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Autore: seavsalt    28/10/2018    2 recensioni
Ogni notte Henryk salvava Gascoigne. Non squartando bestie con la sua mannaia prima che queste ultime lo divorassero, ma con la sua musica.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Padre Gascoigne
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Le lunghe dita del castano che si muovevano velocemente sui tasti del pianoforte erano la sua cosa preferita. Amava stare a sentirlo suonare nel suo salotto, seduto sul divano davanti al camino, magari mentre fumava. Henryk, occhi socchiusi e concentrati sulla musica, capelli riccioli e marroni imperlati di sudore, stava benissimo in camicia quella sera. Aveva le maniche tirate su per il caldo e faceva passare freneticamente le dita da un tasto a un altro senza sosta.

“Vuoi fare una pausa?” gli aveva chiesto con delicatezza.

“Sto suonando, Gascoigne. Fai silenzio.”

L’argenteo amava ascoltare la sua musica, soprattutto dopo una stancante notte di caccia. L’odore e il sapore del sangue, le urla delle belve, le strade fredde e bagnate: solo Henryk seduto a un pianoforte poteva fargli dimenticare tutte quelle sensazioni.

“Mi piace questo pezzo. Come si chiama?”

Henryk si portò alle labbra il bicchierino di whisky.

“Secondo te come si chiama?”

Gascoigne lo guardava deglutire l’alcolico. In quel momento gli girò la testa.

“Non lo so. ‘Whisky’?”

“E allora si chiama ‘Whisky’.”

Henryk posò il bicchierino e suonò quel pezzo di nuovo.

 

Dopo ogni notte, Gascoigne guardava il suo compagno di caccia da dietro le bende e gli chiedeva, sussurrando: “Henryk, suoneresti per me?”

Ed Henryk lo prendeva per mano e lo portava per le strade di Yharnam, non più così fredde e inquietanti, non più colme di urla di belve, fino ad arrivare nel salotto di Gascoigne. Il castano amava il suo pianoforte. E amava anche lui, ma non glielo disse mai.

 

Ogni notte Henryk salvava Gascoigne. Non squartando bestie con la sua mannaia prima che queste ultime lo divorassero, ma con la sua musica. L’argenteo era in estasi quando lo ascoltava e lo guardava suonare, ai suoi occhi appariva come un angelo. Una notte Henryk non arrivò a caccia e Gascoigne impazzì. Tornò a casa, rovesciò le sedie, il basso tavolino che teneva davanti al divano, si strappò la camicia di dosso e tirò via le bende dagli occhi. Occhi azzurri, glaciali, freddi. Senza Henryk e la sua musica, Gascoigne aveva freddo. Ruppe persino la bottiglia di whisky, ormai quasi finita a causa del suo musicista. Fu quella notte che Viola, la vicina, lo conobbe. Tutto quel rumore, in contrasto con l’usuale e divina musica del pianoforte, l’avevano fatta preoccupare e si era precipitata a bussare alla porta di Gascoigne. Era stata gentile, dopotutto. Lo aveva aiutato a sistemare quel disastro, lo aveva calmato. L’argenteo era confuso, sentiva dolore al petto. Ci fu un bacio tra i due, lento, ma non passionale come quelli che gli dava Henryk, che lo scaldavano e lo facevano sentire al sicuro. Viola tornò a casa. Gascoigne sentiva più freddo di prima.

 

Henryk non si presentò per le due settimane successive. Gascoigne cercava in tutti i modi di trattenersi, ma si trovava sempre a finire a casa di Viola. Colmava quel vuoto che aveva nel cuore, ma non era mai abbastanza. Non lo scaldava. Non lo calmava. Quando tornava a casa sua si sentiva più vuoto di prima. Dormiva a casa di Viola, per non impazzire. Andò a letto con lei e la mise anche incinta, senza saperlo. Poi, una notte miracolosa, Henryk tornò.

“Dove diamine sei stato?”

Henryk si appoggiò al muro di una stretta via di Yharnam.

“Ero malato. Non sei venuto a trovarmi.”

Gascoigne abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa.

“Ero malato anch’io.”

 

Le notti successive qualcosa cambiò. Alla domanda di Gascoigne di suonare per lui, Henryk non rispondeva sempre di sì. ‘Sono stanco’, ‘Non ho ispirazione’, ‘Ho mal di testa’ erano le scuse che accampava per non entrare nel suo salotto. L’argenteo passava sempre più tempo con Viola, ma continuava a sentire freddo. Pensò che Henryk si fosse stancato di lui, che avesse fatto un passo falso quando non lo aveva cercato per due settimane. Gascoigne non poteva certamente stare senza Henryk. Così, una notte, dopo la caccia, ansimante per la fatica appena fatta, glielo disse.

“Non posso stare senza di te, Henryk.”

Il castano lo guardò con gli occhi ambrati da dietro la sua mascherina e il suo cappello tipicamente gialli, così come il cappotto e gli stivali in pelle.

“Vieni con me.”

