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Autore: Lurilala    03/11/2018    2 recensioni
Belladonna e Bungo, la storia alle spalle di Bilbo.
Ogni avventura è tale soltanto se c'è qualcosa a cui tornare, alla fine. Bungo era il posto a cui Belladonna tornava - e il loro nido, il frutto del loro amore, Bag End, divenne il posto di Bilbo.
Più semplicemente, la storia di come casa venne creata e amata.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Belladonna Tuc, Bilbo, Bungo Baggins
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bungo Baggins non aveva mai fatto niente di inaspettato.
Era sempre stato un gentilhobbit, rispettato ed elogiato in tutta la Contea: aveva amici per tutto il Decumano Ovest, ma non faceva molte gite per andare a trovarli. Si allontanava raramente di casa, aggirandosi intorno alla Collina e da un lato all'altro dell'Acqua; nei momenti più trasgressivi dei suoi enti aveva fatto numerose gite notturne al Drago Verde, girando per i campi fino all'alba, ma poteva dire con estremo orgoglio di non aver mai messo piede oltre Tooklandia.
Bungo era tutto ciò che nella Contea ci si sarebbe aspettato da un Baggins. Era il più grande fra i suoi fratelli e da sempre aveva cercato di essere il perfetto esempio di rispettabilità per loro; Laura e Mungo non avrebbero potuto desiderare un ragazzo migliore per ereditare il nome e la fortuna della famiglia.
Bungo non aveva mai fatto niente di inaspettato, essere comune gli veniva naturale come respirare, senza bisogno di sforzo. Tuttavia, era innamorato di Belladonna Took.
Davvero, non aveva idea di come era potuto succedere. Aveva sentito storie e storie sui Took, aveva visto per anni tutti i suoi parenti storcere il naso e annunciare con sdegno la totale mancanza di decenza e buon senso hobbit in quel clan. Eppure, era bastato un attimo.
Era stato durante il compleanno di Adalgario Bolgeri, cugino di suo zio Fastolfo, che l'aveva vista per la prima volta. Bungo conosceva le storie, tutto quello che veniva detto sui Took. Ma l'unica cosa che era riuscito a pensare, vedendo Belladonna ballare, era che la leggenda che quella famiglia avesse come antenato una fata fosse vera. Belladonna aveva primule fra i capelli e le guance arrossate dal freddo - era inverno, ma questo di certo non basta a fermare le feste degli hobbit - e dalla birra, i capelli erano una cascata di riccioli castano scuro sulle sue spalle, gemelli del folto pelo che le ricopriva i piedi grandi; indossava un vestito arancione e si muoveva spensierata cantando. Poi sorrise e a Bungo rimase solo da chiedersi se non la primavera non fosse arrivata in anticipo.
Fu così che Bungo si innamorò e mai, nelle storie che aveva avuto nei suoi enti, aveva provato una sensazione simile. La festa finì prima che potesse trovare il coraggio di parlarle e non la rivide fino al Giorno di Mezzestate, alla grandissima festa organizzata dal Vecchio Took. Ci furono fuochi d'artificio quella volta, e si sentì dire che erano frutto della magia di un vecchio stregone amico di Gerontius, ma Bungo non li ricordò affatto, in seguito: le uniche cose che rimasero nella sua memoria furono la sensazione dei fianchi morbidi di Belladonna sotto le sue mani mentre ballavano insieme e il colore dei suoi occhi, caldi e luminosi come castagne lucide.
I suoi genitori non lo videro ballare con una Took e le chiacchiere di Hobbiton non sono sempre così tanto rumorose; per il resto dell'estate Bungo si incontrò con Belladonna a metà strada fra le loro case. Nessuno dei due si lamentava della strada lunga che dovevano percorrere per vedersi, né della stranezza di non essere ancora stati presentati alle rispettive famiglie, nemmeno per un the. Erano innamorati e Bungo era sicuro che le occhiatacce di sua sorella Belba quando tornava tardi la sera fossero un prezzo molto basso da pagare, per poter stringere fra le mani la primavera.
Belladonna era diversa, più viva, più energica, più solare di chiunque altro. Lo prendeva per mano senza paura e lo trascinava per i campi, dove gli alberi erano più fitti, parlando senza sosta di elfi, di grandi guerrieri, di leggende, del mondo fuori della Contea. Qualche volta, Bungo la guardava di sottecchi e ne provava paura e attrazione, qualche volta nella sua mente non poteva fare a meno di definirla selvaggia e folle. E quando sentirla parlare gli lasciava una brutta sensazione allo stomaco, beh - erano proprio quelle le volte in cui si rendeva conto di essere davvero innamorato di lei. Perché non importava quanto i suoi discorsi lo turbassero, quanto li trovasse sconvenienti e silenziosamente li disapprovasse, al momento di separarsi non voleva mai lasciare la sua mano.
