Serie TV > Chiamatemi Anna
Ricorda la storia  |      
Autore: Cress Morlet    01/11/2018    19 recensioni
[Anna/Gilbert]
Anna è emozionata.
Anna è spaventata?
Ma non deve.
Sei tu il piccolo insetto schiacciato sotto la suola dei suoi stivali, sei tu la fastidiosa mosca rattrappita dal freddo e sei sempre tu l'insignificante moscerino mangiato dalla bocca pelosa di un ragno.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Shirley Cuthbert, Gilbert Blythe
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Insetti

A Cress e Thorne.
A Jacin e Winter.
Voi, in un momento davvero buio, siete stati una cura, un sollievo e un ricordo di antica bellezza.

Il Sole è caldo, in questo rilassante pomeriggio, e ti brucia la pelle fino a spellartela.
Il Sole è una palla di fuoco, in questo momento, e rotola giù verso di voi, verso il verde prato su cui vi siete distesi, a gambe e braccia aperte, come angeli di neve in fiore.
Il Sole è un tepore piacevole, nelle pause di questi secondi tormentati, che si insinua tra i tuoi capelli e i tuoi vestiti, e tra le tue dita che pizzicano.

E lei guarda il Sole, a costo di lacrimare copiosamente, e tu anche lo osservi, anche tu ti ci perdi, e lo fai grazie ai suoi occhi, alle sue chiare pupille, che ti permettono di ammirare quella stella morente, quella stella dai raggi taglienti, quasi come se insieme riproduceste un gioco di specchi.
La tua mano striscia tra i fili d’erba e si ferma a sentire il battito del suo cuore, premendo il pollice contro la vena blu del suo polso.
Anna, Anna, Anna.
Un nome, un’invocazione, una preghiera.
Due lettere che si rincorrono, che giocano anche loro a riflettersi in uno specchio, e che hanno creato lei, il folletto arancione dei boschi di Avonlea, la strega stravagante che ti ha visto il cuore, tra le sue mani, la nocetta scura che ha ammirato come se fosse una perla e che all’ultimo ha deciso di rimettere nel tuo petto, con foga, piangendo triste per aver perso il suo giocattolo.
Tu, perdente innamorato, non potevi sopportare di vederla in lacrime ai piedi di un albero, con i palmi vuoti e il grembo spoglio. Tu, schiavo soggiogato, ti sei strappato il cuore di nuovo, da solo, e glielo hai consegnato sorridendo.
Tu, infantile creatura, hai riso tutto il tempo, anche mentre agonizzavi, e le hai chiesto se era felice.
“Sei felice, Anna?”
Volgi la guancia sinistra contro la terra calda e ricominci a contarle i battiti, il tamburo lieve del suo polso magro.
Lei sorride e tu ti innamori.
Non può fare così, non può sorriderti all’improvviso, in quel modo, e poi credere che non ci siano conseguenze. Davvero? Davvero poteva crederlo, si illudeva in quel suo modo così infantile?
Lei sorride e tu la vuoi.
Lei sorride e tu desideri afferrarle le labbra con i denti e costringerla a consegnarti ogni suo giorno, ogni suo secondo, e di dedicarlo a te e a te soltanto.
E continuasse pure a sorridere e a mostrarti lentamente i denti, continuasse a rimanere ferma, lì, contro l’erba illuminata dal Sole, immobile proprio in quel punto, a farsi guardare, a farsi ammirare.
Lei sorride e tu muori un po’.
Accenna un movimento delle labbra, piega gli angoli verso l’alto e volta lentamente la testa verso di te e si stupisce del tuo sguardo folle.
Vorresti urlarle tante parole.
Ma cosa si aspetta, cosa può pretendere da te?
Tu la vuoi, tu la ami, tu non respiri più.
E poi, all’improvviso, ti ricordi l’amara realtà. La triste verità che tendi a dimenticare, a sorvolare nei momenti che paiono felici, la vivida situazione in cui sei rimasto aggrovigliato, come un insetto tra i fili bavosi di un ragno.
Ti ricordi, e il dolore ancora ti scava voragini nel cuore, che Anna non ha pietà.
