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Autore: amelia_in_the_shadows    27/10/2018    1 recensioni
Un missing moment collocabile non troppo tempo dopo il finale di metà stagione della 3a, che vede come protagonista Magnus ed un particolare momento della sua esistenza, dopo quanto accaduto nel corso degli ultimi eventi per salvare Jace. Seguirà poi un’importante interazione con Alec.
Dal testo:
"La magia, la sua magia. La sua compagna, la sua disgrazia, il suo dono.
Gli aveva dato tanto, ma gli aveva anche negato molto.
I suoi occhi. Gli occhi che Alexander gli aveva detto apprezzare, addirittura amare.
Ora, tutto quello che ne rimaneva, erano due profonde pozze castane, espressive quanto un quadro spazialista, come uno squarcio nella tela in cui lo spettatore è libero di interpretare quanto gli si presenta di fronte."
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N.B. Per favore, udite questa melodia durante la lettura, è quella che ho ascoltato in loop durante la stesura della fanfiction. A mio parere, dà un altro significato al testo.

Enjoy!

https://www.youtube.com/watch?v=BeI6an1Fy6E
 
 
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Sometimes, it happened
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A volte, accadeva.

Non c’era una ragione precisa, un anniversario specifico, un’occasione particolare. Succedeva, e la ragione poco poteva contro la forza imponente dei ricordi.

Quella sera, una notte come un’altra, Magnus osservava il mondo attraverso il vetro della finestra, imperlata da imperfette stille di pioggia incessante che poteva quasi sentire percorrergli la pelle. Tutto ciò che lo circondava era la fioca luce data da alcune lampade da lettura accese e diverse candele riposte senza un apparente ordine.

Un brivido di freddo gli attraversò la colonna vertebrale, e se fosse per l’arrivo di un autunno con pretese climatiche dicembrine o per i sentimenti tormentosi che gli stavano accarezzando l’anima con una lentezza feroce, beh, questo Magnus non avrebbe saputo dirlo.

Ultimamente, poi, troppi eventi lo avevano assalito con la stessa forza impetuosa di un ghepardo. Magnus amava i felini, ma questa volta avrebbe davvero fatto a meno di questo ennesimo attacco.

La magia, la sua magia. La sua compagna, la sua disgrazia, il suo dono.
Gli aveva dato tanto, ma gli aveva anche negato molto.
I suoi occhi. Gli occhi che Alexander gli aveva detto apprezzare, addirittura amare.

Ora, tutto quello che ne rimaneva, erano due profonde pozze castane, espressive quanto un quadro spazialista, come uno squarcio nella tela in cui lo spettatore è libero di interpretare quanto gli si presenta di fronte.

Capitava, certe volte, che Magnus si sorprendesse di vederci luccichii dimenticati nel tempo o, meglio, che non credeva avrebbe più scorto in quelle iridi, testimoni di secoli di avventure di ogni genere.

Non più oro, ma marroni, come il colore delle castagne d’autunno.

Tutto quello che lo faceva resistere dal non impazzire al pensiero di non poter più risolvere le faccende più o meno complicate della sua vita (e di tutte le persone che amava) era il modo in cui Alexander continuava a rimarcare l’amore che provava verso di lui, uno stregone non più stregone.

Era davvero un figlio dell’Angelo, Alec.

Ne aveva conosciuti troppi pochi di Shadowhunters così, disposti davvero a mettersi in prima linea per la difesa di tutti, a partire dai suoi simili, ai Nascosti e, infine - ma non per importanza - i Mondani. Eppure, il destino lo aveva messo di fronte al duello più cruento per un Nephilim unito da quel particolare legame angelico che lui conosceva così bene, più di quanto avrebbe voluto. E, forse, dovuto.

Succedeva, a volte, in quei pochi istanti di pausa dalle ricerche di Clary a loro concessi, che Alec si appisolasse nel bel mezzo di una discussione.
Non esistevano più giorno e notte, niente orari stabiliti, solo necessità di agire in qualche modo. Ma Alec era debole, era stanco. Quell’attacco… lo aveva colpito dentro, molto più in profondità di quanto quella freccia lasciasse intendere. Per quanto gli Iratze e la magia curativa di Catarina lo avessero aiutato a lenire il dolore fisico e a ricostruire la sua tremenda frattura scomposta al braccio, Magnus non poteva cancellare (nemmeno volendolo) le memorie di quei sonni tormentati da incubi tanto reali da provocare vere e proprie crisi di panico nel suo dolce, gentile, sensibile Alexander.

