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Autore: _Akimi    24/10/2018    1 recensioni
[Le Iene]
[White/Orange - Writober]
"«Cosa farai dopo il colpo, se dovesse andare tutto bene?»
Tono piatto, non un'onda di naturale preoccupazione; Orange sapeva di aver varcato i limiti, che la sua era una domanda proibita, ma Larry tentennò un attimo, riflettendoci.
La sua vita era così, aveva provato la sensazione di rimanere chiuso in una cella per anni, non voleva ripeterlo, eppure capitava di domandarsi perché continuare.
I soldi, sì, la ricchezza – avere le tasche piene di banconote dava le sue soddisfazioni, vedere il sogno Americano realizzarsi nel brillare di un diamante o di un lingotto dorato, ma qualche volta pensava di essere troppo vecchio per sperare in altro.
Non aveva grandi progetti in mente, forse doveva accettare l'idea di apprezzare le rapine senza avere altro scopo preciso.
«Ti restituisco il pacchetto di sigarette che ti devo.»
«Tienilo come ricordo dei bei tempi.»
E Larry accettò, inconsapevole di ciò che attendeva entrambi."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciambelle e caffè lungo ancora fumante – Freddy non avrebbe voluto fottersi la copertura per una colazione che gridava quanto fosse sbirro, ma aveva un debole per la glassa del Jackson's diner sulla terza strada - con quelle pareti lerce tappezzate di foto vintage e poster di supereroi Marvel - quindi era disposto a correre il rischio davanti ad altri.
Qualche volta aveva l'impressione che non fosse molto furbo, quel Mr. White, nonostante fosse un pluriricercato con all'attivo una carriera invidiabile da truffatore.
Se non fosse stato un poliziotto, non avrebbe escluso a priori la possibilità di entrare in quel giro; non lo diceva per la parte in cui si uccideva gente – era troppo buono per farlo -, ma l'adrenalina che un ladro provava nel suo sporco lavoro non era tanto diversa da quella che lo stesso Freddy aveva nell'arrestare qualcuno.
La copertura, però, non era sempre la figata che passavano alla TV o al cinema: ci si aspettava la gloria, i ringraziamenti dal dipartimento, l'invidia di alcuni colleghi rompicoglioni, ma dallo schermo si omettevano per il bene del pubblico tutti quegli intoppi e contrattempi che, nel suo caso, vedeva personificati nel volto rilassato di Mr.White.
Era ancora strano notare quanto potesse essere pacato un criminale come lui; alle volte sbottava, come capitava a chiunque, dopotutto, eppure celatamente seguiva un buon codice di condotta che lo rendeva diverso da qualsiasi altro delinquente.

Forse in un altro universo, proprio come nei fumetti...no, Freddy non poteva concedersi questo genere di stronzate.

«...E allora la tipa mi fa che se non l'avessi pagata, mi avrebbe denunciato alla polizia dicendo che era stata molestata. Ma dico io, neppure gli sbirri crederebbero ad una puttana, no?»
Mr-logorroico-Pink era con loro, un colpo di (s)fortuna li aveva fatti incontrare ad uno degli incroci non molto lontano dal locale; quando avevano visto la sua brutta faccia vicino alle palme dell'allegra L.A., Mr.White e Freddy avevano immaginato la stessa cosa.
Negli ultimi giorni capitava spesso che si capissero senza neppure pronunciare parola – sarebbe potuto sembrare un dettaglio romantico, se non fosse stato per la situazione in cui si trovavano.
«Prima la storia della mancia, adesso per una semplice scopata. Quella poveretta meritava di essere pagata il doppio solo per essere andata a letto con te.»
Freddy trattenne malamente una risata divertita; Mr.White non era persona che le mandava a dire, forse il suo essere schietto lo avrebbe fregato un giorno, ma tanta sincerità era apprezzabile in un mondo dove si cresceva a suon di spari e di bugie.
«Ok, potrei aver sbagliato, ma minacciarmi in quel modo è controproducente; non solo non prenderebbe i suoi dannati soldi, verrebbe persino derisa dalla polizia.»
«Ma alla fine hai pagato.»
Freddy mormorò, intromettendosi nella discussione; non poteva dire di essere particolarmente interessato all'argomento, ma osservare l'espressione infastidita di Mr.Pink ripagava lo sforzo, e ancora di più il ghigno sul volto di White.
«Certo che ho pagato, non volevo finire dentro solo per una succhiata di uccello. Sarebbe una fine di merda pari a quella di Al Capone.»
Avrebbe voluto dirgli di non preoccuparsi, che in un modo o nell'altro dietro alle sbarre ci sarebbe finito lo stesso, ma si trattenne, bevendo l'ultimo sorso di caffè ormai tiepido.
Quanto adorava la colazione dai Jackson.

