Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Azaliv87    27/10/2018    5 recensioni
E se Jon avesse la possibilità di riportare in vita una persona importante? E scoprisse di non essere ciò che era? E se anche Dany avesse questa possibilità? Questa è la domanda che mi sono posta, e da quest'idea mi è venuta in mente la storia che vi narrerò. Parto a raccontare le vicende dalla fine della sesta serie televisiva, grosso modo, quindi (avviso chi non ha visto questa stagione) potete trovare degli spoiler. Per il resto è tutta una mia invenzione. Dopo essermi immersa nel mondo di Martin ed essermi affezionata ai suoi personaggi con Tales of Wolf and Dragon, ho deciso di cimentarmi in questo What if e vedere fino a che punto può spingersi la mia fantasia.
Per chi avesse già letto l'altra mia ff, ritroverà conseguenze, personaggi e riferimenti alla prima storia.
Buona lettura e non vi preoccupate se ogni tanto rallento la pubblicazione, non sono mai bloccata, ma ho periodi in cui devo riordinare le idee e correggere ciò che ho già scritto prima di aggiornare!!
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giocare col piccolo Sam la distrasse a tal punto che le sembrò quasi che gli dei le avessero permesso di far un viaggio con la mente in un tempo mai esistito, dove lei e suo figlio non si erano mai dovuti separare. Percepì quasi la stessa dolce emozione che l’aveva colta quel giorno in quel castello bianco e profumato del sud, tra l’afoso clima del giorno, a cui non era per niente abituata; il bruciore sul volto, dove il sole l’aveva scottata; le spalle ardenti e anche la pelle del petto che le inviava con discontinuità fastidiose pugnalate, quando l’effetto degli unguenti cessavano; il tutto mescolato alle recenti e improvvise forti nausee dapprima credute essere giunte per la disidratazione, e quindi la conseguente meraviglia di scoprire che erano dipese da altro… Il suo sguardo buio e severo si era acceso di una luce incredibilmente brillante, fino a manifestare la concretizzazione nel sapere che il frutto del loro amore stava crescendo dentro di lei.
Si toccò il ventre, proprio come aveva fatto in quell’occasione, ma questa volta ebbe solo la falsa percezione di avvertirne ancora il leggero gonfiore. Chiuse gli occhi immaginando di provare di nuovo quella gioia profonda mentre lo scopriva muoversi; leggeri vivacizzi del loro bambino al ritmo delle note di un’arpa… E sentì un suono dolce e armonioso colmare la sua memoria. Un ritmo simile la fece tornare alla cruda realtà, osservò svogliata il modo di pizzicare quelle corde… era del tutto diverso da quello che rammentava.
Inquadrò Mance Rayder che stava improvvisando una ballata in onore di Jon e il suo approccio coi draghi. Storse la bocca in una smorfia disgustata e si concentrò sul gioco del piccolo Sam. Il bimbo continuava a impilare dei cubi di legno l’uno sopra l’altro. Quando però la loro altezza superava i cinque blocchi, la struttura perdeva l’equilibrio e lui mostrava segni di irritazione. Decise quindi di intervenire: approfittò di un momento in cui il piccolo non guardava, distratto dal gracchiare di un corvo, accucciata accanto a lui sulla neve, Lyanna si premurò di sistemare l’ultimo cubo leggermente più a destra, usando solo la punta di un dito, senza farsi notare, prima che lui vi appoggiasse il sesto. Come per magia la torre rimase in piedi. Sam osservò l’opera ammirato, poi alzò quegli occhi meravigliati su di lei. La donna non potè che sorridergli amorevole; era un bambino così dolce e allegro. Quanto avrebbe voluto che anche suo figlio l’avesse guardata a quel modo negli anni della sua crescita, che avesse visto in lei un genitore da imitare e su cui porre la sua fiducia…
Il piccolo si alzò in piedi baldanzoso e contento del risultato e coinvolse pure lei in quelle feste. Lyanna si mise in piedi e cominciarono a rincorrersi. La neve rendeva difficile la corsa del bambino, che sgambettava senza premurarsi dell’impaccio, ma non sembrava demordere. Le sue urla gioiose rallegravano la radura e molti uomini si voltarono a fissarli. La lady del nord lo seguiva in una corsa meno convinta, per non demolire così la sua speranza di vittoria. Accorreva quando lo vedeva vacillare, appoggiandogli con leggerezza una mano sulla schiena, o su un fianco, se perdeva stabilità sulle gambe, impegnandosi a mantenere viva la sua finta convinzione di riuscire nella fuga. Era una gioia per gli occhi, vederlo così gioioso e spensierato, rendeva anche lei più serena e spensierata; e le angosce che aveva provato fino a poco prima, sembravano ora così distanti. Le parve di avere pure la sua mente più libera dai cattivi pensieri e dai timori. Si sentiva leggera. Nuova. Diversa. Si sentiva felice… ma poi non sentì più niente.
L’oblio l’aveva colta impreparata questa volta, ed il buio era arrivato inesorabile, cancellando ogni dolore e ogni sorta di pensiero.
 
 
 
 
 
