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Autore: Arwen297    05/11/2018    2 recensioni
[ SEGUITO DI "IL VENTO DELLA LIBERTA']
Presente la coppia Seiya x Michiru
Sono passati 13 lunghi anni da quando Haruka è partita per gli USA nel tentativo di salvare la famiglia dalla rabbia della famiglia Kaioh, la sua carriera ha preso il volo e ormai è famosa nell'ambito delle corse. Il suo rientro in territorio nipponico per la laurea della sorella Usagi le donerà un incontro sperato per tutto il tempo passato lontana da casa.
Michiru ha una carriera ormai solida a fianco di suo marito, Seiya, con il quale si esibisce in concerti di musica moderna senza abbandonare le sue composizioni classiche.
Le due si troveranno a fare i conti con il loro passato e i loro sentimenti più forti e prorompenti che mai, entrambe ne usciranno cambiate e segnate e anche per Seiya non si prospetta nulla di buono, entrambe dovranno lottare per trovare la loro felicità.
Genere: Erotico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Mamoru/Marzio, Michiru/Milena, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
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Separazione

 

La bottiglia di birra impattò sulla superficie del tavolo della cucina provocando un rumore sordo che interruppe il silenzio.

Haruka non sapeva cosa dire, si era ritrovata Michiru improvvisamente sotto casa sua, in condizioni non bellissime e in quel momento erano entrambe sedute nella sua cucina in silenzio.

Vedere i vestiti della violinista le aveva già fatto intuire cosa poteva essere successo, la rabbia che sentiva dentro di se era ai limiti del controllo. Fosse stato per lei sarebbe uscita da quell’appartamento nel giro di cinque minuti diretta verso la casa dell’altra per insegnare a Kou come si trattano le donne.

Nozione che, a quanto pare, il bruno non aveva ancora ben compreso.

I suoi occhi si posarono sulla donna davanti a se in attesa che lei le dicesse qualcosa, indubbiamente emotivamente non era in ottime condizioni, sperava tuttavia che quel maiale schifoso non fosse arrivato fino in fondo.

«Cosa ti ha fatto Michi?». Le chiese, dopo svariati minuti prendendo un altro sorso dalla bottiglia.

«Abbiamo litigato, gli ho detto che io non la reggo più la situazione che c’è in casa, non riesco più a sorreggere da sola la situazione clinica di Nari. Senza vedere un supporto minimo da parte sua, lo sento distante...lo sento assente. E pazienza per me, ma per sua figlia. Per la bambina dovrebbe in qualche modo essere presente, invece se ne frega totalmente anche di lei, sopratutto di lei». Iniziò a parlare l’altra. «Gli ho parlato dei permessi per l’operazione e li ha firmati per fortuna, però poi io sono esplosa, lui ha detto che voleva una figlia perfetta e non malata, mi ha messa al muro voleva scoparmi perché lo stress lavorativo e il fatto che io ultimamente non voglio più avere rapporti con lui a detta sua lo stanno mandando fuori di testa». Rimase in silenzio, prima di deglutire e cercare di mandare indietro le lacrime, dopo tutto piangere non serviva a nulla. «Poi beh immagina». Concluse indicandole con lo sguardo i vestiti che indossava.

«Cosa ti ha fatto quel figlio di puttana?». Il tono le uscì più aggressivo del normale, non poteva farne a meno.

«Non è riuscito ad arrivare in fondo se è quello che vuoi sapere… mi ha costretta a sdraiarmi sul tavolo e in un momento di distrazione sua gli ho tirato un calcio tra le gambe. Il dolore misto alla sorpresa della mia reazione mi ha dato modo di prendere tutti i documenti, la borsa con tutte le chiavi e uscire di casa». I suoi occhi blu si posarono sullo schermo del suo cellulare che si stava illuminando per la centesima volta da quando era li, sullo schermo il nome di Seiya, sul telefono millemila messaggi oltre alle chiamate.

«Io gli spacco il culo se lo vedo, deve solo pregare di non trovarsi mai sulla mia strada, lui e la sua faccia di merda. Ma so bene che prima o poi tutto questo accadrà, e io non vedo l’ora di farlo a pezzi». Ringhiò.

«Ruka..calmati». Mormorò lei cercando di mitigare la rabbia che sentiva chiara in quelle frasi.

«No, Ruka un cazzo, Michiru». Sbottò buttando la bottiglia nella spazzatura. «Quelli come lui stanno bene solamente con le loro ossa belle rotte in un letto di ospedale. Possibilmente senza più possibilità motorie. Non basta il male che ti ha fatto in passato! No! Anche questo! Non basta il sapere di essere tuo fratello! No deve pure cercare di violentarti». Tirò un pugno sul tavolo, incurante del dolore. «E tu dici a me di stare calma? Sarai sconvolta per quello mi dici così, non vedo altre spiegazioni!». Concluse guardandola.

«Non voglio che finisci nei casini a causa mia, la mia famiglia non sai di cosa può essere capace, mio padre…con un battito delle dita può distruggerti. Può toglierti la tua carriera così come ha fatto in modo di infilarti nel giro USA delle corse per toglierti dal Giappone».

«Mi ci pulisco il culo con le minacce di tuo padre! Non sono più la ragazzina spaventata che è scappata dieci anni e passa fa per paura che saltasse il lavoro di sua madre. Della tua famiglia, adesso, non me ne frega proprio nulla. Ho talmente tanto di quel materiale a mio favore raccolto all’epoca che deve stare attento tuo padre, a quello che fa. Non io!». Precisò con il tono piatto la bionda.

«Hai ragione Haruka, ma la situazione è così talmente complicata». Provò ad aggiungere lei con molta poca convinzione. «Ora mi interessa solamente la salute di Nari, la mia priorità è quella, poi il trasferimento sul conto. Ma per il momento avviserò mio marito del fatto che non voglio rimanere in quella casa un minuto di più, mi prenderò una pausa di riflessione a casa di un’amica».

