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Autore: Angel TR    03/11/2018    6 recensioni
Può la speranza germogliare sotto sterili luci artificiali?
Le cose erano due: o era astuta o era molto sensibile. Entrambe erano qualità terribili da possedere sotto il dominio degli alieni e della loro infame multinazionale.
Cosa ci guadagnava a nascondersi in quel modo? Li avevano già distrutti. Tutto ciò che restava loro erano la Matrice e le droghe.

[2° classificata al contest "Bionica Mente" indetto da molang su EFP]
Storia partecipante al contest "Un fiore per tante eroine" indetto da NevilleLuna sul forum di EFP
Genere: Generale, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipa al Contest "Bionica Mente" indetto da molang su efp
Nick: Angel Texas Ranger
Titolo: Luci Sospese
Genere: Cyberpunk
Bonus scelti: 1,4 (+7)
Note: fine testo


Luci Sospese


In campagna il buio della notte è amichevole e familiare, ma in una città, con il suo tripudio di luci, è innaturale, ostile e minaccioso. È come un avvoltoio mostruoso che aleggia, aspettando il suo tempo.
(Somerset Maugham)

It's the age of destruction
In a world of corruption
It's the age of destruction
And they hand us oblivion
Billy Idol - Neuromancer


Rosso, giallo, blu, bianco, bagliori brillanti su un letto nero.
Sei una delusione come Imperatrice. Sbatté le palpebre un paio di volte per scacciare quella confusione ma con pessimi risultati. Era l’ácido che era riuscita a strappare con lacrime e preghiere al suo vicino di casa che era di infima qualità o era lei che stava esagerando?
La risposta a quella domanda non arrivò mai.
Le luci l’assalirono e lei svenne.

Puzza di bruciato.
Aprì gli occhi. Qualcuno aveva appiccato un altro incendio nel Bairro. Si sforzò di puntellarsi sui gomiti per una visuale migliore.
La testa le girava.
Riuscì a mettere a fuoco il materasso sporco riverso sulle assi di legno, una lampada a neon e, cosa più importante, i doppi visori a specchio che le erano stati regalati da Maria.
L’aveva conosciuta nella Matrice e si vedevano ormai tutti i giorni. Le aveva rivelato il suo nome e persino dato qualche indizio sul come trovarla. Si sentiva a suo agio con lei ma non avrebbe saputo spiegare il motivo; forse era una di quelle intese che nascono tra geni incompresi.
Maria doveva essere un’ottima hacker perché possedeva un avatar che differiva dal suo aspetto reale e, in più, aveva riconosciuto in lei un’Imperatrice. Le cose erano due: o era astuta o era molto sensibile. Entrambe erano qualità terribili da possedere sotto il dominio degli alieni e della loro infame multinazionale.
Cosa ci guadagnava a nascondersi in quel modo? Li avevano già distrutti. Tutto ciò che restava loro erano la Matrice e le droghe.

Luci di notte.
Dalle catapecchie del Bairro non era difficile scorgere la Cidade, i suoi svettanti grattacieli che ferivano gli occhi degli abitanti con le loro facciate fluorescenti.
Le strade di metallo tagliavano il cielo nero pece in mille triangoli e le vetture che vi sfrecciavano ricordavano le meravigliose illustrazioni di un reperto del passato, un “libro” – almeno così le avevano detto che si chiamava. Il “libro” raffigurava delle luci nel cielo che si chiamavano “stelle”. Non erano affatto i bagliori freddi e taglienti della Cidade, proprio no. Erano calde, queste “stelle”, sembravano appartenere al cielo.
Ma cosa ne sapeva lei? Era nata nel Bairro, con gli occhi già pronti ad affrontare le eterne notti senza stelle della Colonia.
Abbassò la testa, i ricci scuri caddero come sbarre spiraleggianti sul suo volto, mentre la Cidade la ignorava dall’alto della sua innaturale opulenza.
Eppure avrebbe potuto farne parte.
Essere Imperatrice doveva pur significare qualcosa, oltre a una propensione smisurata per la derealizzazione.
E invece eccomi qui, nel degrado più assoluto, un’Imperatrice senza impero.
Lo sguardo appannato si posò sui bracciali di metallo, unico diritto di ogni nascituro, gli strumenti base per accedere alla Matrice.