Ti ricordi, e adesso hai un buco nel petto, che Anna non ha cuore per te e che Anna non ti ama.
Anna non ti ama.
Ti ricordi di quando lei ti ha schiaffeggiato, - mesi, anni, secoli fa -, e di come ti aveva fatto ridere, no, ti aveva fatto sorridere, quel suo piglio passionale che ha sempre mostrato, sempre sbandierato. Ti ricordi di un mondo lontano, un universo, in cui tu vivevi, tu respiravi, tu esistevi una vita senza Anna.
Orrore, che terribile orrore.
Non è un tempo degno di essere ricordato, non degno di essere stato vissuto, se non nell’attesa di lei, dei suoi stivali malconci che spezzano le foglie autunnali nello stesso modo in cui calpestano te. Lei, - una, due, tre vite fa -, è indietreggiata dinanzi alla cattiveria di un ragazzino e ha fatto cadere i suoi libri, il suo pranzo, e ha boccheggiato con in testa un cappello ricoperto di fiori di campo.
Tu eri già perduto.
Era la fine, non potevi fuggire, non più.
Mai più.
Tu l’hai salvata, tu ti sei ammantato della veste di dolce cavaliere dal nobile destriero e l’hai salvata dal satiro cattivo che voleva violarla, che voleva spezzarla, e subito dopo hai consacrata a lei tutta la tua vita.
Splendida anima dei boschi, splendido folletto con rosse lentiggini da mangiare, da mordicchiare.
Ti ricordi ancora il tempo in cui - milioni di morti fa - a te era proibito toccarla. 
Sfiorarla, agguantarla, baciarla.
Sei avido, ora puoi farlo, ora puoi fare anche altro, eppure tu vorresti di più.
Di più, di più, ancora di più.
Vorresti morire sopra il suo petto, sopra il suo cuore che lei ti nega, che lei ti negherà sempre.
L’hai sognata così tante volte che adesso non esiste più un tempo, - un secondo, un minuto, un’ora -, in cui tu respiri, in cui tu sei Gilbert, in cui tu sei tu, senza l’anima e il corpo di Anna dentro di te.
Il passato è una bugia: Gilbert Blythe non è mai esistito senza Anna Shirley.
E se è esistito, se davvero migliaia di giorni tu hai vissuto da solo, allora li hai dimenticati.
Allora non sono stati importanti.
“Anna sei felice?”
“Il Sole splende, la natura è rigogliosa e l’agonia è un lontanissimo ricordo di cui non rimembro neppure l’amaro sapore. Ci sono le farfalle, le vedi? Tra quei fiori, tra quei petali violetti. Ci sono le anime pure dei boschi che cantano accostate al ruscello. Doni bellissimi, tesori più preziosi delle pepite dorate. È un’orchestra di bellezza.”
Ti posi su un fianco e ti avvicini, sussurrandole ancora la stessa domanda.
“Ma, Anna, tu sei felice?”
“Non è forse questa la felicità? Essere stesi sotto l’abbraccio del Sole?”
Il tuo pollice sale su, supera il polso e si addentra lungo tutto il percorso del suo avambraccio, fino a fermarsi a stringerle il gomito.
“Con me. Tu sei felice con me?”
Anna ride e ti accarezza il braccio teso, la stoffa blu della tua camicia lavorata e malamente rattoppata dai tuoi polpastrelli feriti dagli aghi di cucito, poi ride sottovoce e accosta le vostre fronti.
“Penso di aver imparato grazie a te e di aver riconosciuto sempre insieme a te il colore della felicità.”
“Ha un colore la felicità?”
Lei ride e tu senti dei crampi alla pancia che ti rimescola il sangue, che ti scombina le ossa e recide ogni tendine.
