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Autore: Red_Coat    05/11/2018    1 recensioni
(SEGUITO DI "IL PRIMO AMORE DI IGNIS SCIENTIA")
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Vivere o morire, queste erano le due opzioni disponibili.
Toccava ripartire da zero, tentando invano di dimenticare l'orrore e il dolore appena vissuto.
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(Dal terzo capitolo: "Alexandra riaprì gli occhi alla vita e la prima cosa che udì fu il silenzio, rotto solo dal ticchettio inesorabile dell'orologio sul comodino. (...) Era sola, esclusivamente di questo si accorse. Sola e disperata, senza più nulla al mondo.
Come avevano fatto gli dei a dimenticarsi della sua esistenza, quel giorno ad Insomnia? Forse erano davvero troppo preoccupati a difendere il loro prescelto?"
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ignis Stupeo Scientia, Iris Amicitia, Nuovo personaggio, Talcott Hester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il meraviglioso fuoco della conoscenza'
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Prologo
 
Quel giorno per Insomnia fu il giorno della disfatta.
Il Re venne ucciso, i suoi cittadini furono fatti evacuare mentre altri rimasero uccisi dai magitek o sotto le macerie delle proprie case, attaccate dai daemon rilasciati dall'impero o dalle spade di pietra dei Re di Lucis, risvegliatisi per difendere il proprio territorio dall'occupazione.
Se non erano i Caelum a governare, non lo avrebbe fatto nessun altro.
Così la splendente città della corona, bella come un gioiello celeste, si trasformò in una città fantasma, preda della desolazione e presto anche del buio.
I sopravvissuti furono trasferiti in buona parte a Lestallum, inclusi tutti i feriti, altri scelsero di ritornare dai loro parenti nei restanti territori un tempo appartenuti a Lucis, altri ancora preferirono scegliere da soli un nuovo posto dove vivere.
Per alcuni non fu facile, avendo perso tutto, ma non avevano alternative.
Vivere o morire, queste erano le due opzioni disponibili.
Toccava ripartire da zero, tentando invano di dimenticare l'orrore e il dolore appena vissuto.
 
***
 
Dopo aver visto sua sorella cadere, Monica aveva dovuto fare una scelta: Lasciarla lì ad attendere la morte e salvare sé stessa e sua madre, o continuare a combattere per portarla via.
Non ebbe nemmeno bisogno di pensarci.
Sua madre la trascinò via, lei non riusciva a smettere di guardare indietro verso la minore.
Corsero a ripararsi dentro la hall di un albergo vuoto, da dietro il vetro della porta scorrevole videro i magitek fare perimetro attorno al palazzo.
Nessuna delle due sapeva cosa fosse meglio fare, quando all'improvviso un uomo con una divisa da Angone le chiamò scendendo le scale dal primo piano.

-Signore, tutto bene?- chiese loro.

Impugnava un pugnale dalla lama leggermente incurvata, e aveva tutta l'aria di essere appena scampato per miracolo ad un attacco devastante.
Era ferito, ma ancora in piedi.

-Mia figlia!- esclamò Mary, indicando con l'indice destro un punto oltre il vetro.
-È ferita, vi prego aiutateci!- lo supplicò Monica.

Quello si sporse a vedere e scosse il capo rammaricato.

-Mh ...- mormorò -Mi spiace, non credo che ...-
-La prego!- implorarono in coro le due donne.

E a quel punto lui non poté esimersi dal provare a farle contente, anche se era una missione suicida.
Alexandra era a pochi metri dalla barriera che i magitek avevano formato attorno ai cancelli del palazzo imperiale.
Avrebbe dovuto esserne contento, questo voleva dire che avevano vinto e presto avrebbero potuto tornare ad Insomnia e abitarla in pace. Ma adesso doveva correre loro incontro e sperare che capissero che stava dalla sua parte.
Del resto erano pur sempre per metà macchine.

-D'accordo, aspettatemi qui.- disse.