«Stai qui? Stai qui con me, ti va?». Chiese la bionda, consapevole di avergli già chiesto una cosa simile qualche giorno prima. «Mi farebbe piacere e poi non saresti sola quando sei a casa, ho del tempo libero posso accompagnarti a lezione se vuoi così se dovesse romperti vediamo il da farsi». Le fece l’occhiolino prima di alzarsi per raggiungerla e darle un bacio tra i capelli. «Non aver paura di quel coglione, vedrai che si sistemerà tutto».

«Ho bisogno di una doccia e di qualche vestito pulito..questi credo possano finire nella spazzatura». Cambiò discorso l’altra, si una bella doccia calda era ciò che ci voleva per rilassarsi un attimo.

«Certo, ormai il bagno sai dov’è..per quanto riguarda i vestiti credo che i miei ti vadano un po' lunghi ma posso prestartene qualcuno senza problemi». Si allontanò diretta in camera sua. «Usa pure il mio accappatoio se vuoi, non preoccuparti».

Michiru annuì appena, per fortuna era riuscita a portarsi via i fogli con le firme in modo da non dover più cercare il marito, sarebbe andata a casa sua dopo il lavoro. Sapeva bene che il giorno dopo Seiya sarebbe stato fino a tardi per occuparsi delle piccole cose da aggiustare in vista del concerto ormai imminente.

Avrebbe portato via anche un po' di vestiti per la figlia e il suo peluche preferito, Luna, un gatto nero con una strana Luna sulla testa da cui la piccola non si separava mai se poteva.

Si alzò dalla sedia stirandosi lievemente prima di dirigersi verso la porta che sapeva ormai essere quella del bagno.

La sua idea di farsi solamente una doccia sfumò all’istante quando notò anche la presenza di una vasca ad angolo all’interno della stanza che non aveva notato l’ultima volta.

«Qualcosa non va?». La voce bassa di Haruka giunse improvvisamente alle sue spalle, facendole girare il viso lievemente nella direzione giusta.

«Non avevo fatto caso alla vasca l’ultima volta». Disse prima di entrare nella stanza, mettere il tappo a quest’ultima e aprire l’acqua tiepida.

«Come hai fatto a non notarla l’altra volta?». La guardò incuriosita.

«Forse ero troppo immersa nei miei pensieri per guardarmi intorno e guardare quello che mi circondava». Si voltò verso di lei. «Se mi lasci le cose mi faccio un bagno e torno subito da te, ne ho proprio bisogno».

«Hai fame? Ti preparo qualcosa se vuoi, anche se è tardissimo ormai e forse è meglio parlare quasi di colazione». Se non aveva visto male ormai erano quasi le tre di notte.

«Degli spaghetti credo che possano andare bene, li sai cucinare? Altrimenti poi li preparo io quando ho finito qui». Rispose l’altra alzando un sopracciglio all’idea di vederla cucinare.

«Ehi!! Kaioh! Per chi mi hai presa?!? Certo che so cucinare». La guardò torva prima di dirigersi verso la cucina. «Sarà il caso che quando quegli spaghetti saranno pronti, tu sia già di la..in caso contrario me li mangio tutti io!». Si lamentò, senza nascondere una punta piccata, in tono abbastanza alto da farsi sentire dall’altra sebbene avesse già chiuso la porta.

Si diresse poi verso i fornelli per mettere in una padella dell’olio con dell’aglio, prima di dirigersi verso il frigo a prendere dei pomodorini da lavare e tagliare da aggiungere al resto dopo qualche minuto.

Poi prese la pentola per la pasta e la riempì di acqua aggiungendo in un secondo momento del sale, la quantità di pasta necessaria era già pronta nel piatto per essere gettata. E un piacevole profumo iniziò a riempire la stanza non appena l’aglio fu dorato nella padella.

«Effettivamente ho fame anche io, a cena non ho mangiato molto». Disse sottovoce rivolta a se stessa, era in pensiero per Michiru qualche ora prima, a quanto pare con cognizione di causa visto ciò che era successo. Sbuffò girando i pomodori a pezzetti nella pentola.

Controllò dunque lo stato di ebollizione dell’acqua e buttò la pasta mentre il suo sguardo corse verso l’orologio appeso alla parete.

Ancora dieci minuti e sarebbe stato tutto pronto. Alle sue orecchie giunsero i passi della violinista.

«E’ pronto?». La sua voce la raggiunse poco dopo, spingendola a voltarsi, i suoi occhi non poterono fare a meno di squadrare la figura femminile che aveva davanti. Con i vestiti che le aveva prestato indosso aveva un qualcosa… «Niente male». Le fece l’occhiolino, si quella camicia forse stava molto meglio addosso a Kaioh piuttosto che a se stessa. «Comunque si è pronto». Le fece cenno di sedersi al tavolo poco lontano da entrambe, poi spense il fuoco sotto al sugo in attesa della pasta. «Come ti senti? Va un po' meglio?».

«Si va un po’ meglio un bagno veloce era quello che serviva a calmare un po’ il nervoso». Nervoso e spavento al pensiero di quello che aveva rischiato tra le mura domestiche solo qualche ora prima. Alle sue parole la bionda sorrise.

«Ne sono felice». Mormorò con un tono di voce appena sufficiente per farsi sentire, dopo si volse nuovamente verso l’orologio e si mosse per scolare la pasta e darle una passata nella padella con il sugo. «Ecco a lei signorina». Esclamò dopo qualche istante mettendo a tavola due piatti fondi e la pentola con ciò che rimaneva tolte le due porzioni. «Vino o acqua?».

«Meglio acqua». Le rispose l’altra prendendo la prima forchettata, dallo stomaco salì un leggero brontolio che, nel silenzio di quel momento risuonò particolarmente.

«Qualcosa mi dice che hai fame». Un espressione divertita si posò sul viso della bionda.

«Si non ho mangiato molto a cena». Aveva iniziato a discutere non appena Kou aveva varcato la soglia dell’appartamento e i toni erano andati via via scaldandosi e, sebbene avessero cenato insieme, il suo appetito era calato e non aveva contribuito. In quel momento però, complice forse la presenza di Haruka accanto a lei..o forse per il profumo che le solleticava le narici, il suo stomaco aveva protestato a ragion veduta.