In quei momenti, Magnus si sentiva impotente.

Perché non bastava schioccare le dita, perché non erano sufficienti le parole sapienti di chi ha affrontato situazioni altrettanto terrificanti. Ma poi, quando Alec prendeva coscienza della realtà, si rifugiava tra le sue braccia e lì, in quel caldo antro di arti e respiri soffocati, Magnus e Alec trovavano rifugio.

Erano uno la potenza dell’altro, e anche se gli occhi di giada di Alexander erano superfici riflettenti di tutti i sensi di colpa che si portava dentro, per la magia persa in cambio di suo fratello, per una normalità smarrita che sembrava impossibile da ritrovare nella loro quotidianità, Magnus non si pentiva di nulla.

Non aveva rimpianti.

Perché Jace era vivo, Alec era vivo, i suoi amici erano vivi e Lilith era tornata all’Inferno (letteralmente) e Clary… il suo Biscottino, sapeva che l’avrebbero ritrovata. Perché doveva avere fiducia, doveva dare speranza, perché, alla fine, era grazie a questa se aveva vissuto fino a quel momento, e non solo sopravvissuto, come spesso accadeva a quelli come lui.

Come era lui.

La pioggia prese a battere più prepotente, e Magnus, d’istinto, si portò le braccia alle spalle, incrociandole, come a simulare un abbraccio.
Era tardi, le luci dei lampioni fungevano da sprazzi di luce in un’atmosfera altrimenti debole e fioca, fatta eccezione per i taxi in continuo movimento e la skyline di New York che si ritrovava spesso a contemplare con Alec, come in un atto di pace col mondo.

C’era qualcosa di rilassante nel farlo, magari sorseggiando un Martini o qualche altro superalcolico che, doveva ammettere, Alec si offriva spesso di provare.

Ma Alec non era lì, e a quel pensiero, il freddo nel corpo di Magnus prese a insidiarsi sotto la leggera vestaglia di seta viola. Si ostinava a non indossare una maglia sotto, nonostante ora la sua temperatura corporea fosse cambiata, così come il battito del suo cuore, non più accelerato come un tempo, ma lento e costante.
Normale, come una sorta di umano. Ed era strano.

Magnus chiuse gli occhi e si concentrò, allontanando la negatività e percorrendo il viale dei momenti felici della sua esistenza. Erano tanti, ed erano aumentati ancora di più da quando il suo fato si era intersecato a quello del bel Cacciatore dai capelli corvini e la figura scultorea di un Adone contemporaneo.

Rammentò quel mattino di settimane prima, quel mattino speciale. Quello che non avrebbe mai richiesto un oggetto nella scatola dei ricordi per rimanere impresso nella sua mente, nella sua carne, nella sua anima. Il sorriso di Alexander dopo la notte in cui si erano fisicamente congiunti in un amplesso dal sapore romantico, appassionato e spontaneo e curioso e tanto, tanto voluto.

Quel mattino, Magnus aveva sentito la complicità.

La sensazione di aver davvero trovato un porto sicuro, e di esserlo diventato a sua volta per la persona che amava. Perché, anche se se lo erano confessati tempo dopo, Magnus non aveva dubbi sul fatto che quello che avevano condiviso non fosse stato solo sesso. E poi, sempre dopo quel magnifico risveglio, Alec aveva scherzato, e anche se Magnus ci era cascato con tutte le scarpe, aveva riso. E poi aveva fatto una battuta a sua volta, per mascherare una debolezza che solo dopo poco aveva riconosciuto essere una risorsa che ringraziava tutti i giorni di poter ancora sentire: aveva aperto il suo cuore ad Alec, e gli aveva permesso di farne ciò che voleva. E Alec gli aveva dato il suo, perché tutto ciò che c’era nella loro relazione era reciproco, mai a senso unico.

Perso nel flusso delle reminiscenze, Magnus quasi saltò quando sentì la porta dell’ingresso scattare, ma sapeva anche che era pur sempre una porta stregata, e solo i puri di cuore potevano oltrepassarla. Inoltre, decisamente, nessuno al di fuori di Alexander l’avrebbe fatto senza chiamare o richiedere o lamentarsi come gli succedeva di solito.

