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Autore: SparkingJester    31/10/2018    2 recensioni
Storia partecipante al contest “Bionica mente” indetto da molang sul forum di Efp.
Dopo svariate missioni esplorative completate con successo, la Opticon si apprestava ad affrontarne un'altra, più carichi che mai. Stavolta sotto scorta e con un obiettivo differente, il team di ricerca si appresta allo studio di un nuovo pianeta fin quando l'umano più giovane non ebbe un'allucinazione che cambiò la destinazione e il Fato della missione, mettendo in pericolo compagni e non solo.
Genere: Avventura, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un lampo di luce spezzò la monotona oscurità dello spazio.
Ne apparve un piccolo vascello di appena sessanta metri di lunghezza, affusolata e schiacciata sul muso, con ali dritte e larghe. Sulla fiancata color ocra vi era impresso il nome: Opticon, ed affianco la sigla “C.C.”.
La Opticon aveva un lungo curriculum di missioni esplorative e di catalogazione completate con successo e competenza. L’obiettivo era sempre lo stesso: classificazione di pianeti possibilmente abitabili non ancora confermati dal governo, secondariamente lo studio di fauna e flora locali in favore della ricerca scientifica e del soddisfacimento di una delle più grandi passioni dell’uomo, la curiosità.
Al termine del breve salto nell’iperspazio, il loro nuovo obiettivo gli si parò davanti in tutta la sua imponenza: un grosso pianeta di un blu intenso visibilmente dovuto alla fitta vegetazione, grande almeno cinque volte la Terra, con alte e visibili creste rocciose sparse qua e là sulla crosta, come tante cicatrici fresche, traboccanti di un liquido denso e arancione.

«Ci siamo, signori miei.»
L’anziana voce del professor Juris Ozols, scienziato dalla grande fama e da pochi anni capitano della Opticon, spezzò il silenzio dei suoi colleghi e compagni d’avventure, ancora ammutoliti dalla bellezza e maestosità del pianeta che avevano di fronte, visibile da grandi pannelli dalla cabina di comando.
L’ormai cent’ottantenne umano, col naso a pochi centimetri dal pannello trasparente e ancora sorridente, si voltò per osservare le espressioni del resto dell’equipaggio ancora alle loro postazioni.
Dean Azure, un giovane ragazzo umano dai folti capelli spettinati e neri, si alzò menando i pugni sulla console sotto di lui, spalancando la bocca ed urlando per lo sgomento.
Era il più giovane e la mina vagante del team d’esplorazione: un semplice assistente, senza nessun altro ruolo se non quello di affiancare il professor Juris ma fin troppo scalmanato ed immaturo per poter fare carriera. Nonostante ciò il professore apprezzava la sua presenza poiché portatrice di calore e serenità nonché del fattore più importante per un vero esploratore: l’avventatezza. Senza di essa, con troppa cauzione, non era possibile scoprire tutte le stranezze di quel vasto universo.
Dean, continuando ad esultare, lanciò occhiate verso la sua irraggiungibile innamorata, in piedi alla sua postazione da analista e le mani portate alla bocca per la commozione: Methra Saxena, la migliore in quanto a calcoli, portava lunghi capelli lisci e neri, con pelle olivastra ed il viso dai lineamenti morbidi, capace di suscitare tenerezza in qualsiasi uomo.
Ma l’equipaggio non era composto da soli umani.
Dopo l’entrata sul palcoscenico dei grandi imperi galattici, il genere umano si riunì sotto un unico nome: il Clan Celeste. Come i primi ominidi si riunirono in tribù e clan per poi confrontarsi tra di loro, così l’uomo moderno scelse finalmente di riappacificarsi coi suoi simili per affrontare nuove tribù provenienti da altri mondi, abbracciando il colore del loro pianeta natale.
Il Clan si fece subito nuovi amici, così come nuovi nemici; nuovo governo, nuove tecnologie e soprattutto nuovi mondi da esplorare, per espansione, per potere o solo per scienza.
Orca Valis, geologo e medico della spedizione, era un classico esempio di integrazione aliena nei progetti militari del Clan: gli Irtus, creature dotate di due cervelli concentrici ed estremamente intelligenti, erano grossi umanoidi anfibi dagli arti tozzi, con mani a quattro dita e senza unghie, la pelle umida in varie sfumature di verde, le gonfie teste somigliavano a quelle dei pesci, prolungate e con vividi occhi senza palpebre. Anche la sua bocca era aperta per lo stupore, emettendo un debole sibilo e mostrandone l’interno, liscio, privo di denti e lingua.