“Ogni emozione ha un suo colore, Gilbert. Non hai letto la mia ultima storia? Tu, forse non lo sai, ma esisteva una bambina un tempo. Una bellissima, bellissima bambina. Con lunghi capelli neri come l’inchiostro, gli occhi scuri come le tenebre dell’Inferno, e le labbra rosse come il succo delle fragole acerbe. Quanto era bella, quanto era bella quella bambina, era una bellissima e dolce bambina. Il cuore talmente buono da esser fatto di zucchero a velo, di canditi preziosi. Non era cattiva, questo bisogna dirlo, altrimenti ti sembrerà strano quello che segue, ti sembrerà mostruoso, ma la bambina non era cattiva, no, non lo era. Lei aveva una passione e la conoscevano tutti, proprio tutti. Sai perché? Perché lei mangiava i cuori dei poveri ragazzi innamorati. Oh, non guardarmi così. Era un’opera buona la sua e lo sai il perché? Perché in questo modo loro non soffrivano più, non piangevano più e nulla poteva toccarli. Lei detestava talmente tanto vedere quei ragazzi così tristi che doveva necessariamente tentare ogni cosa pur di salvarli. Loro non potevano sentire nulla senza il cuore, non potevano provare dolore. Erano liberi.”
Erano morti.
“E dove sarebbe la felicità? Quale sarebbe il suo colore, che cosa ti ho insegnato io?”
Non riesci a trattenerti, non riesci a frenare quel tremito vagamente infantile del tuo tono di voce, l’ansia che adesso ti scurisce la vista e ti mostra la realtà di quel prato, ti fa vedere le foglie arancioni cadute dagli alberi e i rami secchi che puntano verso un cielo stranamente terso. Quali oscuri presagi, quale forte luce di un Sole che non dovrebbe esistere ad Ottobre, che non dovrebbe mostrarsi con una tale arroganza, simile a quella di un re seduto sul suo trono ricoperto di gemme preziose. Quale malsano battere furioso nel petto ti atterrisce e scruta nei tuoi sogni più profondi, quale arcano scuro desiderio ti attanaglia. Perché in ogni tuo sogno, in ogni tuo pensiero, c’è solo Anna.
Anna che adesso abbassa le palpebre in quel modo, in quel modo, e schiude la bocca, lasciando un respiro fermo a metà sulle labbra, e ti parla sottovoce. I tuoi pensieri cominciano a diventare diversi, a tormentarti l’addome e a farti prudere le mani.
Vorresti sentirla più vicino.
Vorresti accarezzarle le calze con le dita, fermarti alle ginocchia e vedere se ti guarda stupita. Sollevarle la gonna e fasciarle la pancia, appoggiare il capo contro le sue cosce e aspettare, aspettare, aspettare. Perché sei sicuro, senti già una mano che attraversa le tue costole, che ti scoppierebbe il cuore in quel momento, e sei certo che una stretta allo stomaco ti renderebbe il volto pallido e che avresti bisogno di tempo per calmarti.
I pensieri si espandono, ti si ritorcono in maniera brutale.
Del suo corpo premuto contro il tuo, dei suoi capelli rossi sparsi a macchia sul tuo petto. Avere Anna, averla tutta fino a spaccarti l’anima per fare spazio a lei, a lei soltanto, anche uccidendo te stesso.
Ma non appena lei solleva le ciglia e ti guarda con i suoi occhi azzurri innocenti tu ti penti di qualsiasi pensiero formulato poco prima.
La guardi e ti penti, la guardi e le baci gli occhi, sperando di poter ottenere il suo perdono e di poter dimenticare subito la sensazione della sua pelle fresca sotto i tuoi polpastrelli, tra i tuoi palmi sudati.
Lei ti ha parlato e tu non hai ascoltato una sola parola.
“Non mi sono spiegata bene? Perché non mi dici nulla? Lascia che ti mostri allora.”
Anna ti abbraccia, stendendosi giocosa sul tuo addome, e ti chiude gli occhi, ti preme le palpebre con le dita e ti dice di non guardare, di non sollevare le ciglia per nessun motivo al mondo, di aiutarla, di credere in lei. Ride nel tuo orecchio e tu stringi la terra con le unghie, sporcandotele. Lei ti sfiora, guancia contro guancia, e tu da cieco le cerchi le labbra e schiudi già le tue.
“Anna.”
Un nome, un’invocazione, una preghiera.
