di tono non del tutto superflua alle circostanze.
«Prenda un altro biscotto, signorina.» la sollecitò, mettendo da parte alcuni documenti in favore di altri. «Poi mi spieghi gentilmente perché non si è presentata al colloquio di orientamento ed in più si è anche assentata durante di corsi dell'intera settimana.»
«Io davvero non sono stata bene, professoressa.» mise le mani tra le coscia, incrociandole, ma a dita aperte - era un'abitudine di un paio di giorni alla quale era diventata avvezza dopo la prima volta che l'aveva praticata e si era trovata straordinariamente confortata dalle sue stesse mani su di sé: aveva scoperto con quanta gentilezza era capace di toccarsi da sola, lei stessa.
La preside tornò a guardarla per un istante solo. «Questo lo vedo, sì.»
Evelyn si dondolò ancora una volta sulla sedia, in cerca di agio che era certa non avrebbe trovato nello studio con gli occhi dei predecessori della preside puntati contro ed i loro commenti a bassa voce che tanto bassa non era.
«Ciò che non vedo è la giustificazione delle assenze.» riprese la McGranitt, il cui tono attutì quello del preside uno dei quadri alle sue spalle.
«Mi spiace.» ed il suo dispiacere le uscì come una protesta.
«Vedo anche questo.» dispose. «Vorrei tuttavia che si recasse in giornata da Madama Chips per un controllo generale, l'infermiera si incaricherà personalmente di comunicarmi i risultati ed io provvederò ad inoltrarli ai signori Malfoy. Mi auguro che la sua famiglia sia al corrente delle sue assenze durante la scorsa settimana, nonché delle cause di queste. In caso così non fosse, la sollecito ad agire immediatamente di conseguenza contattando i suoi genitori.» la cercò e la trovò sfuocata, ma più vicina, al di sopra degli occhiali.
«Malfoy? Ho per caso sentito bene, Minerva?» fece all’improvviso uno dei presidi nei quadri alle spalle della professoressa; Evelyn, ch’era sobbalzata, non riuscì a distinguere quale. «Non sarà questa la reduce Black di cui discutevi con gli Auror, Minnie?»
«Un discendente Black biondo?» intervenne l’abitante d’un altro quadro, ridacchiando. «Phineas, guarda un po’! Pare proprio che i vostri geni si siano estinti lo stesso, dopotutto!»
Evelyn identificò il ritratto interpellato con lo stesso che stava già osservandola da quando era entrata nell’ufficio di presidenza, ma solo in quale momento realizzò che era stato egli stesso un Black in vita.
«Non che ci aspettassimo che da quella testa calda di Sirius venisse fuori una progenie promettente.» commentò infatti, ad agio con le sue parole, come se non fossero in alcun modo offensive.
«Signorina Black, ha ben compreso ciò che le ho detto?» la professoressa l’aveva richiamata alla realtà tangibile alzando il tono: probabilmente era il suo modo di chiedere cortesemente ai suoi predecessori di fare silenzio.
«Sì, certamente.» annuì a capo basso, toccandosi le guance con le mani fredde per rinfrescarle da un insistente torpore.
«In merito ai M.A.G.O. ha già deciso quale percorso intraprendere, signorina?»
«Ohm... un po'.» deglutì, ignorando i commenti dei presidi nei quadri dall'altra parte dello studio. «Mi piacciono i bambini.»
«Prego?» la professoressa la fissò prima al di sopra poi al di sotto degli occhiali, con l'aria d'aver finalmente individuato un ché da osservare.
«Mi piacerebbe lavorare coi bambini.» nel dirlo ebbe l'impressione che, in modo o nell'altro, la preside l'avrebbe indotta a servirsi d'un altro biscotto per farle poi ripetere la stessa frase a bocca piena; la McGranitt, invece, si limitò ad incrociare le mani sopra il tavolo e tener stabile il più recente contatto visivo stabilito coi suoi occhi. Entrambe finsero di non aver sentito Phineas Black sbuffare.
«Certo.» annuì anche col capo. «La scienza della pedagogia infantile è altamente richiesta per gli anni che precedono l'accesso alle scuole di Magia e Stregoneria. È imprescindibilmente indispensabile l'educazione e l'istruzione primaria di ogni mago e strega prima degli undici anni. Il Ministero della Magia mette a disposizione dei genitori o tutori una lista di Educatori referenziati ai quali affidare la formazione primaria del minore in questione.» con un cenno di bacchetta di cui Evelyn scorse solo gli effetti fece sì che una pergamena con su scritto i suoi dati anagrafici le si posasse davanti gli occhi. «Al fine d'entrare nella lista dei Magi-educatori Referenziati è necessario che lei ottenga il massimo del punteggio in Storia della Magia, Incantesimi e Astronomia.» nella pergamena si materializzarono in fresco inchiostro le materie nominate dalla professoressa. «Oltre Ogni Previsione in Pozioni, Difesa Contro le Arti Oscure e Trasfigurazione. Inoltre è necessario che lei inserisca nel suo piano di studi Babbanologia e Aritmanzia.»
Annuì, mentre la pergamena si arrotolava. «La ringrazio, professoressa.» la prese e s’alzò, raccogliendo la sua borsa. «Mi spiace ancora per… ehm, le mie assenze.»
Si scusò sotto lo sguardo circospetto della donna anziana che la guardò uscire frettolosamente, dopo averla congedata poco a suo agio.
«Signor Nott, prego.»
Chiamò il primo della lista Serpeverde per il colloquio d’orientamento, ignorando l’esagitazione che si stava diffondendo tra i quadri di ex presidi appartenuti alla medesima Casa.
«Nott, ha detto?»
«… finalmente qualcuno d’interessante
«M’ero appisolato, che mi son perso?»
«Questo lo conosco
«Phineas, scommetto il mio finesettimana nel quadro di Gogh che questo ti piace
La preside tossicchiò per richiamare il silenzio, senza doversi scomporre.
«Signor Nott, può accomodarsi.» sollecitò nuovamente lo studente.
«Silly? Silly, sei sveglio? Silente!»
«Mh?»
«Facciamo cambio poltrona? Dal tuo quadro si vede meglio!»
«Signor Nott?»
«Severus, mi passeresti gentilmente uno dei cuscinetti della tua poltrona? Ho questi crampi…»
«Silente, te li ho già dati entrambi stamani!»
La preside spostò indietro la sedia, facendo per alzarsi, ma proprio in quell’istante un ragazzo dai capelli corvini si fece avanti dopo aver cortesemente bussato.
«Signor Nott, prego s’accomodi.» propose la preside, osservandolo sorridente.
Derek trovò la sedia calda ed una pergamena già compilata davanti a lui.
«Eravamo rimasti ai GUFO necessari per accedere a Magimedicina e da quanto mi risulta ha soddisfatto i risultati necessari. Se non ha cambiato idea riguardo alla sua futura carriera, le suggerirei di dare un’occhiata ai risultati che dovrà raggiungere in questi ultimi due anni.» gli indicò la pergamena. «Come vede, è richiesto il massimo del punteggio in tutti i corsi impartiti, tranne… i corsi a scelta dal terzo anno da cui è esonerato in vista dei corsi extracurriculari che dovrà seguire col nuovo semestre. Generalmente, gli studenti coi requisiti dovuti sono scortati ogni martedì e giovedì per orari di tirocinio all’ospedale S. Mungo, ma questo solamente il settimo anno.»
Derek lesse attentamente i corsi che avrebbe seguire i due anni successivi: gran parte degli argomenti li aveva già approfonditi da solo, ma non avrebbe certo condiviso l’informazione con la preside. «La ringrazio» incominciò alzandosi e prendendo con sé le pergamene che erano state disposte di fronte a lui.
«Un ultimo disturbo, signor Nott» fece la McGranitt alzandosi e poggiando le mani sulla cattedra. «Lei sa qualcosa di una certa lista? Una lista che pare raccolga nomi di studenti sospettati di aver a che fare con la scomparsa di Joshua Thomas o i recenti attacchi al Castello?»
Derek, che fosse cosciente o meno, era pronto a rispondere. «Solo voci di corridoio, professoressa.»
«Certo.» Annuí la signora anziana. «Perché proprio di questo si tratta, di voci di corridoio. Non permetterei mai che uno studente sotto la mia custodia venga imprigionato nonostante la minor età.» Disse con tono fermo, l’intenzione di rassicurare, probabilmente prevenire. Infatti aggiunse: «Confido che non permetterà ai suoi compagni di compiere gesti impulsivi e che ricorderà loro che si tratta di un pezzo di pergamena irrilevante la cui unica conseguenza sarà un’immediata sospensione per il suo artefice.»
Derek la guardò, si prese un attimo e fece attenzione a non farlo durare significativamente. «Chiaramente.»