La Matrice era la dimensione dove la maggioranza degli hacker avrebbe preferito vivere, un agglomerato di bit, pixel, fantasia ed elettricità. Una realtà abbastanza vera da meritarsi il nome ma abbastanza falsa da richiedere l’aggettivo ‘virtuale’.
Intanto ne facciamo tutti parte. Qual è il confine tra irreale e non?
Concentrò la sua traballante attenzione sulle catapecchie del Bairro, fatiscenti sagome immerse nel buio al confine con la fosforescente sterilità della Cidade. Le luci catturarono il suo sguardo perso come la preda di un pesce lanterna: rosso, giallo, verde, blu, viola.
Passarono dieci minuti o forse dieci ore, non avrebbe saputo dirlo.
Osservò la mano pallida appoggiata al davanzale della finestrella. Ancora non aveva mangiato.

*

Goin' from this land into that
In a sailors suit and cap
Away from the big city
Where a man cannot be free
Of all the evils in this town
And of himself and those around

Billy Idol - Heroin


La stavano seguendo, ne era certa.
Due umani maschi sulla trentina, vestiti con completi eleganti, un paio di visori a coprire parzialmente il loro volto, pronti a ricorrere alla Matrice se necessario. Puzzavano di innesti artificiali, probabilmente gli arti superiori. Devono essere i tirapiedi di qualche riccone visto che è illegale potenziarsi tramite pezzi robotici – almeno a Poverlandia.
Maria tenne la testa bassa e la schiena ingobbita, stringendo forte il lembo del foulard avvolto attorno alla testa dorata, i battiti del cuore sempre più forti nel petto, il suono dei suoi anfibi di pelle sul nero metallo del viale fiancheggiato dagli svettanti grattacieli. I suoi occhi, privi dei visori ormai dati in dono a Beatrice, scintillavano ambrati, come fari nella nebbia che fendevano la notte. Probabilmente era stata proprio l’ambra liquida delle sue iridi a tradirla. E adesso quei maledetti sanno che ho sangue alieno. Grande.
Era ora di svignarsela.
I bracciali di metallo iniziarono a sfrigolare, avvolgendola in una nube di elettricità. Gettò una rapida occhiata agli uomini, certa che si fossero già dileguati nella Matrice. E infatti…
La strada sfavillante si decompose in mille pixel e, per un momento, la rete in formazione fu tutto ciò che Maria vide. Stupida connessione lenta. I bracciali si illuminavano a intermittenza, segno del caricamento in corso. Nel 2071 ancora a questo stiamo!, si lamentò tra sé e sé.
Finalmente la Matrice, una dimensione in bilico tra realtà e fantasia simile a una bolla che avvolge chi decide di saltarci dentro, si formò davanti ai suoi occhi stanchi. Gli uomini erano lì da qualche parte ad aspettarla: doveva muoversi. Se pensavano di guadagnarsi un bel bottino rapendola, si sbagliavano di grosso: il sangue alieno che scorreva nelle sue vene era innocuo e blando come quello umano a cui faceva compagnia. Quasi niente poteri ma un aspetto quasi molto da aliena: occhi, capelli e pelle color ambra. Una vera fregatura. Grazie tante, mamma e papà.
Il suo motto in quei casi era uno: chiama i veri duri. Digitò le coordinate del Bairro, sicura che avrebbe trovato Beatrice proprio lì.
Non sapeva bene come ci fosse finita un’Imperatrice nel Bairro: solitamente se la passavano bene, portandosi una bella pagnotta a casa grazie alla manipolazione su commissione di pezzi di Matrice e comunicando con le creature che l’abitavano. Inoltre, elemento più importante di tutti, non avevano limiti di tempo all’interno della rete, a differenza di tutti gli altri. Non erano esattamente quello che si dice ‘anima della festa’ – spesso i loro occhi ti guardavano senza vederti e finivi per dimenticarti di loro – ma rappresentavano il primo passo dell’evoluzione umana. Il loro schieramento avrebbe spostato decisamente l’ago della bilancia: era per questo che la multinazionale extraterrestre puntava alla loro assimilazione. Chissà se avevano già giocherellato con i neuroni di qualcuno di loro…
Maria si chiese quante ore avessero a disposizione i suoi spasimanti in giacca e cravatta e, soprattutto, quante ore avesse lei. Batté nervosamente la punta del piede sul suolo di circuiti scoppiettanti nell’attesa che le coordinate la portassero da Beatrice.
Caricamento in corso… Maria si guardò attorno, il cuore batteva forte.
Caricamento completato. Esultò.
Improvvisamente una mano le afferrò il braccio ma lei se l'era aspettato e incanalò una scarica elettrica sufficientemente forte da far togliere al rapitore provetto la mano di scatto. Nessuna zaffata di pelle bruciata stuzzicò il suo olfatto sensibile per cui capì di aver solo rallentato la mano robotica: aveva pochi secondi prima che tornasse all’attacco. Beccati questa, stronzo!, si congratulò con se stessa comunque. Bisogna pur gratificarsi ogni tanto.
Lo udì imprecare, più per la sorpresa che per il dolore. Se il tizio era un vero esperto, si sarebbe accorto che non era un’autentica aliena: quel trucchetto le era costato uno sforzo incredibile.
Tutto attorno a lei si sgretolò in una marea di pixel e, finalmente, Maria si concesse di respirare.