 
* * *

Larry ne aveva viste di case in vita sua, per tanti motivi diversi che reputava sciocco elencare: le sue prime rapine erano partite su, in Wisconsin, arraffando quello che si trovava nelle villette dei quartieri per bene – il solo pensare al passato gli trasmetteva un po' di sana malinconia; erano tempi più semplici, quelli.
E l'appartamento di Orange gli ricordava i giorni in cui era giovane – non sapeva neppure quanti anni avessero di differenza, ma bastavano pochi dettagli per capire chi ci abitasse in quel buco.
Era un disordine unico, un raggruppare di cianfrusaglie di varia specie che Larry reputava piuttosto buffe perché raccontavano più di quanto gli fosse concesso conoscere.
E, in effetti, il problema era esattamente quello.
Non sapeva perché si fosse lasciato convincere a salire – il pacchetto di sigarette vuoto era una grande cazzata -, ma Orange non aveva tentennato per un attimo, limitandosi ad una timida risata e ad un "sei troppo vecchio per fumare, ma ho una stecca intera a casa."
Nessuno dei due aveva pensato alle conseguenze di una decisione così sciocca, o almeno, non Larry; era un uomo che manteneva le promesse, si trattava del suo lavoro, dopotutto, eppure non era così stupido sentirsi un intruso a casa di un collega.
Avrebbe potuto trovare un qualche documento sparso tra i fogli della sua cucina, nome, fottuto cognome e il gioco finiva lì; la regola di non rivelare nulla delle loro vite sfumata dalla stupidità di entrambi.
Tra i due, era Orange ad avere fatto il passo sbagliato, ma il modo tranquillo in cui camminava per l'appartamento lasciava intendere di avere tutto sotto controllo.

«Ci scommetto il culo che quel Mr.Pink farà una cazzata durante il colpo.»
Larry lo esclamò per interrompere il silenzio tra di loro, un'innocua frase di circostanza che celava del vero perché, pur fidandosi di Joe Cabot, quello aveva una faccia troppo da pazzo per essere affidabile.
Ne aveva incontrati di delinquenti come Mr.Pink – poche volte era finita bene, per loro, ovviamente.
«A me sembra un tipo okay, parla troppo, ma basta che sappia far andare le mani.»
Orange non sembrava del tutto convinto, ma era naturale non fidarsi di un gruppo di criminali della quale non si sapeva nulla; e pensandoci, la questione riportava Larry al quesito iniziale.
Perché doveva esserci fiducia? Le ombre rimanevano, i misteri e le altre cazzate che avrebbe dimenticato una volta finito il colpo anche, ma per ora, continuava ad aleggiare uno strano senso di confidenza tra di loro.
Era poco professionale, ma anche di questo, Larry ne sapeva abbastanza; la prima regola di un buon rapinatore era di non sputtanarsi in inutili sentimentalismi, ma ci era già cascato una volta anni prima – con la sua ex-partner, Alabama – e non era certo di aver imparato la lezione.