Fu per quella confortante abitudine che attese giusto quei pochi secondi prima di sentire il profumo mascolino e pungente del dopobarba di Alec avvolgerlo, unito alla fragranza singolare della pioggia che si era portato dentro come un mantello invisibile dall’esterno.

Magnus riconobbe la forma del naso di Alec premere contro la propria chioma - stranamente non acconciata (ma non per questo meno curata), e poi venne fasciato da un abbraccio solido, saldo, di quelli che ti facevano mettere le radici a terra.

Senza nemmeno rifletterci, Magnus chiuse gli occhi e portò le sue mani sulle braccia di Alexander, con un tocco leggero che poteva ricordare quello di un petalo che cade leggiadro dal suo stelo. Alec inspirò vigorosamente, e Magnus percepì chiaramente la sua gabbia toracica espandersi sulla sua schiena, che si rilassava contemporaneamente allo scorrere dei movimenti premurosi del suo ragazzo.

Non si dissero niente per minuti.

Non che il tempo contasse, in quel momento.

Nemmeno il pellame della giacca scura di Alec, raffreddato dal clima ostile all’esterno, attentò alla loro bolla di intimità. Era uno di quegli istanti fatti di presenza, di affetto, di cura. Era uno di quegli istanti senza prezzo, che nessuna magia avrebbe mai potuto regalare loro. Era uno di quegli istanti che non richiedeva una location da urlo, un panorama da mozzare il fiato o un look da copertina, ma solo due anime inesorabilmente collegate una all’altra da un legame che andava oltre il sangue, l’etnia o il sesso.

Erano loro due, Magnus e Alec, nel bel mezzo di una battaglia, a ritagliarsi minuti di una vita che scorreva troppo velocemente, troppo amaramente, troppo crudelmente per non essere assaporata giorno per giorno, ora per ora, secondo per secondo.

“Sono tornato,” sussurrò piano Alec, spostandosi sulla conchiglia del suo orecchio sensibile che lo portò a percepire chiaramente un fremito di piacere percorrergli la pelle.

Magnus abbandonò il capo all’indietro, reclinandolo sulla spalla di Alec, e in quel frammento di esistenza, tutto scomparve: la pioggia, il freddo, la paura, tutto era lasciato da parte, e Magnus si beò solo del suono della vita di Alec che si infrangeva gentile sulla sua figura, affondando una mano nella chioma corvina e un po’ umida del ragazzo.

Una volta, probabilmente, avrebbe azionato le dita per asciugarla, ma non era più una convenzione per lui. Era difficile. Era diverso. Era scioccante, ma era così, per questo Magnus si limitò ad assaggiare col tatto la nuca di Alec, sentendolo rilassare i muscoli ad ogni sua carezza.
“Bentornato a casa, mio Alexander,” rispose Magnus, con un tono che rasentava il miagolio. Le loro guance erano unite e arrossate da quel contatto prolungato, che aveva riscaldato le corde del cuore di entrambi e, in quella precisa sequenza, Magnus riaprì gli occhi, specchiandoli in quelli leggermente lucidi di Alexander.

Poteva essere la temperatura di Brooklyn a notte inoltrata o la corsa per arrivare fino al loft nel minor tempo possibile. Poteva essere la polvere che, inesorabilmente, aveva preso residenza fissa nel suo appartamento. Poteva essere il dispetto da parte di un Nargillo. Sì, poteva, ma quelle erano solo supposizioni, mentre Magnus voleva serenità, per quanto possibile, quella pace che solo l’unione con Alec in quei momenti rubati al caos riusciva ad infondergli.

E così le cercò nelle deliziose rughette ai lati degli occhi Alexander, nelle sue fossette in quel sorriso abbozzato che gli stava offrendo senza nemmeno rendersene conto, nelle sue labbra carnose che sembravano essere state create apposta per essere vezzeggiate.
Fuori il mondo stava cambiando, non c’erano più certezze e tante, troppe cose erano incompiute, sconosciute, terrificanti, ma lì dentro, in quel preciso istante, Magnus e Alec esistevano, ed era un dono di cui entrambi avevano imparato il valore, soprattutto da quando la vita di uno dipendeva totalmente dal benestare dell’altro.

