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Autore: Principe Ignoto    25/10/2018    1 recensioni
Stazione ferroviaria di Friburgo: un giornalista scettico incontra un uomo molto particolare...
Questo è un esperimento letterario, se così posso chiamarlo, spero che possa ugualmente piacere.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PROFESSORE
 
Oskar Rosenberg giunse alla stazione ferroviaria di Friburgo in tarda serata. Aveva iniziato a piovere violentemente. L’acqua nera frantumò le pallide luci che si riflettevano sui vetri dell’ingresso. Quando entrò, finalmente, riuscì, finalmente, a trovare un lieve tepore che gli diede un certo conforto dopo la lunga giornata. Comprò il biglietto e andò a sedersi su una panchina vicino ai binari, aspettando il suo treno. Le sue membra erano intirizzite e non vedeva l’ora di tornare a casa, per una doccia ristoratrice. Il pensiero del meritato riposo era così forte che non si accorse subito dell’arrivo di un’altra persona.
Era un uomo sulla quarantina, magro e altissimo, dai capelli neri pettinati all’indietro. Sul naso aquilino erano poggiati un paio di spessi occhiali rotondi, dalla montatura dorata. Il volto era pallido e scavato, come se fosse stato intagliato nel marmo tombale. L’uomo indossava dei guanti di pelle e un lungo cappotto nero che lo fasciava fino alle ginocchia, lasciando intravedere appena una cravatta di seta rossa, su cui scintillava una spilla d’argento.
Rosenberg ebbe l’impressione di averlo già visto in giro, da qualche parte, ma non ricordò dove.
«Posso sedermi?» gli domandò, ad un certo punto, il nuovo arrivato, indicando lo spazio vuoto della panca al suo fianco.
«Si accomodi pure.»
L’uomo si sedette, lasciandosi andare ad un profondo sospiro: «Tempo da cani, eh?»
«Sì.» rispose Rosenberg, atono.
«Lei dove deve andare?»
«Non molto lontano da qui, fortunatamente. Casa mia sta ad almeno cinque fermate dopo.»
«Capisco. Si figuri, io devo recarmi a Berlino. Dieci ore di viaggio, per tutta la notte. Purtroppo dormo pure poco, con questa pioggia non riuscirò a riposarmi neppure per cinque minuti.»
Rosenberg trattenne a stento uno sbuffo: aveva sempre detestato aspettare i treni con pendolari così chiacchieroni.
«Sa, io l’ho vista oggi, qui a Friburgo.» disse, d’un tratto, l’uomo.
«E dove?»
«Alla presentazione del suo libro. Lei è Oskar Rosenberg, il giornalista, giusto?»
Rosenberg, finalmente, ricordò: quell’uomo era seduto in prima fila del salone in cui aveva presentato il suo nuovo libro. Era suo, quindi, quello strano sguardo stanco ed indagatore che lo aveva colpito. Ma c’era tanta gente, quel giorno, e, al momento della firma delle copie, si era già completamente dimenticato di lui.
«Sì, sono io.»
Il nuovo arrivato tese una mano verso di lui: «Mi permetta di presentarmi. Professor Lucius Träger.»
Rosenberg strinse la mano: «Professore di cosa?»
«Di storia, signor Rosenberg. Sa, avevo letto in giro di questo suo libro e, incuriosito, sono andato a vedere di cosa si trattasse.»
«Suppongo che l’abbia letto.»
«Letto? Ho trovato una copia in giro e ci ho dato una piccola occhiata, senza comprarlo.»
«Non mi sembra particolarmente entusiasta del lavoro.»
«Affatto. Si vede che lei si è impegnato, devo riconoscerlo.»
«Però non le è piaciuto, professor Träger.»
Il professore gettò un rapido sguardo verso l’alto, come per esprimere dispiacere: «Che le devo dire, signor Rosenberg. Un conto l’impegno, un altro è il risultato finale. Mi creda, dimostrare che Gesù non sia mai esistito con un semplice libro non è semplice.»