Il team iniziale era composto da solo tre individui, Orca, il professor Juris e Methra. Successivamente vennero introdotti Dean, come assistente, ed un altro alieno, amico del professore ed invitato direttamente da esso con la promessa di nuove ed eccitanti scoperte.
Il professore ed ingegnere specializzato Pundu, un Nidoriano alto per la sua specie ma con appena un metro di altezza non lo si poteva dire per gli umani. Proveniente da un pianeta con leggi fisiche distorte, atmosfera acida e flora locale composta sostanzialmente da funghi ed enormi fiori luminosi, colse subito l’occasione per allontanarsi dalla monotonia del suo pianeta e dalle sue limitate stazioni spaziali.
Gli umani se non altro erano stati riconosciuti come carpentieri eccellenti e rapidi. Le loro flotte non erano niente a confronto di quelle dei maggiori imperi galattici ma sicuramente sapevano ricostruire in fretta le unità perse, imparare dagli errori e dai morti subiti, migliorarsi costantemente e contrattacare il tutto ad una velocità assurda e questo era appunto motivo di invidia da parte di molti ma soprattutto paura e odio nei confronti di questa brutale razza espansionista.
A causa delle leggi del Clan, fu costretto a scegliere un nome pronunciabile nella lingua terrestre, ed un cognome, per lavorare tra i suoi ranghi, così come fece Orca Valis, prendendo ispirazione da una strana creatura marina terrestre che gli somigliava molto.
Pundu scelse dunque Violet, poiché era il colore della sua pelle nella lingua umana.
I due professori si divertirono a tal punto che Pundu invitò anche sua moglie, Arzem Violet, seconda biologa del team dopo il professor Juris e grande amante degli animali.
Anche loro erano esterrefatti dalla vastità e dal colore del nuovo pianeta e lo osservavano entrambi, Purdu seduto cavalcioni sulle spalle della sua “donna”.
Le femmine nidoriane, a differenza dei bassi maschi dalla forma e tratti facciali simili a quelli umani, erano alte due metri, con arti lunghi e sottili, dotata persino di una grossa coda, spessa e coriacea che toccava terra e fungeva da organo riproduttore. Anch’esse viola, avevano un lungo collo che sosteneva una testa ovale ed un viso intagliato come fosse una maschera umana bianca e priva di tratti, fatta di una sostanza in grado di cambiare forma a piacimento con l’unico scopo, per la loro specie almeno, di rendersi più attraenti nei confronti dei maschi.
Ma c’era ancora un piccolo gruppo di umani su cui si posarono gli occhi del professore, incuriosito nel poterne finalmente vedere una reazione di sincero stupore: il Maggiore Jean Kakkurus, noto per essere un uomo freddo e dedito completamente al suo lavoro, apparentemente privo di umanità. Era entrato a far parte del team proprio il giorno della partenza, accolto con stupore ed imbarazzo generale da parte degli altri che avevano a che fare non più con amichevoli e familiari scienziati ma con militari professionisti e che incutevano un certo timore a causa del loro aspetto bellicoso.
Il visore della sua tuta rossa da battaglia altamente tecnologica si aprì in tre sezioni dal centro della faccia, mostrando il viso di un quarantenne dai lineamenti duri e gli occhi chiari. Rilassò persino i muscoli delle braccia che reggevano il suo amato railgun ed avanzò lentamente verso il pannello della navetta.
Alle spalle, i suoi scagnozzi: Urtus Bak, un omone dotato di un armatura nera più articolata e resistente di quella del Maggiore ed equipaggiato con mitragliatrice vulcan grande quasi quanto lui, e Matricola 64, un novellino talmente più zelante del suo capo da scegliere di non utilizzare il suo vero nome per evitare attaccamenti personali. Portava ancora con la corazza nera del soldato semplice, protetta solo su busto, braccia e cosce e si apprestava a svolgere la sua prima missione dopo il diploma all’accademia militare
Il trio armato era supportato da due droni umanoidi dotati di IA: Conte e Barone, bianchi e con caschi invece di teste, erano sempre stati la squadra addetta alla sicurezza della Opticon.
Il Maggiore Kakkurus si rivolse al capitano della navetta:
«Professore, devo riconoscerlo. Se non mi avessero affidato a lei, non credo avrei mai visto un pianeta così… incontaminato.»
Il suo sguardo era ammaliato e fisso sul globo blu, quello del professore era invece fisso su di lui. Sembravano parole sincere, finalmente.
