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Autore: hikaru83    01/11/2018    8 recensioni
La notte di Halloween sembra una notte come tante altre, per le strade le persone si incontrano nei loro costumi pronti a passare la notte da una festa all'altra ma non sanno che dall'alto qualcuno li osserva.
Fanfiction nata per l'evento "Happy Halloween" del gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebacht of course!"
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qui per l'evento di Halloween "Happy Halloween" come vi avevo promesso. Sempre indetto dal gruppo Facebook Johnlock is the way... and Freebacht of course, è per questo il mio grazie a Chiara e Susanna che fingono sempre di moderare il gruppo ma si sa che sono peggio di noi XD
Annina questa storia è anche un po' tua e tu sai il perchè <3

Spero tanto vi piaccia, buona lettura




Sui tetti di Londra
 
 
 
Una normale sera sui tetti di Londra. L’aria frizzante di fine autunno profumava di legna bruciata ed era pesante di umidità mentre strane lanterne colorate la illuminavano.

«Che quelli laggiù fossero strani, era una cosa assodata da tempo,» borbottò annoiato il mio compagno, «ma ogni tanto devo ammettere che sono in grado di sorprendermi ancora,» aggiunse. «E ovviamente non in positivo,» continuò alzando i suoi magnifici occhi al cielo.

«Sembra che si stiano divertendo, però, Lock.» A me, al contrario di lui, tutte quelle persone che bazzicavano nella nostra via stavano simpatiche, almeno la maggioranza. Certo, c’erano delle eccezioni, ma normalmente riuscivo sempre a guadagnarci qualcosa a gironzolare intorno a loro. E visto che dividevo sempre i miei guadagni con lui, avrebbe dovuto ammettere che non erano poi così male. Strani, certo, ma normalmente era divertente seguirli da quassù e vedere cosa combinavano.

«Divertirsi?» Il suo sguardo annoiato passò dalla strada a me diventando meno supponente e addolcendosi lievemente. «Ohn, buon amico, sei sempre troppo generoso nei loro confronti.» Il suo sguardo ricade nuovamente sulle persone a passeggio sotto di noi, totalmente ignare della nostra presenza. «Sono troppo primitivi per conoscere il vero significato della parola “divertimento”.»

«Io sarò troppo generoso, ma non è che tu sei troppo avaro di complimenti nei loro confronti?»

«Per una volta devo dare ragione a mio fratello.» Una voce aristocratica proviene dalla tettoia sopra la porta della terrazza da cui stiamo osservando la strada.

«Croft dannato, vuoi farmi prendere un colpo? Non lamentarti se un giorno di questi, prima di rendermi conto di chi è la voce alle mie spalle, partiranno i miei artigli sul tuo muso ben curato.» Il tono della mia voce si è alzato parecchio, il cuore batte veloce in petto. Decisamente mi ha spaventato. Non mi aspettavo fosse lassù.

Il suo sguardo glaciale cade su di me. Lo so che per tutti quello sguardo incute terrore, a me però fa solo venire voglia di dargli fastidio apposta.

«Il mio nome è Meowcroft, e gradirei che lo usassi Meowohn.» Sapevo che avrebbe detto una cosa simile.

Con un balzo elegante si avvicina a noi. Il manto tigrato, il pelo lungo e curato. Gli artigli affilatissimi ben nascosti. Sicuramente i suoi natali derivano dai norvegesi, solo che invece di impressionarmi, a me sembra solo un enorme gatto di peluche.

«Non mi pare che la cosa ti disturbi quando è il nostro amico Ory a chiamarti così. Oh, scusa, vuoi che lo chiami Meowory vero?» gli dico sghignazzando appena riconosco lo sguardo infastidito. Com’è divertente prenderlo in contropiede in uno dei suoi punti deboli. Ovviamente tocco i nervi scoperti solo quando siamo soli. Non permetterei a nessuno di conoscere qualcosa che possa metterlo nei guai. E per quanto non facciamo altro che punzecchiarci, so che anche lui in un certo senso mi protegge.

«Non vedo perché dovresti chiamarlo... in maniera differente dal suo nome,» mi risponde cercando di rimanere impassibile. Come se io non avessi già visto abbastanza per dargli fastidio per ore!