Era corsa alla sala comune, appena le avevano rivelato, quanto fosse accaduto. Con una mano teneva alto un lembo della gonna per evitare di inciampare nella stoffa. Aveva abbandonato le sue mansioni di fretta. Aveva incontrato zio Benjen, impegnato ad intagliare un pezzo di legno su un angolo vicino al camino, e gli aveva detto ciò che le avevano appena comunicato. Assieme si erano precipitati di fuori e l’avevano trovata tra le braccia di Harwin. Gli occhi chiusi, le braccia inermi ed il volto pallido. La collana era uscita dalla scollatura, ma rimaneva ancora salda al suo collo. Era semplicemente svenuta. Sansa tirò un sospiro di sollievo.
-Lya… – aveva sentito suo zio pronunciare quel nomignolo come un leggero soffio di vento, prima di vederlo avvicinarsi preoccupato alla sorella. Lo vide rialzarle la testa con una mano, dolcemente, senza crearle alcun disagio apparente.
Sansa era rimasta più indietro; pietrificata, come una perfetta stupida. Il suo cuore le era salito in gola e le batteva talmente forte che le sembrò persino difficoltoso respirare. Pretendeva di conoscere i fatti, la parte più razionale di lei voleva sapere cosa fosse successo, come era potuto accadere che nessuno si fosse accorto prima che stava male, eppure non aveva nemmeno il coraggio di chiedere o di avvicinarsi. Temeva di perderla, non aveva mai compreso fino a quel momento, quanto il loro legame fosse diventato essenziale per lei. Nemmeno quando era partita per quella missione si era mai sentita in quel modo. Abbandonata, come un lupo solitario lasciato dal branco. Spezzata, come una lastra di ghiaccio che si stacca dal crostone di una montagna. Sola come da tempo ormai immemore era. Sua zia era entrata piano nel suo cuore, con passo cauto e fiducioso, o era avvenuto il contrario? Non sapeva darsi una risposta, ma di una cosa era certa: lei le aveva concesso uno spazio via via sempre più amplio.
Zio Benjen incrociò gli occhi con lei e in maniera autorevole le disse:
-Sansa, vai a chiamare Sam. Sbrigati! –
Lo aveva fatto. Sapeva di averlo fatto. Eppure tutto ciò che aveva compiuto le era parso così confuso. Aveva nella testa solo la tremenda visione di un altro membro della famiglia che li lasciava. Prima il lord suo padre. Poi sua madre e suo fratello Robb. Rickon, il più piccolino, quello da proteggere… Non c’erano riusciti, forse non ci avevano provato abbastanza…
Non ce l’aveva con Jon, lui aveva fatto tutto il possibile, Sansa questo lo sapeva: lui faceva sempre tutto il possibile e ogni azione che compiva era nel giusto. Ma lei invece, cosa aveva fatto? Aveva scritto una lettera, quello sì, per chiedere ai cavalieri della Valle di supportare la loro causa e loro aveva risposto. Petyr aveva risposto, certo che la ricompensa bene presto sarebbe arrivata. Non ci dormiva più la notte, ma sapeva che senza di lui Jon sarebbe morto e Ramsay l’avrebbe ricostretta a quell’agonia e questa volta non l’avrebbe lasciata viva.
Ecco tutto ciò a cui era servita, dare a Petyr un pretesto per ricattare gli Stark. Si strinse lo scialle sulle spalle, guardando suo zio adagiare delicatamente la sorella su un letto improvvisato, con paglia e pellicce in una stanza isolata al primo piano, in modo che se Sam avesse avuto necessità di spogliarla per una visita più accurata, avrebbero potuto apporre delle tende di fronte la porta inesistente. Gilly aveva portato tutto il necessario; due enormi teli scurenti, panni puliti, la borsa con tutte le medicine di Sam. L’aveva poi vista appallottolare il proprio mantello e farne un cuscino che aveva riposto sotto la testa di Lyanna, prima che Benjen la lasciasse andare completamente. Suo zio non si era spostato dal letto. Le stringeva una mano tenendola vicino alla bocca. Non se ne sarebbe andato, a costo di restare e dover chiudere gli occhi per non vedere le nudità della sorella, ma non si sarebbe allontanato da lei nemmeno per un istante. Sembrava stesse pregando, ma i suoi occhi erano fissi nel volto della donna svenuta. Sansa pensò che per lui doveva essere estremamente difficile… Era enormemente preoccupato, si vedeva, quasi stesse rivivendo un dolore passato. Qualcosa le diceva che quella stessa scena era stata vissuta anche da suo padre, ma erano solo sue supposizioni, perché non aveva mai approfondito l’argomento. Si domandò se i due fratelli si assomigliavano in qualche modo nel mostrare i loro patimenti in una analoga situazione. Rivide suo padre sconvolto e distrutto proprio come ora vedeva suo zio, lei che era sempre stata abituata a osservare quel volto serio e ponderato, di pochi sorrisi, ma che incuteva fiducia… Non ce la faceva a immaginarselo completamente distrutto nel suo dolore.
Le tremarono le spalle ed una lacrima le rigò la guancia. Sam cominciò a visitarla, spostava le mani dalla sua gola al petto. Impacciato aveva cominciato ad allentare i lacci frontali del suo corpetto fino a scoprire la pelle del suo petto e provare a farle alcune pressioni sopra i seni ancora ben coperti dalla sottoveste. Aveva scambiato uno sguardo con Gilly e le aveva detto di aiutarlo bagnando la bocca della donna con un unguento. Non c’era nulla di così difficile o indecoroso, eppure Sansa non ce l’aveva fatta. Era dovuta uscire. Aveva incrociato Arya sulla porta. evidentemente era stata avvisata anche lei. Ora che ci pensava era un suo compito avvertirla e non lo aveva fatto. Sua sorella la stava guardando con aria truce, come se avesse letto nei suoi pensieri.
-Non faccio parte della famiglia anch’io? – l’odio nei suoi occhi. Non aveva le forze in quel momento per sostenere un dibattito con lei. Uscì in fretta e sperò di non incrociare nessun’altro.
 
 
 
 
 
-I miei complimenti Timpa Zokla / lupo bianco. – disse fiera Daenerys approdando con Drogon sulla neve compatta del suolo. Nella sua voce era appena percettibile una punta di invidia o di ritrosia, ma tutto sommato era sincera. Viserys scese per secondo non molto distante da lei. Il drago dalle squame color crema aveva sbattuto le ali ancora due volte cercando di mantenere l’equilibrio, il suo cavaliere sembrava invece perfettamente a suo agio. Entrambi i loro draghi avevano mostrato una notevole destrezza, sicurezza ed eleganza nell’atterraggio. Non seppe dire se fu il complimento della regina a distrarre i suoi pensieri, la sua stessa voce, o se il legame col drago fosse già debole in partenza, eppure quando questo toccò il suolo, qualcosa non andò come aveva previsto.
Rhaegal improvvisamente alzò il lungo collo sbilanciandosi e mosse ancora le ali, quasi volesse nuovamente riprendere il volo. L’inclinazione della sua schiena cambiò pericolosamente, prima ancora che Jon avesse l’opportunità di afferrare più saldamente una delle briglie. Era certo di avere ancora chiusa la cintura che lo teneva ancorato alla sella, ma solo in quel momento si rese conto di averla allentata dopo l’ultima virata, perché a causa della pendenza verso destra del volo, si era sentito tirare troppo. Ormai era troppo tardi per rimediare al danno, si sentì scivolare all’infuori. Stava cadendo lateralmente, ma quando sentì tra le sue dita un cinturino, vi si aggrappò con tutta la forza che gli era rimasta. Rimase a cavalcioni di lato, in una posizione non propriamente comoda e con una gamba incastrata tra l’ala e la sella, il piede chiuso nella staffa, e la testa completamente all’ingiù. Di fronte a lui i due Targaryen lo stavano guardando sconcertati. Dany infine si portò una mano alla bocca per velare un sorriso, Viserys invece attenuò di poco i tratti sul volto. Sembrava lievemente divertito, ma lo nascondeva bene simulando allarmismo.
-Temo ci sia da perfezionare un tantino l’arrivo, mio re. – Viserys si era rivolto a lui con un lieve sorriso sulle labbra, ma non sembrava intenzionato a deriderlo – Ma non voglio che vi crucciate per questa banale penuria; per essere stata la prima volta, ve la siete cavata egregiamente in volo! – lo rassicurò. Jon fu compiaciuto da quel elogio, in principio aveva pensato che lo volesse umiliare… invece si sbagliava. Viserys non si era mai comportato in modo così scortese nei suoi confronti. C’erano addirittura volte in cui pensava avesse più rispetto per lui che per sua sorella.
-A quanto pare sembrate proprio nato per grandi imprese… – aggiunse dispotica Dany, prima di scendere dal drago nero con un’abile salto. Indossava delle braghe in pelle scura imbottite di calda pelliccia. Il soprabito in velluto color ossidiana era stretto in vita, e le maniche scarlatte scendevano sfasate. Nella parte sottostante era suddiviso in tre pezzi, due laterali e uno sul retro. In volo le permettevano di muovere le gambe liberamente, senza che la stoffa in eccesso la intralciasse, a terra la ricopriva come un elegante giaccone per restare fuori all’aperto. Si stava levando i guanti e lo guardava sorridendo ironica nel constatare la sua patetica posizione.
-Sì, certo, come no… Grandi imprese che sicuramente non includono il rimanere impigliati in una stupida sella. – ironizzò Jon incrociando le braccia. Rhaegal sbuffò per essere costretto a quell’assurda condizione. Jon sentiva che non azzardava muoversi per paura di farlo cadere. Era umiliante e la cosa peggiore era che non riusciva nemmeno a rialzarsi. Ci aveva provato, non che fosse uno abituato ad arrendersi. Ma le ore di volo lo avevano debilitato come mai avrebbe creduto. Era stanco morto. Avvertiva ogni muscolo dell’addome indolenzito e gonfio; le braccia non sembravano più voler rispondere alle sue richieste. Doveva solo ringraziare il fatto di essere ben allenato, ma ultimamente sapeva di aver esagerato; lo doveva ammettere a se stesso e ne conosceva anche il motivo.
Vedere sua madre spegnersi giorno dopo giorno lo abbatteva, e così si rintanava con Tormund e altri cinque uomini del nord alla base della Torre Spezzata, certo che lì nessuno sarebbe venuto a cercarli. Duellava con loro come fosse l’ultima battaglia della sua vita, sfogando frustrazioni, ansie, timori e sete di vendetta. Quando si riteneva soddisfatto, era oramai sfinito. Si sentiva sudato fin dentro le ossa, e affaticato a tal punto che, molte volte, gli era perfino capitato di addormentarsi nella vasca da bagno. Quando Elanon serviva ancora gli Stark, ed era di servizio, capitava che lo trovasse spesso e volentieri appisolato, con la testa sul bordo della vasca. Si sedeva accanto a lui, e delicatamente gli versava l’acqua sul torace e sui capelli. Faceva piano, era più delicata di una piuma; tanto più che lui nemmeno la sentiva e continuava a dormire. Solo quando l’acqua si raffreddava allora lei si premurava a svegliarlo, come una madre premurosa. La prima volta che era capitata una situazione analoga, e Jon aveva aperto gli occhi vedendola davanti a sé, aveva avuto un colpo, scivolando sul bordo della vasca ferendosi il mento e stramazzando poi al suolo. Si era alzato in completo imbarazzo ed era rimasto in ginocchio sul freddo pavimento, cercando di capire da dove provenissero tutte quelle gocce di sangue. La donna silenziosa lo aveva avvolto in un enorme asciugamano caldo e si era voltata affinché si coprisse le nudità, e ancora senza dire una parola, aveva preso la via della porta, sparendo fuori. Le volte successive si era tenuto preparato, ma lei non aveva mai parlato con lui di quanto era accaduto quella sera, e si era tenuta riservata pure con sua madre… ma poi aveva preso a servire i Targaryen e nessuno gli aveva spiegato la ragione. Si sentiva deluso da se stesso per non aver approfondito l’argomento con nessuno, era suo dovere conoscere tutto, ma aveva troppi oneri da portare a termine e troppo poco tempo… Aveva delle priorità e dopotutto una serva non poteva essere messa ai primi posti, aveva passato quella patata bollente alle donne del castello. Sansa, oppure sua madre Lyanna, dovevano aver preso una decisione a riguardo. Molto probabilmente mia madre ha scelto e Sansa si è limitata a scegliere un sostituto… Già, mia madre… Cosa direbbe lei se ora mi vedesse in questo stato?
 