«L’avevo avvisata, giusto? Bene…»
Infine Methra spezzò la calda atmosfera con la sua voce bassa e dolce:
«Professore, credo sia il momento.»
«Oh, certo. Comincia pure, Methra.»
«Galassia Orco Blu, sistema Teryos, pianeta 0365XX-Un963. Verifica disponibilità coloniale?»
Dean, eccitato, accontentò subito la collega:
«Territorio Vasculiano, lo considerano un pianeta di quarta categoria ed è presente nelle liste coloniali condivise. Classificato attualmente come “non reclamato”. Tuttavia ha un divieto di terraformazione.»
Continuò ancora Methra:
«Dottor Valis, iniziare scansione superficiale. Priorità a crosta e analisi termica. Dottoressa Arzem, analisi radiazioni e particolato in uscita dall’atmosfera. Professor Pundu, non vedo alcuna zona d’atterraggio al momento se non quei promontori. Cosa suggerisce?»
Juris osservava tutto con compiacimento, si rimise gli occhiali sul viso, facendoli calare dalla spaziosa fronte rugosa. Si passò una mano tra i pochi capelli bianchi rimasti e iniziò a pensare.
Il momento arrivò:
«Professor Juris, siamo pronti. Il pianeta classificato 0365XX-Un963 è ufficialmente pronto per essere studiato e schedato. La scelta del nome, rimane a lei.»
Gli occhi del Maggiore si abbassarono sulla figura del professore, così come quella di tutti i presenti, in attesa del verdetto. Il professore, con la mano ancora impegnata a corrucciarsi il mento, sorridente esclamò:
«Ci sono… Ember!»
Gli occhi di tutti i presenti, divennero prima euforici e sorpresi, poi seri e determinati.
Partì un breve applauso, a seguire il dottor Valis:
«Analisi. Completa. Incandescente. Dentro. Dean…?»
Gli irtus erano creature in teoria capaci di comunicare solo con ultrasuoni. Un ostacolo evoluzionistico che li ha resi poco idonei ai lavori di squadra ma alcuni individui, se vivevano a lungo con un’altra specie, potevano imparare ad imitarne suoni e linguaggio semplicemente aprendo la bocca e modulando con accuratezza il suono, seppure con lentezza estenuante e visibile difficoltà.
Dean infatti continuò per lui, leggendo sulla console i dati che Valis inviava:
 «Il pianeta ha solo quattro milioni di anni circa, è ancora giovane. Il blu che vediamo non sono altro che enormi e alte foreste, professore. Il suolo è roccioso, particolarmente denso, e rileviamo radiazioni ad almeno due kilometri sotto la crosta. Sembra che quel magma arancione nei crateri sia estremamente radioattivo e che scorra in tunnel sotterranei, dove a giudicare dalle radiazioni degli alberi stessi, nutrano la vegetazione locale. Ma non emette calore ne vedo segni di corrosione a parte infertilità nei dintorni delle crepe, strano. Oh, quasi dimenticavo: la gravità è uguale a quella terrestre, esattamente uguale! Penso abbia solo questo di positivo.»
«Vedi pfosti dove pfoter apfterrare?»
Intervenne la voce acuta, metallica e monotona del professor Pundu.
«Questa pfaccia del pfianeta non ha radure e non voglio scendere vicino quelle crepfe.»
Dean rispose: «Effettuo subito una mappatura, ma credo bisognerà aprirsi un varco.»
A quelle parole, il Maggiore Kakkurus si voltò verso il novellino: «Sessantaquattro, ai cannoni. Resta in attesa.»
«Sissignore!»
Il giovane soldato scattò con violenza in un saluto militare, come sempre, e corse attraverso la porta della cabina, lungo tutta la nave fino alla coda. Entrò in un portellone ai piedi del corridoio e si calò in una piccola cella di vetro temprato dotata di cloche e comandi per muovere due piccoli cannoni posti sul ventre della nave e puntati a prua.
Il professor Juris stavolta non ebbe da ridire, altre volte nacquero dispute accese sull’uso di armi su un pianeta sconosciuto senza averne prima studiato le proprietà.
La Opticon era destinata alla scoperta di pianeti da classificare come abitabili o meno. Il destino di nuove generazioni e, catastroficamente parlando del genere umano, potevano risiedere nelle sue mani se solo avesse trovato qualcosa di appetibile.
