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Autore: Sayami    03/11/2018    0 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1.5

 

Nei giorni successivi, Samuel provò più volte a parlare con Laney, ma la ragazza continuava a sfuggirgli come fumo tra le dita. Gli altri studenti della Turnips le facevano sempre un sacco di scherzi, scherzi ignobili, a giudizio di Samuel, scherzi perfidi e insensati, scherzi che però sembravano far ridere tutti, a scuola.
Tutti tranne Laney.
Uno tra i tanti aveva attirato l'attenzione di Samuel, sebbene potesse sembrare il più banale: ogni mattina, l'armadietto di Laney veniva ricoperto da palate di bigliettini di carta, che recavano scritti i peggiori insulti che fossero mai stati inventati.
Nessuno avrebbe meritato di sentirsi dire certe cose, ma "era solo uno scherzo" e Laney non sembrava volere aiuto per difendersi. A dire il vero, Laney non sembrava proprio più volere.
Si aggirava per la scuola in punta di piedi, pallida come un lenzuolo, silenziosa come un fantasma, il capo sempre chino così che nessuno potesse incontrare il suo sguardo.
-Ciao, Vomito!- la motteggiavano al suo passaggio, nonostante i rimproveri accesi e le minacce degli insegnanti.
Samuel non riusciva a sopportarlo. Non faceva altro che pensare a come cambiare la situazione e il solo ricordo della sua immobilità, nei giorni precedenti, lo mortificava a dismisura. Ai suoi occhi, la prospettiva che le cose restassero come stavano era impensabile. Lui doveva fare qualcosa.
Così si risolse a parlarne con James e Alicia. Dopo il primo giorno di scuola, i tre non avevano più toccato l'argomento "Laney" e Samuel non era ancora riuscito a capire il perché della loro reazione.
Aveva una montagna di domande da fare, a cominciare dal perché nessuno intervenisse, fino a quale fosse la loro opinione in materia, così, quel mercoledì, quando il trillo della campanella giunse a segnalare l'inizio della pausa pranzo, Samuel si fiondò fuori dall'aula di matematica con un solo pensiero in testa, deciso a fare chiarezza una volta per tutte.
Raggiunse la mensa, non senza difficoltà - faceva ancora un po' di fatica a orientarsi - ma, una volta a destinazione, individuò immediatamente Alicia e James, che sedevano all'altro capo della stanza.
La mensa era una sala grande, sempre illuminata da fredde luci al neon, riempita da tavoli gialli e blu di forma ottagonale circondati da sedie di legno e ferro battuto degli stessi colori. L'intonaco e le maioliche erano entrambi di un bianco accecante e nell'aria si respirava uno sgradevole odore di cavolo lesso.
A essere onesti, le pietanze in mostra negli espositori paralleli alle pareti non erano mai particolarmente invitanti, così come le signore accigliate e scontrose che le servivano, eppure, un po' per pigrizia e un po' per abitudine, gli studenti se le facevano andar bene comunque.
Non appena si accorsero del suo arrivo, James e Alicia lo salutarono alzando le mani, facendogli cenno di raggiungerli al loro tavolo.
Samuel annuì da lontano, poi si mise in coda all'espositore degli hotdog. Glie ne fu dato uno rinseccolito, farcito con foglioline di lattuga tristi e avvizzite, ma non si lamentò. Al contrario, si fiondò dritto al tavolo di Alicia e James, già pronto a esporre tutti i suoi dubbi e tutte le sue ansie, ma a metà strada si fermò.
Tyler e la sua scorta stavano attraversando la mensa, le facce contratte in espressioni arcigne e spocchiose. Parlottavano tra di loro, dispensando occhiatine sprezzanti a destra e a manca, dandosi arie di grande importanza, quasi non appartenessero anche loro alla specie dei comuni mortali.
Un paio di ragazzi boriosi ebbero la brillante idea di staccarsi dal gruppo per andare a infastidire Alicia e James. Mentre i due si avvicinavano alla loro postazione, Samuel vide James farsi piccolo piccolo sulla sedia, come se stesse cercando di mimetizzarsi con l'ambiente circostante. Alicia, al contrario, li osservava torva, incupendosi sempre di più.
Quando furono arrivati, uno di loro, basso, con un codino spelacchiato in cima al muso cavallino, chiamò a gran voce: -Ehi, Brisby!-
James saltò sul posto e le sue guance persero di colpo il loro colorito roseo. Alicia sembrava sul punto di azzannarli e Samuel si allarmò: stava per assistere a un'altra scena come quella del primo giorno?