 
Il ritorno di Louis: l’indomani


Andò a sedersi nell’unica poltrona libera, dato che quella che occupava solitamente ospitava Evelyn Black in vestaglia da notte.
«Come?» La vestaglia era bianca d’un bianco troppo bianco.
«È… insomma, non lo so, si può fare qualcosa?»
Diede le spalle alla poltrona affianco alla sua e al camino di fiamme verdi. «Non saprei, nelle sue vene scorre sangue ossigenato e nelle sue arterie c’è anidride carbonica. Dovrebbe essere l’esatto contrario e nemmeno una trasfusione avrebbe senso se il problema parte dal cuore.»
Adam si agitò sul posto e fu l’unico movimento nella sala: nessuno pareva aver una contro risposta a ciò che stava osservando.
Rose aveva gettato poi uno sguardo prima a Fred e poi a James. Nessuno dei due aveva ricambiato.
«Diteglielo!» Lily Potter aveva scrollato le spalle, indicandolo con l’indice e con un cenno. «Al massimo possiamo fargli perdere la memoria di tutto ciò, dopo che avrà finito!»
«Oh, Potter.» sospirò Derek, sarcastico fino all’ultima vibrazione delle sue corde vocali. «C’è di bello che persino tuo cugino col cuore che batte al contrario ha più speranze di guarigione.»
«Beh, non fai parte della famiglia!» anche Hugo alzò le spalle, allo stesso modo della Potter. «Non hai diritto di saper alcunché.»
La voce di Evelyn arrivò tiepida e tremula come il calore flebile e discontinuo emanato dalle fiamme verdi. «Nemmeno io e Scorpius, eppure siamo qui.»
«Io ed Adam neanche.» Damian intervenne senza scrollarsi dalla posizione svogliata alla quale s’era abbandonato sul divanetto nero: aveva braccia incrociate e capo ricaduto sullo schienale in pelle, i rossi occhi socchiusi e lucidi. «Non mi sembra sia questa la priorità.»
«James, se non glielo dici tu sarò io a farlo.» roca e bruciante, la voce di Fred Weasley s’era fatta sentire perché supportata dal silenzio notturno.
La stessa quiete della notte si protrasse a causa di un mancato responso ed allora il supposto di oberate tensioni fu indubitabile quando queste giunsero in superficie divenendo materiali, sostanziose, quasi corporee di fronte a tutti i presenti.
James dovette parlare, a un certo punto. «Ci sono conseguenze da prendere in considerazione.»
«Non…» Fred fece una pausa perché rise, ma sospirando. «Non importa quello che sa o non sa Nott.» scrollò le spalle e scosse il capo. «Guardalo…» rifece ancora una volta la stessa pausa sarcastica «… probabilmente l’ha già capito. Se non è così, dagli il tempo di fare un paio di ricerche e lo verrà a sapere.»
«Potrei scrivere a papà e sentire che propone, dobbiamo comunque informare gli zii…»
«Sì!» concordò dunque Fred. «Certo! Certo James, potresti! Oppure potremmo agire e darci anche una mossa, dato che è esattamente il tempo il nostro problema!»
Gli occhi vispi di Rose Weasley rimbalzavano tra i due giovani. Derek scorse con la coda dell’occhio un ghigno esasperatamente compiaciuto sul volto di Damian nell’assistere alla discussione; lo stesso compiacimento che lo pervadeva, ma che era fin troppo coscienzioso per esternare espressivamente: dannata etica kantiana che lo vincolava ad essere corretto perfino nelle poche impreviste situazioni di soddisfacimento personale che gli capitava di riscontrare nel recente intervallo di crisi dei Potter e dei Weasley.
«Potremmo stringere un patto Fidelius.» l’idea fu di Scorpius Malfoy e non seppe quanto inaspettatamente recepire la sua proposta: Malfoy non era abbastanza schierato, solo motivato. In lui non aveva mai notato adempimento in nome di secondi fini, mai le sue gesta erano state dettate da obiettivi terziari, intenzioni oblique, intenti indiretti: era chiaramente l’arbitro della partita.
Lily si voltò verso Rose in attesa di una sua reazione e, quando non ne ebbe alcuna, si permise d’essere la prima ad esporsi. «Patto F-cosa?»
«L’Incanto Fidelius è un accordo di fiducia reciproca e vincolante. Viene pronunciato o scritto un segreto che, una volta condiviso, i membri dell’intesa non possono essere capaci di riprodurre in alcun modo.»
«Che fiducia è se sei impossibilitato a spifferare il segreto da un incantesimo?» sbottò Roxanne sollevandosi dalla sua postura non esattamente aggraziata.
Rose scrutò James fugacemente prima di concedere altre spiegazioni. «Viene scelto un membro, uno solo, che custodisce il segreto. Non si può semplicemente… far sparire il segreto. Deve esistere nel reale per essere negativizzato altrimenti non si potrebbe impedire che venga divulgato, non si può evitare che “non venga detto” qualcosa che non esiste. Il segreto è come un peso che invece di essere sostenuto da tutti coloro che ne sono a conoscenza, è interamente addossato sulle spalle di una persona sola.»
«Perché?» sussurrò in imbarazzo Evelyn accoccolata nel suo pigiama bianco, molto bianco, sulla poltrona. «Perché ammassare tutto su una persona sola? Voglio dire, immagino che il tuo paragone fosse figurativo, ma…»
Rose annuì prima che lei finisse di parlare. «Perché un segreto non può essere spezzato, ma solo riprodotto ed è così che smaltisce peso. Smettendo cioè di essere un segreto perché divulgato perde la sua efficacia.» si trattenne un secondo di troppo in cui cercò gli occhi di Albus, prima di continuare – perché erano gli unici che non la seguivano. «Ma… non si può proteggere qualcosa di inconsistente. Del segreto non si possono conservare e preservare le riproduzioni.»