“No, Gilbert. Volto rivolto verso il Sole e occhi chiusi stretti stretti, così adesso lo saprai, vedrai il colore magnifico della felicità. Quelle macchioline che si formano davanti alle tue palpebre, dalle assurde forme, con i contorni strani e dalle linee tagliuzzate. Non sono bellissime? Io le vedo sempre, quando mi baci. Stringo talmente tanto forte le palpebre che vedo solo quelle e sento solo te. Hanno sempre un colore diverso, forme diverse, un significato differente. Ma è quella la felicità, io ne sono sicura. Il suo colore, il suo sapore.”
“E perché quella favola?”
“Ma è semplice. Perché io, rispetto a tutti quei ragazzi che si lasciano mangiare il cuore, preferirei soffrire in eterno piuttosto che vivere senza l’amore. Non si può vivere una vita senza amore, che senso avrebbe? Ogni dolore si può sopportare se c’è l’amore. Amore. Che bella parola. Amore, amore, amore!”
Le accarezzi il volto con le nocche e lo racchiudi tra i tuoi palmi, afferrandole i capelli rossi tra le tue dita macchiate di terra.
“Fa così male?”
“Che cosa?”
“Amarmi”, le sussurri, come se fosse un segreto.
“Ma amare è un dono e i doni non devono mai essere disprezzati, Gilbert.”
Ti risponde, mentre le sue ciocche rosse cascano giù verso le tue ciglia frementi e la tua fronte corrucciata. 
Sembra che l’erba si pieghi ad abbracciarti, filo dopo filo, e che la terra ora sia più fredda, più malleabile. 
I raggi solari si infiltrano tra le pieghe dei vostri gomiti, dei vostri vestiti, e non sono più caldi, non sono più nulla.
Sono delle lame affilate di pugnali che sguazzano nelle vostre viscere, di spade acuminate che giacciono appese sul vostro capo.
“Anche questo Sole è un dono? Siamo a Novembre, come può esserci il Sole?”
“Certo che è un dono. Ho pregato le fate delle selve e ho scongiurato gli spiriti nascosti nelle cortecce degli alberi di donarci ancora un po’ di questa luce. Perché Ottobre è splendido, ma un mondo senza Novembre sarebbe triste. Sarebbe davvero triste.”
Pone le braccia conserte sul tuo sterno e lì appoggia il mento, guardandoti con gli occhi che ridono e splendono, quei dischi azzurri che ti piegano le ginocchia e la volontà.
Fino alla fine del mondo, fino alla fine delle stelle.
“Gilbert, lo sai che tu sei il mio autunno? Sì, sei proprio il mio autunno.”
Si sporge e credi ti voglia baciare, ti sporgi e lei invece si avvicina al tuo orecchio e ti bisbiglia altre parole.
“Ti immagini se fossi tu, per sempre tu, il mio autunno?”
Una strana foga ti chiude gli occhi, ti serra la gola, ti apre il cuore in due.
Perché questa domanda? Lei vorrebbe forse qualcun altro?
Le cerchi a tentoni i fianchi e respiri a fatica, fai crollare indietro il collo e fai scontrare malamente la nuca.
Il freddo ti ghiaccia le vene e il gelo ti circonda le gambe mentre i tuoi palmi vagano inquieti.
“Sarò sempre io il tuo autunno.”
E vorresti bruciare e crogiolarti in questa cocente certezza che lei mai ti concederà.
“Anche quando vorrò un amore come quello descritto da Jane Eyre?”
Le circondi le spalle e sfreghi il tuo mento contro la sua tempia sinistra.
“Qualsiasi amore tu desideri... io sono qui. Non è un dono l’amore? Allora io te lo dono, in ogni sua forma. Io ti regalo tutto l’amore che esiste a questo mondo. Tutto, Anna. Tutto, tutto.”
La abbracci.
La stringi fino ad avvertire la sua pelle oltre gli strati dei vestiti, fino a percepire la sua carne sotto le tue unghie, fino a cercare di imprimere in voi qualcosa di più forte del presente, qualcosa di eterno che non potrà mai sbiadire, neppure tra cento vite.
