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Autore: Anja Smith    28/10/2018    6 recensioni
Arras, ai giorni nostri. Il magnate della finanza Savinien Philippe de Jarjayes sta morendo. Sua figlia Françoise torna alla casa d’infanzia per rivolgergli l’estremo saluto, e forse per riuscire a ricomporre il burrascoso rapporto con suo padre che ha portato alla rottura di molte cose nella vita di lei, non ultimo il suo matrimonio con André. Ispirata dalla canzone degli U2 (di cui sono fan e sui quali ho scritto una minific nella sezione dedicata) che uso anche nel titolo, ecco il mio ritorno a casa di una moderna Oscar. Spero posssiate gradire.
Anja
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mentre percorreva l’autostrada in direzione di Arras, Françoise avvertiva l’avanzare della tensione che le percorreva la spina dorsale come una sottile lamina d’acciaio. Le macchine a noleggio non le erano mai piaciute, impiegava troppo tempo ad abituarcisi e comunque riusciva sempre a trovarvi qualcosa che non andava: ora era la posizione della levetta dei fari, ora era quella delle frecce. Questa volta le era difficile trovare la giusta distanza tra il sedile di guida e il volante, e lo schienale rimaneva inesorabilmente troppo dritto per i suoi gusti, e sin dalla partenza era stata costretta a guidare poggiando il piede storto sul pedale dell’acceleratore. Provò di nuovo a raspare sotto il sedile mantenendo gli occhi fissi sulla strada: le sarebbero bastati solo pochi centimetri indietro per alleviare quei fastidiosissimi crampi che avvertiva alla caviglia e, se non ci fosse riuscita guidando, avrebbe dovuto assolutamente fermarsi e trovare una soluzione.
Improvvisamente il sedile scattò con un movimento brusco e rapido, sbalzandola indietro di diversi centimetri. D’istinto Françoise distolse gli occhi dalla strada e per una frazione di secondo staccò le mani dal volante: bastò quello affinché la macchina prendesse a sbandare oltrepassando la striscia bianca. Lei riacquistò immediatamente la calma e, come in una scena al rallentatore, sentì le sue mani riavvicinarsi al volante e i suoi occhi riprendere il comando della visuale. Dallo schermo che le offriva il vetro vide un enorme camion che le si avvicinava e le piombava addosso. Costruzioni edili Rocher, lesse, sorpresa dalla lucidità con cui osservava tutto questo. I fari della cabina di guida erano forti, chiarissimi, e le gocce di pioggia che cadeva incessante da quando si era messa in marcia amplificavano la luce come in un grosso specchio deformante. Sterzò violentemente a destra mentre il clacson del camion le perforava violentemente le orecchie; venne sbalzata in avanti e sbatté il mento contro lo sterzo, poi la cintura la bloccò respingendola bruscamente all’indietro; infine, quasi sobbalzando, la macchina si spostò dalla traiettoria del camion e si arrestò sul bordo della strada.
Un pugno chiuso emerse all’improvviso dal buio, picchiando rabbiosamente sul vetro.
- Ehi! -, gridava una voce concitata, - Che cazzo volevi fare, eh?
Lei si voltò verso l’uomo che sbraitava dietro al vetro, voluminoso come il giubbotto imbottito che lo avvolgeva. Aveva parcheggiato il camion più avanti con le quattro frecce inserite. Françoise pensò che avrebbe dovuto farlo anche lei e le dita della sua mano si allungarono a tentoni verso i pulsanti del cruscotto.
- Tutto bene? -, continuava a gridare l’uomo. Nonostante il volume della voce, il suo tono sembrava più impaurito che arrabbiato, e il suo volto paonazzo era imperlato di gocce di sudore che si confondevano con la pioggia.
- Sì -, annuì lei, rinunciando una vota per tutte a trovare le quattro frecce.
L’uomo picchiettò ancora il suo indice sul vetro.
- Potresti abbassare, eh? -, incalzò, - Cristo santo!! Lei premette il pulsante del finestrino elettrico e l’uomo infilò dentro la testa, paonazzo.
- Deficiente! -, inveí, - Sai che avresti potuto ammazzare tutti e due, eh? La gente come te non dovrebbe girare!
Françoise lo fissò desolata, annuendo.
- Mi dispiace -, disse, - Stavo cercando la levetta del sedile e mi sono distratta. Mi dispiace davvero.
Per un attimo l’uomo la fissò senza rispondere, con la bocca semiaperta.
- Ma certo, certo! -, esclamò poi ironico, - Ce la caviamo con un “mi dispiace”! Ma io mi prendo il tuo numero di targa, sai? E se ti becco di nuovo a fare casino...
