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Autore: Mari Lace    01/11/2018    4 recensioni
Bastò che le prime note riecheggiassero nella sala perché si ricredesse.
Il pianista non l’accompagnava affatto; sembrava che la sfidasse, piuttosto.
Lei, affatto intimidita, rispondeva a tono, manipolando lo spartito, imprimendovi a fuoco la propria anima.
Si incalzavano a vicenda, in un gioco serrato di note e accordi che, Nene ne era certa, avrebbe fatto impallidire la sua insegnante di musica di un tempo.
Ciò che stavano suonando non era più Beethoven: le note erano le stesse, la melodia – intrisa dei loro sentimenti – qualcosa di totalmente diverso.
Poté solo ascoltare, rapita, finché la violinista non abbassò l’archetto, il pianista non staccò le mani dai tasti. Ignari del pubblico, li vide scambiarsi uno sguardo; Nene applaudì, ingoiando l’orgoglio, presto imitata da tutti. Anche Satoshi applaudì, un luccichio soddisfatto negli occhi.

(...)Aveva dimenticato i suoi sentimenti, sigillati in un angolo remoto dell’inconscio. La musica le aveva imposto di ricordarli, così, tutto d’un tratto: svelata da essa, Nene aveva iniziato a piangere, impossibilitata a reagire in qualsiasi altro modo.
////Storia CROSSOVER con Shigatsu wa kimi no uso./////
Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nene Kinokuni, Satoshi Isshiki
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Per il suo sorriso'
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yuyin

Yúyīn

 

Nene sospirò, osservando l’edificio davanti a lei. L’auditorium “Towa Hall”. Non c’era mai stata prima.

Alzò lo sguardo verso il ragazzo al suo fianco.

«Un auditorium?» domandò, inarcando un sopracciglio. Non sapeva che la musica – classica, per di più! – rientrasse negli interessi di Isshiki Satoshi.

C’erano molte – troppe – cose di lui che ignorava, in realtà, sebbene fossero cresciuti insieme. La musica classica, però, l’avrebbe realmente sorpresa. Non le sembrava il tipo, semplicemente.

Satoshi le sorrise. «Oggi suonerà una ragazza che conosco» spiegò, vago.

Lo sguardo di Nene si assottigliò. «Una ragazza che conosci?» ripeté, scettica.

«Ha suonato a un evento per cui mi sono occupato del buffet qualche mese fa». Isshiki lo disse muovendo il primo passo verso l’entrata; lei si affrettò a seguirlo.

«Tutto qui?» domandò senza guardarlo, cercando di suonare il più naturale possibile.

Lui rise. «Sembri quasi gelosa. Non lo sei, vero?» chiese, voltandosi a cercare il suo sguardo.

Nene glielo negò, fissando davanti a sé con decisione. «Affatto. Non parli mai di ragazze che conosci, escluse quelle del dormitorio. Tutto qui» affermò sistemandosi gli occhiali. Accelerò il passo; perché con Isshiki finiva sempre così, con lei che si faceva troppi problemi per ogni minima cosa?

Però, era davvero strano. Dopo il Regiment de Cuisine l’aveva invitata a uscire già altre due volte, ma si era sempre trattato di eventi legati al mondo della cucina. Non che le dispiacesse, cercare di recuperare un rapporto troppo a lungo trascurato, ma Isshiki era un vero mistero. Innanzitutto, dove voleva arrivare con quelle uscite?

Qualcuno le tagliò bruscamente la strada, riuscì a fermarsi giusto in tempo. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la ragazza – riuscì a vederla solo di spalle, mentre si allontanava rapida – sparì in fretta, senza neanche mormorare un mi spiace.

Isshiki sorrise. «Dev’essere piuttosto ansiosa di suonare» commentò.

Effettivamente, pur di sfuggita aveva notato il vestito elegante che indossava. Quello, e lunghi capelli biondi – nient’altro. Era verosimile che dovesse esibirsi. Scosse la testa: non un’ottima presentazione, decisamente.

Non poté rimuginare oltre sulla scarsa educazione di certi artisti, perché si ritrovò il volto sorridente di Isshiki decisamente troppo vicino al suo. «So cosa stai pensando. Su, perdonala» l’esortò il ragazzo, in piedi tra lei e la porta d’ingresso alla sala. Erano arrivati.

Perdonarla? Perché avrebbe dovuto – che importanza poteva avere, tra l’altro? Probabilmente non l’avrebbe neanche più vista.

«Non voglio che ti incupisca per una cosa del genere. Devi avere la mente libera per goderti a pieno la musica» aggiunse Satoshi, fissandola negli occhi.