«Tieni.»
Orange era magicamente fuggito e comparso di nuovo dalla sua camera, lanciandogli un pacchetto intero di Marlboro – Larry odiava quella marca, ma per una volta pensò che ne avrebbe sopportato il pessimo sapore.
«Non mi piace chiedere l'elemosina.»
«Allora prendilo come un regalo.»
Aveva la battuta pronta, per essere un ragazzino; lo aveva capito già dalla prima volta quando si erano incontrati al Lounge con i Cabot, ma a differenza degli altri, non parlava a sproposito.
Diceva la cosa giusta al momento giusto, come il giorno prima, quando gli era bastato un semplice "Ma alla fine hai pagato" per zittire l'eterno brontolare di Mr.Pink.
Sembrava quasi uno spreco, tanto sarcasmo per un mondo come il loro, ma poco conosceva di lui e, proprio perché del mestiere, Larry sapeva che nessuno era escluso da ombre e scomodi scheletri nell'armadio.
Dubitava che un ragazzo con un poster di Silver Surfer sul muro potesse rivelarsi un sanguinario, ma le prime impressioni potevano riservare cattive sorprese.
«Non ci sei mai finito in gattabuia, vero?»
Lo osservò dall'altra parte del tavolo, lì, a sgranocchiare una tazza di cereali e a sfogliare un quotidiano come se non avesse ospiti a casa, o meglio, come se la presenza di Larry fosse abitudinaria nel suo appartamento.
«Lo chiedi perché vuoi farti i cazzi miei o perché pensi che uno come me non sappia uscirne vivo?»
Non solo risposte svelte, ma anche una lingua biforcuta; non poteva dargli torto – era una domanda idiota -, ma era solo curiosità perché sì, Orange gli ricordava vagamente quel tipo di galeotto a cui era destinata una cattiva sorte dietro alle sbarre.
«No, solo che il carcere fa diventare tutti più materialisti e lì ci pensano due volte prima di fare regali. O, sai, te li guadagni in altri modi...»
Aveva rivelato più del dovuto – che era stato beccato, prima di tutto – e, a quanto pareva, le sue parole vennero recepite in modo inaspettatamente malizioso, provocando una reazione che oscillava tra spontanea confusione e divertimento.
«Se avessi voluto chiederti di scopare;» Solo un mormorio, in un breve attimo Larry lo vide deglutire, per poi ritornare a leggere il giornale – una falsa distrazione per non guardarsi negli occhi; «lo avrei semplicemente domandato, sigarette o meno.»
Larry ci credeva poco, ma la piega che la conversazione stava prendendo era inaspettata – mai gli era capitato una cosa simile mentre lavorava, ma una parte remota di lui non ne sembrava dispiaciuta.
«Sembra che tu ci abbia pensato, quindi.»
«Forse, ma non sono l'unico. So che hai un porta sigarette nel taschino della tua giacca; non devi trovare una scusa per entrare, sono un libro aperto.»
A quel punto, sul viso di Orange apparve ancora, come il giorno prima, un piccolo sorriso soddisfatto, un gesto per dirgli che non era così ingenuo come sembrava.
Larry avrebbe voluto rispondergli, ma un telefono fisso suonò e preferì dileguarsi come il peggiore dei vigliacchi.


 
* * *

Freddy sapeva di non essere stato propriamente onesto con il suo capo, Holdaway, quando lo aveva aggiornato sugli ultimi avvenimenti del gruppo.
Avevano parlato del piano, della cazzata dei soprannomi, ma poi anche di tutte quelle cose inutili che qualche volta i poliziotti si dicevano per passare il tempo – Mr. Blonde era uno squilibrato, Eddie Cabot aveva problemi a controllare la rabbia e White... su White non aveva detto un bel niente.
E certo, non poteva confessare la loro ultima conversazione come se fosse un qualcosa di professionale; lo avrebbe rimproverato per averlo invitato nell'appartamento, e sul resto ancora peggio.
Suonava male solo il pensiero, "sì, stavo per portarmi a letto un ricercato", ma poi non era successo nulla e andava bene così, vero?


