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Autore: Crystal Rose    03/11/2018    1 recensioni
Ho provato ad immaginare cosa accadrebbe se una ragazza con un succoso segreto dovesse incappare nei Germa 66 e nell'armata rivoluzionaria, quanto caos potrebbe creare una ragazzina con straordinarie e improbabili capacità nascoste?
"Tutte le storie cominciano con “C’era una volta in un regno lontano lontano“ e prevedono una bella fanciulla che sta passando un gran brutto momento e resta in attesa di un uomo grande e forte che la salvi e la porti via in sella al suo cavallo bianco verso il loro “vissero per sempre felici e contenti”. La mia storia è esattamente il contrario. Inizia in un piccolo paesino assolutamente di nessuna rilevanza, su di un’isola piuttosto tranquilla e banale, una di quelle che, nonostante fossimo nell’epoca d’oro della pirateria, non veniva visitata né da pirati, né da uomini del governo. Talmente insignificante che non ne veniva dimenticata l’esistenza solo perché comparivamo ancora nelle mappe. Eravamo lontani dalle rotte più battute ed il clima non era mai tanto avverso da spingere qui una nave, neanche per sfortuna."
Genere: Avventura, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Emporio Ivankov, Famiglia Vinsmoke, Sabo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tutte le storie cominciano con “C’era una volta in un regno lontano lontano“ e prevedono una bella fanciulla che sta passando un gran brutto momento e resta in attesa di un uomo grande e forte che la salvi e la porti via in sella al suo cavallo bianco verso il loro “vissero per sempre felici e contenti”. La mia storia è esattamente il contrario. Inizia in un piccolo paesino assolutamente di nessuna rilevanza, su di un’isola piuttosto tranquilla e banale, una di quelle che, nonostante fossimo nell’epoca d’oro della pirateria, non veniva visitata né da pirati, né da uomini del governo. Talmente insignificante che non ne veniva dimenticata l’esistenza solo perché comparivamo ancora nelle mappe. Eravamo lontani dalle rotte più battute ed il clima non era mai tanto avverso da spingere qui una nave, neanche per sfortuna.
 
Vivevo tranquilla in una casetta piuttosto modesta. A mia madre, morta quando ero appena una bambina, non piaceva lo sfarzo, preferiva passare inosservata e vivere una vita felice e modesta, senza attirare attenzioni. Abbiamo vissuto da sole, io e lei, per 10 anni, mio padre ci spedì in quel paesino prima della mia nascita e non si è mai più fatto vedere. Avevo 10 anni quando un’orribile febbre la portò via lasciandomi da sola. Pensai che mio padre finalmente si decidesse a prendermi con sé e portarmi via da quel noioso paesino ma lui ancora una volta non si fece vedere. Mandò sull’isola una donna grassoccia con una sua lettera di scuse in cui mi spiegava perché non potessi stare con lui e la necessità che nessuno sapesse della mia esistenza e del nostro legame. Da quel momento la donna, che si presentò come Marla, si sarebbe presa cura di me.
 
Dimenticavo, io mi chiamo Lea ed ho 19 anni, vivo ancora nella casetta sull’altura in mezzo al verde con la mia adorata madre adottiva Marla. Le giornate sono piuttosto noiose e ripetitive: do una mano in casa, mi arrangio a fare qualche lavoretto per contribuire alle spese, anche se mio padre non manca di mandarci sostanziosi fondi ogni mese, ma Marla la pensa come mia madre, meglio non dare nell’occhio, meno la gente parla di noi e meglio è. Non frequentiamo molte persone, la mia governante non lo ritiene sicuro, però al villaggio mi conoscono tutti e mi vogliono tutti un gran bene, anche perché mi rendo utile come posso.
 
Ho un segreto, un enorme, mastodontico segreto che tengo nascosto da quando morì mia madre, ne siamo al corrente solo io, la mia tata e mio padre e devo proteggerlo ad ogni costo, anche della vita se necessario. Ogni giorno il gabbiano ci consegna il giornale e Marla lo spulcia per bene prima di passarmelo, non ho idea di cosa si aspetti di vederci sopra, forse teme di vederci notizie che la riguardano o che riguardano mio padre o la nostra isola, chi la capisce. Non mi ha mai parlato molto di lei, mi ha dato amore, comprensione e non mi ha risparmiato certo le sculacciate quando combinavo qualche pasticcio. Io credo che nasconda qualcosa ma non ne ha mai fatto parola con anima viva e non ha contatti con nessuno all’infuori di me, mio padre e gli abitanti del villaggio.
 
Un giorno tornò dal villaggio pallida come uno straccio.
 
