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Autore: Luxie_Lisbon    30/10/2018    1 recensioni
Nella clinica psichiatrica di Empty Soul si intrecciano le vite di: medici, pazienti, infermieri. Yuu Shiroyama non ama il contatto fisico, non ama il contatto, umano. Eppure è uno psichiatra, molto famoso. Che cosa accadrà quando capirà di essere innamorato di un suo paziente?
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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..02..
Akira
(The Unreal)

<< Puoi sederti qui Akira. Fra poco ti chiameranno per il pranzo>> disse uno dei due infermieri, lasciando che il mio corpo scivolasse su una delle sedie poste al centro esatto della sala ricreativa.
Lanciai uno sguardo alla mia destra e notai le altre persone come me sparse per la stanza, due depressi e una ragazza malata di anoressia, che cercava in tutti i modi di fingere di stare male per non dover andare in mensa assieme a tutti gli altri.
<< Mi hai sentito?>> mi chiese di nuovo l'uomo, appoggiando la mano sulla mia spalla e quando lo guardai quello mi sorrise. Annuii lentamente, tornando a guardare gli altri pazienti, e anche se avrei tanto voluto parlare e dirgli che avevo capito, la Paura mi teneva ferma la lingua, inchiodata al palato.
<< Bene, allora adesso noi andiamo. Sai dove trovarci se hai bisogno di noi>> aggiunse il secondo infermiere senza guardarmi, spostando il corpo lontano dal mio e voltandosi, iniziando a camminare lontano da me. Il collega lo imitò, dopo avermi lanciato un ultimo sguardo allarmato.
Ma non c'era niente di cui preoccuparsi, la Paura mi aveva semplicemente inchiodato a terra, metaforicamente, e tutto quello che riuscivo a fare era restare immobile, in balia dell'irrealtà.
Chiusi gli occhi, in preda alle allucinazioni, e quando tornai a vedere notai che tutte quelle persone accanto a me erano prive di cuore, di anima, smembrate, divise in tante piccole parti, e ognuna di quelle parti erano completamente prive di emozioni e sentimenti.
Un depresso mi sorrideva, la sua faccia si stava allargando sotto al mio sguardo.
Un altro piangeva, le sue lacrime assomigliavano ad artigli che stavano scavando nella sua carne, voraci.
L'anoressica urlava, le sue grida potevo udirle soltanto io, il corpo si stava allargando e lei non poteva fare assolutamente niente per impedire che avvenisse, e nemmeno io.
Lentamente cercai di muovermi per porre fine a tutto, desiderando di portarmi una mano gelida alla tempia destra ma non fui in grado di muovermi, nemmeno quando una mano rovente si appoggiò sulla mia spalla.
Alzai lo sguardo un'ulteriore volta, visualizzando un volto immerso nella luce accecante prodotta dall'irrealtà.
<< Akira >>
Quell'essere stava pronunciando il mio nome, ma io non fui in grado di capire se stavo semplicemente avendo un'ulteriore allucinazione uditiva o se era tutto reale.
<< Akira, come ti senti?>>
Ancora quella voce distorta, non riuscivo ad associarla a niente, ma quando quelle dita di quella mano si mossero lungo il mio braccio, l'allucinazione svanì, tutto tornò lentamente al posto giusto e fui in grado di sbattere le palpebre, una, due, tre volte.
<< Ehi, tutto bene?>>
Guardai negli occhi il mio psichiatra, concentrato a sorridermi con sentimento paterno, per poi sedersi accanto a me.
<< Riesci a sentirmi?>> mi chiese poi il dottor Zusak, gli occhi marroni che brillavano di luce propria. Tornai ad annuire.
<< Bene. Volevo scambiare due chiacchere con te prima di pranzo. Che cosa ne dici?>> mi chiese guardandomi negli occhi e la Paura prese nuovamente il possesso di me. Non avevo scampo, per nessun motivo al mondo.
<< Te la senti?>>
Tornai ad annuire, poco sicuro e lui se ne accorse. Adagiò la mano sulla mia, facendomi rabbrividire, poi si alzò.
<< Se te la senti seguimi. Se invece non vuoi non farlo, nel voltarmi capirò>> disse serio, dandomi le spalle e iniziando a camminare a passo svelto.