Si frequentarono per altri due anni. La loro relazione non era esattamente segreta, ma in casa non se ne parlava: Hobbiton spettegolava, gli amici di Bungo lo prendevano in giro, Belba e loro cugina Rosa non perdevano occasione di fare battute e metterlo in imbarazzo, ma non se ne parlava mai davvero. Mungo non aveva mai detto una parola in merito e Bungo cercava di ignorare il peso del senso di colpa quando scivolava discretamente fuori casa, senza dire dove stesse andando.
Poi Belladonna iniziò a fare strani discorsi, più strani del solito. Parlava dei Ranger che sorvegliavano i confini, delle notizie sul mondo esterno che portavano. Parlava di andarsene, di vedere il mondo, di arrivare fino al mare, addirittura.
Un'avventura, la chiamava lei. Come se fosse normale. Come se fosse eccitante. Come se ci fosse qualcosa di buono là fuori fra la Gente Alta, qualcosa per loro piccoli hobbit. Fu la prima volta che litigarono. Bungo non ricordava di aver mai provato tanta paura e tanto sconforto in vita sua; non aveva mai capito davvero cosa ci fosse nel fondo dei suoi occhi, sotto quella luce abbagliante. Belladonna non stava bene, nella Contea. Non era il suo posto, anche i Grandi Smial dei Took erano troppo piccoli per lei, erano soffocanti. Non la capiva e aveva paura di perderla, di vederla partire e non tornare mai più. E quando Hildebrando e Isembardo li sentirono litigare e intervennero per difendere la loro sorella, intimandogli di andarsene e non farsi rivedere, Bungo lo fece.
Passò quasi un mese da quella discussione prima che capisse cosa voleva fare. Andò fino a Tuckborough senza voltarsi indietro e senza rispondere agli hobbit che, per strada, gli chiedevano dove stesse andando. Quando arrivò davanti al suo smial, Belladonna era seduta sull'erba del giardino e stava intrecciando ghirlande di fiori con Mirabella e Isengrim: portava primule fra i capelli, come il primo giorno in cui l'aveva vista.
Le chiese scusa con un mazzo di violette e lei gli rispose appuntandogli un mughetto dietro all'orecchio. Si baciarono e, nonostante i versi disgustati dei più piccoli alle loro spalle, fu il bacio più bello della loro vita.
Quella sera, seduti insieme a guardare il tramonto, la testa di Belladonna sulla sua spalla e i piedi che si toccavano, Bungo le chiese qualcosa: una promessa. Era uno hobbit rispettabile, questo non era cambiato: l'unica cosa a cui poteva ancora aggrapparsi con sicurezza erano le parole.
"Sei come un uccello dei boschi." Le disse con voce bassa quella sera, il sole rosso faceva brillare la pelle di Belladonna di un bagliore dorato, inafferrabile. "Non posso tenerti qui se non lo vuoi. Se davvero vuoi andare in una di queste-- avventure, i-io..."
Aveva preso un respiro profondo, la paura che stringeva forte alla bocca del suo stomaco, perché era giovane e innamorato e non aveva certezze, nulla su cui fare affidamento quando si trattava di lei, perché Belladonna era un corpo in caduta libera e Bungo non sapeva ancora come avrebbe potuto starle vicino. Sapeva solo che lo voleva.
"Puoi farmi una promessa?"
Belladonna si era tirata a sedere dritta e l'aveva guardato con quei suoi occhi caldi e profondi, che portavano dentro di loro il sottobosco e le più alte cime degli alberi. Era seria e meravigliosa, il bel viso rotondo illuminato dal sole e tutta la potenza della sua anima concentrata nello sguardo.
Bungo aveva cercato la sua mano, le loro dita si erano trovate e intrecciate come pezzi combacianti.
"Promettimi che ritornerai. Se dovessi partire, io-- promettimi che ritornerai da me, alla fine. Non capisco perché tu lo voglia fare, non capisco perché qualcuno dovrebbe mai desiderare di lasciare la nostra Contea, ma... Ma io ti amo. Voglio sposarti, voglio costruire la nostra casa, avere una famiglia con te. Mi sposerai, quando saremo maggiorenni? Ho-- ho bisogno di saperlo, Bella. Se davvero devi volare via, se non puoi restare-- puoi almeno essere un uccello migratore? Puoi tornare da me? Posso essere il tuo nido, posso aspettarti, ma devi promettermi che ritornerai."