Dette un colpo violento al tettuccio della macchina con il palmo della mano senza terminare la frase, poi si allontanò a larghe falcate verso il camion. Françoise lo vide arrampicarsi in cabina e accendere il quadro dei comandi, infine rimettersi in strada e ripartire spedito.
Lei si abbandonò all’indietro sullo schienale e chiuse gli occhi. Rivide tutta la scena: il manto stradale lucido di pioggia, le sue dita che annaspavano sotto al sedile, le grandi lettere dell’insegna del camion. Inspirò a fondo l’aria della notte novembrina, poi sollevò le palpebre e slacciò la cintura di sicurezza. Rimase seduta per qualche minuto, respirando a lungo e scostandosi diverse volte i capelli che le ricadevano umidi sulla fronte. Infine gettò uno sguardo al cruscotto, dal quale le cifre dell’orologio le mandavano rossi bagliori intermittenti.
Improvvisamente ripensò alla telefonata che aveva ricevuto quella mattina stessa e che oramai le sembrava essere avvenuta un secolo fa.
- Avvocato de Jarjayes? Sono la dottoressa Montpellier, non ci conosciamo ma ho in cura suo padre da diverso tempo. Purtroppo la chiamo per darle una brutta notizia....la salute di suo padre ha avuto un brusco peggioramento da qualche mese a questa parte e... ecco, questa notte ha avuto un ictus e le sue condizioni....
Con uno sforzo Françoise si raddrizzò sul sedile e afferrò saldamente il volante. Doveva ripartire, era quasi arrivata.



***********

Françoise scese dall’auto chiudendo lo sportello con uno scatto sicuro, nonostante i brividi che le scuotevano sottilmente tutto il corpo. Era così tutte le volte che tornava alla villa, e non era un caso che nel corso degli anni avessi cercato di limitare le sue visite al minimo indispensabile. Ora che ci pensava era trascorso un anno dalla sua ultima visita, e in quel lungo lasso di tempo suo padre non aveva fatto il minimo accenno alle sue condizioni di salute. Del resto le loro telefonate erano sempre rapidissime, quasi comunicazioni di servizio in cui ciascuno dei due si limitava a pochi convenevoli che avevano lo scopo di ammantare di lieve interesse quelli che in realtà erano rapporti ben poco più che civili. All’improvviso si rivide bambina, in piedi davanti a uno sguardo severo, e tutti gli anni di astio e incomprensioni le si scaraventarono addosso con un peso tale da farla quasi vacillare. Fece un passo indietro e allungò la mano a tentoni fino alla macchina: per qualche istante rimase con il palmo gelido appoggiato al metallo bagnato della carrozzeria, poi inspirò a fondo e si staccò dall’auto, sentendosi nuovamente adulta e padrona della situazione da affrontare, qualunque essa fosse.
Avanzò a passi decisi verso la silhouette scura della villa, e trasalì quando, oramai a pochi metri da lei, la luce si accese e la porta di ingressò si aprì con un movimento rapido.
Avrebbe riconosciuto la figura tra mille, forse centomila.
André.
Erano quasi due anni che non lo vedeva, ed era l’ultima persona che lei si sarebbe aspettata di vedere in quel frangente.
- André -, riuscì a dire solamente, cercando di tenere a freno i battiti convulsi del cuore.
- Ciao, Françoise -, la salutò lui semplicemente, stendendo il braccio per prendere il bagaglio di lei.
Lei deglutì a secco. Non era cambiato: le stesse spalle larghe, la stessa figura slanciata, lo stesso sguardo semplice e penetrante al tempo stesso. Le sembrava solo più mesto, più composto, forse più stanco.
- Anche tu....qui? -, domandò, rendendosi immediatamente conto della stupidità di quella domanda.
Lui annuì gravemente. Erano rimasti sulla soglia della porta come nel fermo immagine di un film; intorno a loro, la nebbiolina serale disegnava densi aloni carichi di pioggia.
- Ho avuto la tua stessa telefonata -, rispose, - Tra i numeri che tuo padre aveva consegnato alla dottoressa Montpellier c’era anche il mio.
Si interruppe per un momento e la fissò a lungo prima di proseguire.
- In fondo -, osservò poi, - Sono ancora tuo marito.....
Lei avvertì un tremito nelle gambe. Conosceva quello sguardo di lui, più volte era sceso nelle profondità dell’anima scandagliandola come nessun altro al mondo aveva saputo fare. E anche adesso lo sentiva esplorare dentro di sé, alla ricerca della parte più recondita di lei.
- E....-, cominciò, cercando di apparire sicura, - Sei venuto qui....senza avvisarmi? Senza....
Lui la fermò sollevando rapidamente una mano.