-Bei capelli- commentò il tipo con il codino. -Ora sì che sei proprio un finocchietto come si deve!-
A quelle parole, James sprofondò ancor di più lungo lo schienale, paonazzo per la vergogna. La loro era pura perfidia.
Molti dei presenti risero. Un terzo scagnozzo, evidentemente colpito dall'acume della battuta, decise di raggiungere i primi due per complimentarsi mediante una serie di rozze, vigorose pacche sulle spalle.
Samuel fu assalito da un ennesimo moto di repulsione: erano un branco di veri e propri scimmioni. Avanzò verso il tavolo, pronto anche a dare loro il benservito, se fosse stato necessario, ma Alicia lo anticipò: -Falla finita, Morrison- disse secca.
-Sennò che fai?- la rimbeccò l'altro, un ghigno spregevole cucito in faccia.
Alicia fece per rispondere, ma il secondo sconosciuto, con la pelle butterata e i muscoli che sembravano esplodere sotto alla giacca, intervenne. -Ha ragione, Chad, lasciali in pace- osservò mellifluo. -Magari è la volta buona che si fa un giretto con te.-
Altri scrosci di risa si rovesciarono nella stanza. Samuel era disgustato. Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno che condividesse la sua stessa disapprovazione, ma neppure le signore che servivano il pranzo sembravano sorprese.
Quel tipo di intermezzo era davvero la regola, lì?
Alicia scattò in piedi, facendo stridere la sedia contro il pavimento. -Fate schifo- ruggì a denti stretti.
-Tu invece non sei niente male, per essere negra.-
La ragazza trasalì. Samuel vide le nocche dei suoi pugni, lungo i fianchi, schiarirsi per la forza con cui li stava stringendo. "Dagli un pugno" pensò, riprendendo ad avanzare a passo spedito. "Oppure lo faccio io." Era inorridito, indignato, furioso, e non sarebbe rimasto a guardare un solo secondo di più.
Ma quando ebbe mosso l'ultimo passo, entrò nel campo visivo di Tyler. Questo, non appena lo mise a fuoco, si voltò verso di lui e lo guardò estasiato, allungando un braccio per tirare a sé la bionda carina che lo seguiva ovunque. -Samuel!- chiamò, facendo risuonare il suo vocione per tutta la mensa. -Ti siedi con noi?- chiese.
Per qualche istante, il tempo si fermò. La proposta era chiara, una domanda che celava ben più che il suo solo significato apparente.
I due ragazzi si scrutarono, poco meno di una falcata a separarli. Tyler ostentava la solita non-chalance, ma il sangue di Samuel ribolliva di rabbia. Non importava che cosa sarebbe successo, aveva ben chiara la risposta che avrebbe dato. Prese un respiro profondo.
-No- affermò gelido, sollevando il mento a indicare Alicia e James. -Io sto con loro.-
Si sarebbe aspettato qualsiasi reazione - una battuta, un urlo, perfino "uno scherzo" -, ma non quella che ottenne: Tyler fece spallucce e gli rivolse un sorrisino conciliante.
-Va bene- gli disse. -Come vuoi.- E, detto questo, si diresse verso un altro tavolo con il suo seguito, richiamando i tirapiedi che se l'erano presa con Alicia e James, senza degnarlo più neppure di uno sguardo.
Samuel ne fu sorpreso, ma cercò di non darlo a vedere. Al contrario, filò dritto dai suoi amici e si accomodò al loro fianco, mentre lo squadravano con tanto d'occhi.
-Che accidenti era quello?- gli domandò James, incredulo.
-Quello cosa?- rispose Samuel, addentando il suo misero hotdog. Era così arrabbiato che a stento riusciva a masticare senza mordersi la lingua.
-Quello che hai appena fatto!- gli disse ammirata Alicia. -Sei stato una forza!-
-Ma hai sentito che cosa vi hanno detto?!- ribatté furente lui, guardandoli entrambi dritti in faccia. -Si sarebbero meritati un bel gancio sul naso, e invece nessuno ha fatto niente!-
-Ma tu l'hai fatto!- esclamò James, in brodo di giuggiole. -Ti sei opposto!-
-Ne parlate come se tenere testa a un pallone gonfiato fosse chissà quale impresa. Dovrebbero farlo tutti, qui a scuola.-
A quelle parole, James e Alicia si rabbuiarono.
-Oh...- fece James. -Sì, be'... sono solo degli idioti.-
-Ormai non ci fa più né caldo, né freddo- aggiunse amareggiata Alicia, rimestando con poca convinzione i maccheroni scotti che aveva nel piatto.
