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Autore: ChiiCat92    26/10/2018    0 recensioni
"Spiegel era vanitosa, era vanitosa a tal punto da non riuscire a staccare gli occhi dallo specchio. Lo era come lo era Narciso, tanto che sarebbe annegata pur di strappare un tenero bacio alla sua immagine riflessa nell’acqua.
Amava se stessa come non avrebbe mai potuto amare nessun altro."
Genere: Generale, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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26/10/2018

OC


Spiegel era vanitosa, era vanitosa a tal punto da non riuscire a staccare gli occhi dallo specchio. Lo era come lo era Narciso, tanto che sarebbe annegata pur di strappare un tenero bacio alla sua immagine riflessa nell’acqua.

Amava se stessa come non avrebbe mai potuto amare nessun altro.

Ma d’altronde non aveva motivo per non farlo: la sua pelle di porcellana era sottile e splendente, i capelli di seta d’oro le ricadevano sulle piccole ma proporzionate spalle in riccioli voluttuosi, gli occhi erano due perle lilla che brillavano di una calda e languida luce; il corpo era poco più che perfetto, il seno turgido e sodo, la vita piccola, il sedere tondo, le gambe alte e snelle.

Non poteva fare a meno di osservare come la luce giocava sulle sue forme, stupendosi enormemente della propria perfezione.

Amava amarsi, e niente riusciva a distrarla, tanto che appariva svampita e frivola a chiunque essere umano femminile la guardasse. In realtà non le interessava che a darle dell’oca fossero le ragazze, l’importante era che ad ogni passo che muoveva i ragazzi la seguissero come se fosse stata un angelo sceso dal cielo per portarli in Paradiso.

Quel genere di pensieri le piaceva quasi quanto spazzolarsi i capelli.

Giocare con gli uomini le riusciva naturale, era semplice ed eccitante.

Lo specchio era il suo migliore amico: non le mentiva mai quando le mostrava la realtà, e quando sorrideva rispondeva con un sorriso.

Avvicinandosi ai venticinque anni di età, Spiegel era giunta alla conclusione che l’unico con cui poteva condividere la sua esistenza era lo Specchio.

Certo, gli uomini la amavano ancora, il suo ragazzo l’amava ancora, e lei provava delizia e stupore nel farli impazzire con un battito di ciglia, ma solo quando tornava a casa e si specchiava trovava la pace che tanto andava cercando.

Si sentiva come la regina di Biancaneve, ma non aveva motivo di chiedere chi fosse la più bella del reame perché la sua immagine riflessa glielo diceva ancora prima che aprisse bocca.

In quella stupenda giornata di primavera lo specchio riluceva di una luce estatica che la riempiva di gioia.

« Come sei bella. » gongolò toccando con la punta delle dita l’angelo nel riflesso.

« Grazie. » si sentì rispondere come ogni giorno.

Rapita dalla propria immagine si avvicinò allo specchio, poggiando le labbra sul vetro.

L’angelo ricambiò il bacio e Spiegel poggiò le mani dove erano le sue, irritata al solo pensiero di non poterla abbracciare, stringere e averla tutta per sé.

« Vorrei tanto essere lì con te. » piagnucolò; quando socchiuse gli occhi, la mezzaluna scura e nera delle ciglia creò un’ombra sul viso.

« Non ancora, non ancora. » rispose cinguettando l’immagine riflessa.

Spiegel sentì lacrime di stizza salirle agli occhi, e quando una scivolò giù dai suoi occhi viola, l’immagine osservò immobile come l’asciugava, teatrale, come se un’intera platea la stesse osservando.

« E quando? Quando potrò venire lì con te? »

« Presto. »

La solita risposta, alla quale Spiegel si limitò ad annuire; provò un dolore fisico quando dovette staccare gli occhi dallo specchio per coprirsi.

Aizin era arrivato, aveva sentito la porta chiudersi con uno scatto.

Il ragazzo si affacciò all’uscio; c’era un desiderio pungente negli occhi  verde acqua, un desiderio carnale e sporco.

Spiegel voltò la testa con languore e lui sentì il cuore cedere. Le si avvicinò a grandi passi e la prese tra le braccia, facendo combaciare il piccolo corpo della ragazza con il proprio.

Amava Spiegel, l’amava come il sole ama i fiori nelle torride estati calde, fino a farli appassire.