Sembrava così serio…

Sospirò, distogliendo lo sguardo. «Se insisti».

La sala all’interno non era troppo ampia. Trovarono posto in una delle file centrali, accanto a una bambina bionda. Non doveva avere più di otto anni, valutò rapidamente Nene; la madre doveva essere la donna seduta nel posto seguente. Aveva corti capelli neri e uno sguardo luminoso, non avrebbe saputo descriverlo diversamente; la colpì. La donna si voltò verso di lei – forse si era sentita osservata? – e le sorrise gentilmente.

Ricambiò impacciata e si sedette, lanciando uno sguardo a Isshiki che aveva fatto lo stesso. Non la stava guardando, tutta la sua attenzione era rivolta al palco. Suo malgrado doveva ammetterlo: era riuscito a incuriosirla.

Non dovettero aspettare molto perché il presentatore apparisse sul palco: presentò il ragazzo che si sarebbe esibito per primo, nome che Nene scordò subito.

Si stupì nel vederlo, e si voltò di scatto verso Isshiki per farglielo presente.

«Mi hai portata a un concerto di liceali?» mormorò incredula.

Lui le rispose con l’espressione più calma del mondo. «Qualcosa non va?»

Il pianista intanto aveva iniziato; non commetteva particolari errori, ma era evidente che fosse nervoso, un paio di volte saltò una nota, il ritmo in generale le parve spesso eccessivamente accelerato.

L’educazione di un’erede Kinokuni prevedeva anche rudimenti musicali: sebbene il pianoforte non fosse tra gli strumenti che era in grado di maneggiare, aveva sviluppato un buon orecchio. Perse ben presto interesse, spiando delusa Isshiki con la coda dell’occhio. Tutto qui, l’aveva portata a un concerto di principianti? Possibile che fossero davvero lì solo per ascoltare la ragazza di cui le aveva accennato? Si accigliò, rassegnandosi di fronte all’ennesimo mistero offertole da Isshiki Satoshi.

Il bambino che un tempo le era piaciuto – scosse la testa per scacciare il pensiero. Erano cambiate molte cose, da allora.

Il brano terminò, l’esecutore si alzò e fece l’inchino. Qualcuno applaudì.

Il pianista successivo era un ragazzo biondo. Produsse una melodia decisa, forte. Senza errori. Ne rimase molto colpita, iniziò a ricredersi.

Quando la musica cessò, si unì all’applauso generale che percorse la sala.

Il biondo fece un inchino, rimase qualche secondo a fissare il pubblico. Aveva un sorriso soddisfatto dipinto in volto, o almeno le sembrò.

Curvò le labbra. Forse quei ragazzi erano come lei, come loro, dopotutto; giovani che avevano dedicato tutta la vita alla musica, come gli studenti della Tootsuki facevano per la cucina.

Quanti prodigi potevano esserci, però? Dopo il ragazzo biondo – Aiza, captò dai commenti degli spettatori seduti dietro a lei – suonarono due violinisti, un ragazzo e una ragazza. Trovò la loro esibizione mediocre quanto la prima, niente a che fare con la musica di Aiza. Accavallò le gambe, chiedendosi se quel concerto avesse altre sorprese in serbo per lei.

Suonarono altri due pianisti, poi la vide. La maleducata che le era quasi finita addosso prima del concerto. Era una violinista, scoprì – e non si esibiva da sola.

Sul palco con lei c’era un ragazzo che prese posto al pianoforte. Un accompagnatore, chiaramente; la protagonista doveva essere lei.

Bastò che le prime note riecheggiassero nella sala perché si ricredesse.

Il pianista non l’accompagnava affatto; sembrava che la sfidasse, piuttosto.

Lei, affatto intimidita, rispondeva a tono, manipolando lo spartito, imprimendovi a fuoco la propria anima.

Si incalzavano a vicenda, in un gioco serrato di note e accordi che, Nene ne era certa, avrebbe fatto impallidire la sua insegnante di musica di un tempo.

Ciò che stavano suonando non era più Beethoven: le note erano le stesse, la melodia – intrisa dei loro sentimenti – qualcosa di totalmente diverso.

Poté solo ascoltare, rapita, finché la violinista non abbassò l’archetto, il pianista staccò le mani dai tasti. Ignari del pubblico, li vide scambiarsi uno sguardo; Nene applaudì, ingoiando l’orgoglio, presto imitata da tutti. Anche Satoshi applaudì, un luccichio soddisfatto negli occhi.

«Hai visto, Koharu? Kousei ce l’ha fatta!»

La donna a due posti da lei attirò l’attenzione di Nene. Sembrava conoscere i due che si erano appena esibiti – il pianista, probabilmente.