«Io non ho mangiato proprio invece, penso che me la passo peggio di te». Si quella pasta le era venuta molto meglio del solito, non vi era ombra di dubbio.

«Come mai non hai mangiato? Successo qualcosa?». La pittrice non riuscì a nascondere un velo di preoccupazione a sentirla dire così.

«Sapevo che avresti parlato con Seiya, ed ero in pensiero, lui non mi è mai piaciuto fin dalla prima volta che lo vidi girare per il giardino della villa dove abitavi quando eri piccola. Forse il sesto senso Michiru, non ti so dire ma stasera non ero affatto tranquilla. E visto come sei arrivata sotto casa mia, le mie sensazioni erano molto più che giuste». Versò dell’acqua ad entrambe.

«Mi dispiace darti così tanti pensieri». Erano sincere le sue parole.

«Non è colpa tua se hai sposato un coglione Michi, non potevi certamente immaginare tutti gli imbrogli che erano dietro alla sua presenza nella tua vita, non lo avrebbe potuto immaginare nessuno in realtà». Mangiò l’ultima forchettata che era nel suo piatto per poi volgere l’attenzione a ciò che era rimasto nella pentola. «Ne vuoi ancora?»

«No grazie sto bene così finiscila pure tu se hai ancora fame». Cercò di trattenere uno sbadiglio senza alcun risultato, era in piedi da quasi ventiquattro ore.

Tenoh pensò che – forse – era meglio che la violinista andasse a letto in tempo zero, aveva bisogno di riposare. «Dai su a dormire, senza storie».

 

***

 

Era riuscita a convincere Michiru a non recarsi a scuola per provare con Usagi quel mattino, aveva proposto di svolgere le prove a casa sua con tutta tranquillità. E l’altra, dopo aver fatto colazione, aveva accettato di buon grado vista la mancanza di ore di sonno.

Haruka fece scorrere lo sguardo sul giardino della clinica due piani più sotto, concentrando la sua attenzione sul via vai di persone.

Ricoverati che facevano la loro passeggiata giornaliera, parenti che entravano a trovare chi – invece – una passeggiata non era in grado di farla.

Medici in pausa caffè o semplici persone che, probabilmente, entravano solo per svolgere esami o visite di routine.

Avvertì poco dopo la presenza di un camice bianco poco distante, con la coda dell’occhio intravide una sagoma familiare. Abbassò dunque, leggermente i ray-ban osservando con attenzione la figura femminile che aveva davanti.

Assomigliava tanto a… ma possibile fosse lei? Dopo così tanti anni?

«Ami? Ami Mizuno?». Il suo pensiero prese prepotente spazio tra le sue labbra, la timida e dolce Ami, la conoscevano in tutto il quartiere e ricordava bene quella sera in cui, per difenderla da quel Takeshi, non aveva esitato a mettersi in mezzo.

La giovane donna si voltò a guardarla con un punto interrogativo nemmeno tanto nascosto dipinto in volto, quel viso le sembrava familiare ma non aveva idea di dove lo avesse già visto, con tutte le persone che visitava e di cui si occupava ogni giorno memorizzare il nome di tutti era un’impresa impossibile.

«Mi scusi ci conosciamo? Mi perdoni ma con tutta la gente che seguo ogni giorno non sempre ricordo i parenti dei miei pazienti o i pazienti stessi». Arrossì appena per l’imbarazzo di ammettere un suo limite nel lavoro che amava più di ogni altra cosa.

«Direi proprio di si». Si sfilò gli occhiali da sole per appenderli alla maglietta. «Forse non ricorderai ma tanti anni fa, una sera estiva ti ho protetta da Takeshi che non ti lasciava in pace». Le sorrise nella speranza che lei ricordasse, speranza che trovò conferma dall’espressione sorpresa che si dipinse sul suo viso.

«Haruka?!? Haruka Tenoh?!?». Quel nome le uscì improvvisamente dalle labbra, come avrebbe potuto scordarsi di lei? Quando erano ragazzine, la conoscevano in tutto il quartiere. Sopratutto per le crisi ormonali che provocava con il niente negli individui di sesso femminile e per la bravura nelle corse clandestina in cui il suo talento spiccava.

Alla notizia del suo trasferimento negli USA era scoppiata una tragedia tra le ragazze che conosceva, mentre chi faceva il bullo aveva quasi raddoppiato la dose non avendo più rivali sulla piazza. «Non avrei mai pensato di ritrovarti! Ho seguito ogni tanto le tue corse all’estero ti faccio i complimenti». Aggiunse dopo qualche istante di silenzio.

«Grazie, come stai? Non mi dire che stai ancora con quel Takeshi!». Al solo pronunciare il suo nome sentiva il sangue andarle alla testa, il pensiero che lui stesso avesse provocato l’incidente in cui era rimasta coinvolta anche Michiru anni prima era ancora nitido nei suoi ricordi.

«Sto bene grazie». Sorrise, Takeshi era stato si importante ma dopo quell’episodio era riuscita a prendere gradualmente le distanze da lui e poi andando all’estero per laurearsi in Medicina, avevano perso i contatti. «No! Assolutamente, da quell’episodio in cui mi hai difesa ho preso lentamente le distanze e poi sono partita per l’Università, ho studiato all’estero non qui in Giappone. Io e lui abbiamo perso completamente i contatti ma a quanto ne so, dalle voci che girano, è in carcere per spaccio di droga e ha commesso anche qualche omicidio. Non ha preso proprio una bella strada». Le spiegò.

Tenoh fece un sorriso a sentire che, quell’essere spregevole, non era più in circolazione a Kyoto. Era certamente un punto a loro favore e un problema in meno cui pensare nel momento in cui tutto sarebbe venuto a galla.

«Ha avuto ciò che si meritava, era palese già quando eravamo tutti ragazzini che non avrebbe fatto una bella fine». Non sapeva affatto che traumi avesse le spalle l’uomo, ma certamente aveva esagerato con il trovare scappatoie in certe compagnie. Allearsi per soldi con i Kaioh, insieme alla sua banda, era convinta che era stata la fine per lui.