Rosenberg sorrise: «Ho ricevuto recensioni più negative.»
«Lei, quindi, non pensa che Cristo sia realmente vissuto.»
«E lei, penso, sia uno di quei cattolici irriducibili.»
«E chi le dice che io sia cattolico?» disse Träger, con aria sorniona.
«Comunque, certo che non ci credo. Sono cresciuto abbastanza per non credere più alle favole.»
Il professore tornò a sedersi compostamente. La pioggia cominciò a diminuire, lasciando filtrare di più la luce dei lampioni, che disegnarono ombre taglienti sul volto rapace di Träger.
«Nel XV secolo, un barone francese, Gilles de Rais, catturò e uccise circa 140 bambini e adolescenti. Alla fine venne processato ed impiccato.»
«Scusi, ma questo cosa c’entra?»
«Pare che da questa storiella che le ho ora sinteticamente riportato sia nata l’ispirazione per la figura di Barbablù. Anche le favole apparentemente più assurde hanno sempre un fondamento di verità, non crede? Stesso discorso i Vangeli.»
«I Vangeli non sono una fonte storica e sono stati scritti molto tempo dopo la morte di Gesù.» disse, seccamente, Rosenberg.
«La prima biografia di Socrate risale a sette secoli dopo la sua morte. Dunque, anche Socrate è un personaggio di fantasia?»
«Quello è un altro discorso.»
«Ci sarebbero anche alcune fonti romane che parlano dell’esistenza di Cristo: Tacito, Svetonio, Plinio il Giovane…»
«Anche quelle sono molto successive. E nessuna di queste persone ha mai conosciuto direttamente Gesù.»
«E il Testimonium Flavianum
«Fonte contaminata da qualche copista medioevale.»
«Contaminata, ma non del tutto falsa…»
«E comunque anche questa successiva alla presunta esistenza di Gesù.» lo interruppe, duramente, Rosenberg «Non esistono fonti contemporanee. Il Cristianesimo è una panzana che si sono bevuti milioni di persone per due millenni, punto.»
«Nervoso il signor Rosenberg.» continuò il professor Träger, tranquillamente «Spero di non apparire troppo insistente nel mio discorso. In fondo, è anche materia mia.»
«Le chiedo scusa, professore. Sono molto stanco, penso possa capire.»
Träger appoggiò la nuca allo schienale della panca: «La capisco, signor Rosenberg.»
A quel punto, tirò fuori da una tasca del cappotto un portasigarette: «Ne vuole una? Per farmi perdonare.»
«Va bene, la ringrazio.»
Il professore gli diede una sigaretta e gliela accese con un vecchio accendino arrugginito.
«Pensi, non fumo da una settimana.» disse Rosenberg, provando ad assumere un atteggiamento più conciliante nei confronti di Träger.
«Per colpa di sua moglie?» chiese, incuriosito, il professore.
«Beh, ha indovinato. Ma come…?»
Il professor Träger sorrise: «Cherchez la femme, signor Rosenberg. Per esperienza personale, in molti casi simili c’è spesso una donna dietro. Scommetto una di quelle che spendono metà del loro stipendio in palestre e nuove diete vegane, che passa ore su internet alla ricerca di nuovi rimedi naturali per combattere contro grassi e vecchiaia.»
«Ci ha preso in pieno, professore.»
All’improvviso, il sorriso di Träger scomparve. Ed ecco, di nuovo sotto quelle luci spettrali, un volto cereo, quasi cadaverico, con quella solita espressione indagatoria.
«Lei crede in Dio?» domandò, serio.
La voce era cambiata, si era fatta più lenta e rauca. Rosenberg ne rimase colpito, ma provò a mantenere lo stesso atteggiamento quasi allegro di prima: «No. Sono felicemente ateo da molti anni, professore.»
«Ne è sicuro?» insisté l’altro.