«Che ne pensi?»

Isshiki richiamò la sua attenzione. Si ricompose. «Che intendi? Sono stati bravi, non c’è molto da dire» commentò, cercando di non apparire eccessivamente colpita. Le venne un dubbio. «Era lei la ragazza di cui parlavi?» domandò, stranamente agitata all’idea.

Isshiki scosse la testa. «No,» affermò, raggiante come sempre, «lei suona adesso. Ecco, la stanno annunciando».

Riportò immediatamente l’attenzione sul palco; il pubblico aveva smesso di applaudire, l’unico suono udibile adesso era la voce del presentatore.

Nene colse il nome della pianista, che era anche l’ultima della giornata a esibirsi: Emi Igawa. Non le disse nulla – non che si fosse aspettata il contrario, in effetti.

~♪~

«Kinokuni-kun? Mi senti?»

Ma Nene non lo sentiva – non poteva. Non sentiva nulla, a eccezione del Liebestraum di Liszt.

Di Liszt? No, non esattamente. Il Liebestraum di Emi Igawa sarebbe stato più corretto.

Aveva osservato le sue mani guizzare sul pianoforte, producendo una melodia che non era composta di note, no: ciò che aveva raggiunto Nene erano state dolci carezze per l’anima.

La musica l’aveva toccata in profondità, aveva parlato alle parti più celate del suo essere. Aveva risvegliato sentimenti che aveva ritenuto perduti.

Sentimenti: era stata tutta lì, la differenza. Emi non aveva suonato meglio della coppia di violino e pianoforte, né di Aiza, il primo ad averla colpita con la perfezione della sua tecnica. Aveva persino scelto un brano relativamente semplice.

Quel che era cambiato erano i sentimenti che aveva infuso nella sua musica. Ogni singola nota le aveva parlato d’amore; l’amore della pianista, veicolato dalla melodia, aveva finito per fondersi con il suo, un amore potente che l'aveva catturata e sconvolta, facendole riscoprire un sentimento profondo che aveva deciso di rinnegare molto tempo prima.

L’aveva fatto riaffiorare, non aveva potuto fare niente per impedirlo.

Forse non l’aveva neppure voluto.

Aveva dimenticato i suoi sentimenti, sigillati in un angolo remoto dell’inconscio. La musica le aveva imposto di ricordarli, così, tutto d’un tratto: svelata da essa, Nene aveva iniziato a piangere, impossibilitata a reagire in qualsiasi altro modo.

Le lacrime, calde, avevano preso a rigarle il volto, e non si erano fermate nemmeno quando Emi Igawa, terminata l’esibizione, si era alzata e aveva salutato gli spettatori con un sorriso fiero dipinto in volto.

Questo non aveva bloccato le lacrime, né la musica, non per Nene: continuava a echeggiarle nelle orecchie, conquistando lentamente ogni pezzo della sua anima.

Perciò no, Nene non sentiva Isshiki: non poteva.

«Yúyin».

La melodia si affievolì, Nene avvertì un tocco delicato carezzarle una guancia.

Nuovamente conscia di ciò che le stava accadendo intorno, la prima immagine che occupò la sua visuale fu il volto di Isshiki. Arrossì di botto, cercò di cancellare le prove di quella che considerava una debolezza strofinandosi le gote con le mani.

Fu inutile: le lacrime continuarono a scendere, implacabili, dando libero sfogo a sentimenti troppo a lungo repressi. Continuava ad avvertire quella musica così simile al Liebestraum, per alcuni istanti pensò di odiarla.

Si sentiva totalmente a nudo, si vergognò. Satoshi la fissava serio; si chiese cosa pensasse di lei, vedendola così.

Prima aveva pronunciato una strana parola, non l’aveva ben colta. «Cosa hai detto?» riuscì a formulare, fortunatamente senza impicciarsi.

Lui le sorrise. «Yúyin», ripeté. «Ricordi? Ne parlò l’insegnante di musica, una volta che mi ero intrufolato a una tua lezione. È cinese, vuol dire…»

Nene l’interruppe. «La sensazione che resta di un suono dopo che lo si è sentito».

Era riuscita a fermare le lacrime, mentre il ricordo di un tempo lontano riaffiorava sulle note di Emi. Non aveva capito cosa intendesse dire l’insegnante, quando gliene aveva parlato quella volta. Ora lo capì – e ricordò anche qualcos’altro.

Si strofinò gli occhi e fissò Isshiki dubbiosa. «Tu piangevi, quella volta».

«Ne sei certa?» replicò lui con un sorriso tranquillo. «Chissà. È passato così tanto tempo».