«Perdona la domanda indiscreta, ma cosa ci fai qui? Hai qualche parente ricoverato?». Le chiese la dottoressa, incuriosita dal fatto che non vi erano stati nuovi ricoveri in quei giorni nel reparto.

«Accompagno un’amica, un’amica di lunga data, ci siamo incontrate per caso dopo tanto tempo e mi ha chiesto questo favore stamattina». Le fece l’occhiolino senza intenzione di scendere ulteriormente nei dettagli.

Ami fece mente locale al fatto che, in visita in quel momento nonostante non fosse orario di visita vi era solo la madre di Nari, che loro due si conoscessero davvero da così tanto?

«Ma è Michiru Kaioh? C’è solo lei in visita in questo momento, non è orario di visita in teoria questo, ma per lei facciamo sempre un eccezione». Provò a chiedere continuando a guardare la bionda.

Haruka stava per rispondere con un occhiolino quando senti una presenza accanto a lei.

«Buongiorno dottoressa». La voce di Michiru raggiunse poco dopo le sue orecchie, rispondendo senza saperlo alla domanda dell’altra ragazza, la guardò con la coda dell’occhio e non le sfuggì lo sguardo interrogativo dipinto sul volto di lei nel cercare di inquadrare la situazione.

«Buongiorno». Rispose l’altra guardando entrambe velocemente, costatando che viste vicine facevano una bellissima coppia. Se non fosse che la madre della sua piccola paziente era sposata. In tutti quei mesi in cui aveva svolto già servizio li, però, aveva potuto fare conoscenza del marito solo una volta e di sfuggita. Le sorse quindi il dubbio di quanto lui in realtà fosse presente nella malattia della figlia e quanto sostenesse moralmente la moglie in tutto questo. «Avevo appena chiesto ad Haruka se la sua amica di lunga data fossi tu». Sorrise appena.

«Aveva visto giusto dottoressa». Fu la risposta della violinista, era stata parecchio dentro con il primario per discutere di tutto il percorso che avrebbe dovuto affrontare la figlia di li a quel momento; di comune accordo avevano deciso di iniziare con la chemio necessaria prima dell’intervento l’indomani senza perdere tempo prezioso.

In quel modo, l’intervento sarebbe coinciso proprio con la data del Saggio dell’Accademia ma non le importava, avrebbe fatto in modo di riuscire a correre in ospedale appena finito.

Doveva solo avvisare la loro Manager di annullare tutti gli impegni e le interviste eventuali già programmate dopo l’evento e durante il rinfresco successivo.

Spostandole se possibile al giorno prima, altrimenti per una volta i media avrebbero rinunciato a un suo intervento. Poco le importava.

«Serve che tu rimanga ancora qui?». Haruka si intromise tra le due, non amava troppo i ficcanaso e Ami, per quanto si conoscessero da tanto, stava facendo domande poco appropriate.

«No, per oggi ho finito possiamo andare». Le rispose lei avvertendo il fastidio provocatole da quella conversazione a tre.

«Allora se è così, Ami ti saluto mi ha fatto piacere rivederti». Si rivolse all’altra senza troppi convenevoli.

«Piacere mio, Haruka». Si rivolse verso la madre della bambina. «Noi allora ci rivedremo nei prossimi giorni hai già deciso tutto con il primario giusto? Mi aveva parlato di questa intenzione da parte sua proprio ieri quando sei andata via».

«Si, abbiamo deciso che inizierà la chemioterapia domani e poi farà il percorso che dovrà fare». Le rispose lei.

«Andrà bene, vedrai, Nari è una piccola guerriera». Le sorrise dolcemente nel tentativo di renderla più tranquilla, era certa che la piccola ne sarebbe uscita vincitrice dalla malattia. Non aveva mollato fino a quel momento, sarebbe riuscita ad andare avanti ancora.

«Si certamente si, a domani». Tagliò corto Michiru prima di raggiungere Haruka già dall’ascensore alla fine del corridoio. La guardò attentamente per studiarne l’espressione, quasi a percepire il minimo segno per capire come facessero loro due a conoscersi.

«Conosci la dottoressa Mizuno?». Chiese mentre le porte dell’ascensore si chiudevano davanti ai loro occhi.

Tenoh scoppiò a ridere a quella domanda, non tanto per ciò che le aveva chiesto, quanto piuttosto il tono che aveva avvertito. «Non dirmi che sei gelosa!». Esclamò ignorando in prima battuta la domanda dell’altra.

«No sono solo curiosa». Non era sicura che fosse solo curiosità, ma ammettere che averla trovata in compagnia della dottoressa e capire che era una vecchia conoscenza la loro le aveva dato parecchio fastidio non le sembrava il caso. Non aveva nessuna intenzione di gonfiare l’ego della pianista per una sciocchezza simile.

«Certo, solo curiosa». Un sorriso sfrontato le si dipinse sul viso. «Comunque è una conoscenza di vecchia data, giravamo negli stessi posti nel quartiere e l’ho aiutata a risolvere una seccatura a suo tempo». Le spiegò. «Non me la sono portata a letto se è questo che vuoi sapere e nemmeno ho avuto una relazione con lei».

«No, non intendevo che voi due..». La voce le morì in gola quando uscirono dall’ascensore, davvero non intendeva quello? O era un semplice arrampicarsi sugli specchi perché si era sentita decisamente allo scoperto?

«Sarà come dici tu sicuramente». Non riusciva a stare seria come in realtà avrebbe dovuto, la risposta della musicista era davvero poco credibile. «Ma secondo me stai morendo di fastidio perché sei gelosa». La guardò qualche istante con la coda dell’occhio per studiarne la reazione.

«Non sono gelosa! Non ne ho motivo, se è una cosa del passato». Ribatté, possibile che fosse così tanto palese?

«Si, come se non conoscessi bene voi donne». Commentò nuovamente indossando gli occhiali da sole con un gesto ben poco plateale che attirò l’attenzione delle presenti di sesso femminile nella hall della clinica.

«Cosa significa? Non siamo tutte uguali...e io non sono gelosa della dottoressa Mizuno». Ribadì guardandola di traverso.

