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Autore: Fenice e Dregova    24/10/2018    0 recensioni
All'alba dei tempi, la terra era abitata da moltissime creature. Le più potenti erano i draghi che offrivano protezione alle altre razze che stavano crescendo sviluppando la loro propria magia. In un tempo in cui la pace sembrava prosperare, i draghi commisero un errore che risvegliò un male rimasto imprigionato nel baratro del nulla per secoli: donarono la magia agli uomini. I maghi cominciarono a scavare nei segreti cui potevano ora accedere e, spinti dal desiderio di un potere sempre maggiore, finirono col seguire il canto seduttore dei demoni. Li liberarono e cominciò la guerra che terminò, secondo una leggenda, col sacrificio di alcuni rappresentanti dei popoli che abitavano il pianeta. I maghi divennero i nuovi custodi della pace, mentre i draghi si estinsero. Ma c'era qualcosa che si stava muovendo, l'ombra di un'antica minaccia che era riuscita a fare capolino dal buco oscuro in cui era stata richiusa. Cosa ne sarà della giovane Hel, riuscirà a destreggiarsi tra i problemi legati alla sua famiglia e quelli nati dall'avere la magia nelle vene?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una nuova giornata di scuola aveva inizio.

Hel frequentava l’ultimo anno della Scuola Media e Superiore Statale Petunia Rossotramonto. L’edificio era un vecchi castello in stile barocco che si ergeva in mezzo a un ampio parco fatto di siepi alte e colorate, alberi di ulivo e panchine dove i ragazzi si sedevano per rendere l’attesa dell’inizio delle lezioni più comoda o per copiare i compiti. La scuola era stata battezzata con il nome di una delle discendenti di Eros Rossotramonto, un dei firmatari dell’Alleanza dei Quattro. Era un grande onore frequentare una scuola di prestigio com’era la Rossotramonto.

L’edificio, costruito in marmo che si alzava per tre piani, era pieno zeppo di stanze, originariamente tutte ampie camere da letto e sale lettura che erano state modificate per ospitare classi di venti alunni. Al suo interno c’era una linea di confine invisibile, ma molto presente e se la si valicava, il poveretto che l’aveva fatto si sarebbe ritrovato a dover sopportare il peso degli sguardi degli studenti più grandi. In sostanza, la scuola era divisa in due, il lato est era dedicato alle scuole medie, tre anni che per alcuni erano sinonimo di agonia, il lato ovest ospitava le classi superiori, altri cinque anni che per molti erano un vero e proprio supplizio, a meno che a sedici anni non si dimostrava di essere stati toccati dalla magia, a quel punto il supplizio sarebbe stato più facile da sopportare. Gli studenti che dimostravano di avere doti particolari, venivano trasferiti in una delle Accademie di magia. Su queste si aggiravano solo voci, niente di concreto, e questo uccideva le menti delle persone che erano costrette a viaggiare di fantasia per colmare le lacune lasciate da una volontaria disinformazione.

Anche Hel, che sapeva che un giorno avrebbe lasciato il mondo normale per accedere a quello magico, provava una morbosa curiosità per quello che avrebbe avuto davanti. Aveva fatto ricerche, ma non erano state utilissime. A quanto sembrava, gli studenti non potevano parlare delle attività che venivano svolte nelle mura delle Accademie. Qualcuno aveva azzardato a descrivere i dormitori, dei veri e propri miniappartamenti sprovvisti di cucina, con un massimo di tre camere da letto, un bagno e una piccola sala comune. Altro particolare era che questi appartamentini potevano essere misti. Il pensiero le faceva venire la pelle d’oca. Maschi e femmine, perfetti estranei che si trovavano a condividere gli stessi spazi, con gli ormoni a mille. Chissà quante storie di amore nascevano e morivano in quelle stesse aule che un giorno l’avrebbero vista come studentessa.

Provava un fremito alle ginocchia e un vortice dentro lo stomaco quando si soffermava a pensare all’avventura che avrebbe vissuto a partire dal suo sedicesimo compleanno. Non vedeva l’ora di abbandonare l’esistenza che aveva per abbracciare qualcosa che le sarebbe caduto a pennello.

