Si
sta come d’autunno sugli alberi
Questi è un vile, perché soggiace;
quegli
che sopporta, è un eroe?
Mentre
l'amore della vita è così imperioso
che più battaglia avrà fatto il primo per non
cedere,
che
il secondo per sopportare.
(Ugo
Foscolo)
04 – Vediamoci
Luca sbuffò verso la finestra
lasciando intaccato quel piatto di brodo che l’infermiera gli aveva portato.
Aveva fame ma voleva del cibo vero, non quella specie di rancio iposodico e
povero in carboidrati.
- Hai saltato un altro pasto, - lo
rimproverò Vittorio, - Cos’è, vuoi rimanere ospite fisso in questo hotel a
cinque stelle? –
- Ci vuole coraggio a definirlo
“Hotel”… -
- Beh, rifletti: posto letto,
pensione completa, sesto piano, vista sul mare, reception e assistenza ventiquattr’ore,
sette giorni su sette… -
Luca rise per quella frase e
scosse leggermente la testa, - Se la metti così… -
- Te l’avevo detto io! Bisogna
sempre guardare tutto dalla giusta prospettiva. –
- Peccato che come hotel sia una
bettola, però. –
- Perché? –
- Perché il cibo fa schifo. –
- Beh, sei qui a titolo gratuito,
che ti aspettavi? – rise Vittorio.
Luca l’osservò ridere: aveva il
viso illuminato dalla luce della finestra. Era così bello che non poté fare
altro che imitarlo, ridendo per quella battuta che, in fin dei conti, non era
male.
•
• •
- Ciao! – la voce di Luca echeggiò
nel corridoio stranamente calmo. Lui non avrebbe voluto disturbare Vittorio ma
gli aveva promesso che avrebbe provato a rimettersi in piedi e, di conseguenza,
voleva dimostrargli di esserci riuscito. Probabilmente a lui non sarebbe
interessato, dato che stava parlando con dei colleghi, ma Luca, un paziente
come un altro, ci provò ugualmente.
- Hey, ciao! – sorrise Vittorio, -
Vedo che finalmente sei in piedi! –
- Sono solo uscito dalla stanza, -
sbuffò Luca.
- Va beh, io vado, - parlò il
ragazzo accanto a Vittorio, - Se lo semo
'nsaponato e domani se 'o risciacquamo, – concluse, salutando.
- Ce se pija, - rispose l’altro stringendogli la mano, per poi
rivolgersi a Luca, - Come ti senti oggi? –
- Che… Che razza di idioma era
quello? – domandò il ragazzo, battendo le palpebre perplesso.
- Oh no, nessun idioma, è
romanesco. –
- E che significava? –
- Arrivederci, - riassunse
Vittorio, - Ma tu non hai risposto alla mia domanda. –
- Meglio, - rispose Luca, confuso,
e osservò con attenzione l’altro medico mentre si allontanava, - Quindi… non
sei di Napoli? –
- Perché, nun se sente? –
ridacchiò il medico.
- Un po’, - rispose Luca,
sorridendo. Provò a fare un ulteriore passo ma si sentì venir meno nelle gambe;
già vistosi per terra, Luca chiuse gli occhi, sorprendendosi di non aver emesso
alcun rumore sordo per la caduta. Quando li riaprì, si accorse che Vittorio
l’aveva sorretto e aveva così evitato l’impatto col pavimento.
- Forse dovresti tornare in
stanza… Dai, t’accompagno e poi finisco il giro visite. –
•
• •
Erano passati tre giorni
dall’ultima volta che Luca aveva incrociato Vittorio. In tutti quei giorni che
aveva passato ricoverato in ospedale l’aveva incontrato circa due volte al
giorno e quindi quell’assenza immotivata gli aveva causato una leggera ansia.
Luca, però, era anche un ragazzo molto perspicace: sapeva che Vittorio non era
un suo amico ma soltanto uno dei medici che l’aveva in cura e, probabilmente,
quello che gli aveva salvato la vita. Tuttavia aveva visto in quel medico
qualcosa di più di un semplice camice bianco e nozioni varie. Un nuovo medico
l’aveva visitato e, dopo aver firmato diversi documenti, Luca era stato
dimesso.
- Ma non c’è quel medico tanto
caruccio, come si chiama? Salvemini, possibile? –
- No, - rispose secco il figlio, -
Non passa da qui da giorni. –
- Ma che
peccato, - disse la signora sinceramente dispiaciuta, - Gli avevo preparato un
dolcino. –
- Ma’, fammi
capire, prepari dolci per lui e non per me? E poi che… NO, mi rifiuto, è una figura
di merda. Metti in borsa, - la rimproverò, impegnato nell’atto di chiudere la
zip della felpa.
- Aho, ‘nnamo ‘npò! –
A quello
strano accento Luca allungò l’orecchio e si catapultò letteralmente fuori dalla
stanza. Guardò a destra e a sinistra ma non ci fu traccia di Vittorio. Così,
sconsolato, si recò verso l’uscita dell’ospedale insieme alla madre.
- Dottor
Salvemini! – la signora Caruso sembrò essere raggiante, al contrario del figlio
che assunse un’espressione accigliata.
- Signora
Caruso, Luca, buongiorno! –
- Dottore, io
le avevo portato un pensierino, per ringraziarla… -
- Ma signora
lei… -
- No, stia
zitto! Niente di che, eh, non si aspetti un Rolex. È un dolce che ho fatto io,
una specialità! Non è vero, Luca? –
Il figlio
della signora Caruso storse il naso nell’annuire. Era un po’ innervosito,
giacché aveva appurato un notevole distacco da parte di Vittorio, ma forse era
tutto frutto della propria paranoia.
