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Autore: amelia_in_the_shadows    04/11/2018    0 recensioni
Cosa sarebbe accaduto nella 2x05 se Magnus, stanco e triste di non essere mai la vera priorità di Alec, avesse deciso di non aiutare più il giovane Shadowhunter e lasciarlo libero di vivere la propria vita senza di lui, cercando di capire davvero quali fossero le sue (e le proprie) priorità?
Dal primo capitolo:
“E cosa sono per te, Magnus?”
Si fissavano, le mani ancora unite, i corpi vicini, i respiri affaticati. [...]
C’era aspettativa nelle iridi verdognole di Alec, praterie che chiedevano di essere percorse senza freni, ma che non era certo di avere il permesso di attraversare. E non era nemmeno sicuro di volersi assumere un tale rischio per poi ritrovarsi da solo, senza fiato e senza energia, con un cuore ridotto a briciole di pane in mano.
“Sei la persona che aspettavo da secoli, Alexander. Mi piaci, mi piaci tanto, e mi spaventa. Perché so che quello che provo io per te, tu non potrai mai provarlo per me.”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1
-
Non mi lasciare
(Magnus pov)
 
 
“And another one bites the dust
oh, why can I not conquer love?
And I might have thought that we were one
wanted to fight this war without weapons
and I wanted it, I wanted it bad
but there were so many red flags.
Now another one bites the dust
yeah, let's be clear I'll trust no one.”
 
Sia – Elastic Heart
 
 
Magnus ci aveva davvero sperato in quella relazione: Alexander Lightwood, Shadowhunter e primogenito di una delle famiglie di Nephilim che più aveva detestato nel corso del secolo, doveva essere quello giusto.

Gli era piaciuto fin da subito perché era così diverso dagli altri Cacciatori, solitamente egocentrici ed altezzosi, proprio come il suo parabatai
Trace. O così gli sembrava che si chiamasse.

Lo aveva corteggiato, forse fin troppo, mostrandosi vulnerabile e, di conseguenza, feribile; con ogni probabilità era stato quello l’errore di partenza che aveva scatenato, appena poche settimane dopo, la caduta di tutte le sue illusioni.

In quanto stregone aveva secoli di esperienze alle spalle, migliaia di relazioni di ogni tipo e genere da cui trarre un insegnamento, eppure era riuscito a sbattere il suo stupendo viso glitterato contro un muro di muscoli, rune e occhi di giada.

A quanto pareva, era quello che gli riusciva meglio: essere ferito.

Era stata colpa di Ragnor: se il Nascosto non si fosse materializzato sotto forma di coscienza, proprio mentre pensava alle sue delusioni sentimentali, non avrebbe mai racimolato il coraggio e la sfrontatezza necessari per irrompere alle nozze di Alec.

Ora, lui non si era propriamente imbucato al matrimonio - odiava chi si autoinvitava ai suoi party - infatti aveva ricevuto un invito cartaceo (molto elegante e raffinato, doveva riconoscerlo) il quale dubitava fortemente provenire dal futuro sposo. O dalla sposa.

Probabilmente, lo aveva mandato chi davvero ci teneva alla felicità del figlio dell’Angelo, qualcuno di abbastanza sfacciato e insolente da provare il tutto per tutto per impedirgli di compiere un errore da cui non avrebbe più potuto tornare indietro e che sarebbe equivalso a una sentenza di infelicità eterna.

Qualcuno come Isabelle.

Quando Alexander aveva guardato con sguardo fiero come non mai la sala dell’Istituto, gremita di rappresentanti del Conclave e famigliari, non era certo di cosa lo Shadowhunter avrebbe deciso di fare: forse prenderlo per un braccio e buttarlo fuori da quel luogo riservato ai possessori di sangue angelico, forse urlargli che non si sarebbe dovuto permettere di metterlo così esplicitamente in imbarazzo di fronte ai propri genitori. Forse avrebbe ordinato ai Nephilim di cacciarlo, procedendo come se nulla fosse.

Invece lo aveva sorpreso, prendendolo per il colletto della giacca burgundi di velluto e spalmandoselo addosso come una coperta da cui non ti separeresti mai, le labbra morbide e desiderose proprio come le aveva immaginate. Era stato inebriante, sconvolgente, da brividi. Poi lo aveva baciato di nuovo, come a convincersi che non fosse un sogno.

Quando si erano staccati, esaminati da decine e decine di occhi accusatori e sconcertati, Alexander aveva manifestato lo shock per quello che aveva appena dichiarato con i gesti a tutti i partecipanti di quella farsa: “Cosa ho appena fatto?”

Mi hai reso orgoglioso di te, avrebbe voluto rivelargli Magnus, ma si diede un contegno e decise semplicemente di esprimere la sua felicità e sottolineare quanto non smettesse mai di sorprenderlo.

Di fronte al rancore della madre e ai dubbi del padre, Alec aveva replicato con convinzione, tranne che per il fatto di chiarire i propri sentimenti; certo, Magnus non si aspettava di ricevere una dichiarazione d’amore, ma non poteva negare di essersi sentito un po’ a disagio quando Robert Lightwood, nientedimeno che un ex membro del Circolo molto convinto, gli aveva domandato se fossero innamorati e, quasi come se avesse detto un’eresia, lo Shadowhunter aveva ribattuto con un secco “No!”, per poi perdersi in borbottii senza senso che aveva pensato lui a disciplinare, togliendolo dall’imbarazzo.