Decisi di riflettere per un attimo, ad occhi chiusi.
Dovevo seguirlo, ma non volevo. Dovevo "parlare" con lui, ma non volevo. Dovevo alzarmi da quella sedia, ma non volevo.
Era tutto sbagliato.
Poi scelsi la via più dolorosa, il sacrificio, la colpa.
Mi alzai e seguii il mio psichiatra.
<< Siediti>> mi disse il medico, dopo essersi accertato della mia presenza. Feci quello che mi aveva detto e lasciai cadere di nuovo il mio corpo su una sedia, questa volta più comoda della precedente. Avvertii il suono della porta che veniva chiusa e quando il dottor Zusak si sedette alla sua scrivania, difronte a me, fu per sorridermi.
<< Molto bene Akira, sono felice di notare che mi hai seguito. Volevo dirti che ho parlato con tuo padre, e che ha chiesto di poterti vedere il mese prossimo. Che ne pensi?>> mi chiese, lasciando scivolare il corpo in avanti, intrecciando le dita della mano.
Difronte al mio silenzio allungò il suo, guardandomi negli occhi. Io non guardavo lui, la mia attenzione era concentrata sulla minuscola macchia di umidità sul muro, che difronte ai miei occhi stava lentamente aumentando di dimensione, allungandosi. Provai a farla smettere ma era tutto inutile, dovevo continuare ad assistere alla sua crescita.
<< Tuo padre desidera vederti Akira, controllare i tuoi progressi in questa struttura. Io credo che tu possa vederlo, sei d'accordo?>> riprovò lo psichiatra, non trovando accoglimento. Mi sorrise, dopo aver abbassato lo sguardo.
<< Ritengo indispensabile la sua visita, per la tua salute. Quando arriverà ti farò chiamare. Adesso, Akira, se non ti dispiace, ti pregherei di disegnare la tua ultima allucinazione. Tieni>> disse allungandomi un foglio e una matita.
Lo facevamo sempre.
Io disegnavo quello che vedevo nella mia testa, lui analizzava i miei schizzi con la penna stilografica in mano, gli occhiali che gli scivolano sempre sul naso, concentrato e attento. Ci trovava sempre la stessa cosa.
La Paura.
Lentamente spostai la mano sul foglio, stringendo tra le dita la matita ed iniziando a tracciare dei tratti indistinti, che non conducevano a nulla.
Ma non disegnai la Paura questa volta, mi concentrai su qualcosa di nettamente diverso, un qualcosa che la annientava, un qualcosa che mi trasmetteva pace, vita, che mi appariva come un piccolo rifugio.
La massa di capelli biondi.
Il dottore osservava con attenzione il muoversi della mia mano sul foglio, e nel momento in cui lasciai ricadere la matita, portandomi le braccia lungo il corpo, mi guardò a lungo, quindi prese il foglio e senza dire una parola lo ripose dentro ad una cartella bianca, una delle tante che raccoglievano i miei disegni.
<< Bene Akira, adesso puoi anche andare. Infermiera>> chiamò, lanciando uno sguardo alla porta chiusa e subito dopo delle altre mani, più delicate, si adagiarono sulle mie spalle.
Un'infermiera bionda e con un sorriso fasullo sul volto mi scortò fuori dall'ufficio dello psichiatra, dicendomi che era ora di pranzo e che dovevo assolutamente raggiungere tutti gli altri in mensa.
Lasciai che mi guidasse lungo i corridoi della clinica, ad occhi sbarrati e la testa leggera, il cuore fermo ma che riusciva ancora a pompare sangue, ripensando a quei capelli biondi, per tutto il tempo.
Era dolce quel ricordo, per la prima volta avvertii la Paura svanire per pochi minuti, giusto il tempo di farmi riprendere fiato.
Avevo così bisogno di un'oasi di realtà?
***

Kouyou
(Crazy horse)

I suoi occhi, quegli occhi luminosi si posano lentamente sulla mia figura, trasmettendomi una lieve sensazione di gioia, che parte dal cuore, sino ad arrivarmi al cervello.
Chiudo i miei, a contatto con i suoi, timoroso, allungando una mano verso di lui, ma tutto quello che avverto tra le dita è il nulla.