-No!- scattò allora Samuel. -Voi dovreste contrattaccare, ribellarvi!-
Ma Alicia e James non risposero. Samuel rimase immobile per attimi infiniti, il fiato sospeso tra l'indecisione e la necessità, prima di fare una delle domande che gli ronzavano in testa da giorni: -È per questo che Laney non pranza mai con tutti gli altri, vero? Perché Tyler e i suoi la tormentano.-
James sospirò e annuì, mogio. -Mangia da sola fuori. L'ho vista di sfuggita un paio di volte in cortile.-
Samuel sentì un pizzico al petto. Presto sarebbe arrivato l'inverno, era impensabile che Laney continuasse a mangiare all'esterno con la pioggia e la neve. -Perché sono rimasti tutti a guardare, il primo giorno di scuola? Che ha fatto per meritarsi quel trattamento?-
-Niente- rispose laconica Alicia.
-E allora perché si comportano così con lei?-
Il viso della giovane ebbe uno spasmo di stizza. -Per lo stesso motivo per cui hanno detto quelle cose a me e a James, Samuel. Perché sono degli idioti.-
-Sì, ma... l'hanno coperta di vermi- continuò imperterrito Samuel, rimarcando più che poteva il concetto. -Tutte le mattine attaccano dei foglietti sul suo armadietto. Non fanno che perseguitarla. La chiamano Vomito, capite? Vomito! Non è giusto.-
James si imbronciò. -Se si potesse eliminare ogni ingiustizia, non ci sarebbe più la fame nel mondo.-
Samuel attese una manciata di secondi. Perché si stavano comportando così? -Voi non... credete che dovremmo fare qualcosa per lei? Insomma, quando eravamo piccoli...-
James sbuffò. -Tu parli così perché a te non farebbero mai niente del genere...-
-Cosa?- fece allora Samuel, piccato. -E perché?-
-Oh, andiamo, guardati!- sbottò James, dritto sulla sedia, improvvisamente congestionato. -Vieni dalla città, hai visto il mondo, sei alto un metro e ottanta e hai vinto più medaglie di quante ne abbiamo vinte tutti noi messi insieme. Non ti sei accorto di come ti guardano gli altri? Mentre tu te ne stai qui a conversare di ingiustizie con noi, quelli che contano ti hanno già invitato al loro tavolo...-
-E tu credi che me ne importi qualcosa?- lo interruppe Samuel. -Io ho scelto voi, James. Non mi interessano gli inviti di Tyler.-
E lo pensava veramente. Samuel non avrebbe cambiato James e Alicia per niente e nessuno al mondo. Loro lo avevano accolto, gli avevano offerto la loro amicizia, il loro supporto e il loro sostegno incondizionato, senza pensarci due volte.
Ma allora perché adesso si ritrovavano a fare certi discorsi? Per quale motivo in quel momento gli sembrava di essere tanto lontano, nonostante fossero seduti intorno allo stesso tavolo?
-Il punto è un altro- disse allora Alicia, senza guardarlo. -Quello che ha fatto oggi Morrison succede sempre, perché Tyler e il suo gruppo non capiscono tutto quello che non rientra nella loro logica. Ci danno fastidio perché ci vedono diversi, e fanno leva su questo! Ma con Laney... è solo cattiveria gratuita- spiegò, apparentemente calma. A Samuel però non sfuggì lo sfarfallio delle sue ciglia sulle guance, la curva dura delle sue labbra. Le veniva da piangere? -Non hanno bisogno di una scusa per ferirla, non cercano un pretesto per farle del male. Riversano su di lei tutto il loro odio e la loro rabbia, solo perché possono farlo. E chiunque provi a intralciarli... subisce lo stesso trattamento.-
-Appunto!- esclamò Samuel. -È proprio per questo che dobbiamo aiutarla. Dobbiamo parlare con i professori, fare qualcosa per farlo smettere!-
Ma parlare con James e Alicia, quel giorno, sembrava proprio come parlare a un muro.
-E come, secondo te?- disse la ragazza. -Sono stati presi più volte provvedimenti, ma questa situazione va avanti da anni, Samuel. Cosa pensi che accadrebbe se decidessimo di ribellarci? Lo sai che cosa hanno fatto a tua cugina, quando ancora era a scuola, per aver difeso Laney? Sai cosa volevano...- si interruppe. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime. -Non c'è niente che possiamo fare.-
James, nel frattempo, era piombato nel silenzio, e sembrava intenzionato a non pronunciare più nemmeno una parola.