«Certo Michi». Le diede un leggero pizzico su una guancia. «Parlando di cose più importanti, cosa vuoi fare ora? Passare da casa a prendere i vestiti e tutto ciò che ti serve per stare da me?». Il tono scherzoso sfumò subito dalle sue labbra all’ipotesi di trovare Kou in quell’appartamento. Non aveva idea di come avrebbe reagito, ma il bruno sarebbe uscito da quella casa in ambulanza sicuramente.

«Si, penso che sia la cosa migliore...Seiya non è sicuramente in casa fino a stasera». Controllò il cellulare per togliere le notifiche delle chiamate arrivate proprio da lui quel mattino senza lei le calcolasse. «Così prendo tutto, gli lascio un biglietto per avvisarlo che ho bisogno di una pausa e poi andrò avanti con l’idea di chiedere il divorzio, sfruttando ciò che hai scoperto tu all’epoca come motivazione».

«Ok, come preferisci. Anche se non posso nascondere la delusione nel sapere che lui non è in casa, avrei scambiato volentieri due parole sul modo di trattare le donne con lui». Le rispose sarcastica. L’altra si limitò a volgere lo sguardo al soffitto prima di accelerare il passo diretta alla macchina.

 

***

 

«Seiya! Ma dove hai la testa!». La voce di Yaten piombò alla sue orecchie improvvisamente, i suoi pensieri erano rivolti a ciò che era successo la sera prima e al fatto che Michiru non aveva ancora risposto a nessuno dei suoi messaggi e delle sue chiamate.

Erano chiusi da due ore in quella stanza insieme al direttore del suono per delineare gli ultimi dettagli per il concerto. Mancavano ancora svariati giorni ma più tempo avevano per farsi un’idea di come impostare il tutto relativamente alla forma dello Stadio in cui avrebbe avuto luogo l’esibizione era meglio.

Il suono doveva essere impeccabile in ogni angolo della struttura, come sempre da una decina di anni a quella parte. Lui per primo non ammetteva sbagli.

«Scusate la mia distrazione, ho molti pensieri nella testa, forse troppi». Ammise lui guardando l’altro. Si decisamente troppi, forse aveva esagerato con sua moglie..forse le sue parole erano state davvero troppo dure.

Però era quello che sentiva dentro, dal primo istante in cui avevano diagnosticato alla figlia l’anemia. Il fatto che, probabilmente, tutto ciò era conseguenza della consaguineità forse era un aggravante in più.

«Hai bisogno di una pausa?». Era Taiki questa volta, il turbamento del fratello era chiaro. Probabilmente sua nipote si era aggravata improvvisamente e non lo aveva comunicato anche a loro.

«Si scusate io meglio che mi assento per un caffè, torno subito continuate pure senza di me». Rispose il bruno alzandosi dopo aver preso lo smartphone dalla tasca.

Nessuna chiamata, nessun messaggio.

Da Michiru solo silenzio, aveva esagerato veramente. La reazione della violinista, però, gli sembrava eccessiva: in fin dei conti non aveva mai perso il controllo così.

Il corridoio silenzioso e deserto era proprio quello che faceva a caso suo, si diresse verso la macchinetta automatica e inserì l’importo richiesto per un caffè.

«Ma è successo qualcosa?». Il castano l’aveva raggiunto. No, non aveva proprio voglia di parlarne ma a suo fratello era una vita che non riusciva a nascondere niente.

«Hanno trovato un midollo osseo compatibile per Nari, inizia la procedura per il trapianto in questi giorni». Rispose piattamente, senza staccare lo sguardo dalla lucina che gli avrebbe comunicato che il bicchierino era pronto per essere estratto. «Vuoi qualcosa anche tu?».

«No grazie, è una bellissima notizia, vedrai che andrà bene tutto e finalmente tornerà a fare una vita normale la piccola». Era una felicità sincera quella che provava per sua nipote, per questo motivo il tono usato dal fratello era incomprensibile. «Non mi sembri così felice però, è successo altro?».

«Ho litigato con Michiru ieri sera, ho esagerato. Non risponde ne alle chiamate ne ai messaggi e da una parte sono preoccupato». Se scattava una denuncia e la notizia fosse arrivata ai media sarebbe stato un grosso problema da gestire in vista del concerto. E aveva tutti i motivi per sporgerla se solo avesse voluto.

«Se ti preoccupa così, deduco che non sia stata una semplice litigata». Commentò nuovamente l’altro. «Seiya, che cosa hai combinato?».

«Mi è scappata la pazienza, lei ha attaccato sul fatto che non sono mai presente e che anche per nostra figlia non lo siamo. Quando sta male la Clinica chiama sempre lei perché io ho il telefono quasi sempre spento...mi ha detto che è stanca di affrontare tutto questo da sola. Lo stress Taiki, lo stress… non so cosa mi è preso ma ho quasi abusato di lei. Non va nemmeno tra le lenzuola in questo periodo». Gli confidò.

«Stai scherzando?!?». Il tono del fratello perse la calma che lo contraddistingueva sempre. «Se dovesse scattare una denuncia da parte sua, la tua carriera e probabilmente la nostra verrà affossata!! Ma come hai potuto fare una cosa del genere. Cerca di rintracciarla velocemente e facci pace».

«La sto chiamando senza risultato da ieri sera, ho mandato un sacco di messaggi ma tutto caduto miseramente nel vuoto. Spero che stasera mi risponda. Oggi doveva andare a consegnare i fogli con l’autorizzazione per il trapianto al primario del reparto e poi aveva le prove per l’Accademia. Sai quel saggio a cui partecipa anche lei suonando con uno studente un suo brano inedito? Te ne avevo parlato». Gli spiegò.

«Spero tanto sia così! La prossima tienilo nelle mutande e se non ci riesci ci sono sempre i siti porno o le escort». Sbottò lui senza attendere una replica. «Quando torni in riunione cerca di concentrarti su quello che diciamo, nonostante questo casino poteva essere evitato».

Si, suo fratello aveva ragione. Era un evento che poteva essere evitato. E si forse non aveva tutti i torti a parlargli di escort. Potevano risolvere una marea di problemi togliendo la tensione che c’era nella coppia anche riguardo al sesso.

Parecchie coppie grazie a loro tornavano più unite, magari anche per la loro sarebbe stato così.