- Non sapevo come e quando saresti riuscita ad arrivare da Londra, Françoise -, spiegò, -
E da Parigi a qui il tragitto è più breve, ho pensato che sarei potuto essere utile subito. E ho preferito non informarti perché...non volevo caricarti di troppe emozioni. < br> - L’aereo è decollato da Heathrow con quasi un’ora di ritardo -, osservò lei, di nuovo pensando a come quell’informazione fosse del tutto inutile e inadeguata.
André annuì, con il borsone di lei ancora in mano.
- Forse dovremmo entrare -, le disse, appoggiandole la mano libera sul braccio.
Françoise rabbrividì a quel tocco che le evocava inesorabilmente molti ricordi.
- Hai l’aria stremata -, proseguì lui appena furono nell’ampio soggiorno, - Perché non ti siedi?
Françoise si lasciò cadere nella poltrona, al tempo stesso confortata e irritata da quell’aria di estrema familiarità che ancora lui riusciva a comunicarle.
Il momento è durissimo e so che vuoi aiutarmi.
Ma cazzo, André, in questo modo.
Come se non fosse accaduto nulla.
Come se non fosse finita come è finita.
Come se non ti avessi mai lasciato.

- Come sta? -, chiese, senza troppi preamboli.
André le si sedette di fronte.
- Principalmente dorme -, rispose, - Gli hanno prescritto dei sedativi molto forti, o almeno questo è quello che penso.
- Ti riconosce?
Lui scosse la testa, dubbioso. Françoise ebbe la sensazione che stesse scegliendo le parole.
- Non ne sono sicuro -, rispose, - Ha aperto gli occhi una volta o due. Ma è difficile dirti se mi abbia riconosciuto o meno; in realtà non so neanche se mi ha visto, ecco....
André tacque di colpo, poi le voltò le spalle e cominciò ad armeggiare al grande caminetto di pietra che campeggiava nella grande sala.
Lei si guardò intorno, ripercorrendo con gli occhi quell’edificio che conosceva molto bene. Era un’antica costruzione settecentesca, grande e dispersivo, ma ogni volta che lei vi faceva ritorno si stupiva di constatare quanto essa fosse piccola rispetto al volume dei ricordi d’infanzia che vi erano contenuti. Lei e André potevano giocare a nascondino per una giornata intera nei due grandi piani della villa, o infrattarsi nella sua soffitta e rimanere per ore a raccontarsi storie e mangiare cioccolata senza che nessuno riuscisse a trovarli.
Guardando la schiena curva di lui, intento a riattizzare il fuoco nel camino, Françoise si sentì travolgere da un’ondata di emozione. Lui si voltò di scatto come se avesse percepito il suo sguardo, la faccia arrossata per il calore.
- Mi dispiace non essere arrivata prima, André -, disse soltanto.
Per la prima volta da quando si erano rivisti lui le sorrise dolcemente.
- Non preoccuparti -, rispose, - Lo hanno dimesso solo stasera, e io ero già arrivato da un paio d’ore. E da quanto ho capito la dottoressa Montepellier è anche una cara amica e sarebbe rimasta qui fino all’arrivo di qualcuno di noi. Inoltre, con lui c’è un’infermiera che lo ha assistito anche in questi ultimi tempi. Lo sta preparando per la notte, e poi....
- Io non sapevo niente, André! -, sbottò lei improvvisamente, alzandosi in piedi di satto. Bagliori di luce emanavano violenti dai suoi occhi azzurri.
- Niente, capisci? Né dell’infermiera, né delle sue condizioni, né.....
André avanzò verso di lei e le posò delicatamente una mano sulla spalla, costringendola a rimettersi seduta.
- No -, le intimò, la voce pervasa da un’improvvisa intensità, - Non ora, d’accordo? Non ora.
Il suo sguardo era fermo e Françoise avvertì la tenera autorevolezza con la quale le rivolgeva quelle parole. La testa le ricadde sul collo come se fosse di piombo, e per qualche istante rimase in silenzio a fissare il tappeto sotto ai suoi piedi. - Lo hanno dimesso -, chiese poi, con voce ferma ma flebile, - perché....?
André annuì in silenzio, poi le si inginocchiò di fronte e le prese con forza le mani fra le sue.
- Non ne avrà per molto -, disse poi.
Lei deglutì a vuoto, annuendo a sua volta. Lo aveva saputo nel momento stesso in cui aveva ricevuto quella telefonata. Continuò a osservare il tappeto, senza sapere cosa dire. Alla fine era già stato detto tutto e non c’era molto da aggiungere. Per qualche minuto fu la pioggia la sola a parlare, con il suo insistente tichettío sui vetri delle finestre; poi fu André il primo a parlare, schiarendosi la voce prima di iniziare. - Vuoi salire....vuoi che saliamo a vederlo?
Françoise sollevò la testa di scatto, guardandolo negli occhi.
- Sì -, rispose ferma, - Sì.  
   
 
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