Lo prese di nuovo per mano dopo tanto tempo e lo portò nel solito posto, davanti al solito caminetto, accanto al solito pianoforte. Sopra allo stesso tavolino, però, c’era una scatola di legno. Era molto graziosa, aveva molte rifiniture in argento e una manovella sul fianco. All’interno, attaccato al coperchio, un foglio bianco.

“Sono stato tutte queste ultime notti a farti questo. Con qualche aiuto.”

Gascoigne si voltò verso di lui con aria interrogativa.

“Gira la manovella.”

L’argenteo fece come gli era stato detto e all’improvviso nella stanza risuonò ciò che non sentiva da troppo tempo. La melodia angelica che il castano gli suonava sempre era lì, in una piccola scatolina. Quella scatolina diventò immediatamente ciò che aveva di più caro al mondo.

“È il mio pezzo preferito.”

“Già. Lo avevamo chiamato ‘Whisky’, vero?”

Gascoigne ascoltava la canzone a occhi chiusi, stringendo la scatolina nei palmi delle mani.

“Chissà perché l’hai voluta chiamare così, poi. Lo sai solo tu.”

Da quel momento l’argenteo portava il carillon sempre con sé.

 

Una notte, appena finita la caccia, Gascoigne aveva perso Henryk. Lo chiamava, correndo per tutte le strade di Yharnam, guardando dentro ai pozzi, dietro alle statue, sotto ai cadaveri delle belve. Mentre camminava sull’attenti sopra la pavimentazione bagnata di una piccola piazza, sentì il grugnito di una belva. Evidentemente la caccia non era ancora finita. Si affrettò a cercarla e a ucciderla, per poter poi trovare Henryk più liberamente e con più calma. Quando riuscì a vederla, stava mangiando il cadavere di un povero cacciatore. Gascoigne non pensò due volte a conficcarle l’ascia nel cranio, dividendolo in due, permettendo al sangue della creatura di sporcargli il cappotto mentre quest’ultima cadeva a terra con un rumore sordo. L’argenteo fece per tornarsene indietro, ma un particolare attirò la sua attenzione: il cadavere aveva un cappotto giallo. Vedendolo meglio anche i guanti e gli stivali di pelle erano gialli. I suoi occhi terrorizzati e spalancati insieme alla bocca in un’espressione di estremo dolore erano del colore dell’ambra. I capelli erano riccioluti e marroni. Gascoigne cadde in ginocchio, mani strette attorno al carillon.

“Ti prego, alzati e suona per me. So che puoi farlo.”

Nessuno gli rispose.

 

Gascoigne si sposò con Viola dopo un mese dall’accaduto e dopo qualche altro mese gli nacquero inaspettatamente due figlie. Sua moglie era l’unica a poterlo salvare dalla pazzia, ma andando avanti la situazione peggiorava. Quando andava alla tomba di Henryk, Gascoigne ci rimaneva per più di un’ora, occhi vuoti e fissi su di essa, senza proferire parola. Ormai cacciava da solo e tornava a casa ebbro di sangue, ché non si ricordava più nemmeno della sua famiglia. A quel punto Viola faceva suonare il carillon. E Gascoigne, raggiunto dalla calda musica della scatolina, rimaneva fermo in ascolto fino a calmarsi. La moglie lo abbracciava e per lui era come se non fosse successo nulla. Gli rimaneva solo un po’ di mal di testa.

“Vedere tutto quel sangue ti fa male, caro.” lo rincuorava Viola.

Andando avanti col tempo, passava sempre più tempo alla tomba di Oedon, dove era sepolto anche il suo vecchio amico musicista. Impazziva, si dimenticava del carillon e uccideva chiunque passasse da lì e poi ne mangiava i resti. Così come fece con sua moglie, che lo aveva cercato, preoccupata dai suoi numerosi giorni di assenza, lasciando le figlie sole e indifese. Era una belva. Senza Henryk, Gascoigne non era nient’altro che una belva. E le belve andavano cacciate.

 

Ogni cacciatore che passava davanti alla finestra illuminata della casa dei coniugi Viola e Gascoigne veniva fermato da una bambina, che gli diceva con voce innocente e tremante: “Puoi aiutarmi a trovare mia madre?”

Nessun cacciatore si fermava mai ad ascoltare la piccola: si dice che solo un coraggioso l’abbia aiutata.

“Oh, grazie, buon cacciatore! Mamma è partita da casa per caricare mio padre, ma si è dimenticata il suo carillon. Sa, quando papà torna a casa a volte si dimentica di noi, quindi per aiutarlo lo facciamo suonare!”

Così si racconta che quel buon cacciatore accettò il carillon e lo portò con sé. E la bimba rispose: “Se trovi mia madre dalle questo carillon, per favore!” senza sapere che suo padre era una belva e che quella belva era già stata cacciata.

Secondo i racconti del popolo di Yharnam, il buon cacciatore aprì il carillon. Sul foglio attaccato all’interno del coperchio vi era scritto qualcosa, ormai sbiadito.

Ma ancora vi si leggevano due nomi:

“Henryk e Gascoigne”.

 

   
 
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