Lo pensò per tutta la giornata sino a quando non si ritrovò di nuovo nel magazzino dove erano soliti incontrarsi con gli altri; aspettavano i Cabot per le armi e gli ultimi dettagli, ma al punto di ritrovo erano solo loro due – e lo psicopatico di Mr. Blonde che beveva coca cola con cheeseburger in un angolo.
Era imbarazzante perché White se n'era andato senza dire nulla, un buon gesto per avergli lasciato privacy durante la telefonata, ma ora se ne stava appoggiato al muro, in silenzio, fumando una di quelle sigarette che nascondeva prontamente nella tasca.
Il bastardo gli aveva mentito, un'altra ombra di bugia da aggiungere alla sceneggiata a cui lo stesso Freddy partecipava, ma era diverso mentire per lavoro – era uno sbirro, un fottuto poliziotto, non poteva dimenticarselo – dal farlo solo per gioco.
White gli era parso una persona seria, eppure era semplice trovare i suoi punti deboli – più facile di quanto avesse immaginato.
«Hai da accendere?»
Lo domandò dando le spalle a Blonde, in modo che non potesse sentirli parlare; pareva troppo impegnato con il suo pranzo, ma le precauzioni con lui non erano mai sufficienti.
«Non devi trovare una scusa per parlarmi.»
White gli rispose infilandosi il suo zippo nella giacca e poi, come se non vi fosse nulla di particolarmente scandaloso, sfiorò i pantaloni di Freddy, sorridendo nel sentire un accendino nella sua tasca destra.
«Fanculo.»
Non sapeva cos'altro aggiungere perché ora erano alla pari – si sentiva un idiota, consapevole che alcune bugie bianche tra di loro non funzionavano, ma il senso di imbarazzo era troppo forte da contrastare con la verità.
La sapevano entrambi, quale fosse la verità; il giorno prima un pessimo approccio e ora a guardarsi come due ragazzini alle prime prese con il sesso.
Eppure non lo erano, Freddy aveva vissuto momenti più imbarazzanti in accademia e scommetteva che il vecchio-saggio-White avesse una miriade di storie da raccontare sulla sua mirabolante vita.
«Senti, facciamo finta che non sia successo nulla. Portiamo a termine questo fottuto colpo e poi, fine della storia.»
«Fine della storia.»
Accigliati entrambi, forse consapevoli che quella – come tutte le altre – era una stronzata da raccontarsi per starsene buoni durante la riunione; eppure, Freddy non poteva giocarsi il lavoro per una sbandata inopportuna.
Era sempre stato così per lui, l'essere poliziotto veniva prima di tutto, anche del fascino di un criminale come l'uomo che aveva di fronte.

«Siete uno spettacolo raccapricciante, fatevelo dire.»
Fu Blonde ad interrompere la loro breve conversazione, una vibrante risata a riecheggiare nel vecchio magazzino e uno sguardo su di loro – un'ombra di giudizio che, se non fosse stato per un buon autocontrollo, avrebbe potuto piegare l'animo di Freddy per la vergogna.
«Lo siamo tutti, a modo nostro.»
Arrivò il turno di White, una risposta semplice quanto veritiera – ancora una volta la sua sarcastica schiettezza aveva fatto colpo e Freddy non si sarebbe dimenticato facilmente dell'espressione infastidita di Mr.Blonde.