Adam alzò la mano, come se fosse a lezione. «Mi sono perso.» ammise, un poco pallido. «Circa a metà.»
Rose fece per riprendere il discorso, ma James la precedette inaspettatamente. «Del segreto non possono esistere due o più versioni. Perciò il custode è uno solo, è più sicuro.» la voce era un poco roca, quasi sbiadita. «Una copia non è mai uguale ad un’altra e non si saprebbe più qual è quella vera, perdendo così il segreto. Si sfocerebbe nell’assurdo.»
«Tutta quest’ansia mi sta facendo venire il mal di pancia.» Roxanne sbuffò e si massaggiò lo stomaco. «Insomma, il punto è che c’è un custode, no? Che fa, il custode?»
Rose ebbe bisogno di istanti sconnessi in più per udire l’intervento sollecito e drastico della cugina, ma rispose sufficientemente in fretta per non attirare l’attenzione sul perché della sua improvvisa ed allarmata distrazione: per non attirare altra attenzione su James. «Il custode non è soggetto al vincolo, può arbitrariamente riprodurre, cioè condividere il segreto. Il segreto non gli può essere estorto in alcun modo possibile, non esiste ad oggi alcun incantesimo che rompa il vincolo, nemmeno la Madelizione Imperius. Per questo è un patto Fidelius, cioè di fiducia e di alleanza. Perché l’unico modo per romperlo è che il custode decida di sua spontanea volontà di farlo.»
«In poche parole, James sarà il custode.» sbuffò Lily.
«N-no.» aveva risposto il fratello maggiore, ma il tono era debolissimo perché sfiduciato. «No.» aveva ripetuto più in fretta, al fine di dissimulare. «Se lo facciamo non… non sarò io il custode.» aveva deglutito, ma a capo basso. Nessuno l’aveva notato, tranne l’unica persona alla quale si stava per rivolgere. «Se lo facciamo dovrai essere tu, Freddie.»
La pelle scura del volto di Fred era ingrigita da un torpido pallore, le labbra asciutte. «Per Louis.» aveva annuito.
«Stiamo sul serio prendendo in considerazione l’idea?» s’intromise Dominique, ma rivolgendosi inequivocabilmente a James. «Con tutti i rischi?»
«Quali rischi? Non hai sentito?» Roxanne suonò stizzita, anche se involontariamente. «Nessuno potrebbe dire alcunché, tranne Fred. Il che significa che nessuno dirà nulla.»
«Posso essere io il custode?» tentò Hugo, venendo ugualmente ignorato a causa del livello di tensione già instauratosi che faceva sì che la conversazione procedesse su un’altra frequenza.
Infatti, Dominique non sembrava ugualmente soddisfatta. «E se trovassero un modo per aggirare l’incanto ugualmente?»
«E come? Non hai sentito Rose?» Roxanne indicò con la mano il divanetto nero in pelle in cui Rose sedeva tra Scorpius ed Albus. «Ha detto che il solo che può dire qualcosa è Fred!»
«Oppure Hugo.» azzardò nuovamente il ragazzino, alzando i pollici di entrambe le mani.
«Con tutto ciò che sta succedendo… sparizioni, Dissennatori, gli incendi…» la bionda, rossa in viso, incrociò le braccia.
Derek sospirò soltanto, non d’offesa, ma di sincera e scocciata stanchezza; di Adam invece rispose il pallore contrastante sulla sua carnagione olivastra; Scorpius, sulla stessa lunghezza d’onda di Nott, non seppe trattenersi dal roteare gli occhi.
Piuttosto fu Damian a riderne. «Adoro il fatto che vi permettiate di continuare ad accusarci di essere criminali con tanta sfacciataggine, anche quando siete nella nostra Casa ed avete disperatamente bisogno del nostro aiuto! Wow…» solo la cadenza degli accenti, pronunciati con più spinta,, accompagnava le parole dal contenuto provocatorio; null’altro però era stizzito o veemente: ancora sedeva smoderato, completamente riverso di schiena e capo sullo schienale del divanetto nero, gli occhi arrossati erano puntati in alto sulle candele che volteggiavano vicino al soffitto e l’unico modo che aveva d’abbassarli su un qualsiasi altro dei presenti era socchiuderli e concedere uno sguardo, di per sé lungo e tagliente, pungente. «… è sinceramente ammirevole.»
«Non ha detto nulla di così grave, se permetti.» intervenne Frank, piuttosto prontamente – come se fosse finalmente il momento giusto per provare verbalmente la sua presenza.
Tuttavia ad Harper scappò un’altra risatina – questa volta più sicura e limpida. «Paciock, potrai rivolgerti a me con tanta convinzione solo quando avrai mai toccato un boccino in vita tua e non per liberarlo.»
«E tu a me con tanta sfacciataggine se i tuoi nonni usciranno mai vivi da Azkaban.»
Rose trattenne il fiato ed Evelyn si era già portata una mano alla bocca, mentre Scorpius scuoteva il capo, sconsolato; Adam cercò e trovò gli occhi di Derek, che a differenza di lui era meno allarmato e più vigile; Fred sbuffò piuttosto sonoramente e mise a tacere i sussurri di Hugo e Lily quando James non lo fece.
«Figlio di…»
Roxanne fu la sola a muoversi e lo fece tanto prontamente che quando Adam scattò per trattenerla il secondo pugno percosse l’aria e non l’altro lato del volto di Frank che non era riuscita a colpire. Però non riuscì ugualmente ad impedirle di scalciare furiosamente in direzione del ragazzo, finché non intervennero anche James e Rose.
«Così non andiamo da nessuna parte…» incominciò la Weasley, cercando con gli occhi il supporto di Malfoy, mentre Dominique controllava il naso di Frank
Harper rise ed anche piuttosto sinceramente. «Avete messo i nostri nomi in un’accidenti di… lista di… una sottospecie di lista di proscrizione e “si dovrebbe andare da quale parte”?»