Poi si precipitò fuori.
Come previsto i magitek vedendo arrivare un Angone armato fecero fuoco, ma lui riuscì quasi per miracolo ad evitare i colpi, grazie all'intervento tempestivo di Monica, che si era fatta coraggio, era uscita in strada e aveva usato come scudo una lastra di metallo raccolta da terra e caduta da chissà dove.
Si guardarono, l'Angone le sorrise ringraziandola con un cenno del capo.

-Svelta. Prenda la ragazza e se ne vada.- le aveva poi detto -Fate in fretta, stanno arrivando altre navi e hanno l'ordine di uccidere i superstiti.-

Monica rabbrividì, e fece come le era stato ordinato.
Alexandra aveva due fori sanguinanti all'altezza dei polmoni, uno sulla gamba destra, e una profonda ferita all'altezza dell'occhio destro, sul lato del cranio.
Ma miracolosamente il suo cuore batteva ancora, forse per i proiettili che le impedivano di perdere troppo sangue fungendo al contempo da tappo e da pugnale.

-Svelta, mamma! Forza!- gridò non appena tornata dentro l'hotel.

La donna le guardò sollevata.

-Come sta?- chiese.

Monica annuì.

-È viva, ma dobbiamo andarcene al più presto e portarla da qualcuno che possa guarirla.

Mary annuì.
Poi, senza preavviso, fece un passo indietro e concluse calma.

-Allora andate ...-

Gli occhi lucidi, la voce stranamente decisa.

-Cosa?- Monica sbigottita la guardò trattenendo il fiato.
-Andate ...- mormorò allora la donna, sorridendo in bilico tra le lacrime -Voi siete ... La cosa più preziosa che gli dei mi abbiano dato.
Alexandra ... e tu ...
So che ce la farete, vivrete bene entrambi.-
-Smettila di dire queste cose e vieni!- sbottò Monica a quel punto -Alexandra ha bisogno anche di te.-

Prendendola per un braccio e trascinandola fuori. Era difficile farlo stringendo il peso morto del corpo di sua sorella, ma era tutto tranne che vicina a volersi arrendersi.

-No, Monica!- protestò in lacrime la donna allora, strattonandola nel tentativo di liberarsi.

Finalmente riuscì a farlo. Si trovarono fuori, sulla strada piena di magitek, macerie e cadaveri.

-Io vi rallenterei soltanto. Sono vecchia ... Lascia che raggiunga vostro padre.-

Gli occhi e le guance di Monica iniziarono a riempirsi di lacrime.

-Tu non vuoi morire!- le gridò, disperata -Non lo hai mai voluto, nonostante tutto e tutti! Nemmeno con la tua depressione e la morte di papà! Perché vuoi farlo adesso?-

Fu un grido disperato. Alla quale la donna rispose sorridendole teneramente, avvicinandosi e sfiorandole con una carezza dolce le guance rosse e bagnate.

-Perché so che voi ce la farete.- le rispose calma.

Per un attimo, il frastuono intorno a loro sembrò fermarsi.
Le bombe, la guerra, la gente che urlava.
Tutto si gelò nel tempo, e rimasero solo quegli occhi: gli occhi di una madre disperata ma ancora non sconfitta.

- Siete il nostro futuro, piccole mie.-

Una smorfia di dolore apparve su quelle labbra stanche e rugose.

-Tutto ciò che rimane di noi ...- poi sorrise -Bisogna sempre capire quando è il momento di farsi da parte ...-

L'espressione di Monica divenne lo specchio di quella affranta di sua madre.
Il respiro le si mozzò in gola quando la vide chinarsi su Alexandra, prenderle la mano destra tra le sue e accarezzare l'anello che ancora portava al dito.
Poi sorrise e le lasciò un bacio sulla fronte, ed una sua lacrima ricadde a bagnare le labbra della ragazza.

-Ora va ...- le si rivolse di nuovo.

Monica continuò a guardarla senza riuscire più a proferire alcuna parole. Scuotendo solo il capo, continuava a pensare che non doveva finire così.

-No ...- mormorò, senza nemmeno accorgersene.