E Belladonna... Belladonna aveva sorriso. Quello stesso sorriso caldo che l'aveva fatto innamorare, in una sera lontana anni luce, quel sorriso luminoso che le scopriva i denti e le accendeva tutto il volto, che portava la primavera in un istante.
"Te lo prometto."

Belladonna era partita davvero, alla fine, poco dopo il suo trentaduesimo compleanno. Era andata via senza dire niente, senza salutare, avvisando soltanto le sue sorelle. Lo sguardo preoccupato di Donnamira e Mirabella quando gliel'avevano detto aveva fatto male, ma Bungo era preparato. Sapeva che sarebbe successo.
I mesi passavano e Belladonna non tornava. Bungo fumava la pipa seduto fuori alla sera e pensava a lei, ricordava il suo sorriso, la sua risata, la morbidezza della sua pelle e la luce dei suoi occhi. Ma c'era una promessa fra di loro, un filo invisibile che li teneva uniti anche con miglia e miglia di distanza. E' volata via, ma tornerà. Bungo guardava l'orizzonte, chiedendosi quanto lontano fosse arrivata, chiedendosi se il suo sguardo tornasse mai verso la Contea.
A pochi mesi dal compleanno di Belladonna, Bungo iniziò i preparativi per il matrimonio. Laura e Mungo cercarono di farlo ragionare, Linda e Longo lo presero in giro e risero fino alle lacrime - solo Belba strinse le labbra e non disse nulla, perché sapeva della promessa, sapeva e la disapprovazione bruciava come un torto personale nei suoi occhi.
Bungo non chiese consigli, non volle sentire ragioni. Cominciò a costruire il suo regalo di nozze: scelse la parte migliore della Collina e iniziò a scavare uno smial. Il loro buco hobbit, la loro casa. Il nido a cui Belladonna sarebbe sempre potuta tornare.
Ha promesso, ritornerà.
E tornò davvero, proprio la mattina del suo compleanno: arrivò sull'altare a cavallo insieme ad un Ranger, negli occhi la paura di non aver fatto in tempo - paura che venne immediatamente spazzata via dal sorriso tranquillo di Bungo, che non aveva dubitato nemmeno per un istante.
Lo scandalo di quell'entrata in scena fece parlare per decenni. Ancora di più perché Belladonna volle celebrare il matrimonio subito, senza neanche lavarsi e cambiarsi i vestiti sporchi e strappati, con una cotta di maglia visibile sotto al mantello e il fodero di una spada legato al fianco. Si era anche tagliata i capelli: la cascata di riccioli dei suoi enti era stata sostituita dal classico taglio maschile degli hobbit.
Bungo la coronò di fiori e venne coronato a sua volta: le loro mani vennero intrecciate insieme da una ghirlanda e furono marito e moglie.
Quella sera, si tennero stretti per ore, respirando e accarezzandosi. Avevano ancora i fiori cerimoniali addosso: le loro dita erano state intrecciate per tutta la giornata, ma non erano ancora stanche.
Belladonna respirò l'odore di erba-pipa ed terra fresca di Bungo, l'odore di casa.
"Avevo paura che non mi avessi aspettata."
"Sapevo che saresti volata via. L'importante è che tu sia tornata."
"Sei il mio nido, tornerò sempre."
"E io ti aspetterò anche all'infinito."

Hobbiton era in totale subbuglio. Tutti gli occhi erano sullo smial in cima alla Collina; avevano parlato senza sosta quando Bungo aveva iniziato a costruirlo, mormorando di come una Took fosse riuscita a far impazzire persino un povero Baggins, chiedendosi come mai una persona tanto assennata e rispettabile avesse deciso di rovinarsi. Un buco hobbit di quelle dimensioni costava molto, ma a Bungo non sembrava importare: costruiva una casa e organizzava un matrimonio con qualcuno scomparso da quasi un anno, di certo non si poteva biasimare il vicinato per ritenerlo pazzo.
E quella storia diventò ancora più folle quando Belladonna tornò in tempo, più innamorata e decisa a sposarsi di prima. E Hobbiton parlò e parlò e parlò, quando Bungo condusse sua moglie per mano su per via Saccoforino fino all'entrata dello smial quasi concluso. Malelingue vociferarono in seguito che per completarlo Bungo dovette chiedere i soldi alla famiglia della sua sposa, ma anche i sussurri più cattivi dovettero abbassarsi di volume davanti alla gioia dei due innamorati.
