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Autore: whitemushroom    27/10/2018    3 recensioni
[...]“Ma io non voglio un eroe”.
Vede lo sguardo del piccolo per un istante, con la coda dell’occhio, mentre già la sua gamba destra è fuori dal tavolino e pronta ad imboccare l’uscita.
In quelle iridi c’è un guizzo che riconosce. Su quel viso c’è un’ombra, un velo impossibile da dimenticare. È lo sguardo di un bambino solo, sperduto in quel bar davanti ad una figura che ha appena deciso di proseguire per la propria strada senza di lui. “Io voglio solo il mio papà”. [...]
Storia partecipante al contest Le nostre ali per il nono anniversario del mitico thexiiiorderforum. Tema: "Perché mi hai abbandonato, padre?"
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baelfire, Bambini Sperduti / Lost Boys, Felix, Henry Mills, Neal Cassidy, Neal Cassidy/Baelfire, Peter Pan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lost Boys

 

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Personaggi: Baelfire (sinistra); Henry Mills (destra)
Fandom: Once Upon a Time, stagione 3
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna, a parte che è un mattone.


Prima lezione: mai sopravento.
E Felix non è mai stato attento alle lezioni.
Baelfire non ha bisogno di vedere la sagoma del Bambino Sperduto per sentirne la puzza di denti rancidi. Scaglia una freccia tra le fronde degli alberi, e rimane in attesa finché il corpo del suo obiettivo non cade con un tonfo sordo nel fogliame.
Come su un copione già scritto gli altri bambini dell’accampamento escono fuori con le loro armi rudimentali in pugno, scambiandosi fischi e segnali in codice che per Baelfire non hanno alcun segreto. Col primo colpo abbatte Devin, poi due frecce per i gemelli. Un’altra colpisce Ayden di striscio su una guancia, ma è quanto basta per permettere al sonnifero sull’asta di entrare in circolo e far dormire anche lui.
Quando è certo che nessun altro sia di guardia al fortino inizia a correre, supera i Bambini Sperduti ed apre a calci tutte le porte di legno, il cuore in gola.
Sull’Isola Che Non C’È, il tempo è il suo primo nemico.
“Henry?”
Il bambino è sdraiato in un angolo. Non lo hanno legato, ma l’odore inconfondibile di papavero sulle sue labbra gli fa capire che non si sveglierà per le prossime tre o quattro ore. Il battito del cuore è lento, ma regolare. “Tranquillo, Henry. Papà ti porta a casa”.
Non prova nemmeno a svegliarlo, non vi è tempo. Se lo accomoda sul braccio, tenendogli la testa contro la sua spalla per non farlo cadere, poi si lancia fuori dalla baracca e dall’intero fortino, dritto in mezzo al bosco, senza più preoccuparsi nemmeno di non fare rumore.
I suoi piedi trovano la strada senza sforzo, come se non fossero passati oltre vent’anni dall’ultima volta che battevano i sentieri invisibili tra i pini e le querce, tra gli arbusti fioriti di azzurro ed i rovi. L’Isola era stata il suo meraviglioso campo di giochi, e risponde alla sua preghiera: nessun serpente, nessun predatore, nessun pericolo per la vita di Henry. Senza nemmeno sapere come si ritrova a saltare su alberi e tronchi abbattuti, nascondendo persino le proprie tracce.
Vi era un tempo in cui Baelfire sapeva volare. Volare come Peter Pan e i Bimbi Sperduti, con una manciata di polvere di fata e la sua fiducia incrollabile. Con un po’ di sforzo poteva persino superare l’Ombra di Pan in velocità. E, nonostante fosse bravo, aveva sempre preferito le proprie gambe, l’ombra del sottobosco, lo sfidare tutti gli altri bambini a cercarlo per ore in gare di nascondino dove era l’indiscusso vincitore.
Forse, ripensandoci, non aveva mai amato troppo la magia. E, anche il quel momento di paura, col proprio figlio tra le braccia, si sente molto più sicuro con gli stivali nel fango ed i rami bassi degli alberi quasi negli occhi che non fluttuando tra le stelle.
Il suo antico rifugio è ancora lì. Gli arbusti sono cresciuti praticamente ovunque ed i suoi vecchi coltelli sono ormai composti da ruggine, ma questo vuol dire solo che in tutti questi anni nessun altro Bimbo Sperduto si è mai spinto fin lì, nemmeno Felix che ha sempre detto di conoscere l’Isola come le sue tasche bucate. Adagia Henry nel punto meno sporco della grotta, riprendendo fiato mentre le sue gambe gli ricordano che non è più un adolescente con energie infinite. Il primo desiderio sarebbe quello di buttarsi per terra e riposare, ma il tempo è un lusso che non può concedersi se vuole portare via il suo bambino. Deve catturare di nuovo l’Ombra di Pan per scappare dall’Isola, e forse tra le sue vecchie cianfrusaglie vi è qualcosa che può tornargli utile.
Sente la magia prima ancora di voltarsi, una magia fatta di polvere di fata, ombre e sangue che gli fa drizzare i capelli sulla testa.
Un potere che ha sempre guardato con curiosità, ma mai con l’assoluta devozione che ci si sarebbe aspettata da lui.
Quando si volta, la cosa che lo colpisce di più sono i denti bianchi, perfetti anche nella più buia delle notti. “Bentornato, Baelfire”.