«Perché forse ci chiamiamo tutti Meow?» Lo guardo esasperato. «Siamo gatti, ci chiamiamo tutti nello stesso modo, perché perdere tempo? I nostri non sono nomi, sono dei cazzo di scioglilingua.»

«Fratello, mi spieghi perché continui a passare il tuo tempo con questo gatto di strada? Ha più cicatrici di quante ne abbia il resto dei gatti della via, oltre a un carattere decisamente poco aristocratico.» Si rivolge direttamente a Lock ignorandomi completamente.

«Non mi pare siano affari tuoi,» risponde stizzito Lock. Tra i due fratelli il rapporto è abbastanza conflittuale, ed è evidente anche per me che ho il piacere di conoscerli da relativamente poco tempo. Il manto nero e setoso di Meowlock brilla alla luce della luna. Le zampe lunghe, le orecchie a punta, il muso perfettamente triangolare. È decisamente un esemplare unico al mondo. Se paragonato poi a me, un gatto di strada rosso e – come gentilmente fatto notare – pieno di vecchie cicatrici, la sua bellezza ed eleganza paiono ancora più pronunciate. Ma a quanto pare per lui le nostre differenze non sono un problema, e se non lo sono per lui figuriamoci per me.

«Dai, Croft, lasciali un po’ in pace.» Ory si aggiunge a noi. Sono evidenti le origine dei gatti di razza Blu di Russia: il pelo corto e di quel colore particolare, le zampe lunghe, il corpo magro, la forma degli occhi allungata. Proprio i suoi occhi tradiscono il fatto di essere solo uno dei tanti incroci che popolano le vie di Londra. Invece di essere del verde classico sono di un marrone caldo. «Allora come mai tutti e quattro qua sopra? Che stiamo osservando?»

«Gli umani.» Croft non potrebbe essere più disgustato di così.

«Beh, gli umani hanno parecchi difetti, ma bisogna ammettere che alcuni possono essere utili.» Sta gongolando troppo. Questo vuol dire una cosa sola...

«Trovato qualche altra femmina che ti lascia qualcosa da mangiare?» gli domando ridendo. Il suo sguardo divertito è l’unica risposta che mi serve. «Sei davvero incorreggibile!»

«Che posso farci, le femmine mi amano! E in più le notti stanno diventando sempre più fredde. Riuscire a trovare un posticino riparato dove sonnecchiare non è una cosa negativa.»

«Io non ho bisogno di umani per superare un po’ di freddo,» sibila accanto a noi la voce indispettita di Croft.

«Disse il Norvegese... Facile così,» risponde Ory con un sorriso sornione.

«Che c’entra? Non è che d’estate mi lamenti.» Uno sbuffo nato da una risata mal trattenuta risuona al mio fianco. Se persino per Lock la cosa è divertente, figuratevi se non lo è per me e per Ory.

«Ma se non fai altro che stare sdraiato nei posti più freschi maledicendo gli umani, come se fossero loro i principali colpevoli di qualsiasi cosa,» intervengo.

«Sono colpevoli, non so ancora come, ma sono certo che sono i colpevoli,» risponde, mentre controlla svogliatamente i suoi artigli lavandoli poi con cura.

Bisogna ammettere che ha grande cura di sé. Se non fosse così, il suo pelo folto non sarebbe che un’accozzaglia di polvere e sporcizia. Invece è una distesa morbida e soffice; non che io abbia mai provato a sfiorarlo, sia chiaro.

Osservo Lock – che al contrario del fratello ha il pelo corto, di un nero così intenso che se non fosse per la sua lucentezza potrebbe sparire completamente al calar delle tenebre. Non so se i due fratelli lo sono anche di sangue, in realtà, però so che Croft si è preso cura di Lock fin da quando era solo un cucciolo. Lo so perché non fanno altro che battibeccare su quanto, secondo Croft, il fratello sia ingrato e di quanto, secondo Lock, l’altro lo controlli da sempre. Ho la sensazione che si vogliano un bene assoluto, ma che orgogliosi come sono, non lo ammetteranno mai ad alta voce.