Bag End fu completata e la coppia ci si stabilì definitivamente. Era un piccolo gioiello lungo la parete della collina: le finestre incassate e perfettamente rotonde spuntavano sul fianco sinistro del colle come perle in una collana, concluse da una splendida porta verde. Il giardino era ampio e rigoglioso, come deve essere quello di ogni famiglia hobbit: guardando il cortile di una casa si può capire molto delle persone che la abitano, nella Contea. Appena lo smial fu inaugurato, Bungo e Belladonna provvidero a riempirlo di ogni tipo di coltura, ortaggi e piccoli alberi da frutto nella parte più interna, e fiori lungo il viale di casa e sul lato che dava alla strada. Piantarono fiordalisi e peonie, garofani rosa e rossi, girasoli e glicine, malva e margherite, orchidee ed azalee: ben presto il giardino divenne il più grande orgoglio della coppia.
Non avrebbero potuto essere più felici.
Nel giro di una settimana tutta Hobbiton e dintorni fu invitata ad almeno un pasto nel nuovo smial e la sua bellezza era sulla bocca di tutti. Belladonna era raggiante, non era mai stanca: il suo viso era pulito e luminoso, i suoi vestiti sempre in ordine, il suo sorriso e la sua ospitalità sempre impeccabili. Accolse come i più riguardati ospiti anche coloro che parlavano alle sue spalle da sempre, sorridendo e ringraziando e chiacchierando. Quella volta, nessuno ebbe da dire sul suo comportamento.
Fu l'unica occasione in cui Bungo fece qualcosa di eccentrico e Belladonna qualcosa di perfettamente rispettabile.
Gli anni passarono e Hobbiton parlava ancora: sussurrava, più che altro. Gli hobbit scuotevano la testa quando Bungo passava passeggiando con sua moglie al fianco, sorridenti e raggianti come ogni giovane coppia, innamorati nel profondo degli occhi, e dicevano abbassando la voce e schermandosi la bocca con la mano che un Baggins non dovrebbe mai immischiarsi con certa gente e che Bungo l'avrebbe capito presto. Povero ragazzo, così folle a cadere nella rete di una Took. Avrebbe capito presto il suo errore.
Ma Bungo non si pentì affatto: ogni giorno era più innamorato del precedente e, a dispetto della preoccupazione di molti, la presenza di Belladonna al suo fianco non diminuì affatto la sua rispettabilità. Belladonna, d'altra parte, continuò ad essere eccentrica com'era sempre stata: riceveva lettere dagli elfi e visite dai Ranger, vestiva mantelli di fattura straniera, spesso di inusuali colori scuri, e qualcuno giurò addirittura di averla vista tornare da una passeggiata con una spada legata al fianco. Era più insofferente, più adulta e ancora più diversa dagli altri, da quando era tornata: indossava spesso un sorriso un po' storto e, sebbene fosse sempre uno hobbit estremamente socievole, aveva quell'atteggiamento sgarbato, fuori dal coro, visibile in ogni sua parola e ogni suo discorso, che faceva storcere il naso alle persone rispettabili che frequentava. Qualcuno la difendeva, certo, lodando la sua bellezza e la sua spigliatezza, ma furono pochi quelli che effettivamente zittirono le voci. In fondo, nessuno poteva negarlo: Belladonna Took era, senza alcun dubbio, uno degli hobbit più stravaganti che avesse mai messo piede ad Hobbiton.
O almeno, così era, prima che nascesse suo figlio. Bilbo non ci mise molto a rubarle il primato.
Si distinse subito dagli altri piccoli hobbit: aveva la lingua lunga e si intrometteva sempre nelle conversazioni degli adulti, fin da piccolissimo preferiva correre via nei boschi e arrampicarsi sugli alberi che giocare con gli altri bambini. Gli adulti lo guardavano e storcevano il naso; fra loro sospiravano, considerandolo già un Took senza speranza, e contemplando la rispettabilità dei Baggins affondare. Ma a parte la sua strana preferenza per la solitudine, Bilbo non fece molto per distinguersi nei suoi primi anni: correva per i campi insieme ai suoi coetanei, mangiava con appetito e gioia a tutti i sette pasti, adorava invitare amici per il the ed non dimenticava mai di dire "Grazie" e "Per piacere". Belladonna gli insegnò a scrivere e a leggere e ben presto un'altra delle stranezze di Bilbo fu scoperta: la sua incredibile passione per i libri. A dieci anni, appena un bambino per gli standard della Contea, padroneggiava già alla perfezione la Lingua Corrente e si destreggiava con i rudimenti del Sindarin con una pronuncia impeccabile. Belladonna lo amava come nient'altro nella sua vita, i suoi occhi si parevano brillare della stessa luce di Eärendil quando lo stringeva fra le braccia.