E ti accorgi che sì, la vuoi.
Sì, la vuoi di più, sempre di più.
Abbracciarla era appagante prima, averla tra le braccia è un bisogno soddisfatto in parte, è un cielo chiuso a metà come un foglio ripiegato su se stesso.
La vuoi, ti manca, la vuoi.
Inspiri a fondo con il capo abbandonato sulla sua spalla, respiri fra i suoi morbidi capelli rossi e le mani iniziano nuovamente a vagare come onde che si abbattono dolcemente su una spiaggia umida. Posi entrambi i palmi al centro della sua schiena, tra le scapole evidenti, e ascolti il battito impazzito del suo cuore.
Ti sembra di averlo tra le mani, ti sembra di sentire la pelle scossa dal suo martellare imperioso, dal suo buttarsi scrosciando fuori dalle costole, dal corpo, dalla realtà.
Anna è emozionata.
Anna è spaventata?
Ma non deve.
Sei tu il piccolo insetto schiacciato sotto la suola dei suoi stivali, sei tu la fastidiosa mosca rattrappita dal freddo e sei sempre tu l’insignificante moscerino mangiato dalla bocca pelosa di un ragno.
Mentre lei, -lei, lei, lei-, lei sarà sempre libera e non deve aver paura.
“Gilbert, cosa stai facendo?”
“Voglio ascoltare il tuo cuore, voglio ascoltarlo e abituarmi al suo suono, nello stesso modo in cui ogni corpo si abitua al rumore del proprio. Voglio avere entrambi i battiti nelle orecchie, nella mente. Te sotto le palpebre. Ovunque.”
Anna si appoggia contro la tua gola e tu non vorresti fare altro che continuare a baciarle la testa.
“Cosa mi stai dicendo, Gilbert?”
“Ti sto dicendo che ti voglio sposare, Anna, e che ti amo. Ti prego guardami e dimmi che mi sposi, stringimi e dimmi che mi ami, dimmi che anche tu non desideri altro che questo. Abbracciami e saremo già sposati, cercami e mi troverai già qui. Bacia il mio mento, non ti chiedo le labbra, oppure, se così preferisci, bacia il punto della mia gola contro cui stai respirando e io diventerò tuo marito. Oppure sorridi e basta. Stendi la tua bocca sulla mia pelle e io ti chiamerò moglie fino al mio ultimo respiro.”
Aspetti un suo movimento, un suo gesto, ma lei non si muoverà mai.
Aspetti una sua risposta, una semplice sillaba, -un ‘sì’ strozzato e emozionato-, e sai che nulla di tutto ciò ti verrà mai concesso.
Fai cadere mollemente le mani a terra, sollevi il mento contro il cielo e aspetti, ad occhi chiusi.
Tu aspetti.
Tu aspetti anche se in ogni secondo c’è un secondo di troppo.
E forse, chi mai lo saprà, chiunque può guardare voi dall’alto di quelle nuvole grigie e può scambiarvi per delle foglie che feriscono l’erba o paragonarvi a degli stupidi ragazzini in un oceano di innocenti innamorati oppure scorgervi e dimenticarvi subito dopo.
Tu non lo sai e dunque aspetti.
Fino alla fine del mondo, fino alla fine delle stelle.



All’improvviso, con la stessa forza di uno schiaffo sui denti, Anna si solleva sulle ginocchia e tu apri velocemente gli occhi che si scontrano con il suo volto corrucciato in un’espressione preoccupata.
I capelli rossi appiccicati al mento, le lentiggini quasi sulle labbra, il Sole negli occhi azzurri.
Cerchi la terra, la usi come un appoggio, e alzi il busto fino a quando non la raggiungi, fino a quando non afferri le sue braccia e non la scuoti leggermente e le chiedi, ansioso, quale significato hanno mai i suoi occhi lucidi e il suo broncio triste.
Anna si porta le mani contro la pancia e stringe appena e poi ti guarda di nuovo, sofferente.
Non si muove e sussurra, con una voce sottile, poche parole. 
