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Autore: Penelope_a_rovescio    29/10/2018    1 recensioni
L’uomo piantò un lungo coltello nel petto del vampiro, e quando quello iniziò a contorcersi e a sibilare lo spinse ancora più a fondo fino all’elsa. Lo estrasse e pugnalò ancora una volta e un’altra ancora nello stesso punto, finchè il mostro non smise di agitarsi e di ringhiare. Poi l'uomo affondò entrambe le mani dentro la ferita, strappando il cuore e gettandolo di lato. (...) Per un istante rimase immobile, contemplando il volto del vampiro che aveva appena ucciso. Poi, esitando, gli poggiò due dita sulle palpebre e gli chiuse gli occhi.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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In ginocchio sopra il sedile di stoffa lisa, la bimba premette le manine contro la vetrata sudicia del bar.
-Mamma, guarda: non nevica più!-
La donna sollevò lo sguardo dal libro e osservò l’esterno. La neve imbiancava i campi e si ammassava ai margini della strada. Sul parcheggio antistante al bar, ormai quasi deserto, il viavai delle auto aveva trasformato la coltre bianca in una poltiglia fangosa.
Nuvole color piombo si accalcavano contro il cielo, spandendo sul paesaggio monotono la luce fievole del crepuscolo.
La donna pigiò nello zaino la copia sdrucita di “La regina dei dannati” e ne trasse fuori una sciarpina logora.
-Hai freddo, topino?-
La bimba staccò il naso dalla vetrata e si rannicchiò contro il suo fianco, scuotendo il capo.
La donna le pettinò con le dita i sottilissimi capelli castani.
-Allora niente sciarpa- concesse, cercando di suonare allegra.- Però mettiamo lo stesso il berretto di lana.-
Le calcò in testa un cappellino rosa, coprendole bene le orecchie con i paraorecchi.
Non voleva che la figlia prendesse un’otite come quella dell’anno prima: aveva avuto la febbre altissima e mezza faccia gonfia per una settimana. Ormai il peggio era passato, ma la bambina sarebbe rimasta quasi sorda da un orecchio e la donna non riusciva a perdonarselo.
La bimba si sistemò meglio contro il suo fianco e sbadigliò. -Quando arriva il bus?-
-Tra poco: non ti addormentare. Non devi andare in bagno?-
Uno strano, improvviso disagio spinse la donna a sfiorare il crocifisso che aveva al collo. Sollevò il capo e scrutò il locale. Il barista era scomparso da qualche parte sul retro; la giovane coppia seduta al bancone era già uscita.
La donna spaziò con lo sguardo in direzione della porta… e incrociò il volto di un uomo seduto a uno dei tavoli, che la stava fissando. La donna trasalì per la sorpresa. Aggrottò le sopracciglia, sperando di sembrare minacciosa, ma l’uomo rispose sollevando una mano in segno di saluto.
-Ti ho spaventata?-
La donna arrossì.
-Credevo fossimo rimaste sole.-
Nonostante la penombra, l’uomo portava un paio di occhiali dai vetri opachi, che rendevano ambigua la piega delle sue labbra.
-Ma che bella bambina! E’ tua figlia?- Si protese verso di loro, sorridendo senza mostrare i denti. -Che bellissimi occhi,-continuò in tono mellifluo.-Non blu, e nemmeno azzurri. Sono… di un perfetto color celeste, come i tuoi.-
La donna strinse istintivamente la bambina. Il tono cantilenante dell’uomo le insinuò una punta di ansia tra le costole. Quando era arrivato esattamente? Nel parcheggio non entravano auto da almeno un’ora, e lei non ricordava che lo sconosciuto fosse seduto lì un attimo prima, quando aveva sollevato lo sguardo dal libro per…
-Dove siete dirette?-
La donna si costrinse a stirare le labbra in un sorriso civile.
-Andiamo dal papà. Vero, topino?-
-Chissà quanto sarà felice di vedervi,- sorrise l’uomo. Era sarcasmo quello che grondava dalla sua voce?
Si sollevò sulla testa gli occhiali da sole e la donna colse un bagliore rossastro in fondo ai suoi occhi.
Stupido idiota con stupide lentine, pensò acidamente… ma non riuscì a scacciare la sensazione che l’uomo sapesse che non ci sarebbe stato alcun papà amorevole ad aspettarle al capolinea del bus.
Si mosse a disagio sul sedile.
Un pullman rallentò sulla statale, inserì la freccia e svoltò, parcheggiando sullo spazio antistante al bar. La donna saltò in piedi per il sollievo, radunando in fretta le proprie cose. Prese la bambina in braccio, strappandola all’assopimento.
-Facciamo la pipì e andiamo, topino.-
 