Ci fu una lunga pausa, durante la quale nessuno parlò. Samuel si sentiva esausto, come se avesse corso un'intera maratona in apnea, la testa leggera e le orecchie che gli fischiavano forte. Cos'era successo a Vera di cui non era stato messo al corrente? La situazione era proprio irrecuperabile? Non c'era nessuno disposto a fare un tentativo?
-Allora è così- concluse. -Voi avete paura.-
-Paura?- gli fece eco Alicia, indignata. -Hai idea di cosa significhi vivere giorno dopo giorno con la consapevolezza che al primo passo falso finirai con la faccia nel water? Con il terrore di ritrovarti sulla lista nera da un momento all'altro?- Le lacrime nei suoi occhi si trasformarono in saette ardenti. -Ci abbiamo riflettuto più volte e ti giuro che ci dispiace da morire per lei. Certe notti non riesco neppure a dormire per i sensi di colpa, ma ho visto che cosa fanno a quelli che si mettono contro Tyler. E puoi star certo che i prossimi sulla lista, dopo Laney...- Alicia indicò prima James e poi sé stessa, il dito che tremava come un ramoscello al vento. -Siamo noi.-
James tacque, ma non negò.
Samuel rimase a fissarli entrambi a bocca aperta, sbalordito. Non riusciva a credere alle proprie orecchie. -Non lo pensate veramente- disse.
I due non risposero.
Samuel scattò: -Se non iniziamo da qualche parte, non cambierà mai niente!-
-Ma da quando te ne sei andato, è cambiato tutto!- esclamò James. -Noi siamo cambiati, tu sei cambiato e anche Laney è cambiata, e nessuno può farci niente.-
-Sono ancora io!- ribatté lui, e riuscì a sentire una vena di disperazione nella propria voce. -Sono la stessa persona con cui giocavate a guardie e ladri dieci anni fa! Non è cambiato nulla, dobbiamo solo...-
Ma James lo guardò, e ora era decisamente arrabbiato. Aveva digrignato i denti, e sembrava a sua volta sull'orlo delle lacrime. -Tu non puoi capire.-
Samuel si sentì punto nel vivo. Era questo che pensavano? -Non è vero...- disse cupo.
-Sì, invece- gli rispose Alicia, dando manforte a James. -Potremmo addirittura peggiorare la situazione. Hai pensato a questo? Come credi che reagirebbe Laney se gli altri si accanissero ancor di più su di lei? Sarebbe in grado di sopportarlo?-
-Perché ora come ora la situazione è sopportabile, no?!- replicò Samuel, alzando la voce più di quanto non avrebbe voluto fare. Alcuni ragazzi, ai tavoli vicini, si erano voltati a guardarli, attirati dagli schiamazzi.
James e Alicia lo fissavano come se non l'avessero mai visto prima. Sembravano sul punto di dire miliardi di cose, ma non ne dissero neppure una.
-E comunque,- riprese Samuel, abbassando sensibilmente il volume -non permetterò che accada.-
-Smettila di fare l'eroe- gli disse Alicia, fredda, tagliente come la lama di un coltello. -Nessuno ha chiesto il tuo intervento.-
A quelle parole, Samuel sentì qualcosa dentro di lui che scoppiava e si sgonfiava come un palloncino. Che fosse la delusione?
-Io non sono un eroe- rispose duro, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul panino smangiucchiato che teneva tra le dita. Lo lasciò cadere svogliatamente nel piatto; non aveva più appetito. -Ma non ho intenzione di farmi da parte e aspettare che i sensi di colpa mi tengano sveglio la notte. Ora, se non vi dispiace, vado a cercare Laney.- E, detto questo, si alzò in piedi e si gettò lo zaino in spalla, deciso ad andarsene.
-Samuel...- lo supplicò James con un fil di voce, ma il ragazzo non volle sentire ragioni.
-Ci vediamo- disse, e si avviò.
-Samuel, aspetta!-
Samuel uscì dalla mensa senza guardarsi indietro. Trovò Laney una manciata di minuti più tardi, in giardino, seduta a uno dei tavoli di legno delle oasi di sterrato, con un porta-pranzo a pallini blu. Era a telefono con qualcuno.
Samuel rimase a studiarla per un po', nascosto dietro a una colonna del portico, in dubbio se avvicinarsi o meno. La osservò giocherellare con la forchetta, portarsi una ciocca di capelli ricci dietro all'orecchio e ridere al cellulare, e non poté fare a meno di pensare che era carina.