Sto sognando, è evidente, soltanto che nell'esatto momento in cui me ne rendo conto non voglio accettarlo. Non voglio rassegnarmi e pensare che sto soltanto correndo con la fantasia, regalandomi immagini di cui mi pentirò, una volta sveglio.
Apro di nuovo gli occhi e incontro i suoi, mi stanno scrutando con attenzione, come se mi vedessero per la prima volta, e lentamente sorrido, portando di nuovo una mano verso di lui, invano.
Quando mi stacco con prepotenza dalla visione del suo sguardo delicato, indietreggio, rizzandomi a sedere sul letto, portando una mano al volto e nascondendo i miei occhi stanchi dietro il palmo della mano destra.
Sono soltanto uno stupido.
Ho sognato Yuu Shiroyama, uno dei miei medici, ancora una volta.
Il primo sogno era stato fin troppo realistico, e al risveglio mi ero guardato intorno in modo morboso, credendo di trovarlo al mio fianco, ma avevo compreso proprio in quegli istanti che era tutto assolutamente... falso.
Scostai le coperte bianche, facendole cadere sul pavimento e scivolandoci sopra con il cuore in frantumi. Ancora una volta.
Ero uno stupido.
Il mio medico, Yuu, era lontano da me almeno mille miglia, distante, freddo, scostante, professionale e sicuro di se. Fino a prova contraria doveva essere così, io ero soltanto un suo paziente, nulla più, e allora perché stava accadendo tutto questo? Perché mi svegliavo in preda al panico dopo averlo sognato? Perché il mio stupido cuore batteva all'impazzata nel mio petto vuoto al solo pensare al suo volto? Perché mi ero innamorato di lui?
Almeno credevo fosse amore.
Ero così impreparato, poco sicuro di quello che provo in questo momento, magari sto commettendo un errore madornale e la mia mente si sta prendendo gioco di me, come sempre.
Sorrido in preda all'ira più subdola, alzandomi da terra e portando il corpo alla finestra della camera. Nel scostare le tende e nel visualizzare il cielo tremo.
Le nuvole, la luce del sole, il lieve venticello che dona alcuni istanti di benessere non fanno per me, tutto quel benessere non mi si addice, si scontra prepotentemente con il mio essere, e so che tutto questo è dovuto alla mia scarsa capacità di volere bene a qualcuno.
Di assaporare le cose belle della vita.
Con Yuu è diverso, tutto, ed è proprio questo a spaventarmi a morte.
Stringo con morbosa attenzione la tenda tra le mani, avvertendo il corpo vibrare e prima di essere colto da un attacco epilettico mi sposto con passo stanco e malfermo, lasciandomi cadere sul letto.
Quella mattina mi aspettano le analisi del sangue, e alcuni colloqui con lo psicologo riguardo la mia radicata propensione al rifiuto del contatto fisico, di qualsiasi tipo.
Tutto è mutato in me quando, più o meno cinque o sei anni fa, il mio insegnante di danza ha abusato di me, del mio corpo, privandomi della dignità, del rispetto per me stesso, della voglia di vivere.
Le crisi epilettiche ci sono sempre state, un abuso è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Era così bello vedermi volteggiare in quella sala, su quel palco, questo mi ha detto prima di strapparmi i vestiti di dosso, per poi spingere con forza il suo corpo vecchio contro il mio, fin troppo giovane. Ha stretto con rabbia i miei capelli tra le dita, tirandoli e strappandomene qualcuno, digrignando i denti e grugnendo su di me come un animale.
Ho pianto, imprecato, implorato che mi lasciasse andare, ma non è servito a nulla, quel verme è arrivato sino in fondo, sporcandomi con la sua malvagità.
Scuoto la testa, portandomi la testa tra le mani e iniziando a piangere, mentre avverto delle piccole scariche elettriche iniziare a risalirmi lungo tutta la spina dorsale. Devo mantenere la calma, un altro attacco epilettico non posso reggerlo, non adesso, così mi permetto di pensare a Yuu.
Incontrai Yuu quasi per puro caso, una domenica pomeriggio, mentre me ne stavo comodamente immerso nella mia dimensione di dolore. Odio con ogni fibra del mio corpo la domenica, la considero una giornata morta, senza senso, priva di qualsiasi filo logico. Di domenica non combino nulla, sono nell'ozio più completo, quasi un atteggiamento imposto, che se non emerge mi fa seriamente sentire in colpa.