****
 
Quando uscirono dall’edificio dei bagni, infagottate nei piumini e con il piccolo trolley al seguito, l'uomo era in piedi davanti al fabbricato.
La donna si bloccò di colpo, con tutti i sensi in allarme. Il bar era chiuso, le vetrate ormai spente. Sotto la luce flebile che veniva dai bagni, l’uomo aveva il viso in penombra. I suoi occhiali erano spariti chissà dove e uno scintillio rossastro affiorava là dove dovevano trovarsi i suoi occhi.
Si avvicinò sorridendo, e quel sorriso ricordò alla donna tutti i mostri che aveva conosciuto: i killer, i vampiri e i licantropi dei suoi horror preferiti, certo, ma soprattutto i mostri che aveva incontrato fuori dai libri e dai film.
Istintivamente, la donna strinse un po’ più forte la mano della figlia, coprendola con il proprio corpo. Osò uno sguardo alle spalle dell’uomo: a parte le luci lontane del bus e quelle provenienti dai bagni, il piazzale era al buio. L’autista del pullman non era sceso, e dalla cabina illuminata non poteva vedere l’esterno. La neve aveva ripreso a fioccare, rendendo l’asfalto infido e scivoloso: uno scatto verso l’autobus, per di più con una bimba in braccio, era semplicemente impensabile.
In lontananza si un udì un rombo sommesso: l’autista stava iniziando a scaldare il motore.
Senza distogliere lo sguardo da quello dell’uomo, la donna lasciò la manina della figlia e le diede una leggera spinta fra le scapole.
-Topino, comincia ad andare verso il bus.-
La bambina fece qualche passo, poi si fermò, incerta.
-Mamma…?-
La donna la udì appena. Teneva i pugni contratti e le spalle incurvate, senza distogliere lo sguardo dall’uomo che si avvicinava.
-Puoi prenderti il portafogli, la valigia e tutto quello che vuoi. Basta che lasci stare mia…-
Non si accorse del manrovescio finché non sentì il bordo di un anello lacerarle la guancia. Fu sbalzata all’indietro e batté con l’occipite contro la parete; una manciata di stelle le esplose dietro le palpebre, disgregando sensazioni e pensieri. Una mano aperta le calò sulla faccia, mozzandole il fiato.
L’uomo la strattonò nell’oscurità dietro all'edificio dei bagni, la scaraventò a terra e si sedette a cavalcioni su di lei, inchiodandola al suolo col proprio peso.
Lontano, molto lontano, la donna udì il pullman partire. L’uomo le lacerò il bavero del piumino e le strappò la sciarpa dal collo, poi arricciò le labbra, snudando denti bianchissimi.
La donna sentiva la testa piena di gelatina, un pensiero galleggiò a fatica in superficie.
I canini…
Fece in tempo a notare quanto fossero lunghi prima di sentirseli affondare nel collo.
Incredulità e dolore si impastarono in un’unica sensazione senza nome.
La donna aprì la bocca per gridare ma l’uomo le schiacciò nuovamente una mano sulla faccia, soffocandola e costringendole il capo di lato. Con la guancia premuta contro l’asfalto, la donna sentì il corpo massiccio aderire al proprio e schiacciarle il torace.
Un… vampiro…?
I suoi pensieri, sempre più disordinati, iniziarono a sfaldarsi.
No...
Affondò le unghie nella mano dell’uomo e lottò per inghiottire un rivolo d’aria.
–…NO!-
Afferrò i capelli dell’assalitore e tirò più forte che potè.
Il vampiro ringhiò di sorpresa, le fauci si aprirono, perdendo la presa. La donna si strappò dal collo il crocifisso d’argento e glielo premette contro la guancia.
Questa volta il vampiro gridò davvero, un lungo ululato di dolore mentre sulla sua faccia si formava una piccola cicatrice fumante a forma di croce.
La donna ne approfittò per scalciare via quel corpo massiccio e strisciare maldestra all’indietro. Si levò a fatica in ginocchio.
-Mamma…?-
Si voltò in preda al panico: ai margini della pozza di luce a neon, c’era ancora sua figlia.
 