In fondo, era uscito allo scoperto solo da poco, dopo una vita di restrizioni e menzogne in nome dell’Angelo e del buon nome dei Lightwood. Proprio questi ultimi ce l’avevano messa tutta per farlo passare come il peggior Nascosto di Brooklyn e dintorni, ne era certo, perché quando Alec era tornato dopo il confronto con i suoi genitori sembrava molto meno sicuro di prima, molto più dubbioso delle scelte compiute.

Perché, Alexander? Perché non ti sei fidato del tuo istinto?

Tutto cadde quando Magnus chiese chiaramente ad Alexander se si fosse pentito di quanto fatto; quel “è successo tutto molto in fretta, non ho avuto tempo di pensare” fu come una moneta d’argento sulla pelle di un licantropo: bruciò tremendamente.

Lo stregone capiva che tutta l’adrenalina del caso doveva essere passata per lasciare spazio alla consapevolezza, la presa di posizione e alle responsabilità, ma fece comunque male.

Non c’era stato nemmeno il tempo di parlarne che l’attacco a Lydia, il tradimento di Hodge e il ritorno di Valentine si imposero aggressivamente sulla scena. Il Circolo e il loro rappresentante non avevano di certo voglia di attendere ulteriormente per concludere il loro piano di distruzione di massa dei Nascosti, e così avevano cercato di dare la priorità alle questioni di vita o di morte, piuttosto che a quelle di cuore.

Di certo Magnus non aveva considerato Camille. A distanza di quasi un secolo, ancora riusciva a rompere i suoi equilibri nel presente.
Mentre cercavano il Libro Bianco, però, forse anche un po’ per alleviare la tensione accumulata dal terrore e dall’agitazione di avere un pazzo e potentissimo Shadowhunter alle calcagna, Magnus aveva cercato di estorcere qualche dubbio o preoccupazione da Alec, per farlo stare meglio, ma lui sembrava solo interessato a cercare quel maledetto tomo.

Cercò di rassicurarlo sul fatto che quel bacio rubato con la vampira non significasse niente, non come quello che si erano scambiati poco prima loro due, e intravide un debole sorriso che, tuttavia, non raggiunse gli occhi.

Il Nephilim gli concesse poche parole, rivelando appena che non era per quel contatto di labbra così fugace che era così pensieroso, piuttosto per un’altra questione sollevata dalla vampira, di ben altra importanza.

Non ebbe tempo di sentire la spiegazione che i membri del Circolo fecero irruzione nella stanza e li catturarono, non senza una certa resistenza da parte di entrambi; combattevano bene insieme, ma presi alla sprovvista e in evidente stato di inferiorità numerica, vennero sopraffatti.

Perché non ti sei confidato con me, Alexander?

Da lì in poi, fu il declino.

Jace, il suo caro parabatai, era stato rapito da Valentine, inghiottito da un portale verso chissà quale destinazione, e Alec era scoppiato.

Giusto il tempo di sentirsi dire che non gli importava di Camille, ma di quello che aveva detto a proposito dell’immortalità. Ecco cos’era: la fastidiosa, prepotente immortalità di Magnus.

Prima o poi, questa saltava sempre fuori, come un indumento logoro che non indossi più, ma che ti dispiace buttare, ritrovandotelo puntualmente tra le mani senza che tu lo stessi veramente cercando.

Discorso diverso era quello per il Cacciatore biondo; ormai sparito da ore, l’intero Istituto si stava adoperando per cercarlo, in particolar modo Alec. Certo, era suo fratello, ma il Nephilim non aveva chiuso occhio dal risveglio di Jocelyn.

Persino in un tentativo di chiarimento, gli aveva rinfacciato di non averlo assecondato nel suo tentativo di tracciamento tramite rune angeliche. Come poteva non capire che non lo avesse assecondato per paura di perderlo per sempre? Per il terrore di non vederlo mai più? Già quel giorno sarebbe arrivato troppo presto, perché doveva accanirsi contro il destino e ridurre volontariamente la sua vita a tempo determinato?

Perché volevi lasciarmi a tutti i costi, Alexander?

Alec si era arrabbiato, gli aveva sputato addosso che avrebbe potuto fare almeno quello per ripagarlo di tutto quello che aveva fatto per lui. Magnus ci mise un po’ a meditare a che cosa, esattamente, Alec si stesse riferendo, poi azzardò un’ipotesi: il coming out.

Non poteva davvero credere a quelle parole, che l’avesse fatto per lui; lui che si dichiarava bisessuale disinvolto da tempi immemori, senza mai fregarsene del giudizio altrui, specialmente degli Shadowhunters.

Ma il giudizio di Alexander per lui, purtroppo, contava. Troppo.

Il ragazzo si era poi presentato al suo appartamento chiedendogli scusa, e aveva evitato di tenere il conto di quante volte avesse menzionato il nome del fastidioso e apparentemente biondo naturale Shadowhunter, ma i suoi occhioni da cucciolo e il cipiglio implorante lo avevano fatto desistere dal tenergli il broncio.