E certo gli ultimi eventi avevano tolto tanto, troppo, e le domande erano molto più che le risposte e nuovi pericoli erano pronti ad infrangersi contro di loro, ma quello era un attimo di vita, e come tale andava vissuto al massimo.

Cosa sarebbe successo domani? Ci sarebbero ancora stati? Sarebbero stati insieme?

Magnus poteva chiaramente descrivere il senso di inutilità che lo aveva colto quando Alec gli teneva stretta la mano pensando di morire, che quello sarebbe stata la loro ultima scena in quel terribile palco chiamato vita, ma erano stati fortunati.

Magnus raccolse quella fortuna e gettò la sua piena attenzione su Alec. Un fulmine squarciò il cielo, e la corrente elettrica saltò. Tutto ciò che rimase fu la pallida aurea di luce conferita dalle candele che, impavide, ancora resistevano, e rendevano abbastanza palesi i lineamenti dei due giovani. Essi non si mossero, non si allontanarono, ma i loro sguardi si incontrarono a metà strada, in quel punto dove esplode la scintilla, dove scocca l’impulso, dove nasce il mondo.

Capirono entrambi, e non ci fu bisogno dell’impiego di ulteriori parole. Le loro bocche febbricitanti si accarezzarono in un movimento lento, ma non cauto, evidenza di una conoscenza che trascendeva tempo e spazio. E poi l’abbraccio si scompose e prese una nuova forma, e denti e lingue si cercarono con necessità, ma senza ingordigia. Mani esplorarono spalle piegate dalle fatiche di una vita vissuta nel Mondo delle Ombre durante una guerra senza senso, e petti si scontrarono per sentire cuori che facevano vibrare le corde dell’anima. Alla cieca, Magnus e Alec raggiunsero la prima superficie utile per stendersi, cioè quella del divano di pelle nera. Non era confortevole, eppure aveva accolto talmente tanti feriti da potersi proclamare comodo, in qualche modo.

Caddero sui cuscini sparsi, Alec con la schiena e Magnus sopra di lui, la vestaglia che gli era scesa da una spalla e mostrava la curva di pelle ambrata perfettamente definita. Alec si sbarazzò degli inutili ornamenti, gettandoli a terra, e si concentrò su Magnus, prendendo il suo viso tra le sue grandi mani. Quando lo faceva, Magnus non provava imbarazzo o fastidio. Col volto totalmente immerso nei palmi di Alec, si sentiva al caldo, sicuro, protetto. E di certo Magnus non aveva mai avuto bisogno del principe azzurro, ma era bello poter contare su qualcuno. Era bello venire accolti così da qualcuno di speciale. Era bello condividere quel sentimento che non lo spaventava più, ma lo avviluppava come una coperta di lana in un giorno d’inverno.

“Magnus, ti va di farlo?”

Era incredibile, ma Alec glielo domandava sempre.

Non era come se gli chiedesse il permesso, ma più come se si accertasse che entrambi volessero lo stesso. E Magnus non si ricordava risposte troppo serie a quel semplice quesito, perché solitamente, a quel punto, gli aveva già chiuso le labbra con un bacio che gridava “Sì, sì, lo voglio.”
Le parole, a volte, erano davvero superflue, quando i gesti parlavano per loro.

Magnus iniziò un nuovo bacio, più appassionato, più necessitante, e strati di tessuto inutili vennero spediti altrove. Non c’era più freddo, non c’era più solitudine, ma solo due corpi incandescenti che potevano essere cambiati, potevano aver subito traumi e attacchi, potevano aver sofferto, ma si conoscevano meglio di quanto avrebbero potuto immaginare. Ambivano uno le curve dell’altro come un assetato nel deserto, e non ci volle molto prima che le loro nudità uscirono allo scoperto, esponendo ciò che era riservato di vedere solo a loro due.

Si toccarono, si annusarono, si scoprirono. Polpastrelli graffiarono, labbra lambirono, pelli strisciarono e ansiti decorarono sonoramente il silenzio del loft, scandito solo dall’incessante battito della pioggia fuori dal loro nido.