"Non può essere così la fine. Non così. Non può ... Io .. devo ... Noi ..."

-Va', Monica. Va'!- la esortò di nuovo sua madre -Io vi raggiungerò presto. troverò un modo. Voi andate.-

E a quel punto, quasi mossa da un istinto primordiale e stupidamente confortata da quelle bugie, le voltò le spalle e mosse i primi passi verso le porte della città devastata, martoriata e ormai quasi del tutto vuota.
Corse piangendo e stringendo a sé con forza il corpo della sorella minore, come se fosse l'unico tesoro prezioso che fosse riuscita a strappare a quella tragedia.
Non sia accorse nemmeno del sangue, delle aeronavi da guerra che continuavano ad arrivare e del dolore atroce alla gamba destra, che la induceva a stringere i denti con dolore.
Ormai per loro era finito, tutto quello che erano stati prima.
Non c'era più nulla, solo il ricordo interrotto bruscamente dalla violenza della guerra, che avrebbe segnato per sempre le loro menti e anche i loro fragili corpi da esseri umani.
 

|||
 
Iris Amicitia si voltò a guardare la folla chilometrica che fuoriusciva dalle mura della città, circondate da soldati dell’impero.
Genti di qualsiasi estrazione, ceto, età e provenienza. Tutti disperati, alcuni feriti. C’erano madri e padri che portavano in braccio i loro bambini piccoli, altre che stringevano le loro manine spronandoli a camminare e cercando al contempo di rassicurarli. Quasi tutti quei poveri piccoli piangevano. Ce n’erano alcuni che lo facevano vistosamente, singhiozzando e disperandosi per la paura. Altri, più intimoriti, restavano in silenzio, camminavano a testa bassa per nascondere il volto rosso e gli occhi lucidi.
Uno di questi, un bambino di circa sette anni, venne preso in braccio da sua madre e le si accoccolò sul petto, il viso nascosto nel collo della donna che gli accarezzò piano i capelli mormorandogli qualcosa, forse parole rassicuranti.
Vicina a lei un uomo stringeva le mani delle sue due gemelle e parlava con una donna, forse sua moglie.
Alcuni non erano stati così fortunati, piangevano disperati stringendo ciò che era rimasto loro. Un figlio, un nipote, un consorte.
C’era una coppia anziana che si sosteneva a vicenda, mentre una donna ne spingeva un’altra su una carrozzina. Nel vedere quella scena, Iris si fermò per qualche istante travolta dai ricordi.
Sembrava come se Insomnia, come una bellissima donna mortalmente ferita, stesse vomitando il suo ultimo flotto di sangue prima di esalare l’ultimo respiro.
Trattenne il fiato, le lacrime le punsero gli occhi e la testa le girò per qualche attimo.
Un singhiozzo soffocato le sfuggì, allertando Jared e Talcott.
Nonno e nipote si voltarono a guardarla, lei si protesse il viso con le mani tentando invano di sorridere.
 
-Signorina, state bene?- chiese Jared gentile.
 
Lei annuì, ma nessuno gli credette.
Come potevano farlo? Suo padre, Clarus Amicitia, era morto con il Re che aveva giurato di proteggere. E anche sua madre era rimasta uccisa.
L’unico membro della sua famiglia ancora vivo era suo fratello, ma al momento era lontano, con il Principe Noctis.
Ora era lui lo scudo del Re, e visti gli ultimi eventi non sapeva più se esserne contenta.
Era sola, adesso. Momentaneamente, ma faceva comunque male pensarlo.
Anche se con lei c’erano Jared e Talcott, la sua reale famiglia era stata spazzata via dalla guerra e da quella fulminea invasione, così come la sua casa, i luoghi della sua infanzia e la sua innocenza.
Tutto le era stato strappato, come le radici per un albero. Era quindi tutto sommato normale che ora non sapesse più come respirare.
Si accasciò a terra, Talcott e poi Jared corsero a soccorrerla. Proprio allora un grido in lontananza li destò, inducendoli a voltarsi.
Anche qualcun altro degli sfollati lo fece, ma alla fine continuò a camminare. Loro no. Era già troppo lo strazio per non dare aiuto a una donna che chiedeva disperatamente aiuto per quella che stringeva tra le braccia.
Era impressionante. Sembrava morta, ma qualcosa diceva loro che non lo era.
Forse la tenacia di colei che la teneva tra le braccia, o il colore tutto sommato vivo della pelle e dei morbidi capelli castani.
Iris ne venne colpita. Smise di piangere e chiese ai suoi due compagni di aiutarla ad aiutare.
Il bambino annuì e corse incontro alla donna, facendosi largo tra la folla con ostinazione e riuscendo pochi minuti dopo a raggiungerla.
Si reggeva a fatica, era sporca di sangue ed era disperata.
 
