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Autore: Principe Ignoto    27/10/2018    7 recensioni
[Primo classificato al contest "Sosta verso casa", indetto da Not_only_fairytales e giudicato da mystery_koopa sul Forum di EFP].
Spagna, marzo 1939: nella desolazione della guerra civile appena conclusa, un ex militare repubblicano trova rifugio, nel suo viaggio verso casa, in una piccola chiesa. Lì, dovrà affrontare un nemico. E anche sé stesso. (Questo racconto partecipa al contest “Sosta verso casa" indetto da Not_only_fairytales.)
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature
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LA CONFESSIONE
 
Uomo, uomo, non si può vivere del tutto senza pietà.
(Fëdor M. Dostoevskij, Delitto e castigo)
 
Erano passati pochi giorni dalla caduta di Madrid[1]. Riuscii, miracolosamente, ad evitare la cattura da parte dei franchisti e, così, mi misi in cammino per raggiungere la mia casa. Tutti i miei compagni del POUM[2] che conoscevo erano stati catturati o uccisi. Mi ritrovai solo nel mio cammino, in mezzo alla desolazione più totale. Evitai i centri abitati, dove mi avrebbero individuato facilmente, e attraversai le campagne aspre ed assolate, fino a quando non individuai, alla fine di una stradina, una chiesetta. Istintivamente, mi avvicinai. Il portone era aperto: quando entrai, trovai l’interno completamente spoglio. Mancavano le panche, sicuramente depredate, assieme a tutti i paramenti che avrebbero dovuto coprire l’altare. Dietro, sulla parete incrostata d’umidità, un crocefisso osservava quella polverosa solitudine. L’unico arredo sopravvissuto era un confessionale: dentro non c’era nessuno. Avevo camminato per interminabili giorni, perciò decisi di riposarmi lì dentro, dove c’erano un paio di comodi cuscini, prima di rimettermi in cammino. Entrai nello spazio riservato al sacerdote, tirai la tendina davanti a me, misi la mia bisaccia a terra e, finalmente, mi sedetti. Le gambe mi dolevano terribilmente, altri due passi e sarebbero cedute come canne spezzate. Poggiai la testa contro la parete di legno. Finalmente, tutto l’orrore mi sembrò lontano, come se non ci fosse mai stato, come se non mi riguardasse più. Un’altra settimana di cammino e sarei tornato dalla mia famiglia, in mezzo alle montagne, gettandomi alle spalle tutti quegli anni passati a combattere per una guerra persa. E, un giorno, potrò persino dimenticare tutto quel sangue. E, chissà, forse avrei iniziato a vivere nuovamente.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai al sonno. Tutto, allora, divenne silenzioso…
 
Tutto, allora, divenne silenzioso.
Nessuno sembrava aver il coraggio di aprire bocca in quegli attimi.
Poi, un urlo.
«Caricate!»
Un piccolo e sordo coro metallico, perso nel buio della notte.
«Puntate!»
Uno scintillio sinistro: i fucili che si mettevano in posizione.
Di nuovo, per un lunghissimo istante, la quiete. La voce dura, che stava procedendo con l’esecuzione, parve esitare.
All’improvviso…
 