Gemettero e piansero insieme, per quel piacere che non aveva niente di sbagliato, ma una carica emotiva così forte da stordirli da capo a piedi, e Magnus, appagato e innamorato, non abbassò mai lo sguardo, perché Alec gli aveva chiesto di non farlo, e perché anche lui aveva realizzato di non voler abbandonare quello del suo ragazzo. I suoi occhi verdi erano ancora lucidi, e una lacrima scese dalle ciglia, percorrendogli la tempia. Magnus la baciò via, e si allungò verso il suo lobo mormorandogli parole tenere, vere, che fortificavano la bolla d’affettuosità in cui erano rintanati.

“Ti amo, mio Alexander,” gli disse Magnus con la voce ancora impastata dalle urla di piacere, per poi accoccolarsi sul petto nudo di Alec e posargli un bacio sul cuore, il quel punto dove avrebbe dovuto esserci una cicatrice, se solo Alec fosse stato ferito da un’arma demoniaca. Ma era stata una sua stessa freccia a trafiggerlo, conficcata dal suo stesso Parabatai, e Magnus sapeva che in quell’esatto momento, Alec ci stava pensando, seppur felice di quello che avevano appena condiviso.

“Ti amo anch’io,” replicò il giovane.

Come immaginato, Alec lo strinse un po’ più forte a sè e lo baciò sulla fronte, in un gesto così intimo, forse anche più dell’atto sessuale per sé.

I primi brividi di freddo li colpirono improvvisamente, e normalmente Magnus avrebbe evocato una coperta, ma non poteva più, per cui, nonostante gli dispiacesse interrompere quel momento perfetto, provò ad alzarsi, ma Alec fu più veloce: raccolse la sua vestaglia e lo coprì sulle spalle, per poi spostarsi dalla posizione in cui era e lasciare il posto ancora caldo della sua sagoma a Magnus, che ci si rifugiò più che volentieri, come un gatto che trova un giaciglio tranquillizzante.

Alec abbandonò il sofà e poi si accucciò su se stesso, all’altezza della faccia di Magnus. Gli si avvicinò e gli scostò i capelli che gli erano calati sulla fronte per via del sudore provocato dall’intensa attività fisica appena conclusa, insieme all’ombretto e alla matita colata sotto le palpebre. Quando Magnus realizzò lo stato improponibile in cui doveva apparire, cercò di portarsi la mano libera al viso, ma Alec gliela bloccò, intrecciando le loro dita insieme. Lo penetrò col suo sguardo affettuoso, quello che riservava ad una cerchia davvero ristretta di persone, e gli posò un casto bacio su un occhio, poi sull’altro. Magnus rimase un po’ confuso, ma poi Alec gli sorrise.

Non esisteva vista più bella al mondo del sorriso sincero e spensierato di Alexander Gideon Lightwood.

“Vado a preparare la vasca, così ci facciamo un bel bagno e ci scaldiamo, va bene?”

Magnus incurvò gli angoli della bocca all’insù, con spontaneità, e ricambiò con un bacio sulla punta del suo naso.

“Sarebbe perfetto,” sussurrò soddisfatto, e cercò di ignorare le farfalle che ancora, incredibilmente, svolazzavano nel suo stomaco in tumulto. Alec fece per alzarsi, ma Magnus si tirò su a sedersi e lo prese per un polso, costringendolo a rimanere nella sua zona personale. Volse lo sguardo nella sua direzione e non aspettò un attimo di più, gli parlò col cuore in mano.

“Non importa quello che ho perso, quello che è successo nel passato, Alexander. Esiste, ma posso superarlo. Voglio superarlo. Ora mi importa solo di noi, di tutto quello che il futuro avrà da offrirci. E se saremo insieme, allora non temo niente. Fintanto che avrò te, non mi mancherà mai niente. Il nostro amore è tutto quello che conta. Con esso, supereremo tutto. Io non ho paura. Non più, grazie a te.”

Passarono secondi che parvero come un’eternità, con Alec ancora in piedi e Magnus che sapeva di aver perso la vestaglia che Alec gli aveva precedentemente accostato sulle spalle. Non gli importava. Erano nudi, nessuna barriera tra di loro, fisica o emotiva che fosse. Erano loro due, Magnus ed Alec, Alec e Magnus, niente di più, niente di meno. E si bastavano. Si completavano. Si cercavano come due magneti, pur provenendo da poli opposti. Si vestivano di un amore di altri tempi, uno di quelli destinati ad esistere per sempre nel ricordo dei testimoni di tale incanto. Erano poesia di metafore immaginarie, ma vissute con scene reali, con sofferenza, con coraggio, con spirito di fuoco.