Le lezioni nella Rossotramonto non erano male. I docenti, per la maggior parte anziani e con la voglia di sopportare la vista di impertinenti studenti negli anni peggiori della loro crescita, la pubertà, con tutti i cambiamenti e i problemi che comportava, fingevano una certa autorità, ma spesso e volentieri si limitavano a spiegare e a interrogare senza molto entusiasmo.

Se per alcuni le lezioni apparivano noiose, Hel le trovava emozionanti. Abituarsi al ritmo della scuola non era un problema per lei. Amava lavorare sodo e studiare. All’inizio le era stato utile per concentrarsi su qualcosa che non fosse lo sguardo tagliente di Camilla o il pesante silenzio del padre. Poi, da barriera, divenne la quotidianità della sua vita, e a lei non dispiaceva. Anzi, provava una sensazione strana e piacevole quando si trovava davanti a una nozione che non conosceva, e ancora più estasiante era quando c’erano concetti che non capiva. Allora si metteva a fare ricerche, a sviscerare il problema fino a trovare finalmente la sua chiave di lettura.

Andare a scuola le piaceva, ma le piaceva ancora di più sapere che ogni anno che passava, l’avvicinava al suo destino.

Pochi altri mesi e avrebbe dato gli esami di terza media. Poi altri tre anni e sarebbe scappata da casa rifugiandosi in una delle Accademie. Sperava solo non si trattasse della stessa della sorella. Era giù terribile dover camminare per i corridoi della scuola col terrore di incontrarla nelle zone che venivano definite dagli studenti come neutre. Come se la Rossotramonto fosse un atomo e racchiudesse in sé forze che avevano una carica elettrica che li distingueva. Protoni e Neutroni? Medie e Superiori. Neutroni? I laboratori, la palestra, il giardino intorno alla scuola, la piscina al coperto e la mensa.

La fortuna però le sorrideva. In genere i ragazzi delle medie e delle superiori si dividevano sempre in due gruppi, anche quando si trovavano a dover condividere la stessa giungla, un po’ come due branchi diversi, di specie diverse, che si studiavano a vicenda temendo di essere mescolati con chi non accettavano. Ovviamente, anche nei diversi branchi, si potevano individuare specie diverse che si sostenevano a vicenda solo per fronteggiare il comune nemico.

C’erano i gorilla, i ragazzi e le ragazze che partecipavano ai corsi sportivi per prendere punti extra, erano gli unici che di tanto in tanto si mischiavano alla loro stessa specie del branco superiore. Poi c’erano le oche che si credevano cigni. In realtà, erano cigni, ma con l’animo di un’oca. Gelose, antipatiche e sempre vestite bene, come se dal loro aspetto esteriore dipendesse il destino di tutta la razza umana. Si potevano intravedere gli oppossum, individui che vivevano per dar fastidio agli altri ma che, se ripresi, fingevano di essere morti, ignari delle cose di cui li si stava accusando. Le iene, i bulli che godevano nel prendersi gioco degli altri indipendentemente se li si riprendesse o meno. Le tartarughe, quelli che subivano le angherie e restavano in silenzio, solo per poi ritirarsi in se stessi e piangere. Infine c’erano le chimere, un’animale che presentava più popolazioni differenti di cellule geneticamente distinte. Scherzi della natura che potevano passare per una razza o un’altra, e che venivano lasciati emarginati dai gruppi perché non si poteva dare loro un’etichetta. Hel era una di loro. Tartaruga un po’ cigno senza l’anima di un’oca con qualche tratto di gorilla. Infine, i falchi. I falchi erano quei ragazzi e quelle ragazze che già sapevano di avere le ore contato, magari avevano una madre o un padre mago, o licantropo, vampiro o elfo, e aspettavano con ansia il momento in cui la loro metà magica sarebbe venuta allo scoperto. Se così non sarebbe stato, nella delusione assoluta, si sarebbero accontentato di occupare un posto fra le chimere.