Sospirò esausto.
-Se fosse presente Mance, ne farebbe sicuramente una ridicola canzone… - Dany lo guardò dal basso ridendo divertita da quella scena. Viserys invece scese dal suo drago senza batter ciglio, con sicura eleganza. I suoi stivali affondarono nelle neve e a Jon ricordò il passo felino di Spettro. Se non lo avesse visto molto probabilmente non se ne sarebbe neppure accorto. Lo vide avvicinarsi, e fermarsi di fronte a Rhaegal, allungò una mano verso il suo muro, con estremo rispetto, come a chiedergli il permesso di salire su di lui. Viserion schioccò le fauci adirato, ma appena il principe si voltò a guardarlo, facendogli intendere che si scusava, il drago color crema prese e si allontanò muovendo le zampe sulla neve e lasciando grossi solchi al suo passaggio. Le ali ripiegate, il collo alto, lo sguardo fisso di fronte a sé. Era estremamente raffinato e per molti versi gli ricordava il suo padrone.
Seguì quindi con lo sguardo i movimenti di Viserys, osservandolo da quella particolare angolazione. Gli sembrava come se stesse per raggiungere il cielo, e sentiva una strana sensazione nello stomaco, come un senso di nausea ed il sangue ormai gli era arrivato alla testa. Un lieve giramento lo colse improvviso, e fu costretto a chiudere gli occhi. Poi si ridestò, avvertì una delle cinghie tirare. Aprì gli occhi e lo vide seduto sul dorso del drago, pacifico, come se nulla fosse. A Jon diede un po’ di fastidio, che stesse a cavallo del suo drago, ma dopotutto quella creatura prima era appartenuta al principe. Lo vide muovere la testa prima verso destra e poi verso sinistra, constatando come fossero ingarbugliate le cinghie e dove fosse impigliata la sua gamba. Estrasse un pugnale dallo stivale sinistro. Jon sentì la bile alla bocca. Che intenzioni ha mai? Riflettè terrorizzato, ma non appena l’uomo gli porse un braccio, ogni suo timore svanì.
-Affidatevi a me. – il ragazzo lo guardò stranito per una sola frazione di secondo, poi comprese ciò che stava per fare e afferrò stretto il suo braccio. Il principe in un colpo secco tagliò con estrema precisione la cinghia che gli bloccava l’arto. Il corpo di Jon scivolò lungo il fianco di Rhaegal, ma la salda presa di Viserys gli permise di ondeggiare quel tanto per afferrare la staffa e aggrapparsi con l’altra mano, facendo presa sull’ala. Tornò ad osservare il suo salvatore, prima di fargli un sorriso per fargli intendere che stava bene e che era tutto a posto. Il principe Targaryen ricambiò il suo sorriso e annuì, lasciandolo lasciò andare cautamente, quasi non si fidasse e avesse timore di farlo cadere. Il Re del Nord con un salto scese a terra atterrando su entrambe le gambe senza vacillare. Era così che avrebbe voluto finire la sua giornata. Viserys gli aveva permesso di realizzare quel suo sogno, Rhaegal un po’ meno.
 
 
 
 
 