 
Ventotto giorni prima del ritorno di Louis


C’è un effetto intimamente distruttivo nello stato di vigilanza attiva e voluta.
La mente tende naturalmente al riposo, alla distrazione, all’infruttuoso, a vagare tra l’inutile e l’inconsapevole, ma se si interviene sollecitandola con la forza rientra nello stato vigile turbata: inefficiente quanto inefficace nella concentrazione, la mente è disturbata dal cercare di individuare ciò che le impedisce la naturale stasi neutra a cui tenderebbe. Infine, se tale meccanismo è ripetuto nell’arco della giornata è per più giorni consecutivi si creano le premesse per una condizione psicofisica scientificamente denominata paranoia.
Si svegliava nel sonno, Evelyn: pensava dormiente a quanto l’avesse congedata la notte prima e quanto l’aspettasse il mattino incombente. Il suo corpo era già rigido quando incominciava a percepirlo nuovamente: la tensione muscolare della schiena e delle spalle non riusciva a rilassarsi nemmeno sul materasso, così come i denti serrati ed il solco corrucciato sulla fronte. Glielo aveva fatto notare Katie durante una lezione pomeridiana di Cura delle Creature Magiche: “come se non bastasse, quel bastardo ti sta facendo venire anche le rughe”.
Eppure Evelyn non riusciva a vedere la linea di congiunzione, non diretta almeno, tra il suo dolore ed Albus, nonostante fosse evidente a tutti. Tutti quanti, la vedevano. Quando aveva cambiato pettinatura s’era sparsa la voce una suo goffo tentativo – chiaramente inutile, “povera ragazza” – di autoconvincersi di passare ad altro e dimenticarlo; quando s’era truccata si era sparsa la voce che stesse cercando di sedurlo – per averlo almeno una volta nella vita, “povera ragazza”; quando aveva iniziato a passare del tempo con Adam invece stava cercando di usare un suo amico per farlo ingelosire – quanta disperazione, “povera ragazza”.
Riconducevano tutta la sua persona ad Albus e al fatto che le avesse spezzato il cuore e solo in questo modo, con la lucidità dell’umiliazione incominciava finalmente ad ottenere il filtro che le permetteva di avere una visione del ridicolo.

«… cosa c’entro io con la lista?!»
Evelyn sobbalzò pesantemente e si affrettò a nascondersi all’angolo del corridoio principale dei sotterranei. Si stava persuadendo a recarsi alla lezione di Pozioni, ma evidentemente la discussione che Roxanne stava avendo con qualcuno le avrebbe risparmiato lo sforzo.
«… da tuo cugino e tu mi dici che non c’entri nulla?!»
Si sentì terribilmente a disagio: gli ultimi avvenimenti le avevano fatto comprendere quanto fosse fondamentale la riservatezza.
«Oh, per favore, trovati una scusa più convincente, James mi ha addirittura tolto il saluto da quanto sto c- da quando ti parlo.»
«Sapevi o non sapevi della lista?» La voce maschile era più adirata in confronto a quella di Roxanne che era piuttosto irritata.
«Per l’ennesima volta, Harper, no!» Roxanne si prese una pausa per sospirare. «Sapevo solo… sapevo della storia di una… non so, una sottospecie di talpa nel castello, tutto qui. Solo questo.»
Una risata tanto sarcastica che Evelyn non poté non sentirsi a disagio per Roxanne. «Esattamente come sospettavo.»
«È solo perché James e Lily stanno giocando agli investigatori e mi hanno tartassata di domande, non-»
«Ah quindi hanno anche la coscienza sufficientemente pulita per accertarsi che siamo criminali prima di spedirci in fila indiana ad Azkaban?! Lo sapevo che non potevano c’entrare solo i soldi…»
«Non è vero! Tutto ciò di cui m’importava erano i soldi, non volevo fare da spia e comunque non ho dett-»
Damian doveva aver riso nuovamente, questa volta il sarcasmo era meno evidente.
Evelyn ne fu tanto raggelata che perse completamente qualunque curiosità la stesse sollecitando e spiare dall’angolo le due figure, l’una contro l’altra al centro del corridoio, se l’avesse fatto avrebbe scorto il cipiglio affaticato e confuso di Roxanne, davanti a quello tanto gelido di Damian.
«Se sono i soldi ad interessarti, prendili e vattene.» Freddo e lento, scandito.
«Smettila, lo sai che cosa intendo.»
«No, non lo so.» Aveva risposto non appena lei ebbe pronunciato l’ultima sillaba, senza darle il tempo di realizzare le parole, le proprie e le sue. «E non importa.» Le proprie contro le sue. «Tu hai quello che volevi.» Le sue contro le proprie. «Io sono soddisfatto di quello che avuto.»