Alec porse le sue mani verso Magnus, che comprese il suo invito e lo raggiunse. Guardandoli dall’esterno, si sarebbe anche potuto dubitare che stessero respirando, tale era la profondità dei loro sguardi. I piedi toccavano terra, rinvigorendosi un poco del calore ancora causato dal riscaldamento a pavimento, ma i loro pensieri volavano verso antri non concessi ad altri che non fossero loro due.

Alec si avvicinò ulteriormente, i lineamenti del volto che toccavano quelli di Magnus, e non scostò mai il raggio visivo. Magnus provò brividi di aspettativa, prevedeva parole che, lo sapeva, lo avrebbero toccato dentro. Intrecciarono nuovamente le loro mani, poste ai lati dei fianchi. Alec sembrò improvvisamente agitato, ma anche incredibilmente sicuro, determinato. Magnus provò un po’ d’orgoglio, consapevole di essere, in parte, la causa di quella forza conquistata.

Poi, improvvisamente, Alec si chinò a terra, in quella posizione tipica che Magnus aveva visto in migliaia di commedie romantiche, viste sempre con Catarina o i suoi gatti mettendosi lo smalto o bevendo Martini alla velocità di un battito di ciglia, o, meglio, di dita. Solo, quella volta non era per finta. Non era una fiction. Quella volta, Magnus era il protagonista della propria storia.

“Magnus, una volta, due mesi fa, mi hai detto che il matrimonio è una magnifica istituzione, e che tu… che tu non ne sapevi perché non lo avevi mai provato. E non ne sapevo niente nemmeno io, non lo volevo, non amavo Lydia, non avrei mai potuto trovare la felicità con lei. Ma poi sei arrivato tu, bellissimo e fiero come un Angelo, e hai sconvolto tutte le mie convinzioni, hai ribaltato il mio mondo. Non potrò mai ringraziarti abbastanza.”

Magnus era muto, immobile. Non riusciva a parlare, a muoversi. Temeva persino di sbattere le palpebre. Dipendeva totalmente dalle parole senza senso di Alec, il quale prese fiato, guardò a terra per poco e poi proseguì, stringendo ulteriormente le dita attorno alle sue.

“In queste ultime settimane ho iniziato a desiderare di più. Volevo passare ogni momento libero con te, perché tu sei la persona che amo, l’unica che amerò, per sempre. Non ho il minimo dubbio su questo, ed è per questo che ho pensato che valesse anche per te.”

Il tono di voce di Alec si abbassò di un tono, come se avesse d’un tratto ricordato qualcosa di malinconico. Una ruga gli comparve tra le sopracciglia, e Magnus desiderò di poterlo rassicurare, ma in qualche modo sapeva che non doveva interrompere quel momento che gli appariva totalmente impossibile.

“Però ho peccato di egoismo. Quando ti ho chiesto di vivere insieme, non ho pensato di chiedere cosa volessi tu. Cosa ne pensassi. E questa è casa tua, per di più. Poi ho sbagliato ancora, e ho ficcato il naso dove non dovevo…”

Un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. Perché Magnus sapeva di avere la sua parte di colpe in quella faccenda, che non aveva reso partecipe Alec del suo passato, non integralmente almeno, ma non era stato facile.

Non lo era mai stato.

“Alexa –” fece per dire, ma fu interrotto prima di poter proseguire.