«Bel posticino.» commentò in un filo di voce mentre il suo sguardo scivolava lungo il Bairro. La sua vista era sufficientemente sviluppata da cogliere ogni dettaglio anche nelle eterni notti della periferia. Non che ci sia molto da vedere…
Avanzò lungo i cunicoli fetidi, gli scarponi che affondavano nella melma e nella spazzatura.
Improvvisamente, un uomo che aveva speso tutte le sue ore nella Matrice si materializzò in una nuvola di neutroni e crollò a terra, mezzo carbonizzato. Maria indietreggiò con il cuore in gola e trattenne un singhiozzo. Avrebbe dovuto essere abituata a scene come quella eppure…
«Be!» chiamò, avendo cura di non alzare la voce. Sapeva bene che un nome poteva essere una componente preziosa di una persona: meglio non rivelarlo a chiunque. Era per quella ragione che si era fidata di Beatrice e aveva aggiunto il suo nome alla lista dei suoi amici – che per ora, oltre alla stessa Maria, figurava solo lei. «Sono io.» aggiunse, sentendosi stupida. Gli umani non avrebbero potuto sentirla.
Era giunta alla fine del vicolo quando scorse una mano pallida con le unghie smaltate di un nero lucido che pendeva da una fessura stretta e lunga. Suppongo la chiamino ‘finestra’ da queste parti, rifletté Maria.
«Be.» chiamò ancora, afferrando la mano.
Aveva sospettato che la ragazza assumesse qualche tipo di droga psichedelica anche se davvero non ne capiva il motivo. Lei era il prodotto di quel mondo: poteva sopravvivere tranquillamente senza l’aiuto di farmaci.
Era forse depressa? Maria lasciò vagare lo sguardo fino alle strade sospese della Cidade, il loro scintillio troppo lontano per poter gettare una luce su quella topaia. Ancora, non le sembrava una spiegazione sufficiente.
Trasse un respiro profondo e trasmise una brevissima scossa alla mano di Beatrice. La vista le si annebbiò per un istante. Avrebbe dovuto mangiare e riposare dopo quell’abuso di potere.
«Che diamine...» biascicò finalmente Beatrice con una voce impastata. Riuscì a sollevare gli occhi gonfi. A differenza di Maria, lei non si nascondeva dietro un avatar e l’aliena fu felice di ritrovare il viso tondo e pallido, i ricci scuri e gli occhi nocciola sottolineati dalle occhiaie bluastre. Portava persino quel collare borchiato che la faceva somigliare a un bulldog pericoloso. «Chi sei?» chiese, per nulla impaurita.
«Lo sai già. Ora fammi entrare.» la incitò Maria, impaziente. Fortunatamente, Beatrice non fece storie e andò ad aprire la porticina di legno. Maria sentì il tintinnare del catenaccio che cadeva.
«Prego.» la invitò Beatrice sull’uscio della porta. «Non ti conviene farmi scherzi.» l’avvertì, senza risultare per nulla minacciosa con quell’andatura barcollante.
Maria ebbe cura di chiudere la porta alle sue spalle con il catenaccio. «Ora posso raccontarti tutto.» disse, sollevata, voltandosi.
Ma Beatrice era già crollata sul materasso sporco.