«Certo.»
«Capisco, signor Rosenberg. E, di grazia, perché non ci crede?»
A quel punto, Rosenberg iniziò realmente a preoccuparsi, però, dopo aver fatto un profondo tiro di sigaretta, provò ad articolare, ugualmente, una risposta: «Ci sono le guerre, la fame, le malattie… non penso che un Dio benevolo, ammesso che esista, possa permettere tutto ciò.»
«Dio no. L’uomo sì.» soggiunse il professore.
Rosenberg scosse la testa: «Per favore, non mi vorrà domandare se io non creda pure nel libero arbitrio.»
«Non è necessario, signor Rosenberg. Già l’avevo intuito.»
«Comunque, neanche a questo credo, professor Träger. Io penso che il mondo si muova secondo le leggi del caso. È il caso che muove le nostre vite.»
Il volto glaciale di Träger s’irrigidì in un risolino a malapena represso: «Il caso non esiste, caro mio.»
Rosenberg gettò il mozzicone a terra e guardò l’orologio: mancavano, per fortuna, solo pochi minuti all’arrivo del treno. Avrebbe dovuto sopportare ancora per poco quello strano tizio che gli stava facendo il terzo grado.
«Dieci anni fa» riprese il professore «lei ebbe la libertà di bere qualche cicchetto in meno nel suo solito bar.»
Rosenberg s’irrigidì.
«Così,» continuò Träger «lei ebbe anche la possibilità di non ubriacarsi e di non provocare quell’incidente automobilistico in cui morì la sua prima moglie. Fu un caso?»
Il giornalista non riuscì a trovare la forza di replicare, come se quelle parole lo avessero inchiodata alla panchina.
«Oppure la faccenda di quei soldi che la sua seconda moglie stava raccogliendo per preparare la tanto desiderata vacanza a Sorrento. Anche lì ebbe la libertà di prenderli o meno, ha avuto la possibilità di scelta. Alla fine ha scelto di prenderli per sperperarli in una mano di poker, arrivando pure ad indebitarsi. Anche questo fu un caso, signor Rosenberg?»
«Ma come sa tutte queste cose?»
«Ho sempre avuto questo vizio: sono un amante dei pettegolezzi. Per questo mi occupo di storia: è come scrivere una grande rivista di gossip. Con l’unica differenza che il paparazzo non viene querelato da nessuno, perché la gente di cui si chiacchiera è già morta.»
Rosenberg si mise le mani in faccia: non sapeva che cosa dire. Avrebbe voluto sprofondare, per non udire più quella voce fastidiosamente arrochita, o più semplicemente prendere a pugni quell’uomo.
«Poniamo anche, come esempio, la scelta di prendere il treno che sta aspettando.» aggiunse Träger «Fra pochi minuti le si porrà, davanti, la scelta di salirci o meno. E se vi salirà, tornerà a casa, dove l’attende sua moglie pronta ad ucciderla.»
Rosenberg sentì le tempie avvampare.
«Se ne caso scegliesse di salire su quel treno, sappia che, prima di morire, non potrà far altro che rimproverare sé stesso...»
«Lasci stare mia moglie!» esclamò, inviperito, il giornalista.
«Si calmi, signor Rosenberg. È solo un esempio.» disse Träger, simulando un’aria innocente.
«Come fa a sapere tutte queste cose? Guardi che io la denuncio!»
Il professore fece spallucce: «Beh, io non solo lo so. Io c’ero.»
Rosenberg lo afferrò violentemente per il bavero del cappotto: «La smetta con queste stronzate!» gli sibilò, a denti stretti.
Träger si liberò dalla stretta, rimanendo composto, e, aggiustandosi gli occhiali, continuò come se nulla fosse: «Nessuna bugia, mio caro Rosenberg. La verità, tutta la verità e nient’altro che la verità. Io c’ero, dietro ad ogni passo che lei ha compiuto nella sua vita. Ero io il barista che l’ha invitata a bere quei cicchetti in più. Ero io quel suo caro amico che l’ha incitata a scommettere tutti quei soldi in quella partita a poker.»