Lanciò il bicchierino vuoto nella spazzatura. Avrebbe pensato più tardi a come risolvere il problema.

 

***

 

«Michi devi prendere ancora altro?». Esclamò osservando le tre valigie pronte vicino all’ingresso dell’appartamento, ormai l’ora di pranzo era passata da un po’ e il suo stomaco chiedeva a gran voce la dovuta attenzione.

«No credo di essere a posto così, ho dovuto prendere dei vestiti anche per la bambina, non posso lasciarla sempre con gli stessi vestiti in ospedale e anche qualche gioco». Le sorrise, aveva anche lasciato un biglietto al marito dove gli comunicava la sua decisione di prendersi un periodo di pausa nel loro rapporto.

Lo aveva avvisato che sarebbe stata ospitata da un’amica poco fuori città che lui non conosceva, in realtà Tenoh abitava in pieno centro, ma lo aveva fatto appositamente per non farsi rintracciare facilmente.

La custodia del violino stretta tra le braccia, osservò la bionda spostare le valigie nel porta bagagli dell’automobile. Il telefono che riprese a vibrare nella borsa.

«Ok allora possiamo andare a casa e rilassarci un po'?». Propose l’altra. «O magari che cosa ne dici? Passiamo prima un po’ in spiaggia ti va?». Stare vicina al mare l’avrebbe fatta sentire sicuramente meglio, senza alcuna ombra di dubbio.

«Credo che la spiaggia possa andare bene, forse riesco a rilassarmi un poco con il rumore delle onde del mare». Disse sottovoce, più rivolta a se stessa che in riposta alla bionda.

«Beh allora salta su, così arriviamo prima di subito». Le fu aperto lo sportello anteriore lato passeggero del mezzo, invito che la violinista accolse molto volentieri.

 

Il viaggio lo avevano trascorsa ciascuna immersa nei propri pensieri, Tenoh ben concentrata alla guida per alzare i giri del motore non appena la strada lo consentiva, Kaioh con lo sguardo fisso fuori dal finestrino quasi totalmente assorta.

Haruka aveva deciso di portarla in una delle spiaggette poco frequentate fuori dai confini di Kyoto, le sembrava la scelta più appropriata per darle un po’ di tranquillità e per evitare paparazzi che avrebbero solamente complicato ulteriormente la situazione.

Il suo intento di sollevarle il morale, però, sembrava fallire miseramente visto il silenzio pesante che aleggiava in quel momento nell’abitacolo.

«Michi». Si voltò velocemente a guardarla per richiamare la sua attenzione, possibile che il paesaggio fosse più interessante?

«Mhm?». La risposta arrivò quasi impercettibile, senza che l’altra si voltasse verso di lei, troppo sovrastata dagli eventi di quegli ultimi giorni.

«Sicura di stare bene?Sei silenziosa». Rallentò non appena giunsero nella prima piazzola utile a contenere la sua macchina.

«Si sto bene è solo che...». Tirò un sospiro. «Negli ultimi giorni sono successe davvero troppe cose, non so nemmeno io cosa dire, fare, pensare mi sento totalmente travolta dagli eventi e ieri sera è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Pensaci Haruka… in meno di due settimane. Ho incontrato te, ho scoperto che mio marito è in realtà mio fratello e che i miei genitori erano a conoscenza della cosa, scopro che Nari è affetta dall’Anemia mediterranea proprio per questo con molta probabilità, scopro che mio marito non l’ha mai accettata perché voleva una figlia sana e senza problemi. E poi scopro che...». Si interruppe, perché era tremendamente sbagliato ciò che stava per dire. «No niente lascia stare».

«No Michi, continua». La incoraggiò lei, alzando leggermente gli occhiali da sole dal suo viso.

«No non è importante, davvero». Non posso dirti che i miei sentimenti di un tempo erano soltanto assopiti, non ora. Voleva essere sicura che non fosse solo un bisogno emotivo di stabilità, non voleva illuderla. Anche se il sesso con lei era favoloso e il feeling che ricordava si era formato nuovamente come se non fossero passati tutti quegli anni.

«Come vuoi, non voglio sforzarti a dire cose che non vuoi dire». Commentò piattamente la pianista, tirando poi un sospiro. «Comunque siamo arrivati li un po' nascosta dai cespugli c’è una stradina che arriva a una spiaggia nascosta poco lontana, se vuoi possiamo scendere». Cambiare discorso le sembrava la scelta più appropriata.

Kaioh annuì solamente aprendo poi lo sportello per scendere, si allontanò dal mezzo quasi subito avvicinandosi al punto che le era stato indicato, il rumore del mare era ben udibile e i frammenti luminosi del sole sulla superficie arrivavano quasi a ferirle gli occhi attraverso quei pochi alberi che la separavano dalla sabbia. Si, continuare quel discorso in quel momento non avrebbe avuto senso.

«Come fai a conoscere tutti questi posti? Io non ne sapevo nemmeno l’esistenza». Le disse appena sentì la sua presenza alle spalle, si forse lei non aveva mai avuto tempo di girare come voleva. Vista la famiglia che aveva sempre avuto, da ragazzina non aveva mai potuto assaggiare un’adolescenza come le proprie coetanee.

«Quando ero una ragazzina passavo molto del mio tempo in giro con la moto, senza mai rientrare a casa o quasi. Ho dato molti grattacapi a mia madre in questo senso. Lei avrebbe voluto che studiassi, che andassi all’Università e mi creassi un lavoro serio che non consistesse nelle corse. Ma ho dovuto prendere il posto di mio fratello gemello, non ho avuto scelta. Serviva per campare, poi io non sono esattamente la persona adatta a stare sui libri. Usagi al contrario di come era alle medie si è rivelata brava poi al liceo e infine all’Università. Ora sta per finire di scrivere la tesi, entro settembre si Laurea». La spinse delicatamente verso il sentiero. «Cosa vuoi fare? Rimanere qui in ammirazione?». La superò facendole l’occhiolino. «Su vedrai che spettacolo che troverai tra qualche metro». Le prese la mano destra per tirarla verso di se e farle successivamente strada.