Già, carina. E anche diversa e sola. Le parole di James gli rimbombarono nella testa:"È cambiato tutto!"
Samuel aveva finto sdegno, delusione e rabbia, ma solo perché, in fondo... una parte di lui gli dava ragione. Chi gli garantiva che le cose sarebbero andate bene, anche se avesse aiutato Laney? E se lei l'avesse trovato antipatico? Se avesse creduto che si era montato la testa? Dopotutto, crescendo, si erano trasformati tutti e due, e ora... cosa era rimasto dei bambini spensierati che avevano condiviso l'infanzia, dieci anni prima?
"Dieci interi anni fa."
Sarebbe stato bello tornare indietro nel tempo, al periodo in cui non c'erano preoccupazioni e tutto era facile e lineare, ma non era possibile. Perché nella vita, a volte, si poteva solo andare avanti. E Samuel lo sapeva meglio di chiunque altro.

 

Tornando a casa dal suo primo giorno di scuola, Laney si spremette le meningi più che poteva per inventare una buona storia da imbastire

Era una giornata uggiosa e la luce grigiastra del sole, che filtrava tra i banchi di nubi, suggeriva l'avvento dell'autunno. Le foglie sugli alberi avevano già iniziato a imbrunire, il vento spirava forte e impietoso, ma Laney non ci faceva troppo caso, presa com'era dalla discussione telefonica con Veronika.
-Se fosse stata in un negozio, sarebbe andata a ruba- affermò la ragazza, frizzante come al solito. Si riferiva alla gonna blu che Laney le aveva confezionato con tanta cura, prima che ripartisse per il college. -Almeno in sei mi hanno chiesto dove l'avessi presa. E poi, quando ho detto che era stata una mia amica a disegnarla e a realizzarla...- Lasciò la frase in sospeso.
Laney, appesa al proprio cellulare, trattenne il respiro.
-Mi hanno chiesto tutte il tuo numero!- concluse l'altra, molto più che entusiasta. -Ti rendi conto? I tuoi modelli vanno già a ruba, diventerai la migliore stilista di sempre!-
Laney rise, felice. Non sapeva fino a che punto crederle, perché Vera aveva la tendenza a raccontare le cose in modo un po' drammatico, ma era comunque fantastica. Aveva preso l'abitudine durante i mesi che avevano trascorso in ospedale: si serviva di iperboli mirabolanti per cercare di tenerla incatenata al discorso e distrarla dal resto. Certo, ora non erano più insieme nella camera quattrocentouno, ma a chilometri di distanza l'una dall'altra, però c'erano ancora molte cose a cui Laney non voleva pensare, e la sua migliore amica lo sapeva bene.
Lo sguardo le cadde sulla mano destra, stretta in uno spesso bendaggio, che rimestava i piselli nel porta-pranzo. Quella mattina, Tyler le aveva fatto lo sgambetto in palestra; Laney aveva attutito la caduta con le mani, ma una grossa scheggia di legno le era entrata nel palmo, e così era dovuta andare in infermeria a farsi medicare. La zona era indolenzita, ma il fastidio era sopportabile.
-Come va con Peter?- domandò, dirottando bruscamente il discorso.
-Bene- rispose tranquilla Vera. -Sai che l'altro giorno...-
In quel momento, una sagoma nota si profilò all'orizzonte della Turnips. Per qualche istante, Laney pensò di esserselo immaginato. Si disse che era tutta colpa del suo subconscio, che non aveva ancora processato bene l'idea che fosse tornato, ma più Samuel Carson si avvicinava spedito al suo tavolo – e non sbiadiva come un ologramma – più Laney sentiva che la sua ora era ormai giunta.
-Vera?- chiamò, interrompendo la ragazza nella cornetta.
-Sì?- fece l'altra.
-Samuel- disse lei.
-Samuel? Non stavamo parlando di Peter? E comunque, se vuoi dirmi che ti piace ancora mio cugino, non preoccuparti, sapevo che sarebbe successo, prima o poi...-
-No, no!- fece Laney, nel pallone. Samuel era sempre più vicino. -Lui è qui! Sta venendo verso di me!-
-Oh- disse Vera, confusa. -E quindi?-
E quindi, nei giorni precedenti, Laney lo aveva evitato come la peste: aveva cambiato strada nei corridoi, si era assicurata di uscire per prima nelle classi che avevano in comune, aveva fatto in modo di non incrociarlo neppure una volta, ma in che modo sarebbe potuta scappare, adesso?
Non voleva parlargli: non sapeva cosa le avrebbe detto ma, ora che lui aveva visto, la sola idea di confrontarsi dopo che era finita così in basso la faceva sprofondare nella vergogna.