Rosenberg rimase interdetto: ma che stava dicendo?
«Ma né io e né Dio abbiamo mai obbligato lei e qualcun altro a fare quello che dicevamo. Io non ho mai costretto nessuno a fare quello che proponevo. Libero arbitrio, caro mio. Non può rimproverare Dio per quello che le è accaduto. Sue le scelte, sue le responsabilità.»
«Per favore, stia zitto!»
«Io ho solo aperto le porte ai suoi desideri.»
«Stia zitto!»
«Nessuna costrizione. Anche quell’uomo di cui si ostina a negare la sua esistenza è stato libero di scegliere. Quaranta giorni nel deserto, pensi un po’. Io gli ho offerto tutto quello che avrebbe potuto desiderare. Potere, ricchezze… non ha voluto niente.»
Rosenberg si alzò si scatto dalla panchina, urlando: «La prego, stia zitto! Mi lasci stare!»
Il professor Träger allargò le braccia: «Beh, non si è accontentato delle fonti tarde, e adesso che ha una testimonianza contemporanea si mette a sbraitare? Non voleva una prova?»
Il trillo di un campanello squarciò l’aria umida, facendo sussultare Rosenberg. Il suo treno stava arrivando. A quel punto il giornalista afferrò la sua valigia e se ne andò con passo svelto. Alle sue spalle, risuonò la voce cupa del professore: «Si ricordi, signor Rosenberg, che ha ancora la possibilità di scegliere!»
Rosenberg neppure si voltò. Salì sul treno e, appena si sedette, il mezzo partì. Per qualche minuto, chiuse gli occhi, sprofondando in un leggero torpore. Ne avrebbe raccontato di belle: un mitomane, un pazzo che diceva di essere nientemeno che il diavolo il persona! Roba da non crederci…
 
Il professor Lucius Träger prese il treno successivo e viaggiò per tutta la notte. Arrivò a Berlino il mattino successivo. Lo attendeva uno chauffeur con un’elegante divisa grigia, che lo fece accomodare in una vecchia Mercedes d’epoca.
«Ha fatto buon viaggio, padrone?» domandò lo chauffeur.
«Non mi posso lamentare. Il giornale, Charon?»
«Eccolo.»
La macchina lasciò la stazione e si immerse nel traffico. Il professore iniziò a sfogliare il quotidiano.
«Come è andata ieri, padrone?» chiese Charon, mentre guidava.
«Noia, come al solito.» rispose Träger «Però, ieri sera mi sono divertito un po’.»
«E con chi, stavolta?»
«Con lo scettico di turno. Era pronto a dichiarare che neanch’io esisto. Mi ha quasi fatto crepare dal ridere… peccato che il gioco è bello quando dura poco.»
Detto ciò, lesse un articolo:
 
GIORNALISTA ASSASSINATO: INDAGATA LA MOGLIE
 
 
Note dell’autore:
Questo racconto è stato ispirato, molto liberamente, dalla lettura dei primi capitoli del romanzo Il Maestro e Margherita di Mikhail Bulgakov e dalla visione del film L’avvocato del diavolo di Taylor Hackford. L’idea di scrivere mi è nata durante una discussione, via Facebook, sulla storicità di Gesù Cristo.
Le fonti romane in cui si allude a Cristo citate nel racconto sono gli Annali di Tacito, le Vite dei Cesari di Svetonio e l’epistola a Traiano di Plinio il Giovane. Il cosiddetto Testimonium Flavianum, invece, è un controverso passo delle Antichità giudaiche dello storico ebreo Giuseppe Flavio, la cui autenticità effettiva è ancora oggetto di discussione.
Ovviamente, fatti e personaggi qui rappresentati sono assolutamente frutto della mia fantasia.
   
 
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