*

Rosso, giallo, blu, bianco, bagliori brillanti su un letto nero.
Sei una delusione come Imperatrice.
Sbatté le palpebre un paio di volte per scacciare quella confusione ma con pessimi risultati. Poi, un paio di occhi inumani emersero da quel trambusto colorato e lei si sentì inondare da una nuova sferzata di vita. Valeva la pena resistere solo per rivedere quello sguardo iridescente.
«Beatrice...» la chiamò. Lei sussultò: non pensava che le creature della Matrice fossero in grado di articolare parole.
Voleva assolutamente rispondere a quella voce…
«Beatrice!» chiamò ancora ma quella voce era troppo dolce, troppo femminile per appartenere alla creatura e il suo delirio s’infranse.
Riuscì a sollevare le palpebre e a stento represse un grido.
Un alieno nella sua casa! Insomma, nella sua baracca, più che casa.
Avevano scoperto cos’era? Volevano sterminarla o volevano farle il lavaggio del cervello per convincerla a stare dalla loro parte?
L’alieno dovette leggere i suoi pensieri perché ridacchiò e scosse la testa. «Non sono una di loro.» la rassicurò.
Certo, dicono tutti così, pensò Beatrice. Strisciò verso i suoi visori per allontanarsi dall’alieno e guadagnare tempo.
Quello si piazzò le mani sui fianchi larghi. Era un esemplare femmina piuttosto giovane, non poteva avere più di ventisei anni; ma con loro non si poteva mai dire, magari ne aveva cinquanta. Aveva la tipica espressione di chi osserva qualcuno fare gesti estremamente stupidi, tipo dileguarsi nella Matrice davanti a un alieno.
Cos’aveva intenzione di fare Beatrice? Esatto, dileguarsi nella Matrice davanti a un alieno.
Poi quello aprì la bocca dorata e disse una cosa ancora più stupida: «Sono Maria.»
Beatrice si immobilizzò. «Eh?» sbottò.
«Ah-ah.» confermò l’alieno.
La mente di Beatrice iniziò a viaggiare. Aveva sempre saputo che Maria utilizzava un avatar alternativo per nascondersi. Aveva sempre creduto che fosse una reietta e invece…
Si prese del tempo per osservarla. Il suo abbigliamento era quello di una comune abitante del Bairro, con stracci a coprirle la testa e vestiti di stoffa con qualche inserto di pelle. Aveva il viso troppo rotondo per essere quello di un alieno e il suo sguardo era troppo pieno di calore. Inoltre aveva delle rughe d’espressione attorno alla bocca e sulla fronte. Un pensiero si fece strada nella sua testa.
«Oh. La mia testa sta andando in corto circuito.» commentò. «Sei una mezzosangue! Ecco perché ti nascondevi. Non ne avevo mai vista una.». Una parte di lei si rese conto di essere stata scortese ma era troppo scioccata per darle ascolto.
Un ghigno spuntò sulle labbra piene di Maria. «Magari ne hai visti parecchi ma sono tutto il mio contrario. Fortunati.» replicò e le porse una mano. Beatrice l'osservò per un attimo prima di afferrarla e issarsi in piedi.
«Hai scoperto il mio segreto.» osservò ironicamente Maria. «Ho l’aspetto di un’aliena più o meno ma i miei poteri fanno veramente schifo. I tuoi, invece…» ruotò il polso come per alludere a chissà che.
Come si aspettava, Beatrice ridusse gli occhi a due fessure. «Sai che sono un’Imperatrice. Cosa vuoi, eh?» sbottò, il sospetto donava una strana sfumatura alla sua voce sottile.
«Al momento un aiuto. Mi stavano seguendo nella Matrice.» ammise Maria e Beatrice si batté una mano sulla fronte.
«Lo sapevo. E va bene.» acconsentì, dopo un secondo di riflessione. Misurò la stanza a grandi passi, osservando le punte degli anfibi da battaglia. Si rese conto di come dovesse apparire agli occhi di Maria: un vero disastro. Una ragazza trascurata in una catapecchia trascurata in una periferia trascurata. Dicono che quando tocchi il baratro puoi solo risalire ma a me sembra di raschiare il fondo sempre più. Se non fosse stato per quella creatura… cosa ben poco salutare visto che è come una volpe selvatica. Semplicemente, non siamo due specie compatibili. La solita sfiga.
«Allora...» cominciò Maria, gettandole uno sguardo eloquente. «Perché ti sei ridotta così?» parò le mani avanti quando si rese conto di essere stata troppo brusca. «Mi dispiace vederti in questo… stato» confessò, uno scintillio di preoccupazione nello sguardo.
Beatrice liquidò la discussione con una mano. «Lo so che sono in condizioni disgustose. Non chiedermi perché, non lo so nemmeno io. A volte mi sembra di essere una spettatrice morbosamente affascinata da questa decadenza.» ammise, senza guardare negli occhi l’aliena.
Quella annuì come se capisse. «Non ti senti veramente appartenente a questa realtà.» aggiunse, percorrendo con la mano l’orizzonte. Lo sguardo colpevole di Beatrice le rivelò che aveva ragione. Sospirò: a volte gli umani si complicavano la vita inutilmente quando la soluzione ai loro problemi era davanti ai propri occhi. «È perché è così.»
Beatrice piegò la testa da un lato, confusa. «In che senso, scusa?»
«Tu rappresenti l’evoluzione del genere umano, sei integrata perfettamente nella Matrice.» spiegò Maria. «Prima o poi, sarà l’unica realtà che conosceremo.»
Prima che Beatrice potesse rispondere, uno scintillio azzurrognolo all’inizio del vicolo buio attirò la loro attenzione. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«E ti pareva...» brontolò l’aliena, allargando le braccia.
Beatrice spiò dalla finestrella e uno scintillio verdastro balenò nei suoi occhi, ora sfavillanti come le insegne della Cidade. «Hanno finito le ore per oggi.» sentenziò.
«Come lo sai?» chiese sorpresa Maria, avvicinandosi.
La bruna si voltò leggermente per guardarla con la coda dell’occhio e non ci fu bisogno di aggiungere altro.