Avrebbe dovuto tenere duro, ma non ci riuscì, e fu un errore.

Scelgono sempre il loro Angelo, non te. Non l’avevi ancora capito, Magnus?

L’aveva rivisto il giorno dopo praticamente in fin di vita, perso chissà dove; respirava ancora solo grazie alla sua magia, che sprigionava senza battere ciglio, nonostante la stanchezza e la frustrazione per non riuscire ad ottenere risultati significativi. L’unica persona che poteva farlo era la stessa responsabile dello stato in cui si trovava Alec: Jace Wayland. O Lightwood. No, forse doveva dire Morgenstern?

In realtà, non avrebbe più voluto sentirlo nominare, in nessun modo.

Pregò Raziel. Implorò Lilith, persino.

Magnus decise che, se Alec fosse sopravvissuto, gli avrebbe concesso un’ultima possibilità. Se lui non l’avesse afferrata, allora Magnus avrebbe colto l’occasione per riprendere i suoi viaggi per il mondo.

Aveva bisogno di una pausa da tutto e da tutti, voleva respirare, tornare a vivere spensierato come era solito fare con Ragnor e Catarina. Per il primo, ormai, non c’era più niente da fare, e Magnus si ritrovò a reprimere il pensiero di aver portato la morte nella casa del suo dolce baccello, il suo compagno d’avventure sparito in nome di una causa che lui si era ben guardato dal rendere propria, ma che involontariamente lo era diventata. Cat, invece, era ancora lì, nonostante tutti quegli anni, sempre pronta a sostenerlo (e prenderlo in giro per ogni scelta sbagliata, come per il suo “flirt angelico”, come lo aveva definito la donna). Lei gli voleva bene, Magnus ne era cosciente, ma la donna poneva sempre i suoi deboli Mondani e l’aiutare il prossimo in generale sempre davanti a tutto, per cui scartò l’idea.

Alec si era risvegliato tra le braccia poderose del Cacciatore dai fluenti capelli dorati, recitando il mantra della loro promessa Originale, e Magnus vide una speranza in quegli occhi di giada che gli aveva fatto tremare il cuore.

In tutto questo, ovviamente, Alec era tornato a ruotare intorno all’orbita di Jace.

Luna e Sole. Buio e luce. Argento e oro.

Magnus non ne poteva più di continuare ad essere la seconda scelta, specialmente se questo voleva dire essere in competizione con quel Nephilim capace unicamente di mettersi nei casini e nemmeno poi così attraente. Non quanto lui, almeno.

Perché non mi hai reputato all’altezza? Mai abbastanza? Alexander…

L’ultima volta che lo aveva visto era stato all’Istituto, dopo essere stato interrogato in merito all’eccessivo scatto di rabbia verso quello Shadowhunter dai capelli scuri e la pelle abbronzata, il cui nome – non ne era certo – forse era Cas. O Ram? Oh, al Diavolo.

Magnus non sapeva cosa si aspettasse da quell’incontro. Dopo la sera in cui Alec si era risvegliato da quella sorta di coma, si era accertato tramite Isabelle delle condizioni del fratello. Di entrambi, in realtà, perché era ben conscio che la ripresa del ragazzo dipendesse in gran parte anche dalla salute del fratello adottivo.

Seppur fosse recluso nelle celle dei Fratelli Silenti, l’orgogliosa ragazza con le rune in bella mostra era sicura che avrebbero dimostrato l’innocenza di Jace. E Magnus ne era conscio, perché Alec non sarebbe stato in pace fino a quando non ci fosse riuscito.

Quel mattino, Alexander lo aveva tiepidamente ringraziato per l’aiuto datogli durante il suo stato dormiente, ma Magnus sapeva che, se anche aveva dato il suo contributo per aumentare la resistenza nell’attesa del figliol prodigo, era stato Jace a determinare il rinsavire definitivo del bel Nephilim.
E non negava che ne fosse un po’ amareggiato. Sarebbe stata una bella favola d’amore se si fosse conclusa con un bacio riappacificatore e un abbraccio spontaneo tra i due principi.

Purtroppo, la realtà era diversa.

Avrebbe voluto esprimere i suoi dubbi, le sue perplessità, ma gli occhi teneri di Alec glielo impedivano, lo rabbonivano, lo incantavano, tanto da condurlo ad offrirgli un’ultima chance.

Allora gli chiese un appuntamento; non ebbe tempo di sentire la risposta che il fastidioso Shadowhunter (Saj?) esortò Alec a seguirlo per un briefing sui Demoni. Un dannato briefing.

Di nuovo, Magnus era stato messo da parte: se non era per Jace, era per il Conclave, e lo stregone ne aveva abbastanza.
Anche mentre lo guardava allontanarsi, anche se era arrabbiato, vedeva la sua chioma spettinata, la figura slanciata, lo sguardo buono che gli lanciò prima di sparire dietro l’angolo.

Stava mentendo a se stesso: Magnus non ne avrebbe mai avuto abbastanza di Alec, perché Alec non si sarebbe mai concesso interamente a lui, e non in senso carnale, ma in un modo molto più profondo: accettandolo.

Una tremenda consapevolezza si fece largo nella mente di Magnus: doveva lasciarlo andare.