Benjen li aveva raggiunti alla radura e aveva atteso, rimanendo in disparte, cercando di scegliere le parole giuste, e sperando che né suo nipote, né l’uomo che gli era sempre accanto negli ultimi tempi, avessero una reazione esagerata o incontenibile a quanto avrebbe riferito loro. Alzando gli occhi al cielo, invocò gli Antichi Dei affinché non se la prendessero con lui. Temeva il Principe Drago, ma forse doveva cominciare a temere alla stessa maniera pure suo nipote; d’altronde i geni erano gli stessi e la comune preoccupazione per Lyanna era motivata dagli stessi sentimenti per entrambi.
Vide il giovane re del nord, ora in piedi di fronte al proprio drago, mentre distendeva i capelli all’indietro, e aspettare che il biondo principe scendesse da Rhaegal. Poco dopo notò che si stringevano la mano e si sorridevano a vicenda. Ben rimase a bearsi di quella visione, ma quando capì che si stavano finalmente dirigendo verso la fortezza, quindi anche nella propria direzione, inalò profondamente due grosse boccate d’aria. Ci siamo, il patibolo sarebbe una morte forse più rapida… ma mia sorella ha scelto fuoco e sangue!
-Jagon nuhor Zaldritsos. – la regina Daenerys nel frattempo si era attardata. Sollevando entrambe le braccia aveva comunicato ai draghi di alzarsi in volo liberi. Probabilmente sarebbero andati a caccia, carne fresca e sangue caldo per recuperare le forze. Ma era evidente che a Drogon avesse dato un ordine differente, perché lo vide volare spedito in direzione sud. Grande Inverno pensò subitaneamente, riconoscendo la rotta. Inspiegabilmente Daenerys Targaryen sembrava essersi rassegnata o aveva semplicemente accettato l’idea che quella al momento fosse anche casa sua e si dava pena per proteggerla perfino da lontano. Quale donna riesce a resistervi, principe? Si stupì a pensare.
-Non sei ancora stanco di appostarti e far la veglia, zio Ben? – scherzò il ragazzo avvicinandosi e allungando un braccio per tirargli una pacca sulla spalla. Il ranger avrebbe voluto rispondere a quella sua dimostrazione d’affetto, o scostarsi, e fargli un dispetto, ma non era in vena di scherzi. Si ritrovò ad osservare intensamente la maschera senza espressione del principe. Solo dopo portò la sua attenzione al ragazzo, che non smetteva di ridere, felice considerevolmente per la fruttuosa giornata appena trascorsa. Al contrario Viserys pur restando indietro di qualche passo, si mostrava aver già mangiato la foglia; un minimo accenno di irrigidimento della mascella, dava a vedere la chiara intuizione che ci fosse qualcosa che non gli tornava. Decise di non tergiversare oltre, ogni momento d’attesa era un’agonia in più nell’istante in cui gli avrebbero inveito contro.
-E’ successa una cosa. – affermò con tono grave. Jon alzò entrambe le sopracciglia e sbarrò gli occhi.
-La Barriera? – si informò terrorizzato.
-No, quella sta lì da migliaia di anni… - rispose tradendosi con un sorriso al ricordo di quanti giorni aveva trascorso su quel muro di ghiaccio. Jon si rasserenò e le sue labbra, tornarono ancora a curvarsi in un sorriso.
-Cosa, allora? Mance ha rotto le corde della sua arpa? – rise allegro. Viserys al contrario si avvicinò di un passo. Aveva i sensi vigili.
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-Non credo gli dei ci daranno tanta soddisfazione. – il suo tono fu intenso e rassegnato.  Benjen emise un prolungato sbuffo prima di vuotare il sacco.
-Tua madre, Jon. – gli occhi del ragazzo si fecero attenti e si spalancarono: era percettibile il suo terrore ed erano ben visibili tutte le sfumature di grigio esistenti. Per un breve attimo Benjen Stark credette di vederci anche una leggera venatura di indaco scuro al centro. Era la prima volta che ci faceva caso, eppure lui lo aveva sempre saputo chi fosse suo padre, non era mai stato un mistero, ma nonostante questo era certo di non aver mai fatto caso prima d’ora a quel dettaglio.
-No... – disse deglutendo a fatica la saliva, pareva quasi gli fosse andata di traverso. Non aveva nemmeno atteso che lui gli desse una spiegazione più approfondita, che era già corso via in direzione del forte. Viserys fece gli ultimi due passi per piazzarsi di fronte al ranger. Benjen se lo aspettava, ma solo quando se lo vide a pochi centimetri da lui ebbe quasi la sensazione che fosse diventati incredibilmente più alto. La sua ombra lo sovrastava, sebbene lui non si potesse considerare tanto più basso. Sapeva che era solo uno scherzo dei suoi occhi, una percezione fittizia della realtà. L’aria che c’era ora tra loro era carica di tensione, Ben ebbe quasi la certezza che se avesse estratto un pugnale avrebbe anche potuto tagliarla a fette. Era un drago, e come tale, Incuteva davvero soggezione; sperò mai di trovarsi ad affrontarlo in battaglia.
Senza preavviso si sentì prendere per un avambraccio. Aveva usato una forza del tutto inaspettata, eppure avvertiva chiaramente la sua mano tremare.
-Cosa le è accaduto? – non era visibile il suo volto per intero, ma Benjen immaginava che non potesse essere molto diversa dall’espressione sconvolta di suo nipote; ne ebbe la conferma con l’oscillazione del suo timbro di voce.
-E’ solamente svenuta, placa i bollenti spiriti, nessuno gli ha fatto nulla. – dichiarò mostrandosi tranquillo.
-Mi hai appena detto che lei e svenuta e dovrei calmarmi? – parve quasi isterico.
-Certo, se non vuoi cominciare a sbiellare come il tuo genitore! – lo redarguì il ranger. Il biondo parve ponderare sulle sue parole, o più semplicemente sul volerlo tenere in vita.
-Come? – tornò ora più calmo.
-Sam dice che si riposa troppo poco la notte, mentre di giorno si stanca enormemente e non riesce a recuperare le fatiche che compie alla luce del sole. – affermò – Ma questo sarebbe il meno. Mangia appena quel tanto che le permette di stare in piedi, ma quando esagera con gli allenamenti o commette uno sforzo eccessivo… - allargò l’altro braccio con fare simbolico di inevitabilità – Le ha somministrato un decotto di rosmarino, liquirizia, menta e biancospino. Dice che era enormemente indebolita già qualche mese fa, la prima volta che l’ha incontrata, ma pensava dipendesse dalla magia e che entro pochi giorni si ristabilisse. Le aveva comunque prescritto dei rimedi da seguire, farsi preparare quotidianamente degli infusi rivitalizzanti… avrebbero dovuto aiutarla. – digrignò i denti - Ma figuriamoci se quella testona gli ha dato ascolto! – allargò le braccia e le sbattè lungo i fianchi – Dopo la missione è peggiorata, ma nemmeno Sam se n’era accorto, fino ad oggi che l’ha visitata per davvero… – stava ancora parlando, che lo vide indietreggiare di un passo incespicando sulla neve, non ci fece caso; meglio non porre troppi quesiti ad un drago se non vuoi essere incenerito – Afferma di averla trovata ancora più dimagrita ed esageratamente debole… – sentì le dita sul suo braccio perdere tutto il loro vigore, come se anche lui patisse la stessa sorte di sua sorella – L’ha ammonita severamente a sto giro! E le ha disposto di impegnarsi a mangiare maggiormente, soprattutto di seguire alla lettere le sue istruzioni! –
L’uomo di fronte a lui aveva abbassato il capo e si era incamminato verso il forte dapprima lentamente, come un’anima che si trascina sperduto, i suoi passi lasciavano dei segni indelebili sulla neve.
-Mi dovete un favore. Fatela ragionare! A voi darà ascolto! – lo supplicò, ma non ebbe alcuna certezza che lo avesse sentito, dato che prese a camminare più speditamente, ma ebbe comunque la debole speranza che come prima cosa sarebbe andato da lei.
Daenerys arrivò accanto al ranger, continuando a fissare la schiena di suo fratello, esattamente ciò che stava facendo anche lui. Ogni sua aspettativa però si trasformò in breve in illusione, nel momento in cui lo vide oltrepassare la porta del forte, senza entrarvi, superando anche la torretta di vedetta e voltare oltre il muro conico, sparendo dietro dal loro campo visivo.
-In questo momento sono certo di avere la stessa voglia matta di stringergli le mani al collo, che ha avuto la principessa Martell, quando lo ha visto oltrepassare la sua tribuna, per raggiungere la nostra, offrendo quella stramaledetta ghirlanda di rose a mia sorella! – disse tutto di un fiato, infastidito e pestando a terra con uno stivale. Il nervoso lo aveva colto di sorpresa.
La regina dei draghi si era voltata a guardarlo, piccolina nella sua limitata altezza. Lo guardò intrigata con quegli occhi di un viola brillante, si morse un labbro per celare il sorriso che le era nato sulle labbra per quella sua impulsiva esplosione. Poi però si portò una mano a pugno di fronte la bocca e fece due colpi di tosse, tornando seria.
-Dimmi, è grave? – gli domandò interessata. Benjen fu sorpreso, e fu come se tutta la sua frustrazione, scomparve misteriosamente. Forse era la prima volta che la vedeva dimostrare compassione e apprensione per Lyanna. Non era da lei.
-No, non più almeno. – decise di darle un po’ di fiducia – Si è risvegliata da qualche ora e già scalpita. Chiede di scendere dal letto. – le spiegò esasperato – Siamo riusciti a prendere tempo, convincendola ad attendere il permesso di Jon. –
-Non sarebbe lei, altrimenti. – sorrise, ammiccando inaspettatamente appagata, prima di incamminarsi nella stessa direzione di suo fratello.
 