*

Is it a fear, fear of madness
Or some strange alchemy
Is it a fear of fear itself
I think I'll get deranged
Then the night comes
I'm gonna be free
Billy Idol - Then the Night Comes


«Lo sai che mi mancano poche ore, vero?» azzardò Maria, gettando uno sguardo ai bracciali fluorescenti. Iniziavano a surriscaldarsi.
Beatrice annuì distrattamente. Si muoveva con naturalezza all’interno della Matrice, a differenza degli umani, e i suoi occhi avevano assunto una sfumatura verdastra. Il suo stesso portamento era cambiato: ora avanzava con le spalle dritte e non abbassava lo sguardo. Finalmente sembra quello che è davvero: un’Imperatrice, pensò orgogliosa Maria.
Da dove le veniva quel moto di orgoglio? Era stata cresciuta da sola, emarginata prima e cacciata poi perché, anche se non c’era nessuna legge scritta – e certo! – i figli delle coppie miste non erano voluti da nessuna delle due sponde. Maria si sentiva umana tra gli alieni e aliena tra gli umani. Una vera rottura di scatole, se proprio lo si voleva sapere.
Non ne sapeva molto di relazioni interpersonali. Beatrice era il primo vero contatto della sua vita. Era forse per quello che l’aveva cercata a occhi chiusi in una situazione di pericolo? Era per quello che si sentiva fiera del suo cambiamento?
«Dove andiamo?» le chiese ancora.
Osservò i riccioli della ragazza ballare sulla schiena avvolta nel giubbotto di pelle mentre scrollava le spalle. «Cerco qualcuno.» spiegò.
Maria si morse il labbro. E se per Beatrice lei non era altro che una seccatura? «Oh.» fu tutto quello che riuscì a dire.
Si guardò intorno: in quel punto, la Matrice aveva assunto le sembianze di una foresta di circuiti. Le alte fronde degli alberi davano l’impressione di riparare da un sole inesistente e il frusciare delle foglie suggeriva la presenza di creature. Credette addirittura di cogliere il suono delle cascate che si gettavano in un lago. Sembra saltato fuori dalle foto del primitivo Internet, prima dell’Evoluzione e prima di noi. Beh, “noi”...
Lanciò uno sguardo a Beatrice. Era così reale a causa della sua presenza?
«So quante ore ti mancano. Ce ne andremo prima di toccare un punto critico.» disse lei improvvisamente. Si era piazzata di fronte a una fila di grossi alberi. Maria si chiese se sapesse il nome delle cose che aveva creato; gli umani avevano dimenticato tutto quello che c’era prima dell’avanzata delle multinazionali e della nascita delle Cidades con i loro malfamati Bairros, anche perché erano rimasti in pochi a poterlo raccontare.
«Ottimo. Chi aspettiamo?» chiese fiduciosa Maria, intrecciando le dita. Si sentiva al sicuro lì, in quell’angolo di Terra pulsante di gigabyte, accanto a Beatrice.
Avrebbe incontrato un nuovo amico?
Improvvisamente si pentì di essere ricoperta da stracci informi – per rivelare meno pelle possibile, chiaro – e desiderò infilarsi in uno di quei modelli di tuta per i viaggi in rete, uno di quelli fighi con gli inserti fluo che brillano appena ti connetti. L’unico aggeggio buono che aveva posseduto erano i visori regalati a Beatrice.
Poi, i suoi sensi acuti colsero un movimento tra i cespugli e lei si tese istintivamente. Anni di fuga avevano lasciato una traccia indelebile, trasformandola in una professionista nella specialità ‘Taglia La Corda’; ma, al suo fianco, Beatrice non si mosse. Maria le lanciò un’occhiata: se lei non dava segni di preoccupazione, significava che tutto andava bene.
La bruna le rivolse un piccolo sorriso e la sua bocca si aprì per articolare una formula magica: «È un amico.»