Alec aveva il diritto di provare, sperimentare, giocare. Il Nascosto poteva essere solo un’esperienza, non l’amore della sua vita.
Aveva trovato il coraggio di ammettere la sua omosessualità, ed era giusto che si mettesse in gioco nel territorio delle relazioni, quello da cui Magnus, questa volta, si chiamava fuori giusto in tempo per non precipitare.

Lui non cercava avventure, lui si stava innamorando di Alexander Lightwood, mentre quest’ultimo lo cercava solo quando aveva bisogno o per distrarsi dai suoi reali sentimenti verso un uomo che non era Magnus.

Era una storia già sentita, un modus operandi che ricordava in ogni sua rifinitura, ma aveva imparato la lezione.

Non gliene faceva una colpa, comunque. Magnus stesso aveva trascorso secoli di lussuria e divertimenti, e non poteva biasimare Alec se era uscito solo ora allo scoperto, se conosceva il mondo solo in quel momento. Ma doveva accettare la verità. Alec non lo avrebbe mai davvero amato.

Alexander, perché eri così dannatamente irresistibile?

Il pomeriggio, se possibile, andò anche peggio.

Raphael si era presentato alla sua porta totalmente ricoperto in viso da cicatrici per una tortura recente; dannato Conclave, sapeva che era una punizione indiretta alla sua persona, per aver raggirato Victor Aldertree, e vedere quel vampiro (un figlio per lui)  supplicarlo di fare l’unica cosa che avrebbe potuto mettere fine a quello scontro, lo fece star male. Molto, molto male.

Era combattuto, Magnus, ma sapeva che, se voleva dare un taglio al passato e provare a uscire da tutte quelle situazioni pericolosamente intrecciate, doveva iniziare proprio dall’artefice delle sue sofferenze amorose: Camille Belcourt.

Lei era l’amore più forte e struggente che avesse mai avuto. Lo aveva consumato come una candela, prosciugato di ogni forza fisica ed emotiva, eppure, quando si era ritrovato a doverla spedire ad Idris per gli obbrobri perpetuati nel suo clan di vampiri, era stato trafitto da un terribile senso di disgusto e colpa allo stesso tempo.

Lo faceva per Simon e Raphael, si ripeteva.

Poi capì che lo faceva anche per se stesso, perché quella non era più la sua Camille, e quindi andava fermata, così come andava frenata bruscamente la sua corsa suicida verso la parete Alec Lightwood, un ostacolo che non gli era mai parso più affascinante di così.

Gli avrebbe voluto dire di venirsi a prendere le sue cose e andarsene, ma la verità era che la loro relazione - se così si poteva definire - era durata talmente poco che non c’era stato nemmeno il tempo di vedere lo spazzolino di Alec accanto al suo, di sentire il profumo del suo corpo impresso nelle lenzuola di seta, di acquistare una macchinetta del caffè per le loro colazioni al sapore di baci.

Magnus aveva iniziato a preparare le valigie e, una volta chiamata Catarina per chiederle di nutrire adeguatamente i suoi gatti, la donna le rivelò la triste fine di Jocelyn Fairchild. Fray.

L’amica gli raccontò a sommi dettagli come erano andate le cose, e Magnus rammentò di tutte le volte che aveva incontrato la donna, di come l’avesse aiutata, odiata, mai davvero capita. Pensò a Clary, che non aveva più una madre, ma un padre criminale. Come la capiva… e poi pensò ad Alec.
Il destino era stato crudele con Magnus, ma Alexander non meritava tutta quella sofferenza.

Poteva perfettamente immaginarselo col suo sguardo contrito, colpevole, inadeguato, ad attribuirsi la causa di tutti i mali del mondo. Faceva male pensarci, ma Magnus, questa volta, non avrebbe potuto fare niente. Sapeva che, se si fosse fatto coinvolgere ancora, non avrebbe più potuto uscirne sano. Non lo era più completamente già adesso, figurarsi dopo aver visto il volto distrutto di Alec.

Aprì un portale verso Toledo, parlò e disquisì con l’unica persona che avrebbe avuto la voglia e la forza di prendersi carico degli stregoni della città che non dorme mai. Lorenzo Rey si fece pregare un po’, ma poi accettò; sarebbe stato nominato come sostituto Sommo Stregone per un periodo di tre settimane. Per cominciare.

Magnus era consapevole che sarebbero state di più, ma non voleva ramanzine da parte dei Delegati dei Nascosti, specialmente ora che Valentine era più vicino che mai. Gli era già sopravvissuto per miracolo una volta, forse non sarebbe stato nuovamente così fortunato.
Tanto valeva godersi cosa gli rimaneva: il divertimento.

Stava per scrivere un messaggio di fuoco quando si ritrovò Alec sul balcone. Era abbattuto, debole come mai, persino più che in seguito alla sua quasi morte.

Le mani gli sanguinavano e, prima che potesse impedirselo, Magnus gli si avvicinò, per poi fermarsi a pochi centimetri dalla sua imponente figura. Era il contatto più intimo che avessero avuto dal loro primo bacio, se si escludeva quel patetico sfioramento di labbra alla “Bella Addormentata nel Bosco”.
Non ebbe bisogno di spiegazioni, poteva capire che avesse compiuto qualcosa che riteneva imperdonabile e di cui si riteneva il solo colpevole, ma sapeva che non era così.