Un po’ invidio il loro rapporto. Finora non ho avuto nessuno accanto di cui prendermi cura, né qualcuno a cui importasse qualcosa di me. Fin da cucciolo me la sono dovuta cavare da solo. Mia madre – ho solo un vago ricordo di una gatta grossa e rossa come me – una mattina è sparita lasciando me e i miei fratelli in uno scatolone che era stata la nostra tana fino a quel momento. Dopo un paio di giorni avevo deciso di cercare del cibo. Avevo fame e stare lì ad aspettare non mi pareva una bella idea. I miei fratelli e sorelle decisero invece di rimanere, convinti che mamma sarebbe tornata presto. Non li ho più visti.

Per strada stavo per finire sotto le ruote di una macchina dopo poche ore. Un grosso gatto bianco e nero mi prese sotto la sua ala protettiva e mi insegnò a sopravvivere.


Era uno dei tanti gatti che si incontrano per strada. Grosso, con gli artigli sempre pronti a scattare, senza un orecchio, la coda storta e quattro cicatrici dovute sicuramente a una rissa che gli passavano da parte a parte diagonalmente il muso. Non era propriamente una bellezza, ma è stato il miglior mentore potessi avere. Meowholto si chiamava. Era il terrore della strada, lo rispettavano tutti. Conoscevo tutte le storie delle sue avventure, ma la mia preferita era quella di come si era procurato quelle cicatrici sul muso. Diceva sempre: «Mi ha regalato questa in modo che ci fosse qualcuno a ricordarsi di lui. Sapeva che non sarebbe uscito vivo. È stato un degno avversario. Ma per strada, anche se devi rispettare il nemico, non devi avere pietà. Io sono qui, lui ormai è dall’altra parte dell’arcobaleno da tempo. Spero che quando verrà il mio turno si ricorderà di me. Se sarà così allora ci sarà da divertirsi lassù, per me.»

Per strada ho scoperto di poter avere alleati insospettabili. Uno dei più cari compagni che ho è un segugio calmo e serafico di nome Toby. Riesce a stare immobile a dormire quasi come uno della mia specie. E in più è stato lui a consigliarmi questa via, quando decisi di abbandonare per sempre la zona in cui avevo vissuto e mi ritrovai a gironzolare per Londra senza una meta ben precisa.


«Ehi, Ohn, sei ancora tra noi?» Una zampa grigia mi passa davanti al muso.

«Sì, sì, scusate. Allora, dicevamo che hai trovato un posto caldo per passare l’inverno che sta arrivando,» riprendo il discorso.

«Esatto. Più posti, in realtà, e almeno un pasto assicurato. Visto che sono diversi, ho pensato che vi poteva far piacere sapere in quali case trovare alleati umani.»

«Basta che non ci siano bambini. Ricordo ancora l’ultima volta che mi è capitato di averci a che fare,» brontola Croft.

«Ma se con quei merletti rosa eri bellissimo,» ridacchia Ory a fianco a me.

«Merletti rosa?» chiedo spalancando gli occhi. «Cosa mi sono perso?»

«Dovevi vederlo, Ohn. In balia di due gemelle di sei anni. Lo trattavano come una bambola. Gli facevano anche fare le passeggiate in carrozzina.
E sai il grande e temibile Norvegese, terrore della strada e giudice supremo qui davanti a noi come rispondeva?»

«Beh, non credo che sia stato felice della cosa...» O sì?

«Fusa,» rivela la voce bassa di Lock al mio fianco. E per una volta non riesce a nascondere il divertimento nel suo tono.

«FUSA??» chiedo sorpreso, voltandomi di scatto verso Croft che cerca di non essere notato. Ma diciamoci la verità: per un Norvegese di nove chili non è proprio facile passare inosservato.

«Beh, come cuccia era comoda, e mi rimpinzavano di cose buone da mangiare. Ecco,» cerca di giustificarsi.

«E come mai non sei rimasto con loro?»

«Ed essere dipendente dagli esseri umani? Mai!»

«Non credergli,» mi sussurra all’orecchio Ory. «Si sono trasferiti. Dovevi vedere come le bambine piangevano quando i genitori hanno detto loro che non potevano portarlo.»