 
 
 
 
Se c’era una cosa che odiava era starsene distesa come fosse malata, quando invece stava bene. Le era già successo una volta, ma all’epoca c’erano tre uomini con lei nella sua stanza. Uno in piedi alla porta con il pudore di fare un ulteriore passo, un altro a ravvivare il fuoco sul caminetto e ghignando qualche commentino lascivo riguardo le attività inerenti ad un letto, mentre l’ultimo era seduto sul bordo sopra le lenzuola bianche, tenendole una mano in estrema apprensione e mugugnando una melodia che sarebbe diventata la sua canzone del loro soggiorno in quel periodo. L’espressione che aveva lei però, era la medesima di quel momento. Annoiata, infastidita e scontrosa, le braccia conserte sul petto.
-Sto bene, quante volte ve lo devo ripetere? – aveva detto ora come allora.
Jon l’aveva guardata severamente. Era seduto su uno sgabello affianco al letto improvvisato con paglia ricoperta da pellicce in una delle poche stanze col camino. Le stringeva una mano, appoggiando la bocca sul suo dorso, dandole di tanto in tanto un bacio. Sam invece stava in piedi a  pestare delle foglie col mortaio, mentre sul un barile in piedi, messo come fosse un comodino, una tisana fumava. Fermò il movimento del braccio, constatò la temperatura dell’acqua e poi aggiunse le foglie in polvere che aveva appena sminuzzato. Lyanna emise uno sbuffo innervosito, per il fatto che stessero ignorando volutamente le sue lamentele.
Suo fratello Benjen era entrato da qualche istante, ma era rimasto con la schiena appoggiata alla parete di fredda pietra adiacente all’uscio. Arya e Sansa erano già passate circa quindici volte a sapere delle sue condizioni. Lo stesso Gilly col piccolo Sam, la bruta si sentiva in colpa per averle affidato il bambino e pensava di essere in parte la causa del suo malessere.
Lyanna non riusciva a starsene lì buona e aveva provato più volte ad alzarsi, ma glielo avevano ripetutamente sconsigliato, i capogiri che l’avevano poi colpa impreparata, erano stati decisamente più convincenti. Da quando però Jon era arrivato al suo capezzale, lei non aveva più avuto il coraggio di disobbedire agli ordini del maestro dei Guardiani della Notte. Ci aveva rinunciato, ma la sua indole selvaggia le impediva di sedare ogni sua iniziativa. Sam le porse l’intruglio da bere e un vassoio con del cibo calorico: formaggio stagionato, nocciole, mandorle e cubetti di zucchero speziato.
-Cosa sono questi? Gli zuccherini per i cavalli? – chiese esasperata, prendendone uno tra le dita.
-Dovete cominciare a riprendere un’alimentazione più corretta, mia signora. Ultimamente avete messo nello stomaco poco o niente. – Lyanna lo sapeva. La fame era rimasta indietro, insieme a tutto ciò che aveva perduto. Come anche il sonno, i bei sogni, le speranze o il suo coraggio. Mangiare non le sembrava importante, eppure sapeva che doveva sforzarsi. Tutta la sua forza dipendeva da quello… e da suo figlio. Lo guardò negli occhi.
-Non permetterai che io rimanga bloccata a letto fino a sera? – gli chiese dubbiosa allargando gli occhi e gonfiando le guance, come quando era una bambina.
-Solo se mangi tutto ciò che c’è nel vassoio, vedrò di cambiare la mia decisione. – replicò con un sorriso suo figlio – E non provare a farmi gli occhioni dolci da gattina, non attacca con me! – si era avvicinato ancora la sua mano alla bocca per darle l’ennesimo bacio. Si era calmato molto vedendola serena e sveglia.
Lyanna passò in rassegna il vassoio e si soffermò sulla frutta, poi sul formaggio ed infine il pane. Sam aggiunse anche un secondo piatto con della salsiccia fumante, aringa affumicata con aggiunta di salsa al melograno e agrumi. Un misto di spezie e ingredienti che provenivano dal sud, e per grazia dei Targaryen venivano serviti nel loro castello. Ma l’odore che emanava quel pesce era rivoltante.
-Se mangio tutta questa roba, allora sì starò male sul serio! – sbottò lei facendolo sorridere ancora – E poi non amo mangiare da sola… - lo cercò con lo sguardo – Non vuoi unirti a me? – gli domandò dolcemente.
-Assaggerò solo un po’ di formaggio, ma nulla di più. – decise di renderla più serena, dopo aver accuratamente controllato le possibilità di scelta. Estrasse il pugnale che portava al fianco e centrò uno dei cubetti di zucchero per apportarlo sopra alla pietanza scelta. Si portò tutto alla bocca e lo degustò. Lyanna lo osservava mangiare, perdendosi per un attimo nei suoi ricordi.
-Sei molto bello. – Jon si bloccò disarmato, i capelli si erano spettinati col vento, ma lo rendevano più concupiscente in un modo particolareggiato.
-Che diamine farnetichi… mamma? – era entrato in uno stato confusionale di vistoso imbarazzo, le sue guance si erano imporporate, gli occhi non riusciva a tenerli sul suo volto e aveva preso a torturarsi un’unghia con il pomolo del pugnale.
-Non sei abituato a ricevere complimenti dalle ragazze? – arcuò le sopracciglia.
-Non negli ultimi tempi… - rispose impacciato, poi parve pensarci su – E nemmeno prima sinceramente. – bofonchiò ancora.
-Sciocche. – concluse lei non riuscendo a staccargli gli occhi di dosso - Mi ricordi molto tuo padre… - gli riferì con voce incrinata, ma l’intenzione era quella di punzecchiarlo – Anche lui mangiava in quel modo… e reagiva a quel modo quando gli facevano delle lusinghe sul suo aspetto! – gli diede un pugno sulla spalla, ravvivandolo.
-Era un principe… - affermò disorientato – Perché mai doveva mangiare con un pugnale? –
-Aveva un concetto più unico che raro per quanto riguardava il lavoro dei paggi e dei coppieri. – Jon rimase a fissare diffidente quel pezzo di formaggio che aveva addentato per metà. Lo staccò dalla lama e con l’altra mano, se lo portò alla bocca. Dava l’aria quasi di non credere alle sue parole, o più semplicemente non le voleva sentire. Decise nell’immediato di cambiare argomento. Una ventata d’aria fresca avrebbe giovato entrambi, piuttosto che perdersi in ricordi del passato dolorosi.
-Dobbiamo dare una sistemata a questi capelli. – gli accarezzò una ciocca e vi fece entrare le dita. Fu questo gesto o la sua frase ad attirare l’attenzione del giovane, come se gli avesse proferito una corbelleria. La guardò allibito e quasi spaventato.
-Avete già tagliato i capelli a Bran… questo non vi ha appagata?– alzò un sopracciglio dubbioso. La voce era incerta. Lyanna gonfiò le guance indignata.
-Jon, non puoi andare via in quello stato. Sembra tu abbia in testa un nido di corvi! – continuò a fissarlo sorridendo all’idea che assomigliava a suo padre più di quanto non volesse ammettere lui stesso. Dall’altra sala si sentirono voci acute urlare. Era insorta una lite tra le due giovani Stark, ormai erano sempre più frequenti. Benjen alzò gli occhi al cielo, cambiò piede d’appoggio e sciolse le braccia fino a poco prima conserte.
-Ci risiamo… - sospirò esausto di quei costanti schiamazzi diurni – Credo sia meglio che tu vada a sedarle. – propose al nipote. Lyanna sapeva che lui era l’unico che riusciva a calmarle e l’unico che loro davvero ascoltavano.
-Il branco ringhia indisponente senza l’autorevolezza del suo alfa! – scherzò ancora il ranger. Il ragazzo si alzò dalla sedia, ma lei ebbe come l’impressione che lo avrebbe fatto in ogni caso, anche se Benjen non glielo avesse suggerito, quasi il suo intento fosse quello di fuggire. Ma Lyanna sapeva anche che dato che lui rappresentava il capofamiglia ora, aveva degli obblighi sul loro branco. Gli stessi che aveva avuto Ned, gli stessi che aveva avuto suo padre; Rickard Stark.
Percepì le labbra secche di suo figlio sulla fronte, dove le scoccò un bacio gentile, prima di dirigersi verso l’uscio. Aveva fatto solo un passo fuori dalla stanza, quando i suoi stivali si erano improvvisamente fermati. Lyanna poteva vedere ancora la schiena del ragazzo ed i suoi capelli scuri ondeggiare leggeri come aliti di vento. Erano sciolti e gli superavano le spalle ormai. Da quando lei si era risvegliata quel giorno alle cripte, non avevano mai visto un maniscalco, o nessuna serva aveva avuto il compito di usare le forbici su di lui.
Un’euforia inaspettata prese il sopravvento nel suo cuore: quella era un’altra caratteristica ereditaria. Ma non erano particolarità che rappresentavano lei, bensì l’uomo che lui tanto cercava di allontanare da se stesso, ma inesorabilmente c’era qualcosa di lui che era andato oltre la semplice concezione umana. Piccoli dettagli che gli aveva trasferito nel sangue. Abitudini che paradossalmente aveva assimilato, e solo gli dei sapevano come. Quel dolce pensiero si spense, quando lo vide sparire completamente dalla sua vista.
 