Mi era stato dato il permesso di uscire in cortile, per prendere una boccata d'aria, e nella mia ingenuità credevo in modo radicato di riuscire a trascorrere una domenica come tutte le altre. Mi sbagliavo perché non appena misi piede fuori, accecato dalla luce del sole, capii che sarebbe successo qualcosa di strano, che mi avrebbe portato in un'altra dimensione.
Sedendomi su una delle sedie bianche provai un lieve disagio, e quando spostai lo sguardo alla mia destra lo vidi. Era comodamente seduto sulla sedia accanto alla mia, una sigaretta tra le labbra, un sguardo carico di dolore e di apprensione. Non mi ero nemmeno accorto che ci fosse qualcuno accanto a me quando mi ero lasciato cadere sulla sedia, e nel visualizzare quella figura avvertii nel cuore una profonda gioia.
Le dita della mano destra adagiate sulla gamba snella, l'altra mano sollevata di tanto in tanto per poter fumare.
Lo guardai senza essere in grado di distogliere lo sguardo e quando i miei occhi scesero lungo il resto del suo corpo, notando l'elegante maglione di lana nero provai una fitta di dolore al petto.
Quella creatura spense poco dopo la sigaretta in un posacenere che non avevo notato, adagiato a terra, e alzò lo sguardo, spostandolo subito dopo verso di me. Non appena i suoi occhi si adagiarono su di me il mio cuore prese a battere così forte sino a togliermi il fiato, e quando mi sorrise teneramente, in modo triste e doloroso, ricambiai, poco sicuro di me.
Avrei voluto parlare ma non ci riuscii, il suo sguardo, la sua durezza, la sua sofferenza era troppo anche per me e me ne restai immobile a guardarlo. Il ragazzo smise di sorridere poi si alzò lentamente e fu allora che tremai senza essere in grado di impedirlo.
Si allontanò da me, dopo avermi dato le spalle, portando le mani alle tasche e camminando a passo deciso, freddo, dopo avermi lanciato un ultimo sguardo.
Il suo sorriso, non potrò mai scordarlo.
Inespressivo, freddo, triste, distante anni luce.
Quell'anima stava lentamente morendo dentro e non riusciva a gridare al mondo il suo dolore.
Ripensai a lui per tutto il tempo, quella notte non riuscii a dormire e quando scesi in mensa per la colazione con mia profonda e egoistica sorpresa lo rividi. Era seduto al tavolo dei medici, indossava un camice bianco, di un bianco accecante.
Fu allora che compresi la gravità della situazione in cui mi ero cacciato.
Yuu Shiroyama, il ragazzo che mi aveva rapito il cuore, era un mio medico.
Ed io ero uno dei suoi pazienti.
Quando tornai a vedere la luce del sole fuori dalla finestra della mia camera da letto provai una dolorosa fitta al petto che mi costrinse ad alzarmi, correre al bagno e lasciarmi scivolare sul pavimento. Portai una mano al volto e presi a contare da uno a cento, nel disperato tentativo di calmarmi e di non subire l'aggressione dell'attacco.
Poco a poco tutto il mio corpo smise di tremare e avvertii soltanto il gelido pavimento a contatto con la mia schiena. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare a dei respiri sconnessi, uno, due, tre, finché non ripresi il controllo di me stesso, ancora una volta.
Mi rialzai a fatica, appoggiando il corpo al lavandino e lasciando scorrere l'acqua dal rubinetto.
Sperai di non morire nei prossimi istanti.
Gli istanti che ancora mi separavano dal mio carnefice.

***
Bene, ecco qui il capitolo due. Dovevo aggiornare ieri sera, ma ero troppo stanca xD
Abbiamo conosciuto le parole di Kouyou, i suoi pensieri e quello che prova. Spero davvero che vi sia piaciuto, che vi trasmetta qualcosa, che vi piaccia leggere questa storia <3 Presto faranno il loro ingresso nuovi personaggi, molto importanti per la storia, anche se secondari. Basta, non dico altro, grazie di essere arrivate/i fin qui <3
Vostra Luxie

ps: il dottor Zusak ha il volto di Matthew Bellamy, il cantante dei Muse 

  
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