Ti osserva e si indica il corpo, indica le sue mani strette e intrecciate, e mormora dolcemente sempre la stessa frase.
“Ho le farfalle nello stomaco, Gilbert.”
Si stringe più forte la pancia, la racchiude tutta nei suoi palmi, e tu senti il cielo spezzarsi e il prato aprirsi sotto di te.
Lei ti guarda e lo ripete, lo ripete ancora e ancora e ancora, mentre il Sole ricomincia a splendere troppo forte e il suo volto ti appare lontano, irraggiungibile.
“Gilbert, perché ho le farfalle nello stomaco? Perché, Gilbert? Perché?”
Te lo chiede spaventata e tu cominci a piangere, -Sono lacrime? Che cosa sono? Sono perle fuggite via dal filo rotto di una collana?-, e a chiederle di ripeterlo un’altra volta, un’altra volta soltanto.
Con i polpastrelli le tocchi le labbra e le domandi la cosa più importante e lo fai con il tuo ultimo respiro.
“Ti fanno male le farfalle? Non ti piacciono? Oh, questi stupidi insetti così dispettosi, talmente tanto dispettosi. Ti fanno male?”
Non hai la forza di rivelarle, a capo chino e fra i singhiozzi, che la ami davvero più di tutto al mondo e che un amore come il tuo non esiste e che non dovrebbe neppure esistere e che forse non è mai esistito.
Non era questo che lei agognava con magnifica disperazione?
Non desiderava un amore tragico e sofferto, un amore da romanzo, un amore totalizzante?
Tu in questo ti sei incarnato.
Tu nell’amore per lei vivi e respiri.
E adesso ti sembra quasi di sentire, quale follia, il battito furioso delle ali delle farfalle che si sono annidate nella sua pancia. 
Ti sembra quasi di riconoscerle.
“Mi fanno male, Gilbert. Mi fanno molto male. Gilbert, Gilbert.”
Lei ti parla sulle dita e ti fa percepire la pelle consumarsi e bruciare, lembo dopo lembo, nervo dopo nervo.
Tu annuisci e lei non smette mai di ripetere il tuo nome, perché così è, dal primo giorno in cui vi siete incontrati: lei ti chiama e tu accorri.
Lei sta male e tu non puoi sopportarlo.
È sempre stato così e sempre così continuerà ad essere.
Fino alla fine del mondo, fino alle fine delle stelle.
“Lascia fare a me, Anna. Dona a me queste terribili farfalle, lascia che soffra solo io. Se uno di noi due deve soffrire, lascia che sia solo io.”
Le baci le labbra e per un secondo, uno soltanto, ti senti meglio.
Ma poi, senza alcuna pietà e senza alcun atto di clemenza o misericordia, le farfalle ti divorano lo stomaco, ti divorano tutto.
Ti mangiano la pancia e tu... 

... E tu lo sai, sì, tu lo sai che va bene così.







Angolo autrice.
Ciao a tutti! Spero tanto la storia possa esservi piaciuta.
Parto precisando che l'immagine iniziale di Gilbert che riesce a vedere il Sole grazie agli occhi di Anna non è una mia immagine ma di Dante Alighieri (Paradiso, Canto I) e che chi ha visto la serie sa che il primo incontro tra Anna e Gilbert è un pò diverso da quello che ho descritto, partendo dal dettaglio del cappello.
Inoltre la storia non partecipa alla challenge da cui ha preso spunto, per motivi di ritardo nella pubblicazione, ma cito la bellissima iniziativa creata dal gruppo Boys Love- Fanfic and Fanart's World. Era una challange sull'autunno! Questo mio autunno è un pò particolare perchè ne ho ripreso la descrizione dalla poesia pascoliana dedicata all'Estate di San Martino, e nuovamente spero possa esservi piaciuta.
Infine i miei grazie sono sempre a Jill, Victoria e Mari, le mie amate ragazze, e a mia moglie Miryel, la mia dolce dolce moglie.
A presto!
   
 
Leggi le 19 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Chiamatemi Anna / Vai alla pagina dell'autore: Cress Morlet