 
Il ritorno di Louis: l’indomani


Harper rise ed anche piuttosto sinceramente. «Avete messo i nostri nomi in un’accidenti di… lista di… una sottospecie di lista di proscrizione e “si dovrebbe andare da quale parte”?»
«Maledizione, Damian, smettila!» sussurrò Adam, ma con incontrollata foga. Stava ancora convincendo Roxanne a tornare a sedersi al suo fianco, ma non aveva smesso per un istante di seguire il dissidio al centro della scena.
«Che c’è?» rialzò il capo finalmente nel tentativo di guardare negli occhi il migliore amico, mentre assottigliava i suoi, risentito ed indignato. «Come hai intenzione di giustificare il tuo nome al secondo posto in una lista di terroristi?»
«Possiamo… possiamo per favore parlare un attimo?» Adam abbassò la voce nel tentativo di spronarlo a fare lo stesso. «In privato?» s’alzò immediatamente, ma l’amico ci mise fin troppo a seguirlo, tanto che dovette sia guardarlo esortativo che esortarlo poi più esplicitamente tirandolo per un braccio – e la svogliatezza di Damian Harper era tale che si oppose alla mano Adam con una spintonata indispettita. «Derek?»
«Sì.» rispose Nott alzandosi, ma stava guardando Scorpius.
Adam li appartò dietro un separé che qualcuno s’era permesso di portare via dalla Camera dei Segreti, dopo la festa di Halloween. Della privatezza concedeva solamente una parvenza, ma evidentemente era tutto ciò di cui Adam Zabini aveva bisogno per sospirare, passarsi le mani sul viso e guardare negli occhi le uniche persone di cui si fidava in quella sala.
Damian già scuoteva il capo, prima che lui parlasse o tentasse di spronarsi a farlo. «Ci mancava solo che perdessi la testa in un periodo così…»
«Non sto… non sto perdendo la testa, sto cercando di capirci qualcosa.»
«Perché?» e forse quella di Damian non era svogliatezza. «Perché dovresti? Perché dovremmo sforzarci di capire? Perché immischiarci? Insomma, co-cosa ne viene in tasca a noi? Perché mai dovremmo fare qualcosa per loro dopo quello che ci hanno fatto?»
Adam impallidiva sempre più. «Stai… stai generalizzando.»
«Sto generalizzando?» gridò – e il separé non attutiva nemmeno i loro sussurri, di certo non avrebbe contenuto il furore di Damian.
Derek non guardò nessuno dei due. «Sì, stai generalizzando. James Potter ha scritto la lista.» scrollò le spalle. «Di certo non è stato il cugino scomparso da un mese.»
Damian sbuffò, quasi volesse ridere. «Come se a te servisse un’altra scusa per avercela coi Potter.»
«Io non ce l’ho coi Potter, li disprezzo.» mise in chiaro, ad agio. «C’è una differenza d’azione e reazione che mi permette di mantenere più distanza possibile tra me e loro mentre li giudico.»
Harper roteò gli occhi. «Certo, come no! Ed è stringendo un Foedus con loro che vuoi mantenere questa distanza?!»
Derek scrollò le spalle ancora. «Dobbiamo sapere cosa sta succedendo. Che ci piaccia o no, siamo coinvolti ugualmente. Tanto vale entrare nel raggio di movimento.»
«Ce ne tireremo fuori.» Adam sembrava stesse promettendolo e non suggerendolo. «Se le cose si mettono male, ce ne laviamo le mani.»
«Pensi che sia così semplice? Aver a che fare con quella stirpe e tirarsene fuori quando conviene?»
«Non saprei, dimmelo tu!» sbottò Zabini, ancora pallido, nonostante accaldato dalla discussione.
Harper socchiuse gli occhi ancor di più. «E con questo cosa vorresti dire?»
«Che dovresti essere il primo qui a cercare di collaborare da quanto sei coinvolto!»
«Io non sono coinvolto in un bel niente, Adam, smettila.» aveva parlato velocemente ed improvvisamente abbassato la voce.
Sembrava che Adam stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro. «Fallo almeno per me.» la voce sgorgava a scaglie dal groviglio pesante in gola. «Non so cosa mi sta succedendo.» aveva sospirato dolore, le parole accompagnavano soltanto. «Sento… non capisco cosa sento addosso tutto il tempo… non capisco nulla


 
Ventisette giorni prima del ritorno di Louis


A volte il dolore era viscerale, corporeo. Diveniva dolore fisico: non era più solo la sua mente in tormento continuo e paradossale; non più solo pressione sul petto che le ibernava il respiro e le insabbiava i polmoni, soffocandola; non era più solamente angoscia insussistente, inconsistente, impalpabile.
A volte il dolore condensava divenendo materiale, carnale e lei lo deglutiva in un groppo di lacrime trattenute durante le lezioni, i pasti o nei corridoi quando non aveva il coraggio di toccarlo con gli occhi, ma avvertiva la sua presenza sulla pelle d’oca che la graffiava; solidificatosi, il dolore fondeva poi nel suo stomaco mutando in angoscia allo stato liquido, melmosa e densa, ma bollente scivolava liquefatta nel suo intestino attorno al quale s’attorcigliava ad elica.
E non sapeva raggiungerlo. Era dolore interno, interiore, come intrinseco; intangibile, intoccabile, inavvicinabile. Non aveva alcun modo di lambirlo, accarezzarlo, tamponarlo, confortarlo. Poteva solamente provarlo a piena lucidità, vivido e possente, poteva solo viverlo.