“No, ti prego, Magnus, fammi finire. Quello che hai detto, era vero, ma ora, le cose sono diverse. Ho rischiato di morire. Per davvero. Se non ci fossi stato tu, Jace non sarebbe salvo e io, probabilmente… non voglio nemmeno pensarci, ma il punto è che ora siamo qui, e siamo vivi, e non sappiamo cosa ci aspetta e quanti giorni di vita Lilith e Raziel ci doneranno ancora, ma io so una cosa: che voglio passarli tutti con te. E ci sono mille pericoli, e non avrò pace finché Clary non sarà qui con noi e il mio Parabatai potrà finalmente tornare a vivere, e mille insidie ci attendono e non posso prevedere il futuro che mi spaventa, lo ammetto, e nessuna Runa potrà mai cambiarlo. Ma tu mi dai la forza di lottare, perché so che ho un posto a cui tornare, e quel posto sei tu. Io amo la mia famiglia, farei di tutto per loro, ma con te… quello che sto cercando di dire è che forse sono un po’ all’antica e, in quanto Shadowhunter, la tradizione vive inevitabilmente in me. Ma sto cercando di modificare quelle leggi basate sull’ignoranza e la paura, e ci riuscirò, Magnus, se avrò te al mio fianco. Insieme, come una famiglia a tutti gli effetti, come marito e marito. Lo volevo prima, ma dopo quello che hai detto, dopo tutto quello che è successo… io non voglio più aspettare. Io voglio che ci sposiamo, Magnus, e voglio svegliarmi tutte le mattine con te al mio fianco, e preparare stufati insieme cercando di non avvelenare nessuno, e voglio andare ad un concerto di Beyoncé con te, fare viaggi senza portali, come una coppia qualsiasi, ma con un vincolo che ci unisca di fronte alla legge. La mia legge. Ora non è ancora possibile, ma ti prometto, Magnus, che cambierà. Cambieremo il Codice, insieme. Quindi… quindi sposami, Magnus Bane. Sposa me, Alexander Gideon Lightwood, e costruiamo qualcosa di significativo insieme. Questo è quanto di più posso fare per dimostrarti quanto mi importi di te.”

Magnus tremò a tal punto che le ginocchia, fino a quel punto stabili, si sciolsero come gelatina al sole, facendogli perdere l’equilibrio e costringendolo a piegarsi a terra.

Non sentiva più il rumore della pioggia, ma c’era solo quiete nella sua testa. Non pensieri assordanti, ma totale calma.

E piangeva.

Sapeva di stare piangendo, in silenzio. Non era il trambusto del temporale, ma la flemma costante e leggera della rugiada al mattino in un campo di fiori. Ad ogni stilla, si sentiva meglio. Più lieve, più rilassato, più radioso. Alec vestiva un’espressione confusa, speranzosa; i suoi occhi di giada brillavano di aspettativa.

Magnus puntò i suoi occhi verso Alec, e sorrise. Sorrise in un modo così genuino che altre gocce salate scesero sul suo viso arrossato, perché era felice, così dannatamente felice, e stava accadendo. In un momento in cui tante cose erano fuori posto e il pericolo era dietro l’angolo, ma stava accadendo.

E quel momento, in verità, era perfetto.

“Certo che voglio cantare ‘Best thing I never had’ a squarciagola con te, in mezzo ad una fiumana di gente che probabilmente odierai, e voglio mostrarti Copenaghen, Roma, Valparaiso, Anversa, Valencia… e tutto quello che vorremo. E impareremo a cucinare insieme, e tua madre sarà orgogliosa di noi, e ti sposerò. Sì, ti sposo. E sì, ti aiuterò a cambiare la legge, e verrà il tempo in cui tutti saremo felici, felice come sono io ora, Alexander. Come siamo noi.”

Alec strinse forte Magnus, quasi come se volesse inglobarlo a sé. Nascose il suo viso nell’incavo della spalla di Magnus, che a sua volta percepì la sensazione bagnata che ben conosceva, che stava provando in quello stesso momento. Magnus baciò l’epidermide del collo sensibile di Alec, proprio dove sorgeva la cicatrice della runa di blocco, e poi emesse una leggera risata. Lo abbracciò a sua volta, come se lo stesse cullando.
“Non dovremmo piangere, è un momento da festeggiare, questo.”

Magnus percepì le labbra di Alec stirarsi in un ghigno, e si beò di quel suono angelico. Lo avrebbe ascoltato per sempre. Per sempre. Per tutti i giorni della loro vita, lunga o beve che fosse.

“Mi dispiace di non avertelo chiesto con un anello, in un posto elegante e in un momento in cui avessimo almeno dei vestiti addosso, ma non ho resistito.”

Modesto, dolce, ingenuo Alexander, pensò Magnus. Lo amava così tanto anche per quello.