****
 
La donna si rimise goffamente in piedi. Si premette la mano contro la ferita viscida sul collo e incespicò verso la bambina.
-Scappa… scappa!-
-Mamma, non…-
-Vai! OBBEDISCI!-
La donna la vide la bimba irrigidire la schiena e fissare con terrore qualcosa alle sue spalle.
Si sentì strattonare da dietro: il vampiro l’aveva afferrata e adesso la fece voltare, scaraventandola di nuovo a terra. Si gettò nuovamente su di lei, snudando i canini macchiati di sangue.
La donna si lasciò sfuggire un singhiozzo di pura disperazione.
Poi avvenne l’impossibile: il corpo che le gravava addosso si sollevò: qualcuno lo aveva sollevato scaraventandolo da parte. Incapace di rialzarsi, la donna ruotò su un fianco.
Il suo aggressore era a terra, le gambe separate dal resto del corpo. fece per rialzarsi sulle braccia ma uno scarpone calò sul suo plesso solare, inchiodandolo di nuovo al suolo.
Una figura iniziò a delinearsi nell’oscurità, china sul vampiro come su un amante.
Una voce maschile, fredda come la neve, fendette l’aria.
-Eccoti qui. Eri quasi riuscito a farmi perdere le tracce: che peccato.-
Il nuovo arrivato si voltò verso la donna un solo istante; dall’oscurità che la stava inghiottendo lei intravide ciocche di un biondo dorato e un volto così pallido da sembrare rischiarato dall’interno.
Dalle profondità di quel volto, due occhi d’argento la guardarono senza interesse.
-Vattene.-
La donna sbatté le palpebre ottusamente; la realtà si diluiva nel buio fino a disgregarsi.
L’ordine giunse di nuovo, più netto, al centro della sua testa confusa.
Vattene.
La donna tremò, le sue gambe tesero di scatto, sollevandola in piedi come una marionetta scoordinata. Subito dopo le ginocchia cedettero e lei ricadde sul posto.
Il nuovo arrivato non parve accorgersene, non la stava più guardando.
Seduto a cavalcioni su quanto restava del vampiro, estrasse da sotto il cappotto una lama e gliela affondò nel petto, ponendo qualcosa che suonò come una domanda.
La donna sentì qualcosa di piccolo e caldo arrampicarsi lungo le sue gambe, cercando posto sotto al suo braccio.
-…Mamma?-
Riconobbe la figlia dalla voce, ridotta a uno squittio spaventato, e dal profumo di latte e biscotti che ancora, incredibilmente, emanava.
Troppo debole per fare qualsiasi altra cosa, la donna reclinò il capo sulla spalla dilaniata e chiuse le braccia sulla testa della figlia, stringendola al cuore.
-La mamma è stanca… topino… la mamma… vuole solo… dormire…-
 