D'altra parte, per quanto l'idea fosse allettante, di certo non poteva alzarsi e andarsene via come se niente fosse, perché l'avrebbe bloccata in ogni caso. Non aveva scampo.
-Devo andare- disse a Vera e, senza attendere la risposta, chiuse la chiamata.
Samuel ormai era arrivato.
Laney sperò per una attimo che fosse diretto da qualche altra parte e che l'avrebbe superata senza dirle una parola, ma dovette rassegnarsi all'evidenza quando il ragazzo inchiodò proprio di fronte a lei, dall'altra parte del tavolo. Rimase a fissarlo inebetita, con il cuore che martellava nel petto.
Come prevedibile, fu lui ad aprire il discorso. -Ciao- le disse.
-Ciao- rispose, meravigliandosi della velocità con cui era riuscita a parlare.
Il ragazzo le sorrise, e Laney sentì lo stomaco salirle in gola.
-Posso sedermi qui?-
Laney si guardò intorno. Non vide nessuno nei paraggi, quindi annuì.
Samuel le si accomodò di fronte e, di nuovo, Laney non poté fare a meno di notare la grazia disinvolta dei suoi movimenti. Perché era lì? L'aveva visto spesso in compagnia di Alicia e James, in quei giorni... loro dov'erano adesso?
-Ehm...- si schiarì la voce Samuel. -Come va?-
-Oh...- Laney si sentì presa in contropiede. Era un po' nervosa. -Bene- mentì. -A te?-
Samuel fece spallucce. -Bene.-
Laney non poté fare a meno di domandarsi se anche la sua fosse una bugia. Poi il ragazzo si umettò le labbra e la scrutò con aria pensosa. Percepiva una certa urgenza nei suoi modi, necessità mista a imbarazzo, e questa sensazione la imbarazzò a sua volta. Con ogni probabilità, Samuel aveva capito perfettamente che aveva cercato di evitarlo per tutto quel tempo, ma decise di non fare menzione della cosa. Laney glie ne fu molto grata. Al contrario, le chiese: -Come mai non mangi a mensa con gli altri?-
Sulle prime, lei esitò. Una manciata di istanti dopo, però, ammise: -Non mi piace molto la mensa.-
Samuel sollevò un sopracciglio, per nulla convinto. -Non ti piace la mensa o la compagnia?-
Laney fece scattare gli occhi su di lui. -Io...- esalò, senza sapere cosa rispondere.
Un secondo dopo, Samuel indicò la sua mano bendata con un cenno del mento. -Che hai fatto lì?- le chiese.
Laney si affrettò a nasconderla dietro alla schiena. -Niente- rispose. -Sono inciampata.-
-Su una trappola di Tyler?- ribatté il ragazzo.
Lei rimase di sasso. Ormai sapeva, a che pro mentire? -Non fa niente- disse. -Ci sono abituata.-
Samuel scosse la testa, in disapprovazione. -Non è vero. Non ci si abitua mai al dolore.-
Si guardarono. Si era creata una strana intimità, la stessa che avevano da piccoli, quando si appartavano sulla veranda a discutere di figurine da collezione, giocattoli nuovi e litigi domestici.
Era assurdo, irrealistico come un sogno. Laney si meravigliò della serenità con cui lo stava affrontando. Non era in ansia, né provava agitazione, e pensò che, in fin dei conti, il fatto che lui avesse svelato il suo segreto era stata una liberazione.
-Perché ti chiamano "Vomito"?- le chiese Samuel.
Una domanda diretta.
Per un po', Laney non fiatò. Nella sua mente affioravano immagini, vapori di luci accecanti e rumori assordanti e grida di orrore e perfide risate... 
Rabbrividì. -È stato tanto tempo fa- disse, ma si rese conto immediatamente che non era era abbastanza per spiegare, per capire.
Si chiese perché. Perché Samuel voleva tanto sapere quelle cose? Perché continuava a inseguirla, invece che starle alla larga come gli altri? Perché non sembrava disprezzarla nemmeno un po'? E, soprattutto, perché ora si sentiva così al sicuro, con lui? Era una sensazione naturale, quella familiarità? Samuel era stato una delle persone più importanti della sua vita, ma era giusto che sapesse?
Lui attendeva. Muto e immobile, la fissava con piglio severo, in ascolto.
Come per magia, l'ultimo cappio che le annodava la lingua si sciolse. -Conosci Judith?- pigolò, guardandolo di sottecchi.