Non è stata colpa tua, Alexander.

Provò ad allungare una mano, ma il Nephilim la scansò.

Certo, lui era un Nascosto alla fine dei conti, mentre Alec uno Shadowhunter. Era cresciuto con quella convinzione e non ne era responsabile, perché sapeva che non era quel genere di persona, ma questo non cambiava le cose.

Magnus rimise le braccia lungo i fianchi, senza però abbandonare la posizione guadagnata.

Alexander era appoggiato contro il muretto del terrazzo, le braccia conserte in un gesto di chiusura; un po’ lo spiava, un po’ abbassava lo sguardo. Poi prese un grosso respiro e parlò.

“Sono un assassino e un debole. Ho permesso a un demone di entrare nel mio corpo e ho ucciso Jocelyn Fray.”

Magnus pensò a un Alexander violentato nell’anima da una forza demoniaca, senza che lui, un Cacciatore, potesse fare niente per combatterlo, inerme e solo. Un brivido di freddo gli percorse la schiena. Voleva rassicurarlo, ne sentiva l’impulso; era più forte che la necessità di lasciarlo.
“Alec, non sei stato tu, eri sotto il controllo di quel demone, tu non…”

“Ho visto su un monitor me stesso mentre le estraevo il cuore, Magnus!” I suoi occhi iniettati di sangue lo fulminarono improvvisamente e rivelarono tutta la rabbia, la sofferenza, l’odio che nutriva verso quello che aveva fatto, che aveva permesso che succedesse, come se fosse stata un burattino nelle mani di un uomo crudele. “Poco importa che io fossi posseduto o meno. Chi pensi che incolperà Clary, eh? E Jace? Aveva appena scoperto di avere una madre, e io gliel’ho portata via.”

Ah, ecco cos’era.

Alec odiava quando gli eventi non seguivano la direzione che riteneva corretta, e per lui essersi fatto comandare dal genere di creatura più ripugnante del mondo doveva essere una sconfitta inaccettabile. Aver ammazzato, involontariamente, una Shadowhunter, una Nephilim come lui, doveva essere devastante.

Come se non fosse abbastanza, non era una figlia dell’Angelo qualunque, ma la neo-ritrovata generatrice di Jace.
Probabilmente, se non avesse avuto a che fare con lei, non avrebbe mai conosciuto Alexander, perché Clary non sarebbe andata alla ricerca dei suoi ricordi perduti, e la sciocca combriccola di Cacciatori non l’avrebbe mai contattato per farsi aiutare, come sempre da lì in poi.
Ma Alec… Alec gli aveva coperto le spalle senza nemmeno conoscerlo, gli aveva sorriso sincero, e ora era lì, sul suo balcone, ed era come se non ci fosse, in realtà.

Non voleva dire che la causa della sua infelicità fosse Jace, perché era consapevole che Alec avesse tanti motivi per esternare con particolare difficoltà i suoi sentimenti, i quali non dovevano per forza dipendere dalla frustrazione di sapere che non avrebbe mai potuto averlo, ma sapeva anche che il legame parabatai doveva essere reciproco, un offrire continuo e uguale, e a volte gli sembrava che quel rapporto lo portasse avanti solo il ragazzo dai capelli corvini.

Prima Clary, poi Valentine. Quando sarebbe stato il suo turno? Non c’era paragone con il legame che aveva visto con i suoi stessi occhi, ormai centinaia di anni prima, tra Will e Jem. E Tessa, oh, chi più di lei avrebbe potuto testimoniarlo?

Ma non stava a lui giudicare, voleva solo cercare di confortare Alec, perché quelle spalle portavano già fin troppo carico per la sua età, una corona che pesava come un macigno che il Nephilim non aveva preteso di portare.

Era dispiaciuto per lui, e infuriato con i Lightwood, che volevano ripulire il buon nome di famiglia e farlo tornare al vecchio lustro sacrificando l’anima pura di un Angelo che si credeva un deviato perché non gli avevano permesso di essere né chi era, né chi voleva.

Maledetti. Maledetti.

“Non avresti potuto impedirlo in nessun modo e, credimi, io me ne intendo di possessioni demoniache. Tu, piuttosto, come stai? Hai parlato col tuo parabatai?”

Magnus cercò di utilizzare un tono pacato e docile, quello che si riserverebbe a un cucciolo intimorito e atterrito, proprio come appariva il giovane in quel momento.

“Ha detto che non me ne faceva una colpa, ma io non gli credo. Come può perdonarmi, io sono il suo parabatai, dannazione! Sono solo un debole, aveva ragione mia madre, ho disonorato la famiglia, il mio giuramento, tutto!”

Alec si coprì la faccia con le grosse dita sporche di sangue, spargendolo sul suo viso di latte. Ormai i sintomi di un principio di crisi di panico c’erano tutti, e Magnus dubitava che fosse stata inventata una runa-Xanax; lentamente, con garbo, mise da parte tutto, cancellò la distanza che li separava e cinse Alec sopra gli arti, avviluppandolo in un abbraccio forte e delicato allo stesso tempo, mantenendo lo sguardo sul suo viso. Voleva fargli sentire un po’ di calore, anche se lui si sentiva di ghiaccio per il turbinio di emozioni contrastanti che lo stavano attraversando. Ci stava di nuovo cadendo, irrimediabilmente.