«Anche tu in ritardo?»
Quel mattino di metà novembre era freddo, sospeso – un po’ irreale. Adam l’aveva raggiunta davanti alla porta dell’aula di Incantesimi correndo. L’aveva trovata piegata su se stessa, curva, quasi attorcigliata mentre s’abbracciava il ventre.
«Che fai?» s’era chinato anche lui alla sua altezza, poggiando le mani sulle ginocchia e, tentando di spiare tra le ciocche biondo cenere, le si era rivolto con una spensieratezza tanto serena che non ebbe la forza di pensare ad una menzogna. «Evelyn, che stai cercando?»
Le aveva spostato un poco i capelli ricaduti in basso per vedere finalmente il volto esangue, scolorito, di un pallore spento, segato da due linee parallele lucide che partivano dagli occhi e non terminavano.
«Hey, che… che succede?» le aveva toccato e scosso le spalle. «Stai…» doveva aver deciso che chiederle come stesse non era tanto leale. «Ehm… guarda che il professore non se la prende così tanto per un ritardo.» aveva ridacchiato, tentando di sdrammatizzare.
La risposta che gli aveva concesso era stato un dolce singulto – dolce perché concesso, ma trattenuto.
«Chiamo… vuoi che chiami qualcuno?» s’era guardato attorno, aveva allungato la prospettiva fino al termine del corridoio, da una parte e dall’altra, dove non c’era nessuno tranne loro due.
Era rabbrividito tanto che la mano sulla spalla di Evelyn ne aveva tremato un poco: l’ultima volta che s’era trovato solo nel mezzo d’un corridoio con qualcuno, l’altra persona era scomparsa davanti ai suoi occhi.
Cercò la mano della ragazza. «Chiamo Scorpius?» l’accarezzò chiedendoglielo affinché lei fosse a suo agio a rispondergli sinceramente.
Tuttavia, la ragazza ebbe un cedimento e crollò urtando il pavimento duro e freddo con le ginocchia prima che potesse sorreggerla. E fu in quel terrificante, raccapricciante istante in cui lei ricadde all’indietro che Adam poté finalmente vederla ed urlare.
«Oh mio… Evelyn, stai sanguinando! Aiuto! Sta… Aiuto! Aiutatemi!» chinato a terra, aveva permesso che il corpo della ragazza ricadesse supino.
«A-Adam…» aveva smesso di piangere all’improvviso – singhiozzava solamente – e lo guardava con gli spalancati, allarmata dalle sue grida di cui le giungevano echi sovrapposti e disarmonici, ma sufficientemente nitidi e distinti da spaventarla.
«Ferma!» aveva infilato una mano sotto la sua camicia, lasciandola spiazzata nonostante se ne accorse diversi secondi in ritardo. «Evelyn, devi- stai perdendo troppo sangue, devi stare ferma!» faceva pressione sul suo addome, comprimendole il fiato e, allo stesso tempo, si puliva le mani sul pantalone e sulla felpa.
La porta dell’aula a pochi metri da loro s’era aperta senza cigolare e le due, tre persone che s’erano precipitate allarmate a vedere la ragione di grida tanto terrorizzate in corridoio si moltiplicarono facilmente in tredici, quattordici che circondarono immediatamente il corpo a terra di Evelyn che debolmente tentava di allontanare le mani di Adam dal suo ventre.
«Che succede? Evelyn? Che cosa… Adam che cosa stai facendo?»
Scorpius aveva spinto da parte i curiosi e s’era fatto spazio, bucando il cerchio creatosi ed avvicinandosi alla sorella accasciata esanime ed Adam Zabini inginocchiato su di lei.
«Scorpius! Scorpius, aiutala!» esagitato, spingeva ancora i palmi aperti sulla pancia della ragazza. «Devi chiamare l’infermiera, ha una ferita profonda! Chiama… chiama anche Derek, lui saprà…»
«Sono qui.» Nott era alle sue spalle, ma immobile.
«Adam.» solo Roxanne Weasley si avvicinò tanto tra tutti, fino ad inginocchiarsi anche lui. «Così le fai male.» aveva detto, prendendogli una mano.
«No! Lei… sta perdendo troppo sangue e…» tremava e li guardava sconcertato, inorridito, turbato, incapace di spiegarsi perché stessero assistendo al dissanguamento della ragazza inermi.
«Adam, ti devi allontanare prima che qualcuno arrivi.» Damian aveva allungato una mano pallida per raggiungerlo.
«Cosa stai dicendo?» domandò esterrefatto Zabini.
«Adam, non c’è alcun sangue.»


 
Il ritorno di Louis: l’indomani


«Sento… non capisco cosa sento addosso tutto il tempo… non capisco nulla
Derek aveva sospirato. «Non è solo questione di saperne di più.» con un movimento di bacchetta aveva alterato le loro voci al di là del separé, in modo che fosse impossibile ricomporre le loro parole, anche se udite attentamente. «abbiamo bisogno di guadagnare tempo.»
Damian aveva rialzato lo sguardo dal polso tremante di Adam al volto teso di Derek. «Cosa mi sono perso di nuovo?»
«Potter» aveva sbuffato, perentorio ed abbastanza svogliato. «lui avrebbe voluto essere il custode, ma non poteva.»
Adam ebbe una reazione involontaria che lo portò a voltarsi – come per accertarsi che ciò che non stava notando non fosse già esploso senza che se ne fosse accorto. «Che cosa intendi dire?»
«È un segreto vitale, tanto che avrebbe preferito mettere a rischio la vita del cugino piuttosto che rivelarlo, ma quando si è trattato di stringere un accordo vincolante non ha potuto farsi avanti e ora… guardatelo, si sta mangiando le mani.»
Adam deglutì, ma non seppe rispondere, si guardo di nuovo alle spalle, attirando lo sguardo di Damian: assieme spiarono oltre il separé, dove Potter sedeva ancora nella stessa posizione disarmonica da cui non s’era scosso da prima che si alzassero.
Damian sospirò di stanchezza. «Cosa mai al mondo può impedire ad un mago maggiorenne di essere custode di un Patto Fidelius?»
«Perché stiamo parlando di quello s…» la sibilante si troncò in un vortice tra i denti, quando voltandosi incrociò il suo sguardo. «No.» trattenne il fiato. «È già custode. Potter è già custode di un Patto Fidelius.»



