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Autore: _Ombra_del_vento_    06/11/2018    0 recensioni
A volte il destino sa essere crudele, altre volte può aiutare a scoprire meglio sé stessi oppure può farci vivere situazioni inspiegabili che potrebbero sconvolgere per sempre la nostra vita. La storia di Chiara racchiude un po' tutti questi elementi permettendole di scoprire chi è sempre stata.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
Era una fredda sera di Dicembre, forse una delle più fredde a cui avessi mai assistito e penso che sia stata la più brutta della mia vita.
Prima di raccontarvi cos’è successo quella sera mi presento, sono Clara, ho sedici anni e vivo e studio in un convitto. Provengo da una cittadina non molto lontana, ma, essendo nata in una famiglia benestante, i miei genitori hanno pensato bene di rinchiudermi in una scuola che controllasse ogni mio movimento così da non doversene preoccupare loro.
Ebbene, quella sera, come sempre, dopo aver mangiato nella grande mensa della scuola situata al primo piano, salimmo le grandi scale di marmo e andammo tutte nei rispettivi dormitori. Le regole erano molto rigide e dovevamo sempre tenere la stanza in perfetto ordine per evitare le severe punizioni della tutrice. Ricordo bene la sera del mio compleanno. Eleonora, la mia migliore amica, mi aveva regalato un braccialetto d’argento molto carino arricchito da un piccolo ciondolo che rappresentava le nostre due iniziali unite. Lei se ne era fatto fare uno uguale così da potersi vantare con gli altri di quanto fossimo amiche.
Mi consegnò il regalo all’interno di un piccolo cofanetto d’argento decorato con vari motivi e con una gemma verde scuro sulla piccola chiusura a clip che aveva poco più giù.
Eleonora, a differenza mia, era stata costretta ad andare in quel convitto e a frequentarne la scuola perché i genitori, persone molto stimabili, volevano che avesse la migliore istruzione essendo la loro unica figlia. Lei non era felice di essere lì ed io ero l’unica amica che era riuscita a trovare, eravamo così unite che non ci separavamo mai. Quella stessa sera però tutto ciò che avevamo costruito insieme, tutto ciò che avevamo vissuto scomparve in un gelido istante.
Era arrivato il mio turno per fare la doccia così smisi di fare ciò che stavo facendo e, munita di accappatoio, shampoo e spazzola mi avviai verso il bagno che si trovava in fondo al corridoio. Mentre mi dirigevo verso la porta principale del bagno mi venne l’idea di proporre ad Eleonora il gioco delle storie. Lei adorava quel gioco e ci divertivamo sempre un mondo. Nell’esatto momento in cui misi piede in bagno mi si gelò il sangue.
Nessuno sapeva come fosse successo né cosa, effettivamente, fosse successo, ciò che sapevamo però era che Eleonora era morta e il suo corpo senza vita giaceva sul fondo di una delle docce. La sua pelle era bianca e fredda come la neve, aveva gli occhi chiusi e la bellezza dell’eterna gioventù sul volto. Fui io a trovarla.
Inorridita dall’accaduto e da quello a cui stavo assistendo lanciai un urlo talmente forte che mi sentirono in tutto il palazzo e, chissà, forse anche al di fuori. Anche i pipistrelli ronfanti annidati sotto le instabili tegole del tetto sussultarono e subito dopo in tutto l’edificio piombò un silenzio assordante.
La tutrice che era di turno quella notte corse da me spaventata e mi vide piangere, inginocchiata sul pavimento. Ero sconvolta! Tutti stavano lì immobili a chiedermi cosa fosse successo e il motivo di quell’urlo spaventoso che fece allarmare tutti. Nessuno si rese conto di quello che era successo. In quel momento sembrava che solo io potessi vedere l’orrore in quel bagno e mi giudicarono pazza. Contattarono la mia famiglia e l’avvisarono di ciò che era successo.
Nel frattempo, mentre la professoressa era impegnata a redigere un documento riguardante ciò che era accaduto quella sera, andai nella mia camera, riposi il bracciale di cui andavo tanto fiera nel suo cofanetto e lo nascosi così che nessuno potesse trovarlo, mi girai e la vidi. Ciò che avevo davanti mi fece gelare il sangue: Eleonora, che un attimo prima giaceva morta tra le mie braccia, era davanti a me e mi fissava. Forse stavo davvero impazzendo?
Per un attimo rimasi immobile a guardarla. Era diversa.
Prima che io potessi fare o dire qualunque cosa, due uomini vestiti con un camice bianco mi afferrarono. Io tentai di fermarli, ma erano troppo forti per me.
-Giuro che tornerò da te! Hai capito? Lo giuro! – Ripetei poi ad Eleonora mentre mi portavano via contro il mio volere.
Appena fui uscita vidi una macchina grande, era bianca, sulla fiancata c’era scritto qualcosa, ma non riuscii a leggere bene perché quei due tipi mi stavano tirando. Appena mi avvicinai di più a quell’auto mi accorsi che sulla parte posteriore c’erano  due ante e tra le due una piccola apertura con delle sbarre. Avevo paura per tutto quello che stava accadendo e per quello che mi aspettava poi. Com’era possibile che le persone che conoscevo e mi volevano bene permettevano che mi portassero via in quel modo. Mi portarono in una specie di ospedale, anch’esso tutto bianco, dove mi rinchiusero in una camera minuscola che conteneva solamente un letto, non c’erano finestre che affacciavano sul mondo fuori né al corridoio adiacente a quella stanza.
Le prime tre settimane le passai a piangere e ad urlare pregando di farmi tornare a casa o, perlomeno, a scuola, ma nessuno mi diede retta. Così passavano i giorni, i mesi e gli anni. I miei genitori non vennero mai a trovarmi, forse per loro ero diventata la delusione della famiglia e sarebbe stato uno scandalo sapere che una famiglia rispettata come la nostra avesse generato una figlia pazza. Arrivò un giorno, poco dopo il mio secondo anniversario dal mio arrivo in quel posto infernale, dove finalmente la porta della mia camera si aprì e alcuni medici mi condussero in una stanza e mi fecero delle domande. Io risposi il più sinceramente possibile. Poi arrivò un’ultima domanda.
-Clara, cosa pensi della vita? –
Rimasi perplessa per quella domanda e per alcuni minuti cercai una risposta che potesse andare bene.
-Beh, penso che la vita sia un dono meraviglioso, ma quando qualcuno viene privato di essa, direttamente o indirettamente, finisce tutto. Resta solo un corpo morto privato della sua anima. Esattamente com’è successo ad Eleonora. Ormai anche io sono diventata un corpo senz’anima perché, privandomi della libertà, mi avete costretta ad una vita vuota e senza emozioni. Quindi, vivendo una vita che non può ritenersi tale, non posso rispondere alla vostra domanda.-
Ascoltando quella risposta i medici rimasero in silenzio. Poi, dopo qualche minuto, mi riportarono nella mia camera. La riflessione che mi avevano portato a fare quei medici mi fece capire che ormai io non esistevo più e che se io fossi morta non sarebbe importato a nessuno. Morii qualche settimana dopo con la tristezza nel cuore.
Solo una cosa mi teneva ancora legata al mondo terreno, la promessa di tornare che avevo fatto alla mia migliore amica.
  
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