Sarebbe stato davvero un male, Alexander?

“Sono un mostro!”

Alec, mio Alec, pensò Magnus. Non avrebbe mai potuto essere niente di tutto ciò, perché lui sapeva bene cosa voleva dire vivere con la consapevolezza di essere in parte un demonio, di aver provocato la morte del proprio patrigno. Della propria madre. Di vedere il ribrezzo negli occhi di chi ti ha generato nello scoprire il riflesso di quelle pupille troppo verticali per essere umane. Per essere normali.

Ed era per quello che Alexander poteva essere quello giusto: perché si sentiva sbagliato come si era sentito lui - seppur per altri motivi - inadatto, fuori luogo con la maggior parte della sua stessa gente, la propria specie; un popolo di trogloditi con l’ambizione troppo alta di salvare il mondo.
Magnus si domandò come avrebbe potuto aiutare Alec a salvare se stesso. Non poteva farne a meno.

“Allora hai fatto bene a venire qui,” gli sussurrò a pochi centimetri dal viso. “Io più di tutti posso capirti, Alexander, ma credimi: tu non potrai mai essere come ti descrivi, perché io vedo la verità e in te non c’è proprio niente di abominevole.”

Al contrario di me.

“Allora guarda le mie mani,” esalò incrociando con determinazione i suoi occhi castani, in un singhiozzo che ne vide seguire molti altri, sempre più forti. “Guardale e dimmi cosa sono, perché io non lo so più.”

Alec aveva frapposto i propri palmi tra di loro, cominciando poco dopo a colpire con i dorsi il petto di Magnus, in un gesto debole e cadenzato che ricordava più una ninna nanna che un vero attacco.

Senza dire niente, lo stregone fece scorrere i polpastrelli sulle spalle del Nephilim, sentendo i bicipiti contratti per il movimento e l’agitazione. Gli accarezzò gli avambracci e i polsi, per poi unire le proprie dita con le sue in un tocco che, seppur leggero, emanò delle fiammelle colorate che catturarono lo sguardo di Alec, facendogli allentare il ritmo delle percosse.

Magnus prese a produrre come delle pennellate blu sulla pelle frastagliata e lacerata dello Shadowhunter, riportandola al suo naturale pallore diafano. Forse era troppo, ma si prese la briga di portarsele alle labbra e sfiorale con un bacio innocente.

“Tu sei Alexander Lightwood, Cacciatore di demoni e protettore di tutti noi, Nascosti e Mondani. Sei un arciere d’eccellenza, un fratello premuroso e un figlio diligente. Sei questo, per tutti.”

Stille di acqua salata si erano incagliate tra le folte ciglia di Alec, altre invece erano scese coraggiose fino al mento, in un contrasto mozzafiato tra il liquido trasparente e la luce lunare che vi si rifletteva, andando ad evidenziare la mandibola definita del ragazzo.

“E cosa sono per te, Magnus?”

Si fissavano, le mani ancora unite, i corpi vicini, i respiri affaticati. Lo stregone percepiva il dolore di Alec che, attraverso l’uccisione di Jocelyn, era riemerso sotto forma di insicurezza, inadeguatezza e sfiducia verso se stesso.

Avrebbe voluto strattonarlo, baciarlo, urlargli contro e sussurrargli all’orecchio. Lui lo rendeva imprevedibile, agitato, elettrico. Cos’era quello squilibrio? Che nome aveva quell’inopportuna tormenta che gli esplodeva dentro, la quale lo portava a dirsi Scappa! e Rimani! allo stesso tempo?

C’era aspettativa nelle iridi verdognole di Alec, praterie che chiedevano di essere percorse senza freni, ma che non era certo di avere il permesso di attraversare. E non era nemmeno sicuro di volersi assumere un tale rischio per poi ritrovarsi da solo, senza fiato e senza energia, con un cuore ridotto a briciole di pane in mano.

“Sei la persona che aspettavo da secoli, Alexander. Mi piaci, mi piaci tanto, e mi spaventa. Perché so che quello che provo io per te, tu non potrai mai provarlo per me.”

Gli diede molto potere confidandogli quei pensieri, ma non voleva avere rimpianti.

Non quella volta.

“Come puoi dirlo? Tu non sai cosa io… c-cosa io provi per te! Io…”

“Alexander,” iniziò Magnus con quel suo tono dolce, sensuale, vellutato. “Lo so che ami Jace, e so anche che siamo capaci di amare diverse persone allo stesso tempo. Ma hanno ragione i tuoi genitori, in un certo senso: sono un egoista, e non sono disposto a condividerti. Vorrei averti solo per me, vorrei avere tutta la tua attenzione. Vorrei essere io il tuo sole, Alec. Non mi succedeva una cosa del genere da… beh, da quando stavo con Camille. Con lei è stato un amore a senso unico e ne sono uscito devastato. Sarò anche immortale come dici tu, e ti ribadisco che non so leggere il futuro, ma so imparare dal passato.”