Sapeva che per lei non era lo stesso, sapeva che quando lui le passava una mano tra i capelli e avvicinava il viso alle sue labbra, guardava nello specchio la sua immagine riflessa, ossessivamente.

Ma non gli importava: voleva solo possederla, sentire il suo profumo afrodisiaco e la sua pelle sotto le dita. Voleva essere in lei, come un marchio, una ferita, qualcosa che rovinasse la sua perfezione.

In qualche modo si riteneva fortunato: lei l’aveva scelto tra tanti, era diventato l’amante della Luna.

Immaginava però che Spiegel lo volesse solo per divertirsi un po’, che le piacesse come la prendeva, sbattendola contro i muri, penetrandola fino a farla urlare, senza nient’altro che non fosse puro bisogno fisico.

Le baciò le labbra come se fossero state fatte di petali, mentre le mani si insinuavano già sotto la sua maglia.

Spiegel non si soffermava spesso a guardarlo, nonostante il suo viso fosse bello, con zigomi alti, circondati da una cascata di riccioli color mogano. Questo perché nello specchio c’era un essere che lei non riusciva a smettere di guardare.

Non ebbe neanche consapevolezza del tempo trascorso tra le braccia di lui, aspettò che fosse soddisfatto, che i suoi gemiti si perdessero nell’aria calda della stanza, mentre gli occhi lilla rimanevano fissi sullo specchio.

Aizin avrebbe voluto dirle che l’amava, che gli apparteneva, che non l’avrebbe condivisa con nessuno, ma non poteva: lei amava qualcun altro con cui non avrebbe potuto competere. Per un attimo desiderò che tra loro ci fosse qualcosa di più, che lei la guardasse come guardava il riflesso nello specchio.

Si voltò verso “l’avversario”. Se l’avesse rotto, fatto in mille pezzi, qualcosa sarebbe cambiato? Spiegel sarebbe stata del tutto sua?

Ovviamente no, lei avrebbe continuato ad amare se stessa più di ogni altra cosa.

« Cosa vuoi fare adesso? » le chiese, soffiandole piano nell’orecchio, nel tentativo di distrarla.

« Niente. »

« Potremmo uscire. »

Il ragazzo ebbe la fugace impressione che l’immagine nello specchio assumesse un’espressione contrariata, diversa da quella di Spiegel.

Scosse piano la testa, confuso, mentre lei lanciava l’ennesimo sguardo ai suoi occhi riflessi.

« Non mi va di uscire. Potremmo giocare insieme. » sorrise, e Aizin capì di essere caduto nella sua trappola.

Lentamente, con la punta delle dita, lei gli accarezzò il petto, sfiorando i capezzoli, euforica come una bambina di quattro anni; si strusciò contro di lui facendolo rabbrividire, si avvicinò alle sue labbra come per baciarlo ma non lo fece, facendo crescere in lui il desiderio.

Quel gioco leggero di tocchi fugaci continuò per ore, perché lui non ne era mai stanco e perché lei non ne amava vedersi trasformata in una dea greca dell’amore sulla superficie dello specchio che sembrava seguirli in qualsiasi loro movimento.

Dormirono insieme quella notte.

La Luna si rifletteva nello specchio come un grande occhio lucido. Sembrava guardare i due amanti, compatendo l’uno quanto l’altro senza intervenire perché le loro pene cessassero. Bagnava i loro corpi con una luce argentea che, danzando da una parte all’altra della stanza, animava ogni cosa, anche la figura apparentemente addormentata che si poteva vedere di lato, vicino al bordo liscio dello specchio.

La figura in un primo momento tastò tutto intorno a sé, poi si alzò.

Osservò ogni cosa dal suo mondo di vetro, la stanza, i vestiti lasciati sul pavimento, i capelli biondo oro della ragazza aperti a ventaglio sul cuscino, e i boccoli scuri di lui che spezzavano la lucentezza di quelli di lei.

Osservò tutto con una luce strana negli occhi.

Toccò la superficie del vetro senza incontrare resistenza e uscì; leggera come un alito di vento si avvicinò ai due addormentati e si fermò di fronte a Spiegel.

Presto, presto; indietreggiò cauta finché non si ritrovò nell’ombra del suo specchio.