… un colpo. Sussultai, trattenendo a fatica un grido. Quanto tempo era passato? Neanche il tempo di rendermene conto che, subito, scoprii il motivo di quel rumore. Davanti al confessionale si era inginocchiato un uomo. Non riuscii a distinguere bene il volto da dietro il piccolo spazio vuoto tra il  bordo della finestrella e la tendina chiusa: forse, era un giovane sulla ventina. Quello che notai subito, però, era il suo abbigliamento: una camicia azzurra, aperta sul petto, e, tra le mani congiunte, un berretto verde. La divisa della Legione spagnola[3]. Rapidamente, afferrai la bisaccia da terra e vi tirai fuori la mia pistola. Sarebbe bastato uno, massimo due colpi, rapidi, contro la tendina, in faccia al soldato.
«Padre…» sussurrò il giovane legionario «Ho bisogno di confessarmi.»
Il giovane, da dietro la tendina, non aveva capito che io non ero un sacerdote. Dovevo approfittarne: un solo errore e sarei finito. Cercando di non far rumore, iniziai a togliere la sicura dalla pistola, mentre dissi al legionario: «Dimmi pure.»
Il giovane rimase, per qualche istante, in silenzio, come se avesse paura di quello che mi stesse dicendo. Poi, balbettando: «Padre… io… io ho peccato.»
Le mani mi stavano sudando, per poco non feci cadere la pistola a terra, rischiando di farmi scoprire: «Racconta pure. Cos’è successo?»
«Padre, io ho sempre combattuto pensando di fare la cosa giusta…»
Mancava poco…
«… ho sempre ubbidito all’Esercito…»
… tolsi la sicura…
«… sono sempre stato pronto a versare il mio sangue per Dio e la Patria…»
… ero pronto…
«… sono sempre stato pronto a sacrificarmi per la mia famiglia e per la Spagna dai rossi…»
… puntai la pistola, davanti a me, tra le pieghe della tendina, e…
«… ma… ma a questo… a questo non ero pronto….»
… non sparai.
La voce del giovane si strozzò in un silenzio colpevole, che sembrava celare qualcosa di orribile. Cercando di mantenere un tono di voce calmo, lo incitai a parlare: «Vai avanti. Cos’è successo?»
Non vidi gli occhi del legionario, ma avrei scommesso che il suo sguardo fosse smarrito, confuso, come un ratto in trappola. Ansimava, reprimendo a stento la disperazione: «Ho fatto una cosa terribile. Terribile.»
Lo ascoltai, con la canna della pistola ancora puntata verso la tendina.
«I soldati del mio battaglione, ieri, hanno portato in caserma una donna.» proseguì il giovane, con voce flebile «Era la moglie di un comunista che avevamo giustiziato un po’ di tempo fa.»
La mano cominciò a formicolare: stavo tendendo il braccio da diversi minuti, con i muscoli tesi. Ero pronto ad ascoltare la confessione di uno di quei bastardi contro cui ho lottato per anni. Il racconto di una delle loro barbarie. Avrei udito tutta la storia di quel legionario e, subito dopo, gli avrei piantato una pallottola in testa. Dovevo sentire quell’uomo soffrire per gli orrori che aveva compiuto, prima di ripagarlo con la stessa moneta.
«Ad un certo punto» continuò il giovane «il mio superiore la prese a ceffoni e la condusse in cantina. Con lui scesero altri soldati…»
Perché s’interrompeva? Ci stava mettendo troppo tempo, maledizione. Le mie dita non riuscivano più a sostenere il calcio della pistola, che stava iniziando a scivolare progressivamente. Dovetti sostenere l’arma anche con l’altra mano.
«Dopo alcune ore loro uscirono dalla cantina. Io, a quel punto, entrai, per vedere cosa fosse successo… e…»
“Muoviti, perdio!” avrei voluto urlargli.
«… padre, nel paese dove vivo mi sta ancora aspettando la mia fidanzata. Si chiama Evangelina, ha compiuto da poco vent’anni. Ci dobbiamo sposare il mese prossimo… è una ragazza bellissima, ha i capelli neri come la notte e profumati... profumati come…»
A quel punto, il legionario non ce la fece più ed esplose in un pianto disperato.
«Padre,» singhiozzò il giovane «quella donna che stava nella cantina somigliava molto ad Evangelina, poteva avere la stessa età… aveva i capelli molto simili… quel profumo…»
La voce del legionario cambiò, facendosi più acuta, come quella di un bambino.
Rabbrividii.
«Quella donna era ancora viva. I soldati l’avevano violentata uno ad uno e l’avevano pestata… il volto era pieno di sangue… non riusciva a muoversi, respirava a fatica, ma era ancora viva…»
Non seppi che altro dirgli, se non un remissivo: «Vai avanti.»
«Soffriva troppo, sentivo che stava per morire… io allora ho preso il mio fucile, ho puntato alla sua fronte e…»
Non riuscii a concludere il racconto. Mi sporsi appena, verso lo spiraglio che dava fuori: il legionario, con le mani che stringevano ancora il suo berretto, si era coperto il volto.
«Non volevo… non volevo…»
Abbassai la pistola.
 
All’improvviso, il prete che i miei compagni del POUM stavano per fucilare mi guardò. Capii che era la prima volta che io stavo dirigendo un’esecuzione. Vide la mia espressione sgomenta, tesa, incapace di urlare l’ordine.
Era un prete, un nemico del popolo, come mi avevano sempre predicato. Per compiere la nostra rivoluzione dovevo anche sporcarmi le mani, ma avrei avuto la coscienza pulita. L’avrei fatto per una causa giusta. Eppure, non riuscii a dare l’ordine. Che mi stava succedendo? In battaglia avevo già ucciso altre persone, dunque perché bloccarsi nell’ammazzare un prete?
Distolsi lo sguardo dalla mia vittima. Non ebbi neppure il coraggio di guardarlo.
«Compagno,» mi sussurrò alle orecchie il mio luogotenente «l’ordine.»
«Taci.» gli sibilai a denti stretti.
Tornai a guardare l’uomo che stavo per far fucilare.
Il prete, sereno, disse: «Io ti perdono.»
Fu allora che gridai: «Fuoco!»
Quei maledetti spari riecheggiarono a lungo nel cortile del nostro quartier generale.
Infine, di nuovo il silenzio.
«È così per tutti la prima volta, compagno.» mi disse il luogotenente, pochi minuti dopo «Ma lo facciamo per una causa giusta.»
Non volli neppure rispondergli. Mi allontanai, con una stretta nello stomaco e con quelle parole che ancora mi riecheggiavano nella testa: Io ti perdono.
 
«Io ti perdono.» mormorai al legionario, ripetendo quella frase che ancora mi accompagna, dopo tanti anni.
Lo ripetei nuovamente: «Io ti perdono.»
Sospirai. Non sentii più il pianto del legionario. Uscii dal confessionale: il giovane non c’era più. La chiesetta era tornata alla sua desolazione. Mi accorsi che avevo ancora la mia pistola in pugno. Quasi disgustato, la svuotai di tutti i suoi proiettili e la lasciai cadere a terra. Rimasi in piedi dentro la chiesetta ancora a lungo, osservando il paesaggio che si distendeva, placido, fuori il portone aperto: era già calata la sera. Il cielo era di un blu intenso, punteggiato, sull’orizzonte sinuoso delle colline, dalla porpora del crepuscolo. Spirò una morbida brezza, che mi aprii i polmoni con l’aria fresca e pungente. Dopo un po’, mi riscossi, come riprendendomi da un sogno. A quel punto, ripresi la mia bisaccia nel confessionale e abbandonai la chiesetta, riprendendo il viaggio verso casa.
 
[1] Evento avvenuto il 28 marzo 1939 che pose fine alla guerra civile spagnola.
[2] Partito Operaio di Unificazione Marxista, partito trotskista e antistalinista spagnolo i cui membri combatterono nelle truppe repubblicane.
[3] Corpo militare guidato da Francisco Franco.
   
 
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