Aveva tutta l’attenzione di Alec, che lo fissava con gli occhi gonfi e due cerchi viola ad incorniciare la tempesta che prendeva atto nella sua sclera, bianchissima come la neve.

“Cosa, cosa hai imparato?” gli chiese il Cacciatore, ormai tremante. Sembrava quasi che il suo flusso sanguigno avesse rallentato il suo ritmo.
“Ho appurato che la sincerità fa spesso male, ma è l’unica soluzione possibile.”

“Per cosa?” ribatté Alec senza nemmeno respirare, aggrappandosi alle mani di Magnus ancora di più, senza probabilmente accorgersene.

“Per sapere se posso abbandonarmi a te, Alexander, perché io lo sono già, perso in te. E mi spaventa, perché odio anch’io perdere il controllo, sai? Ma è successo, e non ho potuto impedirmelo. Fin da quando abbiamo combattuto insieme contro quel venduto di un Nephilim del Circolo. E più mi ignoravi, e più ti volevo, fino a quando sono venuto a prenderti, consapevole che avrei potuto cadere e scottarmi, ma poi tu mi hai baciato, inesperto e confuso, ma con tutto quello che avevi, e io ho capito che ti volevo. Che ti voglio, Alexander. Ti voglio nella mia vita, ma te lo ripeto: non voglio dividerti con nessun altro. Non in quel modo. Se hai anche solo il dubbio di provare ancora dei sentimenti che esulano dal semplice - per quanto possa esserlo - legame angelico con Jace, ti prego, ti imploro di dirmelo, di essere sincero. Perché sai, Alec, tu ti meriti la felicità, ma me la merito anch’io, dopotutto.”

Non ci fu bisogno di risposte, perché le lacrime che ripresero a scorrere sul volto pallido di Alec chiarivano perfettamente la situazione. Poteva anche provare qualcosa per lui - e sicuramente c’era rispetto, perché altrimenti avrebbe potuto mentire e approfittarsi della vulnerabilità di Magnus - ma non poteva smettere di essere innamorato di chi aveva idolatrato per una vita intera. In fondo, era anche comprensibile. E terribile.

Magnus sorrise e, istantaneamente, i suoi occhi cominciarono a bruciare tremendamente. Sciolse la stretta di falangi e portò le mani a coppa sulla parte bassa del viso regolare di Alec, carezzandolo col pollice, e poi lo baciò.

Sale e saliva si mescolarono in un liquido che aveva un sapore troppo amaro per essere sopportato tanto a lungo, come sorsate di Assenzio che ardevano la gola ad ogni goccia. Fu un bacio triste, malinconico, di chi sapeva quanto stesse perdendo.

Alec, ormai guarito dal dolore provocato dallo scoccare senza sosta e protezione alcuna le frecce angeliche, sovrappose le sue mani grandi e callose a quelle minute e sottili di Magnus, legandole forte le une alle altre.

Quando lo stregone si staccò, posò la sua fronte su quella di Alec – il quale era bollente - e senza guardarlo negli occhi - perché no, non ce l’avrebbe fatta altrimenti - pronunciò tre semplici parole le quali, insieme, valevano tutto.

Aku cinta kamu.”

Pronunciarle provocò all’uomo un dolore fisico che lo pervase interamente.

“Cosa significa?” chiese Alec, palesemente smarrito.

Significa che ti amo, stupido Nephilim. Perché non lo hai mai capito?

“Non ha importanza,” sorrise Magnus malinconico. “Piuttosto, promettimi di riguardarti e non metterti nei casini per assecondare ogni scemenza di quel biondo finto, ok?”

Lentamente, la maschera stava ricoprendo il volto di Magnus, come un sipario che si chiude su una scena nascondendo lo spettacolo dietro le tende.
“Magnus, perché mi sembra che tu mi stia lasciando?” domandò un sempre più allarmato e confuso Alec, con mani vacillanti.

“Ti sbagli, non si può lasciare chi, alla fine, non conta niente per te, no? Noi non stavamo insieme, quindi non sto interrompendo nessuna relazione. Solo una piacevole conoscenza.”

Com’era? Impugna l’arma, prendi la mira e… lancia.

Una stoccata dritta al centro del cuore di Alec. Eppure, a Magnus parve di essersi colpito da solo, perché aveva sentito chiaramente un crack dentro di sé che lo fece piegare un po’, abbandonando il nodo di dita e facendo qualche passo indietro, uscendo dalla zona personale del ragazzo dai capelli scarmigliati.

“Una piacevole conoscenza? È questo quello che sono stato per te? Io non ti credo, non ti credo Magnus! Jace è il mio parabatai, e tu non puoi pretendere che io lo abbandoni proprio ora che tutte le sue convinzioni sono crollate a pezzi, non posso! E non è nemmeno giusto che tu me lo chieda!”

Alec era visibilmente incredulo, sconvolto, impaurito. E no, non era giusto, infatti, come non era giusto il destino.

Perché ti ho conosciuto proprio in quel momento, Alexander? Perché non prima che io giurassi che nessuno si sarebbe più preso gioco dei miei sentimenti? Perché gli Angeli e i Demoni si allineano sempre contro di me?