-Venga con noi, signorina. Si unisca a noi.- le disse gentile, indicando con l’indice destro Iris e Jared che accorrevano ad aiutarla.
 
La donna sospirò dolorosamente, gli occhi le si riempirono di lacrime.
 
-Grazie …- mormorò.
 
Jared sorrise, accennando ad un inchino.
 
-Dia a me, non si preoccupi.- si offrì Jared, indicando il corpo della ragazza.
-Come ti chiami?- le chiese gentilmente Iris.
-M-Monica …- mormorò senza fiato l’interessata, quasi accasciandosi quando le tolsero di dosso il peso.
 
Iris e Talcott intervennero a sorreggerla.
 
-F-fa-te attenzione …- mormorò guardando Jared –H-ha … dei proiettili … in corpo…-
Tutti e tre i soccorritori guardarono con preoccupazione e tristezza la giovane nelle braccia di Jared.
In effetti aveva la camicetta rossa macchiata di sangue all'altezza del seno, e il plasma continuava a fuoriuscire ad ogni scossone, anche minimo.
Il suo respiro era sempre più difficoltoso e frammentato.

-Deve essere curata immediatamente.- avvisò Jared.

Monica annuì in lacrime.
Iris si guardò intorno e cercò qualcuno a cui chiedere aiuto.
Un furgoncino alle loro spalle si era fermato.
Era un furgone militare, con un ampio telo scuro di materiale plastico a proteggere la parte sul retro.
A guidarlo erano due Angoni.

-Venite, andiamo.- disse indicandolo e poi aiutando Monica a muoversi, passandosi un suo braccio sul collo.

Gli altri la seguirono, Jared corse ad avvertire i due soldati che vedendoli arrivare si fecero preoccupati.

-Per favore, sta sanguinando e ha urgente bisogno di un medico. Potete aiutarci?- chiese supplicante la giovane Amicitia.

Quelli si lanciarono uno sguardo serio, poi guardarono verso i soldati imperiali che sbarravano l'entrata alle mura.
Infine uno dei due parlò dentro un comunicatore.

-Hey, qui ci sono dei feriti. Li scortiamo da qualche parte almeno.-

Dall'altro lato ci fu silenzio per diversi, preoccupanti attimi.

-Ma che accidenti succede?- chiese l'altro inquietato.
-Non lo so, ma a questo punto ...- quindi si rivolse a loro, guardandoli e facendo loro segno di consegnargli la ferita.

-Forza, salite. Svelti, vediamo che si può fare.-

Uno alla volta furono fatti salire all'interno del mezzo.
C'erano altri tre Angoni, due dei quali feriti.
All'improvviso qualcuno parlò al comunicatore.

-Qui Libertus. Mi sentite?-
-Finalmente!- esclamò sollevato il secondo dei due Angoni che li aveva soccorsi.
-Ti sentiamo. Che sta succedendo, perché non risponde nessuno?- rispose quello che aveva in mano il comunicatore.

Lo sentirono sospirare.
Era palesemente in difficoltà, ma prima ancora che potesse rispondere un'altra voce li riscosse. Era quella del capo della ribellione.