Belladonna rimase ancora incinta, ma perse tutti i nascituri entro i primi mesi di gravidanza. Gli hobbit sono la razza più fertile di tutta la Terra di Mezzo, hanno gravidanze brevi e parti poco dolorosi, ogni famiglia vanta almeno tre o quattro figli: nonostante ciò, per anni Belladonna provò a dare ancora la vita e il suo corpo si rifiutò ogni volta. Quando sotto le pressioni di Bungo si arrese e si fece visitare, la partoriente le accarezzò un braccio e le disse con tutta la dolcezza possibile che non sarebbe più riuscita ad avere figli.
Fu un colpo durissimo per lei e diede da parlare ad Hobbiton per molti anni. Molti cercarono di starle accanto, comprendendo il dolore di una tale notizia, ma discretamente, senza dare nell'occhio; la maggior parte scrollò le spalle e disse che se l'era cercata, che a forza di vagabondare fra la Gente Alta e andare in cerca di avventure è normale tirarsi la sfortuna addosso. Purtroppo, sebbene si possano dire molte cose buone degli hobbit, la solidarietà non è sempre fra di esse.
Non fu la sua passione per le stranezze a scomunicarla: la sua unica e vera condanna fu l'infecondità, vista dagli hobbit come segno manifesto del disprezzo di Lady Yavanna. Persino le sue sorelle e i suoi fratelli si fecero più distanti, più freddamente cortesi. Lo vedeva negli occhi di Donnamira e Mirabella, coperto da un velo di dolore e di scuse: nessuno voleva avere a che fare con uno hobbit che non aveva la benedizione della Dispensatrice di Frutti. Camelia Sackville, il braccio allacciato a quello di Longo, ebbe persino la sfacciataggine di guardarla in faccia, sorridere stucchevolmente e dire che, in fondo, il suo nome non rifletteva altro che la verità, che il suo ventre era velenoso e letale quanto l'estratto di belladonna.
Ma Belladonna aveva un animo forte e una determinazione d'acciaio: non si piegò. Continuò a sorridere, sorridere, sorridere, a raccontare favole a suo figlio, a curare il suo giardino, a tenere la testa alta. Bungo le rimase accanto. Bilbo crebbe.
Il mondo non si fermò e il tempo neppure. Quasi nessuno le rivolgeva più la parola, ma andava bene: finché la sua maledizione non si rifletteva su Bilbo non le importava. Alla sua festa di maggiore età si presentò tutta la Contea, e non solo per cortesia: Bilbo era un giovane hobbit rispettabile e spiritoso, una copia di suo padre con un umorismo Took, tutto ricci color rame e sorrisi caldi come la primavera. Quel giorno fu il più felice che Belladonna potesse ricordare: Bilbo ballò tutta la sera, bevendo e mangiando e cantando, tutti lo abbracciarono e lodarono il sangue dei Baggins. E anche se quasi nessuno le rivolse la parola, anche se tempo fa una festa seduta in silenzio, ballando una sola canzone con suo marito per il bene delle apparenze, sarebbe bastata a ferirla, questa volta non fu così. Vedere Bilbo felice bastava a rendere anche lei felice.

A metà serata Bungo le accarezzò una mano e le disse che stava invecchiando per questo genere di feste; le chiese di accompagnarlo a casa, per stare in pace qualche minuto. Tutti gli occhi erano sul festeggiato e nessuno ebbe da ridire della silenziosa uscita di scena dei coniugi Baggins.
Si sedettero insieme sulla panchina davanti alla porta; Bungo non disse niente, accese le pipa, fece qualche tiro emettendo spesse nuvolette bianche - non aveva mai padroneggiato l'arte degli anelli di fumo - e le prese la mano. Tutto era così dolce e familiare che Belladonna sentì gli occhi pungere: forse anche lei stava diventando vecchia, dopotutto.
"Eärendil è bellissima stasera." Disse Bungo nella notte, il naso rivolto all'insù, il bel volto gioviale segnato da innegabili rughe alla luce soffusa del portico. "Peccato per quelle nuvolacce laggiù, però: Helluin è stupenda in questa stagione. Pensi che domani pioverà, uccellino? Spero proprio di no. Volevo fare una passeggiata con Bilbo come ai vecchi tempi. Potremmo fare una piccola gita, che ne dici? Preparerò qualche torta e un bel po' di the da portarci dietro, così se partiamo di buon'ora arriveremo al di là dell'Acqua in tempo per la seconda colazione."
Bungo parlava a bassa voce, accarezzandole il dorso della mano e osservando le stelle. Belladonna non gli rispondeva: non aveva voglia di parlare e non ce n'era bisogno. Faceva piani, si correggeva da solo, ridacchiava fra sé ed intuiva la sua opinione senza chiedergliela. Era sempre stato così, Bungo. Era sempre stato capace di avere abbastanza parole e abbastanza speranza per entrambi.