Lui negò con il capo. Non aggiunse altro, quindi Laney riprese: -È la ragazza bionda che sta sempre con Tyler. Quando era al secondo anno ha invitato tutta la scuola alla sua festa di compleanno, e io ci sono andata con Vera.- Si fermò per un istante, cercando di tenere sotto controllo i pensieri, le emozioni, di ricostruire l'ordine giusto degli eventi. Una stretta sgradevole le attanagliò lo stomaco. -È stata una festa carina, tutto sommato. Fino a quando Tyler non mi ha messo del cibo avariato nel piatto e mi ha costretta a bere tre bicchieri di birra tutti d'un fiato.-
Samuel non commentò. Aveva assunto un'espressione assorta, le braccia incrociate di fronte a sé.
Laney prese un respiro e si portò ciocche sparse di capelli dietro alle orecchie. -Puoi immaginare come è finita- bisbigliò. -È successo davanti a tutti. Ho sporcato il tappeto persiano dei signori Pierce e anche il vestito di Judith. Da quel giorno lei mi odia a morte.- Laney ascoltò la propria voce con distacco, come provenisse da un'altra dimensione. -E per gli altri sono solo "Vomito".-
Si rese conto subito di quanto dovesse suonare imbarazzante e patetica, e desiderò non aver mai parlato. Come al solito, aveva sbagliato tutto. Pensò di sdrammatizzare, magari dire qualcosa di stupido - la birra non le era mai piaciuta e il vestito di Judith era orribile anche prima che ci vomitasse sopra - ma dalle sue labbra uscì solo uno sprezzante: -È disgustoso.-
Samuel non era dello stesso avviso. -Non è disgustoso- disse piano. -È stato solo un incidente. Non è stata colpa tua.-
Laney sollevò di scatto la testa. Lo sguardo di Samuel era limpido, caldo e rassicurante, ma i suoi lineamenti erano affilati da un'incredibile determinazione, una durezza che non avrebbe mai creduto di associare al suo viso. In ogni caso, del ribrezzo non c'era neppure l'ombra, e se era rimasto turbato dal suo racconto, non lo diede a vedere. -Mi dispiace- disse infine.
-Di cosa?-
-Che hai dovuto affrontare tutto questo. Non è giusto- le rispose abbattuto.
-Non fa niente- affermò con leggerezza Laney. -Passerà. È l'ultimo anno, devo sopportare solo un altro po'.-
Samuel parve sconcertato. -Pensi di passare tutto l'anno così?! Non puoi, non è sostenibile!-
-Lo so- disse lei, tornando a studiare la mano bendata, ora sotto al tavolo. -Me ne rendo conto.-
"Ma che altro posso fare?" pensò.
Per un po' rimasero fermi, immersi in un silenzio rotto solo dagli schiamazzi provenienti dalla Turnips.
Poi, di colpo, Samuel si riscosse. -Io voglio aiutarti- dichiarò. -Cosa posso fare?-
Laney sgranò gli occhi e dischiuse le labbra, sorpresa. -I-io...- balbettò. Cosa avrebbe potuto rispondergli? La testa le viaggiava a velocità supersonica; non avrebbe mai creduto che la loro prima conversazione dopo tanto tempo avrebbe preso quella piega.
Era incredibile. Dieci anni dopo, Samuel era ancora dalla sua parte.
"Come sempre."
Sentì una stretta al cuore. C'erano troppe implicazioni, speranze non dette, ma Laney non sapeva fino a che punto lui se ne rendesse conto. Fece l'errore di immaginare ancora una volta come sarebbe stata la sua vita, se la realtà fosse stata un'altra: pranzare al caldo, scambiare chiacchiere e battute, camminare per i corridoi a testa alta... un'utopia. Una vera e propria utopia.
Ma il colpo più duro arrivò quando pensò a cosa sarebbe accaduto a Samuel, se l'avessero visto con lei. Una vagonata di proiezioni orribili le si pararono di fronte: Samuel che veniva pestato a sangue, Samuel che si puliva i vestiti dal fango, Samuel che lavava via le scritte dal proprio banco.
Dal giorno in cui si erano incontrati davanti ai cassonetti, Laney aveva sempre saputo che, per quanto lo volesse, non le era concesso avere amici. Ma ora che lui era proprio lì di fronte, e le offriva il suo sostegno con tanta naturalezza, quella consapevolezza si stava trasformando in una condanna intollerabile.
La ragazza fu assalita dalla disperazione. Dopo tutte le persone che erano state coinvolte a causa sua, dopo gli scontri, le vendette, le punizioni e le lacrime... con quale coraggio avrebbe potuto accettare quell'offerta?
