Non più di cinque minuti.
È mercoledì, quello che di solito è il suo
giorno
libero, ma sfortunatamente soltanto il suo. E questo lo rende un po'
inutile
dopo tutto. Incrocia le braccia sul cuscino e guarda imbronciato l'alta
figura
in vestaglia che svolazza qua e là per la stanza, con addosso solo i
pantaloni
del pigiama. È così sottile Matteo, alto e sottile, senza un filo di
muscoli.
Perfettamente intellettuale. Lui invece no, non ha abbandonato il nuoto,
nonostante sia passato in secondo piano rispetto alla medicina. L'amore
più
grande aveva vinto, vinceva sempre alla fine. E sorride appena a quel
pensiero,
facendosi luccicare gli occhi di soddisfazione. Matteo a quella vista si
blocca, la camicia appena abbottonata e la cravatta ancora penzolante
intorno
al collo.
“Che succede?” e lo fissa
con gli occhi
chiari semi dischiusi. Marco tace, si gira su se stesso e si stiracchia.
Facendo buona mostra di quel petto, così possente, eppure così armonico,
che
s'era fatto con gli anni. Il lenzuolo gli arriva ai fianchi e lo sguardo
di
Matteo si blocca lì.
“Fermati adesso” gli ordina perentorio e poi sparisce nell'altra stanza.
Marco
sbuffa, imbronciandosi appena.
“Ma ci devi proprio
andare? Secondo me
saremmo tutti molto più contenti se tu restassi qui”.
E ciò detto scivola fuori dal letto, arrivandogli alle spalle in una
mossa
assolutamente sleale, avvolgendogli la schiena con le braccia, mentre
appoggia
la testa sulla sua spalla. Si guardano riflessi nello specchio del
bagno.
“Ci devo proprio
andare” mormora
l'altro, ora un poco meno sicuro. Marco chiude gli occhi e inspira.
Niente più
muschio, al quindicesimo vasetto che spariva misteriosamente da casa,
Matteo
aveva deciso di optare per un altro aroma.
“Lo sai che i miei
studenti non
possono vivere senza di me” - sorride fra le parole Matteo e poi si
volta,
abbracciandolo a sua volta - “sii buono e aspettami” e ciò detto si
china e lo
bacia. Un bacio lungo e pieno di un sacco di allettanti promesse. E poi
c'è
Marco, notoriamente il tipo più paziente del pianeta, che se lo stringe
addosso
in un chiaro 'o adesso o niente'; ma la risata roca e morbida che gli
arriva
dritta sulle labbra, lo convince che questa volta non l'avrà vinta.
Infatti
Matteo si allontana e scuote il capo, sempre quel maledetto sorriso
sulle
labbra, tutto sesso e cannella. L'altro annuisce e manda gli occhi al
cielo,
incrociando le braccia sul petto.
“A dopo allora” - e
solleva un
sopracciglio - “buona lezione, prof” conclude poi, entrando nei
pantaloni del
pigiama con un paio di gesti che nel complesso appaiono come un
movimento solo.
Poi grattandosi il retro del capo, scompare ciondolante in salone.
Matteo è ancora settato su quel 'prof'. Detto in quel modo
e
sa perfettamente che ogni sacrosanta volta in cui qualcuno dei suoi
studenti lo
chiamerà così in quella maledetta giornata, sarà come ripetere il
sacrificio.
Ogni. Dannata. Volta. Sospira, afferra la valigetta ed esce dalla
stanza. Solo
per trovarsi davanti Marco seduto sulla credenza con i piedi ciondolanti
e la
bocca piena di biscotti. Quando lo vede, solleva gli occhi blu si di lui
e
finge una certa indifferenza, come se non lo sapesse, lui, di essere la
sua
orrenda droga. Da sempre. Matteo sospira ancora e lascia cadere la
valigetta.
“Non più di cinque
minuti”.