Belladonna appoggiò la testa alla sua spalla e Bungo le scostò i capelli dal viso senza smettere di parlare e senza abbassare lo sguardo: non aveva smesso di tagliarsi i capelli come i maschi da quando era tornata, una delle tante stranezze che Bungo amava di lei.
"Bilbo ti somiglia." Disse ad un tratto, interrompendolo. Lui le gettò un'occhiata e le sorrise, per nulla offeso dal radicale cambio di argomento; fece un profondo tiro di fumo, espirandolo nel cielo nero.
"Trovi, amore?"
Belladonna si raddrizzò, gli tolse la pipa dalle mani e la spense. "Devi smetterla di fumare così tanto." lo rimproverò e poi scrollò le spalle: "Credo non pensi più a dare la caccia agli elfi, non è più un bambino. Forse è meglio fare la seconda colazione a casa, domani."
"Tesoro... Bilbo non smetterà mai di voler essere come te." Bungo non aveva bisogno di guardarla negli occhi per capire quello che intendeva. E' la più grande arte degli hobbit, e dei Baggins specialmente, saper leggere tra le righe.
"E' nostro figlio. Un Baggins quanto un Took. Adesso non lo sa, pensa di amare la Contea come faccio io, con anima e corpo." Si interruppe, facendo per portarsi la pipa alle labbra ma ricordandosi in tempo che la moglie gliel'aveva tolta. Fece un sorriso affezionato e dolce, quello riservato solo alla famiglia: "Non è più un bambino, questo no. E' un ometto, ormai. Ma casa non gli basterà: è come te, è un uccello migratore. Se ne andrà, ad un certo punto. E tornerà, ovviamente. Farà andata e ritorno e sarà felice quanto stasera per tutti gli anni che seguiranno."
Belladonna rimase in silenzio qualche minuto. L'aria iniziava a raffreddarsi e il canto delle cicale a zittirsi: l'autunno arrivava piano, senza creare scalpore, come tutto nella Contea.
"Non credo di volerlo." Ammise alla fine. "Non voglio che Bilbo parta per un'avventura. Non sarà felice, se ritornerà."
Bungo si tolse la giacca e la posò sulle spalle scoperte della moglie. "Sei pentita di essere partita?"
Belladonna rabbrividì. L'aria non era poi così fredda.
Ripensò al viaggio, alla fatica delle cavalcate, alle immense praterie di Rohan. All'amicizia dei Ranger, alle domande e agli scherzi degli uomini, alla magia dei canti elfici. Alla sensazione della spada nella mano, alla paura e alla fatica. Ai posti che aveva visto, alle persone con cui aveva parlato, a tutto quello che aveva imparato.
Al suo ritorno nella Contea, alle parole dure degli altri hobbit, al suo ventre vuoto e freddo. Agli sguardi pieni di pena e accusa, alle carezze troppo cortesi, alla sensazione di trovarsi in un paese straniero e nemico più ad Hobbiton di quando era circondata da altre razze.
All'amore di Bungo, stabile, fermo, irremovibile. Dolce, caldo, accogliente. Al nido che aveva costruito per lei, dove crescere loro figlio e tornare sempre.
"No, non lo sono."
Bungo annuì.
"Lo aspetteremo qui, quando ritornerà."

Dopo tre anni, Bungo morì.
Iniziò a dare i primi segni in autunno, poco dopo il compleanno di Bilbo. La malattia lo consumò per tutto l'inverno, lenta e divoratrice: Belladonna interpellò tutti i medici della Contea e chiese il parere di tutti i Ranger che passarono a salutarla. A Marzo si era quasi decisa a partire e andare a chiedere aiuto agli elfi, ma con l'arrivo della primavera anche il vecchio Bungo sembrava star rinascendo dalle sue ceneri: aveva più forza, più colorito, come se la malattia stesse indietreggiando per lasciargli di nuovo spazio. Dopo una settimana, peggiorò di colpo, all'improvviso come era migliorato. Dopo un'altra settimana, si spense.
Al suo funerale partecipò tutta la Contea e tutti quanti piansero. Bungo era amato e rispettato; vennero raccolti fiori e cantate litanie e il corpo fu seppellito nella terra come era tradizione, perché tornasse alla materia da cui la Regina della Terra li aveva creati. Sulla sua tomba vennero piantati anemoni e gerbere rosse e arancioni.
Da quel giorno Belladonna scoprì un nuovo tipo di forza dentro di lei, qualcosa che non avrebbe mai sospettato di avere. Accarezzò le mani di Bilbo, tremante come un bambino, e scoprì di non star vacillando affatto. Bungo era sempre stato la sua roccia, il suo punto di riferimento, il suo nido sicuro dove tornare. Adesso, toccava a lei.