La piccola insenatura nella costa si rivelò più bella di come aveva immaginato inizialmente tra gli alberi, la sabbia più chiara rispetto alla normalità di quella parte del giappone era di un color tortora piacevole.

La costa frastagliata si alzava maestosa a proteggere quell’angolo di paradiso da occhi indiscreti rendendo praticamente impossibile notarne la presenza passando sulla strada più in alto. Ciuffi di erbacce spuntavano qua e la sulla parete rocciosa, fieri e maestosi della loro esistenza che sfidava forza di gravità, vento e forza del mare durante le tempeste.

La sua attenzione però fu quasi totalmente catturata dal colore dell’acqua, un verde azzurro intenso come raramente si riusciva a vedere da quelle parti.

Colore frammentato da piccoli spicchi di luce che nascevano e morivano pochi secondi dopo animando le onde che dolcemente accarezzavano la spiaggia.

«Hai perso la parola Kaioh?». Si insinuò quasi a presa in giro Haruka, con un sorriso sfrontato.

«E’ meravigliosa, l’acqua poi». Si limitò a dire lei senza distogliere lo sguardo dalla superficie.

«Perfetta per fare un bagno, c’è anche la giusta temperatura, che te ne pare?». Si tolse i Rayban per appenderli alla maglietta.

«Non ho il costume e nemmeno ho un asciugamano per potermi asciugare dopo». No, non le sembrava una buona idea andare in acqua con tutti i vestiti, avrebbe impiegato ore e ore ad asciugarsi.

«Costume? E chi ha parlato di costume, Michi su! Non ci vede nessuno». Continuo lei, vedendola non capire cosa le stava suggerendo. Preferì allora darle una dimostrazione pratica su se stessa e si tolse in pochi secondi la maglietta rimanendo completamente a torso nudo, per poi dedicarsi a scarpe, pantaloni e l’unico indumento intimo che indossava.

«Se arriva qualcuno e ci vede?». La voce della pittrice ruppe il silenzio, i suoi occhi verdi incrociarono quelli blu di lei.

«Ho parcheggiato la mia piccola in modo che coprisse totalmente il passaggio appositamente». Percorse la distanza che la separava dall’altra ancora vestita e si abbassò appena per essere a livello del suo viso. «Non farti pregare Michi». Fu un sussurro appena accennato prima che le loro labbra si congiungessero. «Credo sia un esperienza che troverai piacevole». Si allontanò sorridendo. «E poi un bronzo di riace così dove lo trovi?».

«Al Museo Nazionale della Magna Grecia in Italia». Il commentò le uscì spontaneo e vide chiaramente l’ego di Tenoh sgonfiarsi inesorabilmente, si decise però a togliersi tutti i vestiti; operazione che le fece perdere qualche minuto.

«Ah si? In Italia? Allora questo te lo meriti proprio». Il tono fintamente offeso di Haruka la raggiunse nuovamente, prima che lei si trovasse improvvisamente a testa in giù, lo sguardo sulla sabbia e le gambe a penzoloni. «Dovrò punirti per l’affronto appena subito». Le tirò un morso leggero sul lato B facilmente a portata di bocca.

«Ruka lasciami!». Si lamentò quella non appena entrarono in acqua a una distanza sufficientemente ampia dalla costa da poter coprire l’androgina fino ai fianchi.

Si sentì scivolare lungo il corpo della compagna e dopo poco i suoi piedi entrarono in contatto con il fondare sabbioso-ghiaioso. I piedi vittima delle leggere punture dei sassolini.

«No no, dove pensi di andare uh?». La strinse a se. «Non vai proprio da nessuna parte». Le afferrò delicatamente i fianchi per farla abbassare nell’acqua con lei.

«Non voglio andare lontano». Ammise. «Volevo solo fare una piccola nuotata per sgranchire un po' i muscoli, è da tanto che non faccio una nuotata come si deve».

«Falla dopo la nuotata..ora rilassati un po' insieme a me». Le diede un bacio leggero sul collo, la mano destra a insinuarsi ben più in basso.

 

***

 

Un pugno colpì il tavolo della cucina con una forza ben al di sopra del normale. Quando era rientrato a casa dopo la giornata lavorativa aveva trovato parecchia roba assente nell’appartamento. Aprendo il loro armadio le assenze si moltiplicarono notevolmente, parte del guardaroba era sparito nel giro di ventiquattro ore.

Nella cameretta della bambina stesso risultato. Così come in parte della stanza-studio dove la moglie era solita dedicarsi alla pittura e alla musica.

Sparite. Erano sparite un sacco di cose.

Poi in cucina aveva trovato il biglietto che lei stessa gli aveva lasciato e la rabbia aveva preso il sopravvento. Rabbia scaturita all’esterno con quel pugno.

Prese il cellulare in mano per l’ennesima volta, compose quel numero che ormai sapeva a memoria nella speranza che sarebbe arrivata, finalmente, un risposta.

Tutto ciò che ottenne fu il silenzio.

Solo silenzio.

Decise quindi di chiamare i genitori di lei, nella speranza che fosse andata li da loro e la storia dell’amica fosse solo una scusa per non essere raggiunta li.

Scorse la rubrica in cerca del numero dei suoceri e tocco poi il tasto della cornetta per avviare la chiamata.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Se erano a conoscenza di tutto e non rispondevano appositamente? Il pensiero lo sfiorò subito dopo. No! Era impossibile visto il rapporto che avevano, sicuramente non erano a conoscenza del litigio.

«Buona sera». La voce del padre di Michiru irruppe, fredda e roca come sempre al di là della cornetta.

«Signor Kaioh, Michiru è li?». Domandò senza prestare troppa attenzione ai convenevoli nonostante sapesse quanto fossero apprezzati dall’altra parte del telefono.

«No non è qui, è successo qualcosa?». Era strano che sua figlia a quell’ora non fosse in casa, non aveva concerti in programma.

«Abbiamo litigato ieri sera e non risponde più al telefono, sono in pensiero perché non aveva mai fatto così e ha chiesto un periodo di pausa, è da un’amica stando al biglietto ma pensavo fosse in realtà da voi». Spiegò lui, omettendo i dettagli che non servivano in quel momento.