Ma il professore considerava l’uomo come l’ultima delle bestie e per questo non si fidò mai del Clan Celeste. I pianeti più belli, immacolati e ricchi di vita che la Opticon visitò nel corso delle sue missioni non vennero catalogati come tali. All’inizio nessuno se ne rese conto, ma le falsificazioni dei rapporti erano qualcosa di serio e, un giorno, il Clan venne a scoprire dei suoi tranelli per preservare le bellezze dell’universo. Così, il Maggiore venne ingaggiato per tenere sotto controllo la situazione, almeno per un po', e valutare un possibile rimpiazzo con qualcuno di più “affidabile”. Questo era almeno quello che gli era stato detto il giorno in cui il Maggiore si presentò al laboratorio.
Continuò proprio Juris, da buon biologo:
«Dottoressa Arzem, forme di vita?»
La voce della femmina nidoriana fortunatamente non era così apatica e metallica come quella del marito, bensì più calda e riecheggiante, quasi come se un lento eco vada ad esaurirsi al termine di ogni parola.
«Rilevo grosse creature, predatori, organizzati in branchi e svariate specie di dimensioni nettamente più piccole abitare praticamente tutta la superficie del pianeta. Anzi ne rilevo una estremamente grande rispetto alle altre, forse la più grossa del pianeta. Dovremmo prestare attenzione praticamente ovunque, suggerisco di lanciare un razzo calorifero per allontanare la fauna se proprio dobbiamo usare i cannoni.»
«Ho trovato una zona a bassa densità animale grazie ai dati della Dottoressa. Professor Pundu?»
«Allora andiamo sopfra quel pfunto e facciamo un pfo' di spfazio coi cannoni. Matricola, mi ricevi?»
«Sissignore.»
Nel mentre Pundu fece traslare la navetta, rivelando altre sfaccettature  del pianeta con crepe arancioni e aloni blu intenso, quasi ipnotico.
«Spfara una pfunta termica alle coordinate, adesso.»
«Sissignore!»
Uno dei cannoni si ritrasse indietro per poi sparare con un tonfo un proiettile lungo e pesante. L’attrito causato dall’atmosfera con il particolare materiale di cui era fatto il proiettile, diedero fuoco al dardo che si schiantò sotto le fitte fronde, rilasciando un lampo di luce, caldo agli occhi dei sensori termici che registravano decine di creature in fuga dall’area.
«Faccia fuoco…. Ora!»
I condensatori dei cannoni iniziarono a caricarsi insieme stavolta: «Sissignore!»
Un rumore sordo di piccole esplosioni riempì la cabina di comando, insieme a fasci di raggi blu che trivellavano la vegetazione sottostante mentre la navetta scendeva nella direzione dei laser.
La discesa in atmosfera non fu brusca con l’uso dei cannoni e particolari stabilizzatori appositamente costruiti per la fragile Opticon e il team di ricerca si apprestò all’atterraggio.
La navetta smise di sparare, si raddrizzò con la prua verso lo spazio infinito ed infine spense i motori lasciandosi cadere. A pochi metri da terra, i motori si riaccesero a tratti, limitando la velocità di caduta fino all’atterraggio su quattro cavalletti appuntiti.
Tutti erano indaffarati a preparare le tute e gli strumenti per il loro prossimo soggetto di studio.
«Ed eccoci arrivati. Salutate la vostra nuova casa per il prossimo anno, signori! Ember, il pianeta… incandescente! Hahahah!»
Scoppiò in una solitaria risata, mentre gli altri accorsero, carichi di zaini ed attrezzature in braccio, a dare un’occhiata attraverso i pannelli laterali, diventati trasparenti per l’occasione, prima di mettere piede sul nuovo pianeta: possenti alberi dalle foglie di sfumature tra il viola e il blu, alti più di venti metri, tozzi e di un  tronco verde scuro e malsano torreggiavano su un sottile strato di muschio color giada.
In lontananza, arbusti del colore degli alberi iniziarono ad agitarsi.
Ne fuoriuscirono piccole creature giallastre, dalla pelle porosa, di varie dimensioni anche se tutti uguali tra loro: con un occhio enorme al centro di un corpo quasi conico, con un ciuffo di peli sulla punta e zampe lunghe e ricurve sul terreno come quelle di una rana.
Le creaturine corsero prima in direzione della navetta, sbatterono violentemente sul pannello della nave emettendo uno strano squittio e poi si rialzarono per fuggire in direzione opposta.
«E credo che avremo mooooolto lavoro da fare…»
Concluse Dean.
 
  
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