 

Il mattino dopo Spiegel era raggiante, molte donne avrebbero dato la loro vita per poter avere il viso che aveva lei la mattina quando si svegliava; i capelli erano sempre perfetti, gli occhi vispi, le labbra rosse come ciliegie.

Aizin ancora dormiva. Si era quasi stupita a vederlo lì, tra le sue lenzuola: l’aveva dimenticato.

Si alzò stirando le lunghe gambe e si diresse come sempre verso il suo specchio.

« Come sei bella. Oggi posso venire da te? » ripeté, come una formula magica.

« Il momento è quasi giunto. » rispose la bella nello specchio.

Per la ragazza fu una piacevole sorpresa: non era mai successo che le rispondesse in quel modo. Qualcosa che non aveva mai sentito prima d’allora si mosse nel suo stomaco.

Paura?

Non si credeva capace di provare paura; si strinse nelle spalle e si gettò tra le braccia del ragazzo addormentato, pensando che il suo calore avrebbe potuto toglierle di dosso quella sensazione.

Lui la abbracciò, socchiudendo gli occhi in un dormiveglia stanco ma soddisfatto. « Cos’hai piccolo angelo? » le chiese, la voce ancora roca di sonno.

« Niente, immagino. »

Perché neanche lei riusciva a classificare quella sensazione; non doveva essere niente di importante se non poteva darle un nome, no?

Sicuramente era così, e lei si stava preoccupando troppo.

Tentò di godersi il bacio che Aizin le diede e, per la prima volta dacché riusciva a ricordare, chiuse gli occhi e non guardò dentro lo specchio.

 

Durante la giornata si sentì perseguitata, vedeva occhi in tutte le direzioni, fissi su di lei. Si sentiva quasi nuda pur essendo vestita.

Ogni pezzo di vetro che inquadrava la sua immagine la metteva a disagio; gli occhi del riflesso si muovevano in ritardo, vedeva le sue labbra contrarsi in un sorriso che non aveva fatto. Avvertiva come un senso d’inevitabilità nell’aria, elettricità statica che le rizzava i capelli sulla nuca.

Continuava a ripetersi che era solo una brutta sensazione, proveniente da chissà quale anfratto della sua mente.

Aizin le camminava vicino in silenzio, ogni tanto allungava la mano per stringere quella di lei, ma le sembrava sempre troppo distante per raggiungerla.

Quel giorno non riuscì a concentrarsi in niente. Se non fosse stato per la soffusa luce aurea che l’avvolgeva qualcuno avrebbe anche potuto dire che sembrava goffa e scoordinata.

Il ragazzo si ripropose più volte di chiederle cosa ci fosse che non andava ma, temendo di ossessionarla con i suoi timori, non disse niente, limitandosi ad osservarla da lontano come faceva sempre.

Sentiva un peso gravarle sul cuore, appesantendo il suo corpo a tal punto da farla sprofondare nel terreno.

Le ore passavano in fretta, senza che lei potesse fare nulla per evitarlo, e stizzita batteva i piedi: era possibile che nessuno facesse scorrere il tempo lentamente in onore della sua bellezza? Non era qualcosa che le spettava di diritto per il solo fatto che permetteva al mondo di osservarla?

Eppure sembrava che quel mondo la stesse ignorando. La guardava, certo, ma non veramente e soffermandosi solo per un attimo, come si guarda un diamante nella vetrina di una gioielleria, per poi continuare a camminare.

Aizin la fece sobbalzare strattonandola per un braccio, prima che una macchina sfrecciasse a velocità nel punto in cui si trovava.

« Angelo, è tutto il giorno che ti vedo strana, che cosa succede? »

Dietro di lui c’era una grande vetrina traslucida, Spiegel poté vedere i loro riflessi abbracciati stretti. Una scossa elettrica le corse su per la schiena quando vide il proprio riflesso che accarezzava quello di lui con occhi trasognanti e un sorriso aperto sulle labbra: lei non si stava muovendo.

Un urlo le nacque in gola e prese a scalciare, come impazzita, tanto che il ragazzo dovette lasciarla andare.

« Hai visto? L’hai visto anche tu?! Si è mosso! » sbraitò, indicando la vetrina con la mano tremante.

Lui le sorrise, accondiscendente. « Cosa, piccolo angelo? »

Spiegel insistette a indicare il vetro alle spalle del ragazzo, il suo riflesso stava facendo la stessa cosa, ad eccezione del fatto che indicava lei.