- Marla ti senti bene? – le chiesi soppesandola, non era il tipo di donna che si spaventasse facilmente.
 
- È un disastro! –
 
- Cosa è un disastro? – era davvero trafelata.
 
- Quel matto di Aron! –
 
- Chi? Il vecchio pescatore? Che ha combinato? –
 
- Da stamattina va dicendo al villaggio che ha trovato un giacimento di agalmatolite su quest’isola! – era sconvolta.
 
- Buon per lui. – non capivo il nesso tra la fortuna del vecchio e lo stato emotivo della mia tata.
 
- Razza di zuccona che non sei altro! Non capisci questo cosa significa? –
 
- No. – in effetti non lo capivo.
 
- Mi chiedo come fai ad essere così brillante quando ti sfuggono cose così ovvie. –
 
- Arriva al dunque. –
 
- Se quello che va dicendo quel matto di Aron è vero presto quest’isola diventerà troppo trafficata. Non è più un posto sicuro! Dobbiamo andare via! –
 
- Andare via? Andare dove?  -
 
- Dove non possano trovarci. –
 
- Ma sei impazzita! Qui ho i miei amici e la tomba di mia madre. Io non vado da nessuna parte! – se pensava di trascinarmi via di lì solo per i deliri di un povero vecchio allora era più matta di lui.
 
- Non hai scelta signorinella! Sai bene quali siano gli ordini di tuo padre: per nessun motivo al mondo devono trovarti o venire a conoscenza della tua esistenza! –
 
- Mio padre è un esagerato! Chi mai dovrebbe venire a conoscenza di me o del mio legame con lui?! Anche se quest’isola iniziasse a pullulare di gente, come potrebbero mai scoprirmi? –
 
- Tu sottovaluti il pericolo! Ti porti dietro un nome terribilmente pericoloso! –
 
- Ti sbagli! Quello non è il mio nome. Non ho mai visto quell’uomo in vita mia e dato chi è non credo che lo vedrò mai. Io porto il nome di mia madre e mia madre non era nessuno. –
 
- Somigli a lui più di quanto immagini e se dovessero scoprire il tuo piccolo magazzino segreto finiresti nei guai. Non ci sono molte persone a questo mondo capaci di fare quello che fate voi. –
 
- Non possono dimostrare niente e non ho intenzione di andarmene, almeno non fino a quando non verificheremo la reale esistenza del pericolo. Un’isola diversa non è meno pericolosa di questa. Per ora resteremo e se questo posto dovesse rivelarsi davvero pericoloso per me allora andremo via. –
 
- Scriverò a tuo padre, stanne certa! –
 
- Non dimenticare di allegare i miei saluti se lo fai. – dissi sarcastica prima di uscire, per quanto mi riguardava quella discussione era durata anche troppo. Avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi capisse sul serio, così mi recai alla tomba di mia madre, una croce sull’altura, la vista sul mare che si aveva da lì era bellissima.
 
Non avevo mai lasciato la mia isola, non avevo neanche mai pensato a lasciarla a dire il vero, la tomba di mia madre era tutto ciò che restava della mia famiglia ed anche se con me c’era Marla non me la sentivo di lasciarla. Ogni volta che mi sentivo giù o le cose andavano male andavo da lei e chiacchieravamo, parlare alla sua croce ed osservare la vastità del mare mi aiutava a riacquistare la lucidità e riflettere. Ero una persona molto razionale, lo ero per natura ed ero stata cresciuta in quel modo, la voce della testa doveva sempre essere più forte di quella del cuore, solo il cervello doveva avere l’autorità di prendere decisioni.
 
Marla aveva ragione, aveva semplicemente ragione. Quell’isola era sicura perché era abitata da gente sempliciotta e di buon cuore che non sospettava e non faceva domande, mi avevano vista crescere e mi apprezzavano e tanto bastava loro. Non c’erano quasi mai nuovi arrivati e comunque mai nessuno di pericoloso per noi. Scoprire l’agalmatolite su di un’isola aveva due conseguenze: la prima è che sarebbe sicuramente partita una diatriba tra il nostro regno e quelli limitrofi per averne il possesso e la seconda è che sarebbero arrivate sull’isola molte persone, forse troppe, di tutti i generi, pirati, uomini della marina, potenti, malavitosi. Un giacimento di agalmatolite faceva gola a tanti, qualcuno avrebbe potuto scoprire il mio nascondiglio in città e risalire a me e mio padre, era pericoloso. Non c’era altro da fare, dovevo assicurarmi che la voce messa in giro da quel vecchio fosse sensata ed in caso affermativo dovevo distruggere il magazzino e andarmene dall’isola quanto più in fretta possibile anche se l’idea non mi piaceva.
 