 

***




Diciottomila dollari. Diciottomila dollari ed un maggiolino giallo tutto scassato, chiavi incluse.
Tutto ciò che rimane del suo amore è chiuso in una valigia che ha visto giorni migliori ed in una fiancheggiata su cui i piccioni da oltre cinque giorni si divertono a lasciare i loro escrementi.
Sono passati quasi nove mesi da quando Emma è stata portata nel carcere di Tent City. La sente ancora contro la sua pelle, viva e forte come prima di organizzare il loro ultimo furto; e vi è qualcosa di ingiusto nell’essere lì fuori, immerso tra i vapori dei venditori di caldarroste, mentre lei è lì dentro a scontare per entrambi.
Si è ripromesso di non entrare una seconda volta nella sua vita. Emma merita qualcosa di meglio di un ladruncolo di mezza tacca come lui, uno che dopo tanti anni continua a mentire sul suo passato a cui non crederebbe nemmeno l’uomo più ubriaco degli Stati Uniti.
Lascia le chiavi nel cruscotto ed i soldi nel portabagagli, l’ultimo regalo per quando lei uscirà di lì.
Da oltre le mura della prigione gli sembra di sentire il pianto di un neonato.
Insulta la sua immaginazione, perché non nascono bambini oltre le sbarre di Tent City.
Prima di andarsene, con la quinta bottiglia di birra della giornata ancora in mano, immagina quanto avrebbe voluto un figlio da Emma. Ne disegna un profilo sbozzato nella nebbia, ma uno sbuffo d’aria improvviso la solleva, portandosi via il suo piccolo, stupido sogno.


 

***




“Ciao, Pan. Sempre in splendida forma”.
“Non posso dire lo stesso di te, Bae” disse l’altro, appoggiandosi con una mano alla parete della grotta. Baelfire sente quegli occhi da furetto attraversarlo da parte a parte. “Sei diventato … grande”.
Pronuncia quella parola con tutto il disprezzo possibile.
Nel mondo reale, quello senza la magia, gli esseri umani vivono convinti che Peter Pan sia un personaggio delle fiabe, un eterno ragazzo che si diverta a suonare il flauto ed a tirare scherzi al malvagio Capitan Uncino. Baelfire ha visto il film della Disney almeno venti volte, e non ha mai capito come si possa distorcere così tanto la realtà dei fatti. “Hai persino un figlio. Chi lo avrebbe mai detto?”
A quelle parole l’arco gli torna tra le mani prima ancora di dare l’ordine alle braccia. “Nessuno. Nemmeno io. Adesso vattene”.
“Non posso, amico mio. Non quando c’è un Bimbo Sperduto che ha disperatamente bisogno di me”
Estrae una freccia e tende la corda, sentendo il cuore martellargli nelle tempie. Pan non fa alcun movimento, ma i suoi occhi scuri sogghignano, sfidandolo ad attaccarlo di petto in un confronto che non potrebbe mai vincere. Ma si tratta di Henry, del suo piccolo Henry, quindi si sposta di lato e si pianta tra il bambino ed il demonio dai denti bianchi. Quello, per tutta risposta, estrae dalla tasca un piccolo oggetto di legno e glielo fa volteggiare davanti agli occhi. “Ha iniziato a poter sentire la musica del flauto, caro il mio Bae. E tu più di tutti sai cosa voglia dire”.
“Lui davvero può …?”
“Oh, sì. Povero piccolo, deve sentirsi davvero solo e abbandonato. Chissà, magari ha un padre così debole, meschino e banale che lo ha fatto nascere in prigione e non si è mai preoccupato di proteggerlo, chi lo sa?”
La mano che incocca la freccia inizia a tremare.
Ha ancora in mente il passato, quegli anni che né il tempo né la birra riescono a cancellare. Quando suo padre aveva preferito la magia oscura all’amore, e sua madre la compagnia di un altro uomo. Quando nel vuoto che aveva nel petto era entrata una musica allegra e felice, piena di vita, una strana melodia che nei primi tempi era stato incapace di distinguere, ancora troppo attaccato alla sua famiglia per rendersi conto di essere stato abbandonato.
Quando nella sua vita vi era la solitudine, ed aveva sentito il suono di un flauto.
Quando era diventato un Bimbo Sperduto.
Pan si solleva di qualche centimetro da terra, e fluttua con pigrizia nella caverna. La punta della sua freccia lo segue, ma Baelfire sa di non essere il cacciatore lì dentro. Sotto la massa di capelli rossi il demonio gli sorride. “Sai, temo di doverti ringraziare. Se non fossi stato un padre così patetico forse Henry avrebbe avuto abbastanza forza da resistermi”.
“Forza …?”
Un secondo ricordo, caldo, gli attraversa la mente come una lama di luce. “Fidati, di quella Henry ne ha in abbondanza”.