Mentre si avviava fuori dallo spogliatoio della palestra, Hel si sentiva di buonumore. La prova in storia dell’arte era andata a gonfie vele. Era soddisfatta di sé e si era convinta a portare Leonardo Da Vinci come soggetto principale della sua tesina. Il protagonista del suo percorso nelle scuole medie. La chiave che le avrebbe dato l’accesso alle scuole superiori. Lo amava, per il suo genio, per il mistero che gli aleggiava incontro, per i tratti dei suoi disegni, per la tumultuosa vita che vi leggeva dentro. C’era chi prendeva una cotta per un cantante o per un attore, c’era chi si innamorava di un artista defunto. Così era la vita, bella perché strana.

Anche se Leonardo era imbattibile, Hel cominciava a sperimentare cosa volesse dire trovare attraente un ragazzo. Non erano i suoi coetanei ad attirare il suo sguardo, li vedeva troppo infantili, con ancora tratti di bambino sul viso. I suoi occhi erano tutti per i ragazzi delle superiori, specialmente per quelli che cominciavano a mostrare qualche accenno di virilità. L’alba di una barba, muscoli un po’ più evidenti, occhi più maturi. Tranne quella per Leonardo, non si era mai presa una cotta, ma questo non voleva dire che non poteva osservare in silenzio quello che un giorno avrebbe desiderato. Era il naturale corso degli eventi, e la spaventava non poco. Una buona ragione in più per concentrarsi sullo studio.

Ultima ora, l’ora di ginnastica.

Il professor Constantin, un uomo di mezz’età con una pancia enorme e sempre vestito con la stessa tuta, dalla barba lunga e dalle folte sopracciglia, e con un ciuffo bianco scompigliato sulla sommità della testa altrimenti calva, aveva la brutta abitudine di sparare a raffica esercizi senza spiegare come si svolgessero, pretendendo che tutti seguissero i suoi comandi. Hel si domandava come Dimitri Constantin avesse fatto a ottenere la cattedra di educazione fisica. Magari nascondeva, molto in profondità, le doti di un atleta olimpico. Peccato dimostrasse una completa incapacità a mettersi nei panni dei suoi allievi, con lui non si poteva fare una conversazione. Tutto ciò che usciva dalla sua bocca era sacrosanto, gli altri sempre nel torto marcio. Per questo i suoi colleghi non lo invitavano mai alle riunioni o alle cene. A Hel dispiaceva un po’ per lui, lo vedeva un po’ come lei, una chimera emarginata che aspettava solo il momento propizio per mostrare quello che sapeva fare.

Il professor Constantin si era particolarmente fissato con la corsa quel giorno, cos’ faceva fare ai suoi allievi il giro del campo da calcio in continuazione, come se non esistessero altre attività da fare.

Mentre stavano per iniziare il loro sesto giro, Hel sorprese Noah D’Angelo a guardarla. All’inizio pensava di esserselo immaginato, l’educazione fisica la stancava molto e finiva sempre col vedere cose che non c’erano. Ma, alla terza volta in cui gli rivolse lo sguardo, Noah la stava ancora guardando.

Noah D’Angelo, un mezzosangue e uno dei ragazzi più belli della sua classe. Era a lui che i pensieri di tanto in tanto andavano, quando aveva esaurito tutto le possibilità di studio. Era figlio di un vampiro e di un’umana, e forse per questo era di una bellezza spaventosa: incarnato chiaro, occhi neri che sembravano due pozze di pura oscurità magnetica, labbra sottile di un candido rosa pesca, ciglia lunghe e folte e lisci capelli neri che ondeggiavano a ogni suo movimento come se ci fosse un continuo vento a scompigliarglieli. Come mezzosangue era normale che frequentasse una scuola in cui la fauna principale era costituita da umani, la cosa strana era che lui mostrava la maggior parte dei caratteri che la magia aveva donato ai vampiri. Era forte, veloce, e con un carisma capace di attrarre a sé la maggior parte degli studenti della Rossotramonto. Dalla madre aveva preso la resistenza ai raggi solari e a tutto ciò che la sua natura vampiresca lo avrebbe reso sensibile. Peccato che si cibasse di sangue. Portava sempre con sé un piccolo borsone con sacche che contenevano sangue di animale. Questo però non spaventava le ragazze che sbavavano dietro di lui lasciandosi dietro scie di saliva appiccicosa. Per mesi Hel le aveva prese in giro, con la parte più trasgressiva di se stessa, e si sentiva una stupida a dover ammettere di far parte del suo fan club.