«No non è qui, ma dico subito a mia moglie di chiamarla per rintracciarla vedrai che si sistema tutto, non temere». Lo rincuorò l’uomo, senza tradire il nervoso per il comportamento della sua primogenita, non le era stato insegnato un comportamento del genere quando era ragazzina. Non era mai stata così irrispettosa, possibile fossero solamente ore buttate quelle utilizzate per la sua educazione?

«Se riuscire a parlarle fatemi sapere». Era preoccupato, aveva paura che le fosse successo qualcosa. «Voi come state?».

«Bene come sempre, la bambina come sta?». Nonostante Michiru non desse loro modo di vedere la nipote come avrebbero dovuto, a causa dell’astio che portava dentro di se da anni nei loro confronti. Quella piccola creatura le era entrata nel cuore, nonostante tutto.

«Hanno trovato un midollo compatibile, domani o nei prossimi giorni iniziano la procedura per il trapianto. Dovrà fare la chemioterapia per un periodo sperando che poi il nuovo midollo attecchisca senza fare crisi di rigetto, ho firmato il consenso all’intervento e a tutto il resto proprio ieri sera, prima del litigio». Silenzio per qualche istante.

«Sono lieto della nuova notizia, vedrete che andrà bene. Ha sangue Kaioh e noi siamo dei guerrieri in ogni situazione». Sorrise sul cellulare. «Ti saluto Seiya, per me è tardi. Dirò a mia moglie di farti sapere se riesce a parlare con nostra figlia. Buona notte».

Kou non fece in tempo a rispondere che si interruppe la conversazione e il suo orecchio fu raggiunto dal silenzio totale.

 

***

 

Il pomeriggio in spiaggia aveva dato i risultati sperati da Haruka, il mare unito a ciò che era successo in acqua non appena era riuscita a togliere tutti i freni che la pittrice aveva posto troppo presa dalla paura che qualcuno le vedesse avevano fatto si che i loro nervi troppo tesi tornassero rilassati.

In quel momento era uscita da poco dalla doccia e aveva raggiunto Michiru in cucina che era indaffarata dietro ai fornelli per preparare la cena per entrambi, la osservò per qualche istante: i capelli ancora umidi sciolti sulle spalle, una canottiera leggera e dei pantaloncini bianchi.

La pelle leggermente più colorita di quanto fosse quel mattino, le si avvicinò senza palesare in altro modo la sua presenza, solo due braccia a cingerle le spalle e il viso appoggiato sulla spalla. «Cosa stai cucinando?».

«Pasta non so te, ma dopo aver saltato il pranzo io ho una fame da lupi». Girò velocemente il sugo nella padella. «Pomodorini, basilico e pinoli». Alzò il coperchio per vedere a che punto di bollitura fosse l’acqua. «Spaghetti vanno bene o preferisci altro?».

«Andranno benissimo». Le posò un leggero bacio su una delle spalle. «Preparo la tavola così facciamo prima e mangiamo subito».

Dall’altra in risposta arrivò solamente un annuire, impegnata com’era a portare a termine il suo compito, prese la porzione giusta di pasta dal barattolo e la mise nella pentola dell’acqua. «Una decina di minuti ed è pronto».

Fu lo stomaco di Tenoh a rispondere a quelle parole, con un rumore ben udibile nel silenzio della stanza. «Credo di essere parecchio affamata».

«Hai un orso nello stomaco?». Scoppiò a ridere. «O forse direttamente un bollitore dell’acqua ». La seconda ipotesi le sembrava più appropriata rispetto alla prima.

«Una bollitore?». Non era mai stata paragonata a un bollitore. La guardò dubbiosa, il rumore prodotto dal suo stomaco, però, era molto simile.

«Si un bollitore, di quelli per scaldare l’acqua per il tè». Si voltò a guardarla appoggiando i fianchi al lavandino.

Sul viso della bionda si dipinse un espressione pensierosa per qualche istante, prima che un sorriso sicuro di se facesse capolino sul suo volto. «Il bollitore più sexy, bello e sensuale di tutta la città». Si, quelle precisazioni cadevano a pennello.

Kaioh guardò il soffitto in tutta risposta prima di controllare l’ora per non far cuocere troppo la loro cena.

«Inutile che fai quella faccia, non puoi negarlo e oggi pomeriggio mi sembra tu abbia apprezzato, non eri esattamente silenziosa sulla spiaggia». Incrociò le braccia guardandola dritta negli occhi. Colpita e affondata.

La vide arrossire, ma ebbe come l’impressione che non l’avesse messa sufficientemente ko.

«Beh che io amo il mare fino all’invero simile è rassodato, nulla di particolarmente strano». Le sorrise senza scomporsi.

«Sarà ma mentre la mia lingua era impegnata in certi giochini non mi sembrava di sentire che parlavi del mare e di quanto ti piacesse». Doveva vincerla lei. «Anzi mi sembra che l’unico nome che usciva dalle tue labbra era stranamente simile al mio».

La vide voltarsi per assaggiare gli spaghetti per controllarne la cottura, prima di spegnere il fuoco e prendere uno scolapasta da mettere nel lavandino.

Il silenzio della stanza fu interrotto da un nuovo vibrare del telefonino, una vibrazione con ritmo diverso da quella delle ultime ventiquattro ore.

«Ruka per favore, ci pensi tu a farla passare in padella per qualche minuto così si amalgama ben bene con il sugo?». Le disse prima di appoggiare nuovamente la pentola ancora piena e lavarsi velocemente le mani. «Non è la vibrazione che ho messo a Seiya questa, è qualcun altro».

«Si, rispondi pure faccio io gli ultimi passaggi tranquilla, però sii veloce! Che sennò mangio tutto io!». Le disse scherzosamente.

«Quando si dice essere degli ottimi e galanti cavalieri». Sparì dalla stanza per andare a prendere il telefono abbandonato sul tavolino della sala qualche ora prima, quando erano giunte a casa. «Pronto».

«Michiru?!?». La voce di sua madre diede inizio alla comunicazione. «Si può sapere dove sei finita?!?».

 

   
 
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