 
§§§


 
Qualche ora prima – Villa Malfoy

«Granger…?»
«Malfoy?»
«Granger. Suoni il campanello di casa mia e sei sorpresa di vedermi?»
Hermione assottigliò lo sguardo tanto quanto sottile era stato il sarcasmo dell’uomo, seppur inerme. «Non credevo che aprissi tu il portone di casa tua.» suonò pungente, ma anche lei inerme. «Credevo avrei dovuto convincere qualche miserabile, sfruttato e sottopagato elfo domestico a chiamarti nonostante l’ora tarda.»
Draco riuscì a ridere ed allora tutto il sarcasmo s’affievolì in un attimo. «Mi dispiace deludere le tue aspettative tremendamente mediocri e prevedibili, ma gli unici elfi domestici che lavorano da me hanno un orario prefissato per il quale sono pagati all’ora.» appuntò abbastanza leggermente. «Ora, permetti a me d’essere altrettanto mediocre e prevedibile chiedendoti di abbandonare la soglia del mio portone, i Weasley non sono ben accetti in questa dimora.»
Hermione si permise un attimo di stasi. «…Weasley?»
Lo sguardo dell’uomo fu veloce e toccante come la brezza di una serata estiva e non autunnale, quando saettò dal sentiero poco illuminato alle sue spalle alla fede attorno al suo anulare, e ritorno.
«Malfoy, avrò pure una famiglia ora, ma rimango una Granger. Anzi, lo sono anagraficamente, dato che non ho assunto il cognome di mio marito.» Precisò velocemente e senza evitare di roteare gli occhi castano chiaro alla luce del lampione. «Ora che le nostre mediocrità non ci possono interrompere, devo scambiare due parole con te.»
Draco la guardò negli occhi un paio di momenti in più del dovuto. «Mi spiace, non ricevo a quest’ora tarda.»
«Credo proprio di sì, invece.» si oppose lei, mettendo le mani nelle tasche per tirare fuori un pezzo di pergamena arrotolato.
«Credo proprio di no.» ripeté alternativamente ignorando l’oggetto che lei stava porgendogli e facendo un paio di passi indietro per permettere ai cancelli di chiudersi. «Non ho intenzione di chiuderti il portone in faccia, Granger, dunque fammi il favore di smaterializzarti prima che riattivi gli incantesimi di difesa.»
Attese guardandola negli occhi e scrollò le spalle quando la donna non si mosse, facendo per chiudere le porte ugualmente, quando finalmente lei reagì.
Abbassò il tono quando parlò di nuovo, ma non il volume. Suonò solo greve e pacata, ma più vibrante e chiara. «Lo so, Malfoy.» disse. «So che la lettera è un falso.»
«Non so cosa tu stia blaterando. Buonan-»
«Evelyn lo sa? Sa che è tutta una menzogna?» chiese, guardandolo soltanto. «Sa di non essere una Black?»





 
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Non so chi sia ancora qui, è passato parecchio tempo e sinceramnete non so nemmeno da dove iniziare per dare almeno uno striscio di spiegazione del perché di un ritardo così esorbitante. Di mezzo ci sono stati viaggi vari per motivi vari, la laurea, la vita, la gente, l'ansia, i Bangtan, la rottura del PC, disagi vari e numerosi; però non ho mai e poi mai, ma nemmeno per un secondo, smesso di scrivere. Questa è e rimane a tutti gli effetti la mia storia principale, quella a cui sono maggiormente affezionata e non se ne parla che la lascio andare.
Ora, con molte di voi sono in contatto in privato, parecchie le ho su Instagram, alcune sono amiche oramai (S/O a coloro che sono venute alla mia laurea), molte ancora mi scrivono e mi chiedono "We Bess, ma Louis? Ma Evelyn? Ma Derek? Ma Roxanne?" ed io rispondo che ho il capitolo, ma lo devo ricopiare a computer, ma che il computer si è rotto e così via.
Ora, questo capitolo doveva essere lungo almeno una cinquantina minima di pagine, per questo motivo ho deciso di dividerlo. Spero sia più o meno tutto chiaro, ho inserito un riassunto all'inizio per aiutare, ma sapete anche che potete scrivermi privatamente.
Poi, EFP ha messo su ragnatele (sorrynotsorry, Erika) e ormai è quasi in disuso quindi non mi aspetto manco mezza recensione però mi farebbe sentire benissimo un messaggio anche via privata, davvero davvero tanto. ♥ Plus, stavo pensando di spostare la storia su Wattpad e qualcuno mi ha anche proposto di metterla su Ao3, offrendosi di tradurmela in inglese e se la prima opzione la sto contemplando (fatemi sapere anche questo magari, se preferite Wattpad), la seconda penso la postponerei ad un fatto, cioè quello di cui vorrei parlare solo in separata sede.
So che in questo caso nemmeno si tratta di un ritardo e che mi avete data per dispersa manco Louis, ma sapete anche che ci tengo tantissimo ai bimbi e non potrei mai lasciare andare la storia. Per questo, vi dico che ci sono buone notizie hehehe
Il prossimo capitolo è già scritto su un quaderno, deve solo essere ricopiato perciò posso anticiparvi che avremo diversi ribaltamenti di diverse situazioni e qualche risposta a domande pendenti quali: che diavolo succede? Cos'è che nasconde James con questa storia del patto Foedus? Cosa faranno i ragazzi sospettati? Che cos'ha Louis? Damian accetterà l'aiuto di Roxanne? Perché Rose non ha reagisto al nome di Scorpius scritto nella lista? Cosa nasconde Dominique? Perché Louis ha visto il funerale di Molly tra qualche giorno se lei ha fatto l'intervento ed è guarita? Cosa significa la congiunzione tra le anime di Adam e Lucy? E quella tra Adam e Louis? Se Evelyn non è una Black, allora chi è? Dov'è stato Louis tutto questo tempo?