Gli esseri con puro sangue angelico lo ripudiavano per la sua natura in parte demoniaca, che a sua volta era quella che lui cercava di dimenticare di possedere, perché gli ricordava suo padre, Asmodeus, Principe dell’Inferno, che avrebbe fatto di tutto per fargli del male.

“Io non ti ho domandato nulla di tutto ciò, Alec. Ma fino a quando non avrai chiarito i confini tra i diversi tipi di amore che la tua parte umana è capace di provare, io non ci sarò. Potrei anche aspettare, ma non voglio farlo, perché sono stanco di attendere qualcuno troppo impegnato ad essere innamorato di un altro per accorgersi di me. E io sono uno che si nota, parecchio. Quindi, Shadowhunter, compi il tuo lavoro, difendi i tuoi cari e chi ti sta a cuore, e cerca di non farti ammazzare, per favore. La tua gente ha bisogno di un ragazzo come te.”

Io ho bisogno di te, Alexander, oggi come allora, al capezzale di Lucean. Ho bisogno di te. Perché non hai preso la mia mano, Alexander? Perché non sei venuto via con me, incerti, persi, ma innamorati, come aveva detto Simon? A me sarebbe bastato questo, Alec, ma perché a te non sono bastato io?

Magnus aprì un portale con un gesto fintamente distratto della mano, e si girò di spalle, procedendo verso la portafinestra. Il cielo era diventato improvvisamente carico di un’aria pesante, quasi viziata, che preludeva un temporale imminente da lì a poco. Poteva sentire l’odore della pioggia prima ancora del suo scorrere inesorabile.

“Non te ne andare, non mi abbandonare anche tu.”

Rassegnazione, sofferenza, sconforto: questo era quello che la voce appena udibile di Alec trasmetteva, accentuando le fitte e i brividi nella colonna vertebrale di Magnus. Tuttavia, non poteva vederlo direttamente. In qualche modo, Magnus ne fu sollevato, perché non avrebbe mai potuto sopportare la vista di quella scena pietosa. Doveva essere duro, forte. E fingere.

“Io non ti abbandono, Alec. Ti do l’opportunità di conoscerti e, credimi, è un privilegio che non a tutti è concesso. Tu te lo sei preso, ed è arrivato il momento di godertelo. Ora vai, prima che il portale si chiuda.”

Magnus non si aspettava assolutamente quello che accadde dopo. Sentì il tonfo di diversi oggetti schiantarsi a terra, dietro di lui, in un concerto di stridi che violò le sue orecchie, ma mai al pari delle parole che seguirono quel colpo.

“Se è così che la pensi, Magnus, allora non voglio avere più niente a che fare con te! Ecco,” sputò quasi con isteria, debolezza, disperazione. “Con questi ho saldato il mio debito. Ora non abbiamo più niente da spartire, sei libero!”

Passi veloci e rabbiosi, scoordinati. Vocaboli che trafiggono e uccidono.

“Ti odio Magnus, ti odio. Ti odio! Non voglio vederti mai più!”

Magnus sentì il suono tipico dell’attraversamento di una porta dimensionale, ma più amplificato, come se Alec ci si fosse schiantato contro; si richiuse e sul terrazzo non rimasero altro che Magnus, il suo tremore e gocce corpose che senza alcun rispetto cominciarono a scendere copiose, colpendo Brooklyn in una notte qualsiasi.

Sul pavimento, un ammasso di frecce uscite dalla faretra disordinatamente ed un arco giacevano abbandonati come rifiuti in un viale di periferia.

Tutto quello a cui Magnus riusciva a pensare era l’odore delle lacrime di Alexander che sapevano di ferro, proprio come quelle delle nuvole che lo sovrastavano unendosi in quel coro di pianti che se, seppur in maniera irrisoria, lo confortavano un poco. Non abbastanza.

Perché mi hai lasciato, Alexander? Perché fa così male?

TBC…

Nda
Salve a tutti!
Eccomi qui con questa nuova What if? a capitoli, che vede gli eventi succedersi in maniera differente dopo l’incontro tra Magnus e Alec in seguito all’uccisione da parte di quest’ultimo di Jocelyn (2x05). I racconti a venire potranno avere dei segmenti analoghi alla storia originale, alcuni verranno invece ampiamente inventati. Il pov verrà specificato all'inizio del testo, mentre il rating potrebbe variare in corsa. Who knows?
Per il momento, so solo che mi mancano i Malec insieme, ma volevo provare a vederli distanti e cavarsela anche uno senza l’altro, in particolare Alec. Confesso che mi è sempre un po’ mancato, sia nei libri che nella serie, vedere lo Shadowhunter interagire con altre persone che non fossero sempre la sua famiglia o il suo ragazzo, magari anche un rapporto con una persona del suo stesso sesso, verso cui provare un interesse ovviamente non definitivo perché Magnus Bane Sommo Stregone di Brooklyn tutta la vita e non ce n'è per nessun altro. *fangirla*
Detto questo, non mandatemi troppi insulti e, se vi va, mi farebbe davvero piacere leggere un vostro riscontro nelle recensioni, positivo o negativo che sia. Sono sempre ben disposta ad ascoltare suggerimenti, idee ed ipotesi per il proseguo della storia.

Un saluto a tutti,

Amelia           
 
 
   
 
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