Mi alzai e, dopo aver sfiorato la croce di legno, scesi in paese per acquisire informazioni. La fortuna non era dalla mia. Non avevo mai sentito dire una cosa sensata a quel vecchio pazzo in tutta la mia vita, ma come si dice, c’è sempre una prima volta. Aveva sul serio trovato l’agalmatolite e la notizia era volata di bocca in bocca con una tale rapidità da essere già sull’edizione del mattino il giorno seguente, neanche fosse la notizia dell’incidente avvenuto alle nozze della figlia di Big Mom. Era un disastro, un disastro di dimensioni bibliche.
 
- Ecco! Lo vedi! – Marla mi sventolò il giornale sotto al naso. – Che ti dicevo?! Quest’isola è pericolosa! –
 
- Si ho capito! Avevi ragione, va bene? – mi sentivo piccata, non tanto per il fatto che avesse ragione, quello lo avevo capito anche io da subito, ma per il fatto che fosse vero e che questo comportava necessariamente il dover abbandonare la casa in cui ero cresciuta e mia madre. – Adesso dove andremo? –
 
- Ieri ho scritto a tuo padre, presto ci farà avere notizie, ci dirà se esiste un posto sicuro per te. Nel frattempo prepariamo la partenza. Tu sai cosa fare. – sospirai rassegnata.
 
Si che lo sapevo, bisognava distruggere tutte le prove. Andai al magazzino e feci un inventario di tutto ciò che c’era. Caricai in uno zaino tutte le lettere e i documenti criptati inviatimi da mio padre ed alcuni oggettini che potevano tornarmi utili e dopo un ultimo sguardo malinconico al mio mondo mi chiusi la porta alle spalle. Avevo passato circa una settimana a fare questa operazione, a bruciare documenti e smontare macchinari e a montare congegni esplosivi collegati alla porta, se qualcuno la avesse aperta, sfondata, colpita o simili sarebbe saltato tutto in aria distruggendone il contenuto e chi avesse tentato di accedervi senza permesso.
 
Mi ero scoperta a non provare niente a quel pensiero, infondo le brave persone non cercano di forzare le porte altrui ed un farabutto in meno al mondo non avrebbe sconvolto proprio nessuno. Mi incamminai verso casa con il mio zainetto in spalla e prima di tornare mi fermai per lasciare dei fiori alla mamma, non sapevo quando saremmo andate via, non volevo perdere neanche un secondo con lei, non l’avrei rivista mai più.
 
Tornata a casa, Marla mi disse che mio padre finalmente aveva risposto alla sua lettera e mi passò il pezzo di carta criptato, a leggerlo così sembrava dispensasse consigli sul modo corretto di far crescere le azalee, ma per chi conosceva il suo modo di comunicare era possibile leggere cose di tutt’altra natura. Aveva trovato un posto che riteneva sicuro, ci spiegava come raggiungerlo e quale nave prendere per imbarcarci in modo da non avere problemi, ci avvisava ovviamente di distruggere tutte le prove, come se ce ne fosse bisogno, e ci augurava buona fortuna.
 
Mancava una settimana alla data dell’imbarco ed il nostro amato paese era già entrato in guerra con un regno vicino. Come sono sciocchi gli uomini, sempre pronti a fare la guerra a tutti, nonostante fosse un paese tranquillo, abitato da gente pacifica che non aveva mai impugnato un’arma in vita propria. Forse era proprio questo il problema, il mondo ci vedeva deboli, facili da sottomettere, avevano pensato che sarebbe stato più semplice spazzarci via e sottrarci l’agalmatolite che comprarla da noi. Non potevamo resistere, lo sapevamo noi, lo sapevano loro e lo sapeva anche il tipo che si offrì magnanimamente di proteggerci in cambio della cessione del possesso dei giacimenti. In pratica, eravamo partiti con lo scoprire qualcosa, sul nostro territorio, la cui vendita avrebbe potuto migliorare la vita degli abitanti, all’ospitare un conflitto tra due potenze straniere che pagavamo affinché ci togliessero i nostri averi in cambio del risparmiarci la vita. Che situazione del cazzo!
 