 
 
 
 
Ormai litigare con sua sorella era diventata una cosa del tutto normale. Non passava un giorno nel quale si non scannassero a vicenda anche sulla più inutile delle discussioni. Sansa ne era sempre più frustrata, non sapeva più in che maniera prenderla. Poteva capitare per sbaglio che usasse un termine consono al contesto, le saltava subito addosso accusandola di essere stata allevata dai leoni. Per non parlare poi dei momenti in cui doveva consigliare Jon in una delle più importanti decisioni. Se lei provava a dire la sua opinione, Arya puntualmente ribatteva il contrario. Non era ancora riuscita a capire se lo facesse apposta oppure se le veniva spontaneo contestarla.
-Arya, Sansa, non esagerate. Siamo un’unica famiglia, cerchiamo di andare d’accordo! –
Jon era intervenuto anche quella volta. Si era posizionato di fronte a loro e le aveva osservate con aria stranamente troppo furiosa. C’era qualcosa nel suo sguardo che a Sansa fece tremare le gambe. Una rabbia accecante e profonda, un odio recondito scaturito dal suo intimo più nascosto. Qualcosa in lui stava cambiando da quando aveva cominciato a frequentare quotidianamente i due Targaryen. Sua zia Lyanna le aveva accennato appena la sua apprensione, ma lei aveva storto il naso, credendola una delle sue paranoie del tutto infondate. Neanche a dirlo, Arya aveva appoggiato sua zia confermando e sostenendo le sue motivazioni senza nemmeno pensarci un attimo.
In quel momento Sansa capì quello che Lyanna stava cercando di dirle quel giorno. “Lo stanno cambiando… lo stanno allontanando dal branco.”
Si allontanò di fretta da suo cugino e soprattutto da sua sorella, proseguì per il corridoio deserto e uscì dalla sala comune. Passando accanto alla Regina dei Draghi, sentì il suo sguardo gelido puntato addosso. Non ce la faceva più. Sembravano tutti contro di lei, come se sapessero, come se la odiassero per ciò che aveva fatto.
Corse fuori velocizzando i passi, pur sapendo che non era rispettoso per una lady comportarsi così. Era diventato tutto fin troppo insopportabile. Arya l’avversava di continuo, con frecciatine e pugnalate, ma comprendeva il motivo di tanto risentimento. Non c’era modo per smorzare il suo rancore. La regina Daenerys parimenti sembrava costantemente in collera con lei, ma in quel caso non ne capiva la ragione. Lei non era una minaccia per il suo regno e tanto meno poteva mai rappresentarlo un giorno. Sansa era una comune lady, non era nemmeno la vera lady di Winterfell e mai lo sarebbe stata. Un giorno Jon si sarebbe sposato e la sua signora avrebbe preso quel titolo.
Sono solo una stupida lady che crede ancora che il mondo possa essere felice e roseo… Grosse lacrime le scendevano lungo le guance.
Continuò a correre nella neve, senza far caso alla gonna che si bagnava, ai capelli che si spettinavano o ai suoi piedi che potevano incespicarsi su rami o sassi nascosti dalla neve. Raggiunse uno steccato, il legno era marcio e per tre quarti era demolito dalle intemperie. Appoggiò entrambe le mani sull’asta superiore, sprofondando nella neve appoggiata ad esso e serrando le dita fino a raggiungere il legno sottostante. Qualche scheggia le si piantò nei polpastrelli. Non patì la fitta, tanto era forte il dolore che sentiva al petto.
L’angoscia che aveva provato per il malessere di sua zia, aveva risvegliato antichi ricordi che sperava di aver serrato nell’angolo più nascosto della sua anima. I singhiozzi si alternarono alle lacrime. Ripensò a suo padre, a suo fratello Robb, a sua madre e al suo fratellino Rickon.
C’erano giorni in cui si sentiva ancora sola come ad Approdo del Re. Il terrore che aveva provato in quei giorni, la sera quando si coricava e anche la mattina quando si destava col cuore già in gola, spaventata all’idea di ciò che le avrebbero riservato i leoni. Quali calunnie avrebbero detto su di lei o sulla sua famiglia. Quali sconvolgenti notizie sarebbero giunte da nord. Quali torture Joffrey si sarebbe inventato per farle morire un altro pezzetto della sua anima.
Le era appena tornato alla mente un solo ricordo positivo di quel periodo. Inizialmente le era apparsa come una terrificante apparizione: Sandor Clegane. Il suo aspetto le aveva sempre fatto tantissima paura, eppure alla visione dei fatti, quell’uomo era stato l’unico ad averle dato un briciolo di affetto e speranza in quella tremenda fase della sua vita. L’averlo rivisto lì a Winterfell l’aveva agitata, rievocando nuovamente il terrore allora motivato. Non le faceva più paura adesso, ma non poteva certamente dimenticare chi fosse in realtà. Aveva visto la sua ferocia, come anche la sua grezza gentilezza, ma seppur il suo aspetto fosse così ripugnante, almeno il suo cuore non sembrava tanto marcio. L’aveva protetta da Joffrey, ovviamente come ci era riuscito, l’aveva salvata durante la ribellione del pane e poi le aveva anche offerto di scappare con lui, per liberarla da quella prigionia. Arya aveva raccontato a Jon e a Sam che l’aveva accompagnata fino alla Valle di Arryn, per cui Clegane aveva protetto sua sorella per tutto il viaggio, fino a che lei non l’aveva lasciato agonizzante ai piedi di un albero. Anche se non si era mai ritenuto un cavaliere, Sansa sapeva che si era comportato con onore e con rispetto, meglio certamente di tanti altri uomini che lei aveva conosciuto. Era sicura che non avesse mai torto un capello a sua sorella, e non poteva averla nemmeno mai toccata, altrimenti non sarebbe stato ancora vivo; Arya non glielo avrebbe mai permesso, ma qualcosa le diceva che lui non era uno di quegli animali che cercavano di possedere una bambina… O era almeno quello che sperava la sua anima.
Si rese conto di essere rimasta in fondo ancora quella ragazzina pateticamente romantica e pura, che cercava del buono in tutto. Altre calde lacrime scesero copiose per quella mancanza che sentiva nel petto. Mai un uomo nella sua vita le aveva dato un bacio trasportato dal sentimento vero e profondo. Mai un abbraccio era stato per raggiungere la sua anima. Né mai una frase d’amore, una canzone o una poesia le era stata dedicata. Lei non aveva avuto la fortuna di sua zia, di incontrare un principe che le scrivesse canzoni e le dedicasse tutto il suo cuore…
C’erano notti in cui sentiva le sue urla disperate; chiamava l’uomo che ancora amava. Un potere immenso doveva unirli, se nemmeno la morte riusciva a separarli. Erano state quelle stesse urla che la scorsa notte l’avevano svegliata da un sogno romantico; dove un cavaliere dall’armatura dorata, era giunto da sud per lei. Per combattere questi fantomatici demoni di ghiaccio. La proteggeva con la sua spada; nell’impugnatura rubini rossi. I suoi capelli illuminati dal sole caldo gli conferivano un’aura angelica. Prima ancora che ne potesse riconoscere il colore di quella folta e fluente chioma si era svegliata, tenendo una mano sollevata a mezz’aria… quella stessa mano che il suo cavaliere le aveva galantemente baciato nella sua visione. Ma in fretta era tornata alla realtà, di nuovo sola nelle sue stanze, la sua famiglia dormiva nelle camere adiacenti. Era tra la neve e i lupi. Era a casa.
Una porta sbatteva piano sui cardini, sua zia forse si era alzata e aveva preferito uscire dalla propria stanza, dai propri incubi, per non disturbare ulteriormente il loro sonno, ma Sansa ormai era sveglia. E nella sua anima ormai era sicura che la debole sensazione di benessere provata poco prima fosse già sparita. Vane speranze che mai si sarebbero avverate. Poi una mano sulla spalla la ridestò. Una gentilezza inaspettata, la sua innaturale ombra si allungava a dismisura su di lei, superandola e raggiungendo una profondità che di giorno non avrebbe mai potuto avere.
 
