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Autore: Cara93    30/10/2018    2 recensioni
Vittima o carnefice?
Omicidio oppure no?
{Quarta classificata al contest "Il mio personale modus operandi" indetto da Not_only_fairytales sul forum di EFP}
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le manette scattano sui miei polsi, un suono secco e freddo, come freddo è il metallo che le compone. Mentre il poliziotto mi abbassa la testa, facendomi sedere sulla volante, mi segano la pelle, lasciando il loro rosso tatuaggio. Man mano che la mia casa diventa sempre più piccola, scomparendo infine alla vista, non posso fare a meno di sorridere. Perchè, anche se quelle manette così strette sono il presagio della prigione, sono più leggere delle catene che avevo strette intorno al collo. Catene invisibili e che, di anno in anno, diventavano sempre più strette.

Ti incontrai un soleggiato mattino d'ottobre, come me, stavi cercando di districarti tra le indicazioni e gli orari incomprensibili dell'Ateneo. Mi chiesi se sapessi dove fosse l'aula dove si sarebbe tenuta la lezione di Diritto commerciale, la voce un sussurro imbarazzato e intimidito. Sembravi così solo e smarrito, in mezzo a quella fiumana di persone.

La seconda volta, complice una manovra dell'autobus un po' azzardata, ti finii addosso, facendoti cadere la busta della spesa, il cui contenuto cominciò a correre per tutto il corridoio. Colpevole e imbarazzata, ti aiutai a raccogliere i tuoi acquisti, sparsi per tutto l'automezzo, scusandomi infinite volte. Non sono mai stata goffa o impacciata, quella situazione così imbarazzante bruciava, vergogna segreta e inspiegabile. Sorridesti. Com'era bello il tuo sorriso, così aperto e genuino, così luminoso e sincero. Scendesti alla mia stessa fermata e mi invitasti fuori per un caffè.

Più ti conoscevo e più ti amavo. Eri così impacciato e insicuro, così teneramente imperfetto. La persona più lontana dalla me di allora.
Controllano il cellulare e il pc. Credono che abbia un complice, come se fossi troppo stupida o troppo carina per averlo potuto fare da sola. Ma non ci sono telefonate o messaggi, neppure un "ciao, come stai?" o un "Tanti auguri, stellina" da un'amica o da un famigliare. Non ci sono fotografie e non perchè le abbia cancellate. Troveranno solo chiamate in entrata, tutte effettuate da un unico numero: il suo.

Ti trasformasti, all'improvviso. Non eri più il tenero amante, il mio dolce amore. Passavi intere serate a tessere intricate trame di cui ero protagonista, piene di sesso e tradimenti. Non risparmiavi nessuno, nella tua caccia ai mulini a vento. Le mie obiezioni e le mie lacrime non avevano importanza, perchè ai tuoi occhi ero sempre colpevole.

Perquisiscono la casa, passano ore intere a interrogarmi. Dove ha comprato il veleno? Come lo ha somministrato a suo marito? Perchè ha deciso di avvelenarlo? Che domanda banale, perchè ha deciso di avvelenarlo. Banale, quanto la sua risposta: volevo ucciderlo lentamente, come lui ha fatto con me.

Prima mi hai allontanata dalle amiche. Manipolandomi, facendomi sentire in colpa finchè le uscite e le chiamate preoccupate non cessarono del tutto. Poi hai deciso come dovessi vestirmi. Subdolo e insinuante, come un serpente, influenzavi le mie scelte finchè, infine, non cominciasti tu stesso a comprare ciò che dovevo indossare e a decidere quando. Infine non mi permettesti più di uscire di casa. La tua gelosia, che prima aveva sfiorato tutti i miei conoscenti e colleghi, si propagò fino ai tuoi stessi amici. Così, per frenare i tuoi sospetti e arginare la tua immaginazione, mi prostrai alla tua ultima e più terribile richiesta. Piano piano, senza che me ne accorgessi, adattandomi ai tuoi scatti e ai tuoi umori, mi hai trasformata. Sono diventata la tua bambola.

Colpevole.

Lo ero, quando, ormai disgustata dai tuoi gemiti e sospiri, mi lasciavo prendere sul nostro letto. Lo ero, quando, dopo una scenata di gelosia, ogni volta sempre più brutale e sempre più illogica, ti acquietavo accarezzandoti i capelli e baciandoti sulle labbra. Lo ero, quando, scortata da te, che ormai eri diventato il mio carceriere, mi licenziai. Lo ero, quando lasciai che ogni mia decisione e ogni mio pensiero fossero influenzati da te.
Colpevole, soprattutto perchè non sono stata in grado di lasciarti, quando ne ho avuto l'occasione.

Non ricordo quando cominciai a mettere a punto il piano vero e proprio. Ci pensavo sempre. Vedevo me, dopo avergli messo davanti un piatto di minestra, estrarre un coltello dal cassetto e sgozzarlo come l'animale che è. Sognavo di sparargli dritto al cuore. Immaginavo di appoggiare il cuscino su cui dormivo, ogni notte al suo fianco, sulla sua faccia rilassata dal sonno e premere e premere finchè non avessi più sentito il suo calmo russare.
Si è trattato solo di un caso fortunato. Se lui non si fosse ammalato, non avrei avuto accesso agli oppiacei che gli erano stati prescritti per alleviargli il dolore. Se non si fosse ammalato, non lo avrei tormentato, lasciando che mi implorasse con voce stanca, piegato dal dolore, per una dose di morfina. Se non si fosse ammalato, non avrei avuto modo di iniettargli la morte, ogni sera un millilitro più vicino.

Per i giornali, si è trattato di un gesto di pietà e di carità estrema; l'ultimo gesto d'amore di una donna che accontenta l'ultima e infernale richiesta del compagno tanto amato. Quanto si sbagliano. 
   
 
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