Lui si volse, ma trovò solo la fredda e lucida superficie della vetrina e gli occhi spalancati della ragazza che la fissavano.

« Non c’è niente di strano…forse è meglio che ti porti a casa, vuoi? »

Spiegel annuì, ma qualcosa dentro le sussurrò che non era una buona idea, non lo era affatto.

 

Nel sogno Spiegel correva, correva per raggiungere una piccola finestra bianca immersa nel buio. Se non l’avesse raggiunta sarebbe rimasta prigioniera nel buio per sempre; ma non poteva muoversi perché aveva i piedi incatenati sul pavimento e allora urlava, scalciava e il suo bel viso era completamente trasfigurato dall’orrore: nessuno poteva sentirla.

Si svegliò di soprassalto, il buio avevo divorato pezzetto dopo pezzetto la sua stanza avvolgendola completamente.

In un primo momento non riuscì a vedere niente, poi gli oggetti presero forma, uscendo dal buio.

Lo Specchio troneggiava su tutto. Sembrava brillare di luce propria, vivo e ardente.

Spiegel poté cogliere una piccola figura immobile al suo interno, in attesa.

Il cuore cominciò a battere così forte da riempirle le orecchie con un rombo sordo e continuo.

Tum tum.

Si alzò piano dal letto, la cornice dorata dello specchio pulsava.

Tum tum.

La figura al suo interno era scura, orlata di buio, non si muoveva e Spiegel sapeva che aspettava lei.

Tum tum.

Ormai si trovava di fronte allo specchio, poteva sentire il gelo del vetro che le lambiva la carne.

« È arrivato il momento, piccolo angelo. »

Era lei, era lei la figura nello specchio, lei con i suoi bellissimi capelli, lei che amava così tanto.

« Che cosa vuoi dire? »

La Spiegel nello specchio sorrise. « Sei stata tu a chiedermelo, ogni giorno. Ora onorerò la mia promessa. »

Avrebbe voluto gridare, usare tutto il fiato che aveva in gola, bloccato nei polmoni, ma non poté, perché ancora prima che aprisse bocca, il riflesso l’afferrò per un braccio.

Le sue mani erano gelide, una stilettata di freddo come schegge di vetro, era una presa ferrea da cui sarebbe potuta scappare solo se avesse deciso di tagliarsi il braccio. Si stupì di se stessa, perché si ritrovò pronta a farlo.

« Specchiarsi troppo fa male, piccolo angelo, finisci col non vederti di più, finisci col non capire quale sia la vera te stessa. » il riflesso accarezzò il volto della ragazza con la mano libera. « E lasciare che il tuo riflesso si prenda la tua vita. »

 

La mattina dopo Aizin entrò in casa sbattendo leggermente la porta, come faceva tutti i giorni per far capire a Spiegel che era arrivato.

C’era silenzio, e la luce del Sole a malapena illuminava l’ambiente altrimenti vuoto. Rabbrividì e corse verso la sua camera da letto.

La trovò davanti allo specchio, con un grande sorriso, mentre si spazzolava i capelli che luccicavano di polvere di stelle, ogni filo era di puro d’oro e lui la guardò rapito.

Spiegel si voltò lentamente. Sembrò vederlo adesso per la prima volta. A passo di danza si avvicinò a lui.

Gli gettò le braccia al collo e lo baciò.

Basito, Aizin si ritrovò a ricambiare il bacio, con trasporto, finché non si ritrovarono sul letto, avvinghiati in un abbraccio che non li avrebbe separati.

« Non ti meritava. » disse lei tra un bacio e l’altro, in un soffio.

« Chi? » chiese lui, confuso.

« Oh, lei. Ti vedevo, sapevo che non ti meritava, non ti amava, non ti avrebbe mai amato. Ma io ti amo, ti amerò per sempre, ora che sei mio. »

« Angelo… »

Spiegel si avventò sulle sue labbra, facendogli dimenticare tutto, facendogli dimenticare del mondo là fuori, di se stesso, e della bellissima ragazza dai capelli d’oro, dall’incarnato madreperlaceo e dagli occhi lilla che piangeva, il bel volto tremante di dolore, che picchiava i pugni dall’altra parte dello specchio.



 
   
 
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