“Non lo avrei voluto in nessun altro modo. Anzi, non vedo l’ora di raccontarlo a–” e poi Alec si ritrasse di colpo, allontanando Magnus con le sue lunghe braccia diafane, lo smarrimento nei suoi occhi da sogno.

“Non a Izzy, per l’Angelo. Me lo rinfaccerebbe ad ogni occasione.” La sua espressione era mortalmente seria, e Magnus si dovette sforzare indicibilmente per trattenere l’ilarità.

“Va bene, allora facciamo a tutti una sorpresa. Glielo diremo insieme, quando vorremo. L’importante è che lo sappia io e che lo sappia tu. E compreremo degli anelli, e faremo tutto per bene. E ora facciamoci un bagno, perché siamo due disastri. Sento tutto il trucco rovinato sulle guance.”

Magnus cercò di divincolarsi con fare melodrammatico, ma Alec non lo lasciò andare. Lo guardò ancora, tanto intensamente che Magnus arrossì per l’imbarazzo di quell’occhiata tanto esplicita.

“Grazie,” fu tutto quello che la voce definita di Alec mise in atto. “Grazie perché mi ami incondizionatamente, nonostante tutto. Grazie perché mi hai permesso di uscire dal guscio e scoprire quanto sia meraviglioso amare sinceramente. Grazie per aver accettato di sposarmi.”

Magnus si impose un contegno e si ricompose un poco, affrontando quella dichiarazione con l’arma che più di tutte aveva sempre funzionato: l’ironia.
Il fatto migliore, poi, era che Alec non solo era capace di capirla, ma di apprezzarla persino.

“Beh, grazie a te per avermelo chiesto, marito mio.”

E poi eccolo, il pregiatissimo roteamento di occhi di Alec. Una volta, Magnus gli aveva chiesto di mostrargli come riuscisse a farlo così bene. Aveva ottenuto un rifiuto, ma un bacio sulla mandibola e parole sibilline più tardi, Alec aveva ceduto. Alla fine, capitolava sempre con Magnus. Ma poteva davvero considerarsi una sconfitta assecondare i capricci del proprio amato?

“Vieni qui, marito mio,” gli fece eco Alec, provando ad alzarsi con la chiara intenzione di raggiungere il bagno.

In quel momento, un profondo, corroborante fascio di energia positiva si fece largo nelle membra stanche di Magnus, lenendo la sua intera figura. Si sentì bene, così bene che tutto ciò che fece fu unire le sue labbra a quelle di Alec, in un bacio improvviso, timido, che ben presto si fece impetuoso e veemente. Un bacio che suggellava una promessa, l’impegno di due persone che sapevano essere legate da un filo invisibile, e che, prima o poi, si sarebbero unite ufficialmente, per diritto.

Perché a volte, accadeva.

Si creavano nuovi ricordi, più forti, imponenti, incredibili dei precedenti, e allora bisognava lasciare andare i vecchi e fare spazio ai nuovi, al futuro, con tutte le sue possibilità. Alec era pronto e, questa volta, anche Magnus lo era. Lo erano entrambi, uno per l’altro.

Lo sarebbero sempre stati.

Insieme.
 
Fine
 
Nda:
Se avete dato una chance a questa fanfic e siete arrivati fin qui, grazie, grazie davvero. So che le tempistiche sono alquanto bizzarre, ma è di Shadowhunters che stiamo parlando, dopotutto. Gli stessi autori hanno reso noto che dal matrimonio mancato di Alec ad oggi sono passati solo due mesi, quindi…

Chiedo perdono per la mancanza di dettagli sul che cosa sia Magnus ora, ma ahimé, non ci sono contenuti aggiornati sulla 3b che mi permettano di supporre, e preferivo attenermi al canone che nel finale della 3a lo vede ancora in grado di scagliare una magia potentissima, per poi perderne la capacità.

Comunque, questo missing moment nasce dal rumor (ormai sempre più quotato e documentato) del matrimonio del secolo aka quello dei Malec, così ho pensato di dare una versione della proposta. Questo è il primo lavoro che decido di pubblicare qui, per cui sareste davvero gentili a lasciarmi un commento, positivo o negativo che sia!

Dopo questo poema di nota, vi saluto e vi auguro il meglio.

A presto,

Amelia
 
   
 
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