 
* * *

Larry aveva sempre avuto un buon fiuto per le cazzate, come un vecchio segugio che – tecnicamente dopo anni di esperienza – imparava ad allontanarsi dalle pessime scelte e dai pericoli.
Le stronzate nella sua vita avevano avuto odori differenti: sangue, piombo, erba, ma mai erano state di un sentore così accattivante – di tabacco, sudore e di quel goccio di colonia che gli pizzicava le narici quando il suo naso andava a scontrarsi con il collo nudo di Orange.
Cercava di giustificarsi dicendo che ne aveva combinate di peggio, anni prima, soprattutto nelle interminabili giornate passate dietro le sbarre.
Ma fare sesso con un altro uomo, no, era certo di essere troppo vecchio per dubitare di alcune costanti della sua vita; non era un finocchio – ma suonava come una sciocchezza, lì, con il corpo così vicino a quello di Orange.
Tra di loro era calato un silenzio assordante, una vaga unione di imbarazzo e soddisfazione, perché sarebbe stata una bugia dire di averlo odiato, ma aleggiava un senso di rimorso alla quale nessuno dei due sapeva dare risposta.
Le parole di qualche giorno prima erano andate dimenticate tra gli umidi mormorii, le lenzuola disfatte e occhiate indecifrabili.
Larry aveva notato quanto la schiena dell'altro fosse immacolata – doveva essere bravo nel suo lavoro, per non avere neppure una piccola cicatrice o livido.
Un dettaglio a cui prestava attenzione solo ora, ad amplesso concluso, mentre si poggiava contro la testiera del letto.
Era troppo stretto per due persone come loro, ma Orange si era fatto piccolo sotto il lenzuolo, sonnecchiando a tratti con le palpebre che gli ricadevano lentamente sugli occhi.
Tentava di rimanere sveglio, come se avesse un buon motivo per essere costantemente vigile, ma i tentativi per non addormentarsi lo rendevano solamente buffo agli occhi di Larry.
«Il tuo vicino lavora di notte?»
Lo domandò all'improvviso, voltandosi verso la finestra che illuminava buona parte del locale; le tende color crema oscillavano leggere al passare del vento e le ombre dei lampioni si riflettevano sul pavimento, come lunghe gambe senza fine.
«Non siamo stati così rumorosi.»
Orange rispose puntellandosi con i gomiti contro il materasso, un'espressione da bamboccione lo faceva sembrare davvero un ingenuo, ma non lo era stato così tanto quando mormorava il suo nome.
White – lo aveva chiamato, ovviamente, ed era stato strano scoparsi qualcuno che poco lo conosceva; o meglio, avevano scoperto dettagli stupidi sulle loro vite nell'ultima settimana, ma i soprannomi continuavano a dividere il mondo della verità dalle ombre della loro professione.
Per un momento, Larry aveva persino pensato di rivelarlo – un'altra cazzata che si sarebbe aggiunta alla già-lunga-lista, ma poi aveva cambiato idea. Ancora non sapeva il motivo.
«Idiota, dico per lui. È un rumore continuo qui.»
«Ah, sì.»
Non sembrava più stupito dalle sue parole, le labbra a formare una linea perfetta e gli occhi che viaggiarono dal suo viso alla finestra, mettendosi ad osservare assieme il bagliore che portavano con sé i fanali della auto dei passanti.
«È il suo uccello;» Larry lo guardò storto, si accese una sigaretta e un filo di fumo sfuggì dalle sue labbra; «Non quello che pensi tu; ha un pappagallo, o qualcosa del genere.»
Era chiaro, si sentiva stupido per non averlo pensato prima; il suono era così gracchiante da sembrava la voce di una radio, una qualche canzone o racconto di mezzanotte, ma invece no, era solo un dannato volatile.
«Beh, spero non ripeta quello che ci siamo detti qui dentro.»
Lo vide arrossire ingenuamente, uno spettacolo piuttosto particolare per una persona che cercava di apparire dura davanti agli altri; era proprio un tipo strano, quel Mr. Orange, ma Larry iniziava a farci l'abitudine, forse più di quanto gli fosse concesso.
E ora se ne rendeva conto, il tempo aveva cominciato a rammollirlo perché mai avrebbe considerato una pigra conversazione come quella, una discussione tra adulti, persone comuni – non criminali -, abbandonandosi all'inerzia di una vita normale.
Un'illusione, forse, ma tanto valeva viverla per qualche istante.

«Cosa farai dopo il colpo, se dovesse andare tutto bene?»
Tono piatto, non un'onda di naturale preoccupazione; Orange sapeva di aver varcato i limiti, che la sua era una domanda proibita, ma Larry tentennò un attimo, riflettendoci.
La sua vita era così, aveva provato la sensazione di rimanere chiuso in una cella per anni, non voleva ripeterlo, eppure capitava di domandarsi perché continuare.
I soldi, sì, la ricchezza – avere le tasche piene di banconote dava le sue soddisfazioni, vedere il sogno Americano realizzarsi nel brillare di un diamante o di un lingotto dorato, ma qualche volta pensava di essere troppo vecchio per sperare in altro.
Non aveva grandi progetti in mente, forse doveva accettare l'idea di apprezzare le rapine senza avere altro scopo preciso.
«Ti restituisco il pacchetto di sigarette che ti devo.»
«Tienilo come ricordo dei bei tempi.»
E Larry accettò, inconsapevole di ciò che attendeva entrambi.