«Oh, mi spiace.» Guardo con occhi diversi il grande gatto che in questa strada è senz’altro considerato da tutti una sorta di capo. Ho sempre saputo che sotto tutta quella pelliccia batteva un cuore, solo che a lui non fa piacere ammetterlo.

«Non devi,» rivela Lock. «Si sono trasferite dopo il Tamigi. Un quartiere carino. Croft ci ha messo tre giorni a trovarle. Dove pensi che va quando sparisce?»

Sorrido guardando il gatto maestoso che finge di non aver sentito e arrotola la lunga, morbida e sicuramente caldissima coda intorno al suo corpo.

«Se vogliamo smettere di sparlare del sottoscritto... Ditemi, come mai abbiamo deciso di trovarci su questo tetto?» ci interrompe Croft con tono scocciato.

Ory si avvicina a Croft sorridendo e strusciandoglisi addosso, cosa che riesce sempre a tranquillizzarlo immediatamente. Diventa sempre più malleabile se Ory è presente.

«Ah, giusto. Anche io ho trovato un posto carino dove passare l’inverno, e ovviamente siete tutti invitati,» rispondo orgoglioso.

«Beh, questo ti rende più utile di quanto immaginassi. Voglio proprio vederti strusciare contro qualche esemplare femminile per avere cibo e un tetto sulla testa.»

«Ohn non si struscia addosso a nessun esemplare femminile,» risponde stizzito Lock al mio fianco. Ed è vero, gliel’ho promesso. Il periodo in cui lasciavo che l’aria dolce della primavera e il profumo delle gatte guidasse le mie azioni è finito.

«Calmati, Lock,» ridacchia Ory. «Croft parlava di donne, non gatte.»

«Pff,» sbuffa Lock accanto a me. Sorrido perché lui non è un esemplare molto propenso a dimostrare affetto, ma è molto geloso di ciò che gli è caro, nonché molto territoriale.

«Questa volta ho evitato anche il genere femminile umano. Ma se avete un po’ di pazienza, lo vedrete con i vostri occhi fra pochi istanti.»

La luce della finestra a cui si può accedere da questo tetto si accende. I vetri si aprono e la voce di un umano si sente chiara nella notte ormai profonda. «Ehi, micio, se ci sei fatti vedere, dai.»

Mi stiracchio e con calma mi avvicino alla voce in questione. Salto sul davanzale della finestra silenziosamente e l’uomo che mi ha chiamato mi sorride.

«Bravo gatto. Guarda cosa ti ho portato.» Mi avvicina un piatto con della carne fredda, ma non per questo meno appetitosa. Avvicino il muso alla sua mano tesa permettendogli di accarezzarmi per ringraziarlo. La cosa buona di questo umano è che rispetta i miei tempi e non mi costringe a carezze non volute. Sicuramente non a merletti rosa, penso sghignazzando.

Mi volto verso il tetto dove stanno aspettando il mio segnale i miei amici. L’umano si ferma immobile, capendo che è un momento delicato. Il primo a presentarsi è Lock, splendido e aggraziato come solo lui sa essere; poi Ory e per ultimo Croft. L’umano li guarda e poi osserva me.

«Amici tuoi?» Lo osservo e poi chiudo gli occhi strizzandoli un po’. Lui ripete lo stesso gesto, non so se volontariamente o no, come se capisse che è un segnale di amicizia. «Molto bene, gli amici tuoi sono amici miei. Potete stare quanto volete. Accosto i vetri che inizia a fare freddo e Sherlock sta sempre in giro scalzo. Tanto tu sai come aprirli da solo quando volete uscire. Vado a prendere un altro po’ di carne. Quella non basterà per tutti e quattro,» dice, soffermandosi con lo sguardo su ognuno di noi.

«John, il fatto che tu cominci a parlare da solo inizia a preoccuparmi.» Una voce bassa arriva dalle spalle dell’umano gentile. I miei amici cercano un posto dove nascondersi e li capisco. Questo umano è affidabile, ma il suo compagno?

«Tranquilli, Sherlock è uno a posto,» ci dice.