-Scortate i feriti a Lestallum e tornate al più presto, vi aspetteremo qui. Ottimo lavoro a tutti voi, ragazzi. Per la patria e per la famiglia!-

Iris trattenne il fiato, mentre osservava l'uomo chiudere la conversazione e comunicare con l'autista urlando di partire verso Lestallum.
Non seppe perché, ma qualcosa non andava, ne era sicura.
Non ebbe tempo di chiedere però, perché
pochi istanti, e il cargo si mosse mentre lui cercava di medicare alla bell'e meglio le ferite delle due donne.
Per Monica bastò semplicemente fasciare la gamba, anche sa l'avviso che il dolore che sentiva era dovuto a un proiettile rimasto in profondità e che sarebbe stato difficile estrarre.
Per Alexandra invece la reazione fu ancora più sconfortata.

-Ah, lei è messa davvero male invece.- mormorò scuotendo il capo -Posso provare a fasciarle un pò la ferita per fermare il flusso ma non so se le farà bene. I proiettili devono aver danneggiato qualche organo, forse i polmoni a giudicare da come respira ...- scosse ancora il capo.

Monica, in un angolo del cargo accucciata su sè stessa, sgranò gli occhi sgomenta.
Allora Iris capì di dover intervenire.

-Se è ancora viva vuol dire che non è così grave. No?- sorrise.

L'Angone annuì.

-Potrebbe non esserlo.- disse solo.
-In effetti mi chiedo come abbia fatto a non morire prima.- commentò a quel punto l'altro Angone, seduto in un angolo del furgoncino ad osservarli accanto ad un compagno che pareva addormentato sulla sua spalla.
Monica sorrise. Un sorriso all'improvviso pieno di amore, speranza, tristezza e tanti altri sentimenti che le esplosero dentro, sull'orlo delle lacrime.

-Alexandra è forte ...- mormorò, guardandola e perdendosi in quelle parole -Lei è ... più forte di quanto non creda. E ... deve sposarsi ...- sorrise di nuovo, ma stavolta una lacrima scivolò a bagnarle le labbra -Lui tornerà, prima o poi. La cercherà ...-

Stavolta tutti i presenti in grado di ascoltare e comprendere quel sussurro trattennero il fiato, guardando prima una e poi l'altra sorella.
Solo allora Iris si accorse dell'anello di diamanti che Alexandra portava al dito anulare destro.
Gli prese quella mano tra le mani, guardò ammirata e sorpresa il gioiello. Anche Talcott lo osservò incantato.

-Oh ...- mormorò la giovane Amicitia -oh, ma è splendido ...- esclamò.

Talcott annuì sorridendole.

-Mh. È davvero un bel brillocco ...- osservò annuendo pensieroso l'Angone che l'aveva curata.
-Sono diamanti veri?- chiese Jared -Deve essere un uomo facoltoso. È probabile che anche lui sia sopravvissuto.- aggiunse dopo aver avuto un cenno di assenso da parte della sorella maggiore, che a quel punto si fece di nuovo triste, gli occhi persi nel vuoto.
-Lo spero ...- mormorò, accennando ad un sorriso amaro per resistere alle lacrime che tornarono prepotenti -Spero per lui che sia così ... perché altrimenti se la lascia sola né io né nostra sorella e nostra madre riusciremo a riposare in pace ... al momento è fuori da Insomnia ... Lontano ...- aggiunse, tristemente.
-Sono sicura che tornerà a cercarla.- cercò di confortarla con un sorriso Iris, mentre nella sua mente si affollavano le domande.

Monica annuì con un sorriso.
Poi chinò il capo sulla spalla destra e chiuse gli occhi.
L'Angone si avvicinò a controllarle il polso e il respiro.

-Si è addormentata ... Diavolo, deve essere stato un inferno!- Mormorò sgomento.

Iris, Talcott e Jared annuirono.
Per il resto del viaggio rimasero chiusi in un  silenzio assorto, mentre il camion proseguiva la sua corsa verso Lestallum.
Dietro di loro, la massa umana si frammentò e si divise.
Alcuni li seguirono fino alla città, altri gruppi rimasero ad aspettare soccorsi nei dintorni di Insomnia, altri ancora raggiunsero a piedi o in auto altri angoli di Eos.
L'esodo degli sfollati.
Ma tutto questo era soltanto l'inizio.
 