 

***




Emma glielo aveva suggerito tra le righe: a Henry piace la cioccolata calda alla cannella.
Baelfire ha pensato che prendersi insieme una cosa buona al bar sarebbe stato un inizio quantomeno passabile per la sua nuova relazione padre-figlio, ma è chiaro che qualcosa gli sia sfuggito dalle mani.
Henry è un bambino bellissimo. Ha i capelli castani come suo nonno, a cui ha staccato chiaramente anche il naso. Ha le guance morbide ed i lineamenti di Biancaneve, e gli occhi risplendono della stessa luce di quelli di Emma. Per farla breve, a lui non assomiglia per niente.
Ha scelto un tavolino un po’ isolato, abbastanza lontano dal chiasso della gente in fila per i cornetti ma vicino alla parete a vetri quanto basta ad Emma per osservarli da dietro un albero del parcheggio. Il piccolo guarda la tazza di cioccolata, ma senza sorridere; Baelfire gli avvicina anche le bustine dello zucchero, sperando che almeno allunghi la mano per afferrarle, ma il suo silenzio lo uccide.
“Beh … cosa mi dici, Henry?”
Dio, si ammazzerebbe da solo per l’idiozia appena uscitagli dalla bocca. Dopo dieci anni di assenza vede suo figlio per la prima volta e cosa gli dice?
Versando dello zucchero nella propria tazza, nella speranza che il cucchiaino gli lanci un suggerimento per un discorso intelligente, Baelfire si rende conto per la prima volta di non sapere nulla di quell’ometto avvolto in un cappotto che ha visto giorni migliori. Di non avere idea di quali siano i suoi giochi preferiti, o se abbia una squadra di football che gli stia a cuore. Se a matematica vada bene, o se con i numeri sia impedito quanto lui.
“Perché mi hai abbandonato?”
Dritto come uno schiaffo.
Smette anche di agitare il cucchiaino, vagliando persino l’idea di alzarsi e andarsene di lì.
Fuggire è sempre stata la sua soluzione a tutto, in fondo. Da suo padre, dalla magia, da Peter Pan, da Emma, dai propri doveri, dalla sua stessa vita, Baelfire è sempre scappato. Il bambino seduto di fronte a lui ha invece sotto gli occhi i grandi eroi, i “veri” eroi: suo nonno Azzurro è un cavaliere senza macchia e senza paura, sua madre è addirittura la Salvatrice e da quello che sa ha conosciuto anche il vero Capitan Uncino, un grande uomo che non ha nulla da spartire col buffone dai capelli impomatati del film Disney.
Forse quella colazione e quella cioccolata sono solo uno stupido sbaglio.
Forse Henry dovrebbe tornarsene a Storybrooke e trovarsi un qualche eroe che gli faccia da padre. Uncino o Pinocchio sarebbero dei fantastici candidati. “Perché … temo che assumermi le responsabilità non sia il mio punto forte”
Sospira, poi mette da parte la tazza.
Emma capirà.
E, anche se non lo facesse, sarà comunque in grado di farsene una ragione. “Non sono un uomo coraggioso, Henry”
“La mamma mi aveva detto che eri un pompiere molto coraggioso” ribatte il piccolo, incrociando le braccia sul tavolo. Ha un viso intelligente. “E che eri morto facendo il tuo dovere”.
“Suppongo fosse una piccola bugia a fin di bene …”
Unica, santa Emma.
Baelfire guarda oltre il vetro alla ricerca della donna che ama ancora, ma l’unica cosa che riesce a vedere sono le proprie occhiaie, i capelli che iniziano a chiazzarsi di grigio ed un uomo chiaramente fuori posto vicino a quel bambino esile che adesso si stringe al suo grande libro delle fiabe per farsi forza. Senza dubbio non avrebbe mai immaginato di avere per padre un ex Bimbo Sperduto che vive di furtarelli e birra scadente. “… migliore della realtà, dopotutto. Mi dispiace averti deluso”.
Inutile prolungare lo strazio.
Punta le mani al tavolo, poi si alza ed infila velocemente il cappotto. “Non sono l’eroe che speravi”.
“Ma io non voglio un eroe”.
Vede lo sguardo del piccolo per un istante, con la coda dell’occhio, mentre già la sua gamba destra è fuori dal tavolino e pronta ad imboccare l’uscita.
In quelle iridi c’è un guizzo che riconosce. Su quel viso c’è un’ombra, un velo impossibile da dimenticare. È lo sguardo di un bambino solo, sperduto in quel bar davanti ad una figura che ha appena deciso di proseguire per la propria strada senza di lui. “Io voglio solo il mio papà”.