Ormai il conflitto neanche ci interessava più, pagavamo solo i costi in termini di fonti e vite per stabilire chi avrebbe dovuto assoggettarci, proprio assurdo. E la marina? Dov’erano i garanti della giustizia? Voltati dall’altro lato, tanto per cambiare, in cambio di forniture a prezzi vantaggiosi. Non mi erano mai stati simpatici quelli, davano la caccia ai malvagi ma erano loro i veri farabutti a questo mondo, era per colpa loro se la mia vita era andata così, se dovevo nascondermi e scappare, se non potevo avere legami e se non potevo vedere mio padre. Quindi da un lato meglio per me che la marina non si immischiasse, ma dall’altro mi dispiaceva per la povera gente che faceva affidamento nella giustizia.
 
Passò la settimana che ci separava dalla partenza, ormai era tutto pronto e la guerra per fortuna non si stava svolgendo sulla nostra isola che ospitava solo il quartier generale dei nostri “benefattori” ed i suoi eserciti. Erano in stallo, erano assolutamente alla pari, nessuno riusciva a spuntarla sull’altro e le scorte e i fondi si stavano esaurendo, mi chiesi che senso aveva continuare così, non capirò mai questo modo di fare e di pensare.
 
Mi ero recata da mia madre, era tutto pronto e volevo passare con lei gli ultimi momenti prima di partire, inoltre quella era un’ottima posizione per avvistare la nave su cui dovevamo imbarcarci. Non dissi neanche una parola, io che ero una gran chiacchierona, per la prima volta, dal giorno della sua morte, non sapevo cosa dirle, mi sembrava di stare per perderla di nuovo. Ad un certo punto vidi un puntino all’orizzonte, doveva essere la nave, mi si strinse il cuore, il momento dell’addio era ormai prossimo. Il puntino si triplicò e dietro ne comparvero altri due. In tutto cinque puntini che si avvicinavano a noi. Cosa diavolo erano? Frugai nel mio zaino, che mi ero trascinata dietro, e tirai fuori un dispositivo da cecchino per metterli a fuoco e poterli vedere nonostante la distanza. Non era affatto la nave mercantile che doveva darci un passaggio.
 
All’orizzonte c’erano 5 navi tutte uguali: delle piattaforme su enormi lumache viola marchiate dal numero 66 e sulla piattaforma delle torri e dei pezzi di quello che sembravano parti di un castello. Cosa diavolo erano? Non avevo mai visto navi simili, non poteva essere quella piccola flotta, il passaggio a cui faceva riferimento mio padre. Erano ormai abbastanza vicine da poter essere osservate ad occhio nudo quando mi decisi a metter via il mio dispositivo, afferrare lo zaino e correre verso casa dopo aver sfiorato la croce di legno. Entrai come una furia e raccontai a Marla cosa avevo visto, credo di non averla mai vista così pallida e spaventata in vita mia, mi fece paura.
 
- Scappa! – mi disse in preda al panico.
 
- Di chi sono quelle navi? –
 
- Del demonio in persona e dei suoi figli. Ovunque appaiano portano con sé solo morte e distruzione. Scappa Lea, corri senza voltarti e nasconditi bene. Sta lontana dalla città. – mi stava già spingendo verso la porta.
 
- Aspetta! Perché devo scappare? Tu cosa farai? –
 
- Lea ascoltami bene, sta lontana dal paese e dal magazzino, nasconditi dove non possano trovarti e resta lì per alcuni giorni. Non uscire allo scoperto, qualunque cosa dovessi sentire. Quelli sono dei mostri, dei mercenari ingaggiati per distruggerci, sono venuti a radere al suolo l’isola e non se ne andranno fino a quando non ci saranno riusciti. Non devono sapere chi sei e non devono trovarti. Dammi retta almeno una volta nella tua vita e scappa. –
 
- Non ti lascio qua! – lei era tutta la famiglia che mi restava.
 
- Non preoccuparti per me bambina, me la saprò cavare e poi una casa vuota creerebbe sospetti, verrebbero a cercarci, se trovano me non ti cercheranno. –
 
- E gli abitanti del villaggio? –
 
- Sono spacciati, non c’è niente che tu possa fare per loro. Ora vai! – aveva uno sguardo terribilmente preoccupato.
 
La abbracciai forte.
 
- Non preoccuparti bambina, ci vedremo ancora. Verrò a cercarti, stanne certa. – mi sorrise e mi diede una leggera spinta.
 
Iniziai a camminare sempre più svelta fino a correre con le lacrime che mi rigavano le guance. Sapevo che Marla mi aveva mentito solo per farmi allontanare da lì, ma non dovevo dimenticare ciò che mi era stato insegnato, bisogna ascoltare la voce della ragione, prima che quella del cuore per cui le mie gambe dovevano continuare a correre lontano dalla mia casa sebbene le lacrime mi impedissero di vedere la strada.
   
 
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