Bilbo divenne più calmo e controllato, dopo la morte di suo padre. La luce impertinente nei suoi occhi si affievolì di giorno in giorno, nascosta sotto strati di quotidianità e rispettabilità: se prima in aspetto era una copia birichina del padre, adesso pareva che anche il suo animo si fosse adattato a diventarlo, per compensare la sua scomparsa.
Belladonna gli rimase accanto tutto il tempo e trovò in sé le forze che ogni hobbit ha, nel profondo, e che scopre solo nei momenti di difficoltà: trovò la forza di ridere, di parlare, di cantare e di cucinare per suo figlio, abbastanza per tutti e due, abbastanza e anche di più. Tirò fuori da sé tutta l'allegria e la positività che servivano, finché anche nello sguardo di Bilbo tornò la luce.
Hobbiton non parlò molto, questa volta. Il dolore per Bungo era vero, nei loro animi, abbastanza da mettere a tacere i pettegolezzi. I Baggins tornarono ad essere rispettabili: Belladonna si fece crescere i capelli e non si fece vedere molto in giro, mentre Bilbo coltivò molte amicizie e si dimostrò all'altezza del nome che portava.
La morte di Bungo sembrò aver messo a posto molte cose e per anni, ad Hobbiton, non si parlò molto dei Baggins. La vita andò avanti come fa sempre, le stagioni si susseguirono e il grano tornò ancora e ancora a indorare i campi.
Belladonna e Bilbo non parlavano più molto di elfi e di avventure. Belladonna aveva creduto, con un profondo dolore al petto, che suo figlio avesse rinnegato del tutto il sangue Took nelle sue vene; ma aveva trovato libri in Sindarin con orecchie ai lati delle pagine e mappe nuove non ancora appese al muro e si era rasserenata. Pazienza, si era detta. Pazienza. Bungo le avrebbe dato della sciocca, se l'avesse vista ora. Bilbo era loro figlio, dopotutto, come suo marito amava ripetere con dolcissimo orgoglio. Il tempo avrebbe fatto il suo corso.
Erano passati quattro anni dalla scomparsa di Bungo, quando Bilbo tirò di nuovo fuori l'argomento. Era una sera d'inverno: fuori nevicava lentamente e Bad End era calda e accogliente, un tepore dorato e luminoso dentro cacciava il buio della notte fuori.
Belladonna stava canticchiando fra sé e sé mentre lavava i piatti, pensando che per lo spuntino di quella sera avrebbero potuto tagliare la torta di mele che aveva preparato quel pomeriggio, quando sentì la voce di Bilbo chiamarla. Non l'aveva sentito uscire dalla sua camera, né entrare in cucina, e si ritrovò a sorridere tra sé e sé: il passo di Bilbo era incredibilmente leggero, anche per uno hobbit. Gli sarebbe servito molto, se fosse stato uno scassinatore o qualcosa del genere.
Sopprimendo un risolino per quel pensiero, si asciugò le mani su uno strofinaccio e si girò verso il figlio, rivolgendogli un sorriso radioso. "Sì, coniglietto?"
Bilbo non reagì arrossendo come al solito a quel soprannome - glielo avevano dato quando era piccolo e più cresceva più Belladonna si divertiva ad affibbiarglielo. Inarcò un sopracciglio, insospettita. "Vai in salotto, metto su il the."
Non aspettò una risposta e si diede da fare con i fornelli; in poco tempo si ritrovarono entrambi seduti sulle comode poltrone imbottite davanti al focolare acceso, due tazze di the fumante in mano e un vassoio con torta, piattini e forchette sul tavolino davanti a loro.
Bilbo rimase zitto per un po', soffiando sulla sua tazza e arricciando nervosamente le dita dei piedi. Parlò solo quando Belladonna allungò un braccio per iniziare a tagliare la torta.
"E' un po'-- è un po' che non mi racconti le tue avventure, mamma." Cercò di dire con aria casuale, schiarendosi la voce a metà frase con quell'espressione così simile a quella di Bungo da fare male al petto. Belladonna non riusciva ad abituarsi a quanto suo figlio somigliasse a suo marito.
Sorrise fra sé: Bilbo aveva passato tutte le sere invernali della sua infanzia su quella stessa poltrona, chiedendo una storia dopo l'altra, fino ad addormentarsi contro il bracciolo. Bungo sedeva con loro, fumando e parlando poco, accontentandosi di ascoltare la moglie raccontare quell'avventura che sapevano entrambi a memoria.