La signora
costrinse Vittorio a prendere un pezzo di dolce al cioccolato che lo specializzando
assaporò con gusto.
- Vedo che
stai meglio! – farfugliò il medico.
- Sì, mi
hanno dimesso. –
- Lo so, ho
firmato io quelle cartelle, - sancì Vittorio, poggiandogli una mano sulla
spalla.
Luca gli
lanciò un’occhiataccia che voleva intendere “perché non sei più venuto a trovarmi?”.
- Ah, non ci
ho fatto caso. –
- Questa
settimana mi hanno dato ben due turni di notte e quando sono venuto a
controllarti dormivi sempre. Va meglio anche con l’insonnia? –
Ma come
poteva Luca restare arrabbiato con lui?
•
• •
Vittorio gli
aveva lasciato il suo numero.
A questo
pensava Luca mentre se ne restava steso sul letto in camera sua: Vittorio gli
aveva lasciato il numero di cellulare e gli aveva detto “Chiamami se hai bisogno”. Era stato vago e sicuramente si riferiva
ad una mera questione medica, qualcosa come “chiamami
se si riapre la ferita” piuttosto che “chiamami
se ti fa ancora male il cuore”.
Luca aveva
appena portato a termine l’ennesima lunga giornata, tra la scuola e qualche
attività extra, era ora sul letto e fissava lo schermo del proprio smartphone.
«Vediamoci»
era stato quello l’SMS che Luca aveva inviato. Ma quanto era stato stupido? Una
parola messa lì, a caso, senza dire chi fosse. Che diavolo gli era passato
nella testa?
«E tu
saresti?»
«Luca»
«Adesso?»
«Non lo so,
vediamoci»
Gli SMS di
Luca erano sempre brevi e concisi: non amava perdersi in chiacchiere e, in realtà,
non sapeva cos’altro dirgli: voleva vederlo, ammirare il suo sorriso e sentire
la sua voce. Che altro doveva scrivere?
«Ti vengo a
prendere»
Vittorio
aveva sorriso nel ricevere quei messaggi. Non aveva voluto scrivergli per primo
da una parte perché non conosceva il numero, dall’altra perché era stato pur
sempre il suo medico e non avrebbe voluto farlo sentire sotto pressione per
qualcosa. Per cosa poi? Non lo sapeva. Per diventare amici? Insomma, Vittorio
era sicuramente omosessuale (era stata una rivelazione in tenera età, quando a
Carnevale chiedeva sempre di mascherarsi sempre da Daphne della Scooby gang) ma
non aveva idea di che tipo di interessi potesse avere Luca. Fatto sta che, per
qualche ragione a lui ignota, desiderava poter passare tempo con il ragazzo.
L’evidenza
che fosse così anche per Luca la sancì proprio quel primo messaggio
striminzito.
«L’indirizzo
non ti serve?»
«Seconda
stella a destra e poi diritto fino al mattino?»
•
• •
- Sai, - Luca
parlava davanti ad una tazza di tè al sapore di Natale. Non aveva idea di perché
avessero optato per un caffè letterario, ma a quell’ora della notte non c’erano
molti locali aperti, ad eccezione delle discoteche che erano state ampiamente
bocciate da entrambi.
Così,
vagabondando su una vecchia Vespa Acquamarina, Luca e Vittorio erano giunti in
un caffè letterario alle due di notte. Avevano parlato del più e del meno come
due grandi amici, anche se in realtà non si conoscevano affatto, e si erano,
infine, soffermati su quel tè al gusto di Natale, - Credo sia la cannella. –
- Secondo me
è lo zenzero. –
- Cannella. –
- Zenzero. –
- No, è
cannella! –
- Ma dai, lo
sanno tutti, il Natale è fatto da biscotti pan di zenzero! –
- In America,
forse, qui è fatto di struffoli e pandoro. –
- Che, in
ogni caso, non contengono cannella. –
- E neanche
lo zenzero. –
- Ma non
potevo prendere un tè nero normale come tutti i cristiani, no, eh? –
- No. Il
Natale è più buono, - rise Luca.
•
• •
Era giunta l’alba
quando Vittorio aveva accompagnato Luca a casa; la città aveva assunto un
fascino particolare senza tutto quel trambusto che, da lì a poco, avrebbe ripreso
a sconvolgerne l’equilibrio naturale.
Luca era
sceso dalla Vespa e si era tolto il casco rosa che il medico gli aveva
prestato, per poi restituirglielo.
- È stato
divertente. –
- Mai più tè
al Natale. –
- La prossima
volta assaggiamo quello alla birra. –
- La prossima
volta? –
- Sì, vediamoci
ancora. –
- Tè alla
birra sia. Che, probabilmente, secondo il tuo bizzarro senso del gusto, avrà il
sapore di wasabi, ma ok. –
Luca sorrise
a quell’appunto e, prima di rientrare nel portone di casa sua, si tuffò ad
abbracciare Vittorio. Fu una stretta, durata solo pochi secondi, nella quale
avvertì uno strano calore riempirgli il corpo.
In assoluto silenzio
Luca rincasò, riflettendo sul fatto che, in un modo completamente assurdo, suo
nonno doveva avergli fatto un ultimo regalo: Vittorio Salvemini.
•
• •
Note a margine
E così metto fine anche io a questa storia.
Ricordo a tutti che è stata scritta per la challange “Fall into autmn” indetta dal gruppo “Boys love”. È una storia senza
pretese, scritta di getto, senza betaggio e sicuramente piena di errori di
forma e punteggiatura, ma non importa. Spero che chiunque abbia investito due
minuti di tempo per leggerne i capitoli sia rimasto comunque felice di averlo
fatto.
Grazie a tutti di cuore ♥