 
***
 
 
Quella sera …
 
Ignis non riusciva a dormire quella notte.
Eppure era strano, molto strano.
Dopo aver trascorso il loro primo giorno di viaggio a tentare di raccimolare quattrini per ripagare la riparazione della Regalia erano ripartiti al tramonto, e appena giunti a Galdin, finalmente avrebbe osato aggiungere, avevano pernottato al molo e si erano riempiti lo stomaco con una abbondante cena piena di prelibatezze.
Primo piatto ai frutti di mare, freschissimi, aragosta alla termidoro per secondo, ottima anche quella, e il dolce tipico per dessert.
Poi si erano allenati sulla spiaggia.
Già che dovevano aspettare che la rotta per Altissa tornasse attiva, meglio farlo tenendosi in forma.
Adesso quindi, immerso nel buio e nel silenzio della notte e sdraiato su un comodo materasso di una multipla di lusso, avrebbe dovuto essere distrutto e già crollato nel sonno da un bel po'.
Invece sembrava che gli unici in grado di dormire fossero Noctis (ovviamente) e Prompto.
Gladio rimaneva a giocare col cellulare, e lui a fissare il soffitto sospirando senza accorgersene.
Aveva freddo, senza la giacca che aveva tolto per non rovinarsela.
Si girò verso la parete a cui era appoggiato il suo letto portandosi dietro le coperte, e sistemò meglio la testa sul cuscino.
Chiuse gli occhi e attese.
Nulla.
La mente continuava a fargli male, il pensiero si divideva tra l'inquietante figura di quel misterioso individuo che li aveva sorpresi incontrandoli quella mattina e definendosi "un uomo senza conseguenze", e l'immagine pura della donna che aveva dovuto lasciare indietro per affrontare quell'incarico.
Il primo continuava a non piacergli affatto.
La seconda invece ...
Alexandra.
Si chiese come stesse adesso, se la notte passata insieme fosse riuscita almeno ad addolcire la pillola.
L'amaro sospetto di aver invece acuito la sua malinconia si concretizzò sempre più mano a mano che anche la sua mente tornava indietro a quegli attimi.
I loro sospiri ... La voce di lei che lo invocava ... Le carezze e il tocco morbido dei suoi capelli ...
Riaprì gli occhi, fissando il buio.
Era impossibile non sentirsi in colpa.
Impossibile non sentirne la mancanza, e non chiedersi quanto ancora l'avrebbe fatta soffrire.
Cambiò posizione dando le spalle al muro.
Come aveva fatto a cadere così velocemente in quel sentimento? Ora si sentiva come un insetto intrappolato nella tela del ragno, rappresentato dai suoi stessi sentimenti, che non la smetteva di agitarsi. E più lo faceva, più continuava a peggiorare solo la sua condizione.
Chiuse di nuovo gli occhi, brucianti.
Era stanco, doveva riposare.
Così decise di lasciar scorrere i pensieri e, molto lentamente, riuscì a scivolare in un sonno fatto di incubi e ricordi, in cui sognò di essere di nuovo e ancora con lei, stringendola per mano e godendosi un suo meraviglioso sorriso.
Sonno leggerissimo e fragile come un bicchiere di cristallo, che durò fino alle cinque del mattino, quando un fruscio lo riscosse.
Riaprì gli occhi, nell'ombra vide Gladio alzarsi e uscire.
Dai movimenti sembrava aver fretta, e dai continui sospiri nervosi sembrava anche piuttosto agitato.
Lo osservò corrucciandosi.
Poi, rendendosi conto di non riuscire più a riprendere sonno, decise di seguirlo.
Non lo aveva mai visto così in ansia, lo sarebbe stato anche lui fino a che non avrebbe saputo perché.
Meglio tagliare la testa al toro, perciò ...
 
(Continua ...)
 

   
 
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