Nene annuì, cercando di recuperare la sua consueta sicurezza. «Piangevi», ripeté. «La maestra ti ha visto e ci ha raccontato di Yúyin… perché piangevi?»

«Non ricordo» affermò Satoshi scrollando le spalle. «Sembra che riposare un po’ ti farebbe bene, Kinokuni-kun. Sarà meglio tornare».

«No, sto bene. Io–»

Satoshi non la lasciò finire, le prese una mano e la guidò verso l’uscita.

Incapace di opporsi, Nene neanche ci provò. Era effettivamente stanca, anche se avrebbe preferito ingoiare un tentacolo coperto di burro d’arachidi piuttosto che confessarlo a Isshiki.

La melodia del Liebestraum l’accompagnò per tutto il viaggio di ritorno, risparmiandole gli infiniti aneddoti di Satoshi sui suoi compagni di dormitorio.

Al momento di separarsi, Nene aveva solo voglia di chiudere gli occhi e obliarsi nel sonno per un po’. Salutò Isshiki con un rapido, distratto «Buonanotte» e fece per avviarsi.

Si sentì trattenere per il polso e si voltò ad affrontarlo nuovamente.

«Va tutto bene?» le domandò lui, in faccia un sorriso – fintamente – ingenuo.

«Perché?» ribatté secca. Non aveva voglia di stare al suo gioco, non quella sera. Era ancora scossa.

«Non mi hai intimato di arrivare puntuale alla riunione di domani» disse Satoshi, mettendo su un'espressione curiosa. «Normalmente lo fai. Sei certa di star bene?»

Quel rimarco la fece avvampare. Strinse il pugno e prese un bel respiro per calmarsi, prima di rispondere. «Se anche te lo dicessi, arriveresti tardi comunque» l’accusò, ignorando la domanda. «Forse mi sono rassegnata».

Satoshi assunse una posa teatrale, portandosi una mano al cuore. «Mi ferisce che mi consideri un caso perso».

«Ne dubito vivamente» replicò, accalorandosi.

Lui rise. «Ora sembri più tu». Nene si bloccò. «Temevo che Emi ti avesse scossa un po’ troppo, ora sono più tranquillo» aggiunse lui con naturalezza. «Non ti ruberò altro tempo. Per oggi, almeno» affermò sornione. «A domani!»

Nene non rispose al saluto, fissandolo darle le spalle e allontanarsi in direzione dello Stella Polare. Stupido Isshiki, sempre così… Si sentiva le guance in fiamme.

Raggiunse la sua stanza a passo un po’ più spedito del solito e vi si chiuse.

Si preparò rapidamente per la notte, sforzandosi – dunque ottenendo l’effetto opposto – di non pensare al ragazzo.

Una volta nel letto, passò diversi minuti a rigirarcisi, senza riuscire in alcun modo a prendere sonno.

Continuava a ripensare agli eventi della giornata.

Perché Isshiki l’aveva portata a quel concerto, cosa aveva pensato di ottenere?

Non avrebbe potuto prevedere la sua reazione, giusto?

E cosa aveva pensato, vedendola piangere in quel modo?

Affondò la faccia nel cuscino, esausta. Doveva smettere di pensare a lui, doveva smettere di pensare a qualsiasi cosa. Se solo avesse potuto lasciarsi sprofondare.

Blu, rosso, viola.

Lampi di questi colori le oscurarono la visuale, mentre la melodia ripartiva, più forte di prima, e si appropriava nuovamente della sua mente.

Nene non la contrastò, decise di lasciarvisi andare, le si abbandonò totalmente.

Quella notte sognò Isshiki, sulle note del Sogno d’amore di Liszt,

o forse no.








NdA

Giusto un paio di precisazioni: come immagino avrete notato, ho immaginato un Alternative Universe / What if? in cui Kaori è viva, per quanto riguarda Shigatsu wa kimi no uso. Li ho immaginati tutti più grandi di un paio d'anni, al liceo, appunto.

Spero si sia capito: il motivo per cui la musica di Emi colpisce Nene così a fondo è per un'affinità di sentimenti che invece con Kaori e Kousei non avverte, non perché non si mettano del tutto in gioco anche loro.

Sul resto non ho molto da dire, spero di non essere andata OOC >.<

Come scritto nell'introduzione, la parola che ha ispirato questa storia [insieme al fatto di voler scrivere su Emi] viene dalla challenge delle parole intraducibili, indetta da Soly Dea - che ringrazio! - sul forum di EFP. ^^

Che altro dire? Grazie per aver letto! Alla prossima,

Mari :3

  
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