****
 
Rimase immobile e tremante contro il corpo della mamma per un tempo imprecisato. Forse anche lei stava dormendo, e quello che aveva davanti era uno strano sogno.
L’uomo dai capelli biondi piantò un lungo coltello nel petto del mostro, e quando quello iniziò a contorcersi e a sibilare lo spinse ancora più a fondo fino all’elsa. Lo estrasse e pugnalò ancora una volta e un’altra ancora nello stesso punto, finchè il mostro non smise di agitarsi e di ringhiare. Poi l’uomo biondo affondò entrambe le mani dentro la ferita, strappandogli il cuore e gettandolo di lato.
Per un istante immobile, contemplando il volto del vampiro, che aveva appena ucciso. Poi, esitando, gli poggiò due dita sulle palpebre e gli chiuse gli occhi.
Mentre l’uomo si rialzava, il corpo del mostro già avvizziva.
L’uomo raccolse il coltello da terra e lo nascose sotto il cappotto, poi si avvicinò a lei e alla mamma, fermandosi in piedi di fronte a loro. La bambina scivolò da sotto il braccio della mamma e si sedette per terra, fissando lo sconosciuto di rimando.
L’uomo aveva una pelle così pallida da sembrare luminosa, e capelli di un biondo slavato che gli ricadevano fin quasi alle spalle. I palmi delle sue mani, là dove li aveva affondati nel petto del vampiro, erano sporchi di cenere. Per un istante l’uomo le parve smarrito quanto lei.
-La mamma sta male!- squittì la bambina.
L’uomo spostò lo sguardo, e la bambina lo imitò: la mamma era scivolata a terra, su un fianco; i capelli neri formavano un groviglio sul viso.
Attraverso le ciglia semiaperte si intravedeva il castano del’iride, ma lo sguardo era fisso e vitreo. La faccia della mamma era affondata in una pozzanghera: sembrava sciroppo di amarene, ma aveva un odore diverso, e là dove si stava asciugando aveva una tonalità più simile al marrone.
La bambina sentì una sensazione sgradevole premerle contro la gola. Deglutì a vuoto un paio di volte cercando di mandarla giù.
Si voltò in direzione della piazzola: l’autobus era ormai partito da un pezzo e l’oscurità era illuminata solo da rare, lontanissime auto di passaggio.
La bambina cercò di nuovo lo sguardo dell’uomo, solo per accorgersi che lui le aveva già dato le spalle e si stava allontanando.
Non lo aveva sentito muoversi.
Si alzò in piedi e gli corse dietro incespicando sulla neve.
-Aspetta…- Gli tagliò la strada e gli piantò le mani aperte contro il ventre. -Aspetta!-
Lui abbassò il capo e la guardò di nuovo. Il viso affilato non trasmetteva nessuna emozione. Aveva occhi luminosi, che riverberavano d’argento come quelli di un gatto.
-Aiuta la mamma!-
-Nessuno può aiutarla.-
L’uomo la aggirò senza nemmeno toccarla. La bambina lo sentì scivolare via da sotto le mani come un fantasma. La bambina gli corse dietro, il cuore che batteva contro lo sterno e il fianco sinistro che mandava fitte dolorose.
-Aspetta… aspetta!-
-Non posso fare niente per tua madre.- disse l’uomo senza voltarsi.
-Allora portami con te!-
Lo aveva gridato senza pensarci, la voce resa stridula da un inizio di panico, ma l’uomo si fermò all’improvviso, rimanendo esattamente dov’era.
Si voltò, la fissò. Il suo viso era imperturbabile, ma la bimba intuì che quell’esitazione era la cosa più simile alla sorpresa che sarebbe riuscita a strappargli.
-Portami con te!- gemette.
L’uomo la studiò da sotto le ciglia con quegli incredibili occhi da animale notturno.
-Vorresti… venire con me?-
La bimba sentiva la voce incastrarsi in gola. Annuì.
-Molto bene. Se questa è la tua scelta.-
La gentilezza dell’uomo era fredda come la neve: tutto in lui era così freddo da mettere paura.
La bimba scoppiò in singhiozzi e l’uomo si accigliò impercettibilmente.
-È stata una lunga notte, e non è ancora finita. Non piangere adesso.-
Lei avrebbe voluto accontentarlo, ma non riusciva a smettere.
L’uomo la prese da sotto le ascelle e la sollevò. I loro volti furono alla stessa altezza: paffuto, arrossato per il freddo e rigato di lacrime quello di lei; affilato, pallido e distaccato quello di lui.
Istintivamente, la bambina tese le mani e si aggrappò al collo dell’uomo. Sentì un guizzo contrargli i muscoli delle spalle, riuscì a percepire in lui il desiderio di non essere toccato. Tuttavia l’uomo si lasciò abbracciare, restio come un animale selvatico. Non si ritrasse nemmeno quando lei nascose il naso umido contro il colletto del suo cappotto.
Le accostò le labbra all’orecchio e disse una sola parola, in un tono così strano che fu come se la pronunciasse in un’altra lingua o nel modo sbagliato.
Dormi.
Non fu un invito, e nemmeno un ordine.
Fu come se, per il solo fatto di essere stata pronunciata, la parola fosse divenuta reale.
La bambina appoggiò la guancia contro la spalla dell’uomo. Il suo cappotto profumava di resina e terriccio bagnato: lo stesso odore del bosco.
Chiuse gli occhi.
Dopo, tutto fu buio.
   
 
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