 
 
 
 
-Hai intenzione di rimanere fermo a sorvegliarmi ancora a lungo? – lo guardò in tralice mentre addentava un pezzo di carne. Non le importò di avere la bocca piena per porgli la domanda successiva, tanto lui era abituato a ben altro – Te l’ha ordinato lui, vero? –
Benjen le sorrise, ma subito dopo sembrò distratto da un rumore appena fuori dalla stanza. Levò le mani da dietro la schiena, spostandosi dal muro.
-Ti rispondo di sì, dal momento che non hai precisato chi era il mittente di questa disposizione. – ghignò e fece per andarsene dalla stanza. Lyanna lo fissò allibita senza capire perché se ne stesse andando… Non sembrava offeso, e per offendere Ben ci voleva molto di più. Poi lo vide bloccarsi, quasi come aveva fatto Jon poco prima. Come se lo spazio non fosse sufficiente lì in quel corridoio e ci fosse qualcosa di ingombrante da superare. O qualcuno…
Sentì che suo fratello stava dicendo qualcosa con voce attutita. Fu certa di aver udito anche un “grazie” ben distinto. Riconobbe la voce ed ebbe un tuffo al cuore. Sgomenta saldò lo sguardo sulla persona che stava entrando da quella porta, in sostituzione di suo fratello, che però non doveva essere andato poi tanto distante perché il suono dei suoi stivali non era più giunto alle sue orecchie.
Viserys Targaryen indossava ancora il pesante soprabito che era solito mettere quando cavalcava i venti gelidi del nord sul suo drago. La maschera a coprire il suo volto dai lineamenti delicati ma maturi, i capelli tenuti stretti in una treccia finemente lavorata che partiva dalla fronte e raccoglieva l’intera matassa argentea dietro al capo. Aveva qualche ciuffo scomposto, dei filamenti argentati lasciati liberi in una appena accennata aria trasandata. Doveva trovare un contegno prima di perdere di nuovo la ragione…
Gli lanciò uno sguardo gelido e volse il volto dalla parte opposta. Lui non sembrò accorgersene, o forse la ignorò volutamente e, senza alcuna remore, si sedette sul bordo del letto. Lei fu indignata da quell’affronto. Come si permette?
Con noncuranza, poi le prese il mento, usando il pollice e l’indice, e la costrinse a voltarsi nuovamente verso di lui. L’espressione che gli mostrò era carica di astio, repulsione e rimprovero; proprio come la sua voce. Ma lui sembrava impossibile da contrastare.
-Non avete la pertinenza di toccarmi! Né potete vantare più alcun diritto su di me ora! – lui rimase a scrutarla per un tempo talmente lungo che credette che non avrebbe risposto. Le spostò il viso da una parte all’altra. Le prese poi il polso e si accertò di sentire che il battito del suo cuore non fosse accelerato. Lei non comprese in un primo momento cosa stesse cercando di fare, ma anche quando lo capì, gonfiò le guance per marcare il suo stato d’animo.
-Quanto vi sbagliate, milady… – disse con un timbro di voce basso e afflitto. Qualcosa lo convinse ad addolcirsi – Ad ogni modo sono felice di constatare che stiate bene. –
-Potete andare, allora. Non è richiesta la vostra presenza qui, a meno che non vogliate dar vita a nuove vaniloqui che ci descrivano in atteggiamenti immorali. – continuava a tenergli il broncio, Viserys si trattenne dal sorridere, ma non gli riuscì molto bene.
-Che parolone accorte che state usando… Avete mangiato un manoscritto per caso? – sorrise, ma lei non capì l’antifona.
-Sia ben chiaro, non vi permetterò di usare la mia persona per screditare l’onore della mia famiglia! –
-Sia mai che qualcuno possa assolutamente disonorare il vostro nome o pensare ad una blasfemia simile… - sorrise amaramente questa volta – D’altro canto si è detto di peggio in passato, e non mi risulta che i vostri famigliari abbiamo avuto maggior riguardo verso il vostro… “rapimento”. – sottolineò l’ultima parola con enfasi.
-Non osate… - era esplosa. Gli stava per dire di non rivolgerle più la parola, di non guardarla neppure più in faccia, ma lui sovrastò la sua voce.
-Mangiate, e smettetela di ringhiare! – piegò il volto di lato infastidito, ma in breve abbassò il capo, come se non riuscisse a tenerle il broncio in quel momento, troppo distratto o forse più… preoccupato? – Avete ascoltato attentamente ciò che vi ha raccomandato il maestro? – si girò a osservare i piatti per metà ancora pieni di cibarie – Non mi sembra vi siate impegnata più di tanto… - sostenne con singolare fastidio.
-Ho mangiato ciò che mi garbava. Il resto non è di mio gradimento. –
-Sforzatevi. – lei si mostrò offesa.
-Non sono tenuta a… -
-Non vi piace il pesce che puzza. Ma c’è ancora tanto altro su quell’altro piatto che potete mangiare. – le passò quindi il vassoio invitandola a prendere con le sue mani un pezzo di formaggio e della pancetta. Prese poi la tazza con l’infuso ancora tiepido e glielo portò di fronte al volto. Le afferrò l’altra mano, quella libera e le fece tenere il recipiente – Inoltre ingoierete questa medicina fino all’ultimo sorso. Solo allora mi alzerò e lascerò questa stanza. –
-Non vedo per quale motivo debba eseguire un vostro ordine! – si alterò lei – O soprattutto non vedo cosa vi riguardi! – lui la invitò con un movimento del capo a eseguire il suo comando. Lyanna irritata si trovò costretta suo malgrado ad obbedire, indotta a pensare a ciò che le aveva appena suggerito. Se avesse terminato quella bevanda lui se ne sarebbe andato ed era quello che voleva…
Ingurgitò a grandi sorsate il liquido fissandolo con la coda dell’occhio. Viserys nel frattempo non sembrò interessato a ciò che lei stava facendo, bensì al contenuto dei due piatti sul tavolino accanto. Ne studiò ogni pietanza, in alcuni casi prese una forchetta e se li portò pure al naso per annusarne la composizione, quasi a cercare di comprendere il motivo per cui lei li avesse scartati. Una volta terminato quel suo esame, lo vide prendere un sacchetto di pelle chiara da una tasca interna della sua giacca. E guardarlo prima con riluttanza. Poi alzò gli occhi verso di lei che stava sorseggiando le ultime gocce del decotto. Posato e riflessivo, allungò una mano affinché lei gli passasse la tazza. Riottosa, Lyanna gli concesse quella gentilezza inaspettata.
-Siete stata brava. – le rivelò con un tono morbido e dolce – Ora vi meritate una leccornia, dopo ciò che siete stata costretta a mangiare. Inaspettati accostamenti di salse acidule e pesce maleodorante, non devono essere state per voi di grosso gradimento. – Lyanna lo guardò perplessa. Come poteva aver dedotto così perfettamente i suoi gusti? Lo vide sorriderle e ringraziò di essere già seduta nel suo giaciglio, perché era quasi certa che le sue gambe avrebbero ceduto a quella visione. Lo vide muovere una mano, lentamente, fino a raggiungere la sua. Gliela strinse con delicatezza e poi allungò anche l’altra mano e gli mise quel sacchetto in grembo.
-Che cos’è? – si era presa diverso tempo prima di esprimere la sua incredulità.