Prima di andare via, vi lascio qualche spoiler del prossimo capitolo:
1.
La mano di James era troppo ferma perché non stesse trattendendo il tremore. «Louis?»
Nott, per quanto si fosse tenuto in disparte, non poté ignorare la voce rotta e stretta di James. «Cosa c'è che non va?» si era avvicinato, abbastanza spedito.
Louis si lascio accarezzare i capelli permettendosi di chiudere gli occhi perché nulla oramai poteva ferirlo di più che tornare per dire il suo vero addio. Non ci sarebbe mai stato altro fatto al mondo che l'avrebbe torturato più di quanto lo stesse facendo un momento già vissuto, mentre lo stava vivendo per l'ultima delle continue volte. E guardare James era un cara sofferenza nostalgica perché James era molto più bello adesso, col volto fanciullesco, e non ancora impresso da smorfie di pentimento.
«Lui è diverso.» aveva sentito dire, ad occhi ancora chiusi. Ma James lo vedeva anche senza guardarlo, quindi quale pace poteva avere il suo riposo? «I suoi capelli e la sua pelle sono... più scuri e il suo viso è...» perché quello era il suo ultimo ritorno per un risposo a casa. «Louis.» perché quello doveva essere l'ultimo tempo concessogli per riposare, a casa, senza sogni. «Louis, quanti anni hai?» perché quello era l'ultimo tempo donatogli per riposare, a casa, prima che i peggiori sogni arrivassero.
Rispose, anche se James non avrebbe mai saputo. «Credo... venticinque.»

2.
Le aveva dato i soldi una fredda e nuvolosa mattina della settimana prima in cui era tutto freddo e duro, compresso e massiccio: l'aria, le mura, l'assegno che aveva tra le mani. L'aveva fatto al mattino, quando gli era più facile essere lucido e meno ammalliato.
Lei era sdraiata sul fianco e gli dava le spalle nude e scure sulle quali le sue mani erano abbozzi di tempera bianca su tela ambrata.
La notte prima avevano dormito e già da qualche settimana le notti non erano altro che un dormiveglia di carezze senza pretese, ma necessarie. E si disprezzava per quanto ne avesse bisogno, ogni sera, inevitabilmente. Che fosse mettere le mani tra i suoi capelli, inspiegabilmente più chairi dei suoi; che fosse mettere una mano sul suo fianco e spostarla poi sul ventre durante la notte; che fosse sulla coscia o sul fondoschiena. Dormire era infilarsi tra le coperte e toccarla, trovandola inspiegabilmente più fredda di lui.

3.
«Sai cosa dicono alle tue spalle?» non le diede il tempo di rispondere. «Immagino di sì, ma...» fece un passo in avanti, prima di farne tre indietro, scendendo due scalini. Evelyn la raggiunse. «Dicono che sei ridicola. Ridicola e debole. Che sei ossessionata e che hai campato tutto in aria. Che Albus non c'entra niente, che tu ti sei immaginata tutto e ne hai fatto un dramma.» Si era seduta mentre parlava, ma la Black s'era irrigidita sul posto, limitandosi ad ascoltare, gli occhi inconsciamnete spalancati.
«Ma io c'ero.» soffiò allora Roxanne. «Ricordo quello che faceva, io ricordo come ti guardava, lo ricordo così vividamente.» aveva un che di commovente nella voce, ma ne parlava disgustata.
[...]
«Penso che lui ti abbia voluta, Evelyn, ma non abbastanza. Io penso che se non fosse stato per Malfoy, Albus ti avrebbe anche voluta avere, ma non ti avrebbe tenuta. Perché lo sa, lui lo sa che potrebbe averti, che tu ti doneresti, che rischieresti, eppure non ti ha. E se non ti ha, se non ti sa volere per averti, allora non ti vuole. Perché lui lo sa e non ha scuse: se ti volesse, ti avrebbe.»

4.
«Non sei curioso di sapere chi sono?» chiese senza impappinarsi, ma approfittandosi delle pause.
«Sì.» la risposta era arrivata immediatamente, segno che il ragazzo ci aveva già pensato e non si trattava di una riflessione improvvisata sul momento.
«E perché non me lo chiedi?» Katie non era nemmeno sicura se glielo avrebbe mai detto, eppure...
«Perché non volgio saperlo.» fu una confessione dolce e pura, soave a sentirsi e molto meno letale da percepire.

5.
Albus s'era alzato. «James, non essere ridicolo.» sembrava stesse trattenendo una risata vuota. «Che cosa stai facendo? Non puoi arrestare nessuno.»
«Scusa, io non ho ancora capito...» Damian si dimostrò sinceramente confuso. «In tutto ciò tu chi credi di essere?»
«Tanto non può fare nulla!» Roxanne s'era voltata a cercare i suoi occhi. «Non ti preoccupare, non è un Auror!»
«In realtà...» James si frugò la tasca interna del mantello per estrarne una pergamena. «Sono autorizzato alla reclusione sotto sorveglainza del sospettato.»


Ok, stavo mettendo un sesto ed un settimo spoiler, ma poi mi stavo lasciando andare con le scene. Ora, James sospetta di qualcuno in particolare e non gli si può dire nulla a quanto pare... chiaramente, non si tratta della vera spia, non prendiamoci in giro, quindi riapro le scommesse: chi credete che sia?
Let me know, se avete dei sospetti o in generale qualcunque appunto o in generale anche solo se volete sclerare.
Io vi saluto e vi auguro belle cose, spero di sentirvi prestissimo ♥
Vostra,
Bess

PS. I FOOLED ALL OF YOU WHO REALLY THOUGHT THAT EVELYN WAS ACTUALLY A BLACK MUAHAHAHA (rendiamoci conto che mi tengo questo segreto da quasi otto anni)
PS2.
https://www.youtube.com/watch?v=_MwibQu6dq0 (questo è un trailer che ho fatto per la storia, nel caso ve lo foste perso)
 









 
   
 
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