 
* * *

Nel mare di sangue, Freddy sapeva che sarebbe morto in modo lento e indegno.
Ancora pensava all’innocente che aveva ucciso e si sentiva sporco, nell’animo, perché togliere la vita ad un civile era un qualcosa che non si sarebbe mai perdonato in quanto poliziotto.
E poi c’era Mr.White, il più fottutamente gentile criminale che avesse mai incontrato in tutta la sua esistenza, e mentre sentiva i suoi occhi su di sé attraverso lo specchietto della macchina, non aveva neppure il coraggio di guardarlo in volto.
Poteva dirgli la verità, fare luce sulle infinite ombre che ostacolavano il loro rapporto perché tanto non aveva più un cazzo da perdere.
Preferiva non portarsi un segreto così grande nella tomba, ma White, White sembrava quasi crederci - gli stringeva la mano ripetendogli che lo avrebbe portato da un dottore, che non sarebbe morto poiché era un insolente bastardo.
Ma Freddy vedeva il buco nel suo stomaco, il sangue che sporcava i sedili, un seggiolino di un bambino che, inconsapevole, sarebbe ritornato a casa senza madre.
Forse se lo meritava, per quello che aveva fatto ad una donna, ad un passante che poco aveva a che vedere con un mondo così lurido.
Anche lui non faceva parte di quella realtà, era stato bravo all’inizio - con la sua recita da cattivo ragazzo -, ma ora moriva in una fossa di falsità, le stesse bugie che si era costruito per non essere sé stesso.
Eppure, sapeva di aver sconfinato; qualche volta era stato Freddy, quello vero, e White lo aveva visto alla sera quando si erano accidentalmente addormentati l’uno di fianco all’altro e anche ora, che lo vedeva soffrire come un cane.
Un ciclo vitale a cui avrebbe dedicato volentieri un sarcastico commento, se ne avesse avuto la forza.

«Posso chiederti una cosa, White?»
Biascicò, sentendo la sua mano stringere un poco più forte la propria; paradossalmente, quel semplice gesto pareva il più intimo che si fossero scambiati negli ultimi giorni.
«Non voglio testamenti o altre cazzate perché tu non morirai.»
Freddy pensò che, oltre ad essere un eccellente rapinatore, era anche un ottimo bugiardo; era così naturale mentire tra di loro, dopotutto.
«No, solo parole.»
«Parole?»
Avrebbe voluto dirgli di essere più veloce, di parlare di qualsiasi cosa gli passasse per la mente, ma dalla sua bocca uscirono solo mormorii e imprecazioni sommesse; il dolore era troppo forte, ma fu grato nel vederlo, dopo pochi attimi, occupare il silenzio con frasi che in un qualsiasi altro contesto sarebbero sembrate normali.
«Sono nato a Milwaukee, una città di merda.»
Freddy non l’aveva mai visitata, ma quando aveva tempo libero ne approfittava per guardare Happy Days alla TV - non pareva un mondo così diverso dalla California.
«Il mio cazzo di colore preferito non è il bianco.»
«Ma ti s'addice.»
Non sapeva perché. White non era né innocente né immacolato, ma pur non pensando al suo soprannome, Freddy credeva che la tonalità lo rappresentasse appieno.
Quando era ragazzino gli avevano insegnato come il bianco contenesse tutti gli altri colori - allo stesso modo, White aveva fatto mostra di tutte le sue sfumature nelle ultime settimane.
Non era delicato, no, ma dietro la scorza del fuorilegge, si nascondeva un essere umano accettabile.

«Il mio vero nome è...»
«No, ragazzo, sono le regole.»
A Freddy scappò una dolorosa risata; pensava ancora alle regole, lui, lo stesso che gli aveva appena rivelato il suo luogo di nascita, il medesimo uomo che aveva visto dormire in camera sua.
Non capiva la sua ostinazione, ma al contempo la trovava divertente: i Cabot dicevano che White era un professionista, uno di parola, e in parte era vero.
«Non vuoi sapere neppure il nome di qualcuno che ti sei scopato?»
Non era propriamente una domanda ironica; sapeva di gente, persone che riempivano i letti ogni sera con sconosciuti - non li giudicava, ma al tempo stesso sapeva di non essere come loro.
Significava che provasse qualcosa per White? Non lo sapeva, e comunque era troppo tardi per pensarci.
«Fanculo.» Mormorò allora l’altro, entrambe le mani di nuovo sul volante, le nocche sbiancate e uno sguardo indeciso verso lo specchietto retrovisore. «Lawrence, Larry, come preferisci.»
«Larry
Riecheggiava nell’auto stranamente, ora che lo pronunciava lui; immaginò di dirlo in altre circostanze, nei momenti migliori - quando erano in casa da soli, o in un’esistenza completamente diversa da quella che stavano vivendo ora.
«Freddy.»
E sono un fottuto poliziotto. - erano lì, le parole, sulla punta della sua lingua, ma le ingurgitò non appena comparì il vecchio magazzino davanti ai loro occhi.


Avevano scelto questa vita tanto tempo prima e, ormai, non sarebbero più tornati indietro.









 
  
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