-Apritelo e lo scoprirete da voi. – rispose calmo, un pizzico di giocosità nel suo tono. Le mollò la mano, permettendole così di avere libero movimento, ma non l’allontanò più di tanto, lasciandola ben distesa sulle pellicce. La donna, in un primo momento fissò infastidita il suo arto inerme, accanto alla sua gamba, diffidando delle sue reali intenzioni, ma si concentrò presto sul sacchetto che aveva in grembo, incuriosita del suo contenuto. Slacciò il cordino di cuoio che lo teneva chiuso, curvò la schiena ed il collo e abbassò il capo per osservarvi all’interno.
-Fragole? – chiese dubbiosa, alzando il volto a fissare la sua maschera – Dove le avete trovate? – Viserys sembrò riprendere colorito nel notare questo suo interesse.
-I vostri boschi sono particolarmente eccentrici… – le disse – Oserei dire quasi impressi di magia antica. Per anni sono stato convinto che le piante producessero i loro frutti solo in estate, ma qui sembra si siano adeguate al vostro clima rigido, offrendo i loro doni anche nelle fredde giornate d’inverno. – sorrise abbassando il capo – so che non sono le succulenti bacche che nascono sotto il caldo sole dorniano, ma… - aveva rialzato il capo nel dire quell’ultima frase.
-Grazie. – lo interruppe lei con un filo di voce, dolce e gentile fu inavvertitamente il suono che le usci e lei per prima se ne stupì. Tutta la rabbia era come sparita. Sentiva nato un caldo sentimento nel petto che la pervadeva in ogni fibra del suo essere. Una sensazione che era lì da tempo assopita, reclusa, o ingabbiata. Un brivido lungo la schiena, esattamente dove lui era solito appoggiare le sue labbra con teneri baci sensuali fino a farla impazzire. Una mano dalla temperatura infuocata avvolgeva le sue… credeva ancora di vivere in un momento del passato, eppure provò quella temprata sensazione di ristoro agli arti superiori, come quando, dopo essere stato colta impreparata da una bufera, si accostava ad un braciere e ne traeva conforto. Ma quella non era un’illusione. Socchiuse gli occhi, nemmeno si era accorta di averli chiusi, e ne ebbe conferma. Le aveva appoggiato quella mano, che prima giaceva immobile sulle coperte, sulle sue, che stingevano ora il sacchettino al petto. Si avvicinò ancora, senza fare il minimo rumore. Lyanna non riuscì a impedirglielo, come se qualcosa in lei non volesse allontanarlo.
Viserys appoggiò le sue labbra sulla sua fronte per constatare la temperatura. Rimase fermo così qualche secondo, poi strusciò il mento sulla sua tempia, restando guancia contro guancia. Lyanna percepì il suo respiro sul collo dietro all’orecchio. Come se stesse tergiversando appositamente, per annusarle i capelli e sentisse il bisogno di contatto con lei. Qualcosa, non seppe nemmeno lei dire cosa, le fece perdere il controllo. Si ritrovò a desiderare di baciarlo sulla guancia… vi appoggiò le labbra, ma quando stava per farlo, qualcosa la bloccò e osò solo uno sfregamento frustrante; mente e cuore combattevano tra loro per trovare armonia. Un leggero movimento del suo capo, si era voltato. Ora avevano le labbra che si sfioravano. Trattenne il respiro, e qualcosa gli disse che lui probabilmente stava facendo uguale. Lo sentì poi espirare ed un caldo vento la soggiogò. Richiuse gli occhi, si sentì tremare. Viserys stava indugiato, quasi in attesa che fosse lei a decidere se baciarlo o meno… Sentì il suo petto alzarsi improvvisamente richiedendo aria e si costrinse a dargliene. Aveva il fiatone eppure non aveva fatto nulla. Aprì gli occhi e si accorse che il principe stava muovendo appena la testa come in una muta e lenta forma di diniego. Probabilmente era lui quello a tergiversare per baciarla. Lo guardò corrucciando le sopracciglia e stropicciando le labbra, non seppe cosa le fece nascere ancora quella singolare percezione di avversione. Forse provò quella sgradevole sensazione di essere ancora una bambola di stoffa tra le sue mani o più probabilmente si sentì goffa e sconfitta: il suo corpo era debole a dispetto della sua indole ribelle e selvaggia. Gonfiò le guance, com’era solita fare quando si arrabbiava. Lui sembrò accorgersi del suo radicale cambiamento d’umore, come se ne fosse già abituato, ed emise uno sbuffo dalle narici, posandole la fronte alla sua tempia e poco dopo avvertì anche una pressione sulla guancia sottostante. Le aveva addossato la punta del naso, percepiva la sua impellenza di baciarla e si ritrovava suo malgrado a voler desiderare la stessa cosa. Si sentì premere ancora sullo zigomo, quel tanto che bastò per farle passare la voglia di tenere ancora il broncio. Viserys frizionò di nuovo il naso contro il suo volto, in un ultimo impellente richiamo, prima di allontanarsi definitivamente da lei. Lyanna provò un malessere fisico, quando non sentì più il suo volto accanto ad accarezzarla. E si diede della stupida.
-Mangiate. Vi aiuteranno a riprendere in fretta le forze. – le disse dolcemente e con un dito le pressò lievemente la punta del naso, lasciandola basita da quel suo gesto – E vedete di obbedire questa volta, altrimenti mi costringerete a ripresentarmi qui fra un ora! Se non avete intenzione di farmi morire un’altra volta… Impegnatevi a riprendere le forse e mettetevi in piedi prima di sera. Non siete fatta per stare chiusa in questo tugurio. Dovreste saperlo; un lupo non sta in catene. –
Rimase a fissarlo indisposta dalla gentilezza dimostrata e dalle sue parole forti…
-L’inverno sta arrivando… - era talmente sorpresa che non trovò null’altro da dirgli. Ma restò a guardarlo, mentre lui si alzava con eleganza.
-Con fuoco e sangue questa volta. – le sorrise e, voltandosi, incrociò suo fratello Benjen sull’uscio della porta. Era dentro la stanza, Lyanna non fu certa di quando ci fosse arrivato e quanto avesse visto. Lo vide piegare appena le spalle e la testa, al suo passaggio, il principe gli appoggiò una mano sulla clavicola in modo amichevole, come a ringraziarlo sentitamente, poi li lasciò, sparendo oltre l’angolo del muro.
La Stark ci mise qualche altro minuto per riprendersi completamente da quegli ultimi inspiegabili istanti. Piegò il capo lateralmente, e si portò una mano sulle labbra, mentre suo fratello prendeva posto nello sgabello accanto al letto dove si era seduto pure Jon qualche ora prima.
-Tutto bene? Ti vedo accaldata… è febbre o sei stata troppo vicino al fuoco? – fece un ghignetto malizioso.
-Da quando hai passato la tua fedeltà ai draghi, Ben? – gli domandò, negli occhi un chiaro senso di allerta, la sua voce aveva assunto un tono acuto quasi ai limiti dell’isteria.
-Dal momenti in cui mia sorella è scappata con uno di loro e ha generato un figlio unendo le due casate. – le rispose serio, senza nemmeno attendere un secondo. Poi tornò a fare il solito sorriso burlone – Se stai pensando di fare il bis, accomodati pure, però questa volta non hai alcun motivo di scappare, papino non c’è e se vuoi il mio consenso già lo hai. Al pargolo gliene parliamo con calma domani. – come risposta Lyanna sgranò gli occhi. Stava quasi per protestare quando lo vide farle una linguaccia villana – Povero draghetto, un bacino potevi pure darglielo, se lo meritava! –
 
 
 
 
 
 
   
 
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