La tensione abbandonò subito il corpo dell’aliena.
Emerse una figura maschile ben delineata, solida eppure evanescente, dotata di occhi iridescenti. Non era un alieno, almeno non della specie di suo padre, comprese Maria. L’essere si materializzò al loro fianco in uno sfavillare di pixel.
Oh. Una creatura della Matrice.
Sul volto di Beatrice si era dipinta un’espressione estatica mentre i suoi occhi, ora di un verde inumano, si ancoravano a quelli della creatura. Emettevano le stesse radiazioni, come se fossero stati messi in corrente dal medesimo caricabatterie.
Prima o poi il genere umano diverrà questo, si convinse Maria. Ma quanti dovranno perire prima di arrivare a ciò? Pensò a se stessa, all’unica e regnante multinazionale che governava la Galassia Via Lattea, “A Dourada”, da cui lei era stata cacciata per essere un prodotto avariato.
Pensò a Beatrice, il passo in avanti del genere umano, a com’era vittima di una società che voleva schiacciarla prima di essere schiacciata da lei, più potente di quanto potesse immaginare.
Pensò alla brulicante massa di hacker e reietti che sopravvivevano ogni giorno nell’eterna notte del Bairro, alla loro resistenza contro la Cidade a neon.
Pensò al traffico illegale di innesti artificiali per potenziare i sostenitori della Cidade – e quindi della Dourada – e potenzialmente distruggere i disertori.
Mentre lasciava correre il suo sguardo ambrato sulla mano pallida e morbida di Beatrice intrecciata a quella fosforescente della creatura, il calore della speranza avvolse il suo cuore e si diffuse a macchia d’olio.
Fino a quando avesse avuto fiato, ore, e un minimo di tecnologia per accedere alla Matrice, avrebbe conservato quella fiammata di ottimismo. Avrebbe continuato a resistere. Nascondersi non avrebbe cambiato certo le sorti della Colonia: doveva e poteva mostrarsi fiera al mondo – anche perché non era più sola.
Non solo aveva un’amica ma attorno a lei, tra i vicoli bui dei Bairros, c’era un intero esercito brulicante di creature che ogni giorno si battevano fuori e dentro la Matrice per sopravvivere e costruire un mondo anche solo leggermente migliore.
È ora di svegliarsi, Maria. Puoi scegliere se essere una vittima e lasciare che A Dourada ti sommerga o puoi affondarla tu a lei. Come se l’avesse letta nel pensiero – e probabilmente era così: chi poteva saperlo? – Beatrice le rivolse un sorriso, lo sguardo finalmente limpido, non più appannato come nella baracca nel Bairro.

*

Rosso, giallo, blu, bianco, bagliori brillanti su un letto nero.
Conquista il tuo impero.
Beatrice aprì gli occhi verde elettrico.


A time warp scene
A sci-fy story (Tomorrow people)
A dirt coloured sky (Tomorrow people)
New hope for glory

Billy Idol - Tomorrow people



Angolo Autrice:
ho perso ore della mia vita alla ricerca di
-film cyberpunk
-videogiochi cyberpunk
-musica cyberpunk
-moda cyberpunk
-makeup e nail art cyberpunk (ok, ammetto che forse questi ultimi due non erano così importanti…) e ne esce che non ero poi così impreparata! Inoltre, come ho letto su un sito, l’era Cyberpunk è già iniziata quindi è bastato guardarmi attorno… ehm, no, mi correggo, è bastato pensare a certe metropoli asiatiche per abbozzare la mia idea di ‘ambientazione cyberpunk’. Mi piace, gente!
Nel titolo, ‘Luci’ equivale a ‘Vite’, non chiedetemi perché.
Spero di non aver fatto completamente cilecca (del tipo, ‘Questo non è Cyberpunk, cara’) e che vi piaccia!
Note: Cidade= città, Bairro= quartiere periferico, àcido= Droga, A Dourada= La Dorata
Baci, Angel

  
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