«Seriamente, John, con chi stai parlando e perché sei tornato in questa stanza? Tu stai con me giù.» Dalla porta entra un umano alto, moro, con degli zigomi pronunciati e occhi verde acqua. Si immobilizza quando mi vede.

«Non è bello, Sherlock?» gli domanda il mio umano che evidentemente prende il nome di John.

«Da quando hai un gatto?»

«Non ho un gatto. È uno spirito libero. Ha solo bisogno di un posto dove passare le notti fredde e i giorni piovosi. È libero di venire quando ha voglia, e questa sera ha portato degli amici,» gli spiega, vedendo che i miei compagni sono usciti dai loro nascondigli.

«Credi che a Mrs. Hudson vada bene?»

«Da quando ti interessa se a lei va bene qualcosa in questa casa? Perché dallo smile sulla carta da parati o i proiettili sparati per noia sul muro, o le cose “pugnalate” sulla mensola del camino, non mi pare ti sei mai chiesto se fossero ben visti da lei,» dice John, osservandolo scuro in volto, come se dovesse difenderci. Mi piace questo umano.

Il suo compagno sembra che stia accettando la nostra incursione. Cade completamente nelle mani di John quando continua il suo accorato discorso in nostro favore.

«E poi questa stanza non la uso più, Sherlock. Dividiamo la tua, a meno che non preferisci che io torni qua sopra...»

«NO, MA CHE STAI DICENDO? C’HO MESSO ANNI A FARTI RAGIONARE E ORA…» si ferma quando capisce che John lo stava solo stuzzicando.

«Visto che siamo d’accordo, vieni giù a prendere un altro po’ di carne e anche una ciotola d’acqua per i nostri nuovi amici.» Lo prende per mano e si avvicinano alla porta della stanza.

«Prima ti devi far perdonare per il quasi infarto che mi hai causato,» gli risponde Sherlock, avvicinandolo a se e sfiorando le sue labbra.

«I gatti... ci stanno... guardando,» riesce a dire John tra un bacio e l’altro.

Sherlock si volta e ci vede molto interessati a ciò che si sta sviluppando davanti ai nostri occhi. Che devo dirvi: i gatti sono animali altamente curiosi.

«Non vi dispiace se ve lo rubo per un po’, giusto? Prometto che vi porteremo la cena dopo, ma capirete, ci sono cose per cui non si può proprio aspettare,» dice Sherlock, trascinandoselo sulle scale e chiudendo la porta dietro di loro.

«Bisogna ammettere che sembrano simpatici,» dice la voce di Ory.

«E il cibo non è male,» continua Croft.

«Anche il letto è comodo,» sentenzia Lock.

«Allora che dite, casa approvata?» chiedo al gruppo.

«Direi di sì, Ohn. Ora vieni a metterti qui vicino che siamo a fine ottobre e io non ho la pelliccia di mio fratello.»

Sorrido salendo sul materasso dove si è sistemato Lock. Un lenzuolo copre questo e il cuscino per fare in modo che la polvere non li ricopra. Anche Croft e Ory si sistemano sul materasso, ma ai piedi. Sospiro beato mentre la lingua rasposa di Lock inizia a passare sulla mia pelliccia.

Fuori le lanterne arancioni colorano la città, umani vestiti in maniera strana inondano le strade e la confusione arriva fino al nostro angolo di paradiso. Confusione ovattata che non mi disturba affatto perché niente mi fa sentire più in pace e a casa delle fusa di Lock nel mio orecchio. Con le zampe lo abbraccio, la mia coda si attorciglia intorno al suo corpo magro e inizio a fare le fusa anche io.


Le strade, i vicoli, i tetti di Londra sono state la mia tana per tutta la mia vita. Queste zampe lunghe, le vibrisse che mi solleticano piacevolmente, e questo corpo magro sono la mia casa da poco, ma spero rimarranno casa per tutto il resto della vita.


Fine



Note: Ebbene sì è una catlock, avrei probabilmente dovuto dirlo all'inizio, ma mi piaceva l'idea dell'effetto sorpresa, per quanto possibile, spero vi abbia fatto sorridere. Alla prossima ff.
p.s. Meowcroft esiste davvero, vero Annina? XD
  
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