-Niente- affermò brusca. -Non c'è niente che tu possa fare.-
Samuel la guardò dispiaciuto. -Perché?-
E poiché c'erano miliardi di motivi che avrebbe potuto addurre, Laney illustrò il più elementare che aveva a disposizione. -Perché è la verità- disse. -Nessuno può farci niente.-
A quelle parole, Samuel scattò sul posto, come se qualcuno lo avesse spintonato. -Per quale motivo oggi siete tutti così disfattisti?- sputò, cercando di dissimulare un fastidio che tuttavia traspariva chiaramente.
-Che cosa?- chiese Laney, catapultata sulla difensiva.
-Non è vero che non c'è niente che possiamo fare- disse sicuro l'altro. -Io lo so che non è così.-
Laney sfoderò un sorrisino divertito. -Tu lo sai?- gli fece eco, risentita. -Certo, parlate tutti così bene. È facile quando non si subisce in prima persona, vero? Non vi pare di essere un tantino presuntuosi?- Pronunciò quella frase con astio immenso, riversandoci dentro una quantità di fiele che neppure sapeva di serbare. -Ma non importa. Dopotutto voi lo sapete, no?- 
Ecco, alla fine, era esplosa.
L'espressione di Samuel ebbe un guizzo, e sul suo bel viso si fecero strada incredulità e delusione cocente.
Laney cercò di reprimere il senso di colpa, ma fallì miseramente, e ben presto si ritrovò a lottare contro il magone. Ferire Samuel era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Desiderava solo un po' di pace, ma evidentemente era chiedere troppo.
Si alzò in piedi, ripose il porta-pranzo nella propria borsa e, di colpo, si sentì persa. Era un disastro. Un desolante, ridicolo, nauseabondo disastro. -Mi dispiace- biascicò.
Le labbra di Samuel erano strette in una morsa letale. -No, hai ragione- disse. -Non avrei dovuto impicciarmi.-
Non era vero e lo sapeva. Samuel era mosso dalle migliori intenzioni, ma il baratro in cui era caduta era troppo profondo perché potesse risalire. E loro non potevano capire. Nessuno poteva. Quanto erano fragili i rapporti umani, se bastavano qualche anno e poche parole sbagliate, a distruggerli?
Laney trattenne il respiro. Infine, in un ultimo slancio di onestà, sussurrò: -Io non posso permettere che accada anche a te. Non me lo perdonerei mai.-
Lo sguardo di Samuel volò su di lei. -Laney...- annaspò.
Si osservarono un istante, prima che Laney decidesse di girare i tacchi e filarsela, veloce come il vento.
Sarebbe stato bello vivere la vita di qualcun altro, trasformarsi in un uccellino e volare via, oppure cadere in un sonno profondissimo proprio lì, su quel prato. Eppure niente di tutto questo sarebbe accaduto.
Per un po', Samuel non la cercò più. Fu come tornare alla realtà dopo aver vissuto un sogno, uno in cui a qualcuno importava ancora di lei e c'era la remota possibilità che non rimanesse relegata nella solitudine. In ogni caso, era quello che voleva, quindi Laney non si lamentò.
La prima settimana di Ottobre trascorse nel grigiore più totale, senza l'ombra di cambiamento né di rivoluzione.
Tuttavia, una novità c'era. Laney ipotizzò che Tyler avesse finito gli insulti da scrivere, o che forse iniziava a trovare quell'idea perfino troppo cavalleresca, e stava pensando di infliggerle qualcosa di molto peggiore.
In ogni caso, i post-it che venivano quotidianamente affissi al suo armadietto, come per magia, erano spariti.



ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Hey, cutiepies! 
Che dite? Come state?
Eccoci qui, dopo ere geologiche, con il nuovo capitolo.
Ormai mai mi sono rassegnata all'idea che, tra università, impegni e incombenze varie, aggiornerò ogni morte di papa, quindi spero che, almeno, quel poco che posto vi soddisfi.
Che ve ne pare del risultato? Vi è piaciuto?
Cosa credete che accadrà in futuro?
Io vi dico già che il prossimo brano è piuttosto... intenso, al livello emotivo.
Spero solo di non fare disastri >- Auspicando che non trascorrano altri due secoli e mezzo tra questo e il prossimo aggiornamento, io vi mando un grosso bacio, ringrazio tutti coloro che seguono la storia e che hanno recensito, e vi aspetto alla prossima puntata.
ILU.
Sayami.

 

   
 
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