Non ci poteva fare niente. Stava crescendo.

-Non mi dire che anche tu ti vuoi unire alle ragazze che gli vanno dietro.-

A parlare era stata Irina, una ragazza umana, nonché la sola e l’unica migliore amica che Hel avesse mai avuto.

Irina e Noah erano le due costanti fisse nella vita di Hel. Conosceva loro due dall’asilo. La differenza principale era che a Noah non aveva mai rivolto la parola, nemmeno per sbaglio, mentre Irina era la valvola di sfogo su cui poteva contare quando aveva bisogno di parlare con qualcuno. Fortunatamente non accadeva molto spesso, Hel si sentiva sempre a disagio quando doveva condividere il peso di qualcosa con qualcuno. Non voleva che i propri problemi diventassero un pensiero anche per gli altri. Sapeva che l’amicizia voleva dire anche esserci per l’altro, ma non desiderava altro che la felicità di Irina, per questo non la rendeva partecipe di ciò che le passava per la testa. Soprattutto non le aveva detto della magia.

-Non scherzare.- le disse Hel col fiatone che le smorzava le parole, l’aria fresca dell’autunno che le pugnalava i polmoni a ogni respiro.

Irina assottigliò il suo guardo cristallino e arricciò le labbra carnose.

-Ti prego.- esclamò con un tono di voce appositamente più alto assumendo un’espressione teatralmente imbronciata -È tutto oggi che ti osserva, e mi vieni a dire che non c’è niente?-

-Da parte mia sicuramente non c’è niente.-

-Vi siete salutati?-

-Lo sai pure tu che non ci siamo mai parlati.-

Irina, a differenza di Hel, non aveva il ben che minimo problema in educazione fisica. In realtà, lei era una delle poche persone che Hel conosceva che eccellesse in qualsiasi sport. E poi, Irina era bella. Veramente. Era così candida e aggraziata nei noi modi di fare che pareva essere uscita da una delle fiabe che i genitori erano soliti raccontare ai propri figli prima di metterli a letto, solo che delle principesse aveva solo l’aspetto esteriore, quello interiore era molto simile a quella del classico principe azzurro senza macchia e senza paura. Irina era una combattente nata, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.

-Sarà.-

-Lo sai che non ti sto mentendo.-

-Allora dovresti dirgli di smetterla, perché tra un po’ di farà un buco in fronte con lo sguardo.-

D’istinto Hel rivolse un’occhiata a Noah e si accorse che la stava ancora guardando.

-Siamo ancora troppo piccoli per queste cose.- cominciò Hel.

-Non vorrai mica ricominciare con quella storia.- si lamentò Irina alzando gli occhi al cielo nuvoloso.

-Abbiamo tredici anni.-

-In passato, le ragazze della nostra età venivano date in moglie.-

-Fortunatamente ci siamo evoluti.-

-Ma l’istinto animale c’è ancora.-

Da quando Hel la conosceva, Irina era sempre stata attratta dalle storie d’amore. Le vedeva letteralmente nascere e sbocciare, ogni tanto anche appassire, in ogni angolo della scuola. Era più forte di lei. Ogni volta che vedeva due persone che spesso si appartavano o che trascorrevano molto tempo assieme, iniziava a fantasticare. Questa sua abilità, che molto spesso portava al nulla, l’aveva condotta a pianificare in ogni minimo dettaglio la sua vita amorosa. Da primo appuntamento al primo bacio, dal matrimonio alla luna di miele, dai figli ai nipoti.

-Ma smettila.- le disse Hel velocizzando la corsa per superarla.

Le parole di Irina la pungevano sul vivo. Da una parte avrebbe voluto scambiare due parole con Noah, ma non ce la faceva, mai. Da vicino il suo volto non era solo bello, era affascinante. Davanti a lui si sentiva come se stesse leggendo una poesia di Leopardi. Si perdeva sulle linee del suo volto, sui colori che scivolavano sulla tela che era la sua pelle.

Doveva smetterla, si disse.

Doveva pensare ad altro, si convinse.

Ma a cosa?

Sentiva gli occhi di Noah ustionarla.

Camilla e suo padre sarebbero tornati quella sera stessa. Questo era un bel pensiero su cui focalizzarsi.

   
 
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