Madre e figlio si guardarono negli occhi e nessuno dei due poteva fingere che non facesse male, che non mancasse qualcosa. Belladonna posò una mano sul braccio di Bilbo e cominciò a raccontare senza fare altre domande, senza puntualizzare che erano anni che non lo faceva, scegliendo le sue scene preferite, parlando per ore mentre il the finiva e la notte si faceva più buia.
Il fuoco era quasi spento e il sonno pesava sugli occhi di tutti e due, quando Bilbo fece un respiro profondo ed ebbe il coraggio di parlare, la voce un po' umida e gli occhi che si sforzavano di non andare sulla terza poltrona, vuota: "Cosa ti tiene qui, mamma? Tu e papà mi avete sempre detto che sei tornata per lui, per la vostra promessa. Ma... ma adesso lui non c'è. Non vuoi andartene? Tornare a Rohan, a Gran Burrone, in tutti i posti dove sei stata?"
Belladonna lo guardò. Si rese improvvisamente conto di quanto suo figlio fosse giovane e bello, insicuro e spaventato ma deciso sulle sue idee esattamente come suo padre. Gli scostò un ricciolo dalla fronte, provando un'ondata di affetto caldo. Era così piccolo, il suo Bilbo. Era piccolo esattamente come lo erano stati lei e Bungo e, esattamente come loro, aveva così tante paure e così tante idee nella sua testa piena di ricci.
"Beh... non ti posso mentire, qualche volta sì, ho pensato di andarmene. Ma non posso e non voglio." Rispose tranquilla, la voce bassa e chiara, sicura - così diversa da quella della giovane che era stata.
"Io e tuo padre... ci eravamo promessi una cosa."
Quella notte di anni prima, con il rumore della festa di Bilbo poco distante e le mani strette come durante il loro matrimonio. Bag End era stata costruita per essere il loro nido, dove essere riparati dal freddo e dove trovare sempre conforto e felicità. Doveva essere il posto sicuro dove tornare quando si era stanchi, quando si voleva far riposare le ali. Ed era stata davvero questo, per lei, per loro: era stata questo e molto, molto di più.
Era suo compito adesso fare in modo che fosse così anche per Bilbo. Quando sarebbe arrivato il suo momento di volare via, lei sarebbe dovuta restare lì, a Bag End, e aspettarlo; avrebbe dovuto prendersi cura del nido che Bungo aveva costruito per lei e diventare la roccia di cui Bilbo aveva bisogno.
Bungo le aveva fatto promettere di essere un uccello migratore, ma lei non poteva chiedere la stessa cosa a Bilbo. Poteva solo curare il loro nido e sperare che, quando il momento sarebbe arrivato, i pensieri di suo figlio sarebbero tornati a Bag End.
Si rese conto che Bilbo la stava guardando con curiosità, aspettando che continuasse. Belladonna sorrise e gli accarezzò la guancia liscia. Era ancora troppo piccolo e troppo ingenuo per capire davvero e lei lo conosceva bene. Se avesse detto qualcosa adesso, Bilbo ci si sarebbe aggrappato per anni e anni e tutte le sue scelte ne sarebbero state influenzate. Se gli avesse spiegato cosa significava Bag End per loro, se gli avesse raccontato della promessa che avevano sussurrato al suo trentatreesimo compleanno, probabilmente Bilbo non si sarebbe mai allontanato da casa. Ma Bungo aveva visto in lui un uccello migratore, che ad un certo punto avrebbe provato il desiderio di volare via e che avrebbe avuto bisogno di un posto a cui tornare, e Belladonna non aveva la intenzione di tappargli le ali.
Scosse la testa e gli posò un bacio sulla fronte.
"Andiamo a letto, coniglietto, forza. E' tardi."
Dopo quattro anni, Belladonna morì in silenzio, colpita di notte da un male fulmineo. Se ne andò senza soffrire e lasciò a Bilbo tutto quello che aveva, tutto quello per cui aveva lavorato in una vita di alti e bassi e desideri esauditi: Bag End.
Bilbo non seppe mai della loro promessa. Questa era la loro storia, non la sua.
Questa era la storia di come Belladonna andò e ritornò e di come Bungo divenne l'albero stabile che teneva in piedi il nido dove lei trovava riposo, alla fine dei suoi voli. Bilbo non aveva bisogno di sapere tutto.
Lui avrebbe avuto il suo volo da vivere, la sua andata e il suo ritorno da raccontare.
Bag End sarebbe stata lì, alla fine, ad aspettarlo. Ogni uccello migratore ha bisogno di un nido.

"(...) E hai ragione: penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri. E la mia poltrona. E il mio giardino. Vedi, quello è il mio posto. È casa mia."

 

 

  
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