 

***




Pan fa un passo in avanti, e la freccia schizza dall’arco alla ricerca della sua testa; a quella distanza potrebbe colpire un avversario anche da bendato, ma sull’Isola che Non C’È non sono certo la gravità o la fisica a decidere come e quando colpirà il bersaglio.
Con un movimento fulmineo la mano del ragazzo dai capelli rossi guizza in aria, afferrando la freccia per il manico prima ancora che la punta possa scalfirgli la pelle: è un gesto che Baelfire gli ha visto compiere mille volte, ma che anche dopo tanti anni non smette di sorprenderlo.
Incocca una seconda freccia, ascoltando il battito del proprio cuore dritto nelle orecchie.
“Sei sempre stato un bambino disubbidiente, Bae. Io ti insegno a tirare con l’arco e tu cosa fai? Me lo rivolti contro?”
“Se avvicini ancora la tua faccia a mio figlio ti troverai una freccia su per una narice, sei avvisato”.
“Davvero?”
Un altro passo in avanti. La seconda freccia vola, e ancora una volta l’asta rimane bloccata tra le dita del suo nemico. Incocca di nuovo, frapponendosi tra Pan e Henry.
Gli manca l’aria.
“Mi sorprendi, Bae. Perché non scappi con la coda fra le gambe? Il bambino è un peso, puoi anche lasciarlo qui”.
“Al momento ho un solo peso sulle spalle …”
L’idea di tornare su quell’Isola gli aveva stretto lo stomaco sin dall’inizio. Avrebbe dato via tutto quel poco che aveva pur di non mettere piede lì, dove quel piccolo demonio gioca con le menti dei bambini abbandonati. Se glielo avessero proposto si sarebbe tagliato una mano da solo pur di non andare.
Ma poi nella sua vita era entrato Henry, e tante cose erano cambiate “…e quello sei tu”.
Si era chiesto perfino se non fosse il caso di rimanersene in un angolo del suo appartamento, ad attendere con lo sguardo inchiodato all’orologio che i grandi eroi sconfiggessero il demonio, i Bimbi Sperduti, le Ombre ed ogni cosa, portando in salvo il suo bambino. Si era domandato se non fosse giusto così, consentire alla Salvatrice, al Principe Azzurro, a Biancaneve ed alla Regina di compiere i loro atti eroici senza un ladruncolo da quattro soldi tra i piedi, uno che li avrebbe solo rallentati.
Si era fatto molte domande, ma lo sguardo sperduto di Henry in quel bar gli aveva suggerito la risposta. “Hai sempre avuto il brutto vizio di afferrare le frecce dal manico, Pan”.
Quando il bastardo si accorge del trucco l’inchiostro di calamaro ha fatto il suo effetto. La polvere di fata che lo aiuta a volare perde il suo potere e cade a terra come una mosca, i piedi inchiodati al suolo della caverna. L’inchiostro con cui ha intriso il manico delle frecce non appena arrivato sull’Isola Che Non C’È scintilla debolmente alla luce delle stelle, poi si spande lungo le mani del nemico.
Con un balzo si gira e prende Henry tra le braccia, incurante dello sguardo di fuoco dell’altro. Non ha idea di quanto tempo l’inchiostro di calamaro possa bloccare un essere potente come Peter Pan, ma a lui basta una manciata di minuti.
Un altro predatore si aggira sull’Isola, un cacciatore antico e pericoloso. Gli sembra persino di sentire il ticchettare del suo bastone da passeggio contro le rocce, e non ha alcuna voglia di assistere al confronto tra i due mostri.
Lui ha un altro percorso da seguire.
Una seconda stella a destra, ma è una stella che porta il nome di Henry. “Tranquillo, piccolo. Papà non ti abbandona”.

 

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Peter Pan

  
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