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Autore: Chemical Lady    07/11/2018    1 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

Noriko si riteneva una donna noiosa, una madre responsabile e un giudice imparziale. I suoi pazienti, tutti, nessuno escluso, avevano sempre avuto un trattamento privo di qualsivoglia pregiudizio da parte sua. Ne aveva viste passare molte di anime dalla porta del suo studio in quasi vent’anni di onorato servizio nella ccg.

Li capiva.

Capiva le loro paure, le loro ansie e le loro ambizioni.

Un po’ li invidiava, certe volte.

Perché anche lei, come loro, una volta aveva indossato quell’improbabile trench argentato e aveva tenuto stretta nel pugno una quinque.

Che poi avesse cambiato strada, dedicandosi al sociale seppur nel medesimo ambiente, era tutto un altro paio di maniche. Non si vergognava nemmeno nell’ammettere che lo aveva fatto con cognizione di causa e per paura. La paura peggiore di tutte: non vedere crescere i suoi figli, non vederli andare a scuola, avere le prime delusioni amorose e sfruttare ogni singola occasione che la vita aveva da offrirgli.

Noriko aveva fatto una scelta egoista nel non volersi precludere la possibilità di stare al loro fianco fino alla vecchiaia, però aveva al tempo stesso deciso di devolvere la sua vita alla causa del genere umano così, supportando i veri eroi.

Stare dietro le quinte le stava bene, soprattutto quando sapeva di poter fare la differenza.

E con la giovane Aiko Masa, vent’anni ancora da farsi e gli occhi persi di chi ha sfiorato la morte troppo presto, aveva da darsi molto da fare.

Era un peccato però che la ragazza non la assecondasse affatto. L’agente di secondo livello Masa era taciturna, schiva e riottosa nel parlare con lei. Sembrava essere diffidente verso qualsiasi forma di aiuto che le veniva offerto e avere come caposquadra Hirako Take era, per Noriko, un grande limite.

Lui non si dava mai troppi pensieri e credeva fermamente che ognuno avesse la forza di risolvere da sé i propri problemi. Era sempre stato così, ancora prima di diventare il capo di qualcuno, ragion per cui Noriko non gli aveva mai chiesto un aiuto per aiutarla a comprendere meglio la più giovane delle sue reclute.

Itou, invece, ci aveva provato. Il fatto che persino lui avesse fallito la diceva lunga. Il biondo l’aveva descritta a Noriko diverse volte durante i suoi colloqui privati con la psicologa. Della recluta Aiko Masa era rimasto poco o niente. Se avesse dovuto descriverla, per Noriko sarebbe stata alla stregua di un guscio vuoto. La crisalide lasciata da una falena, fissata per sempre in un singolo istante nel tempo.

Eppure non si sarebbe arresa.

Un giorno, presto o tardi, avrebbe aiutato Aiko Masa.

Perché tutti, prima o poi, hanno bisogno di aiuto.

 

Capitolo 38

«Almeno il vestito che ha scelto ti piace?»

Aiko sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, prima di tornare a digitare sulla tastiera del suo portatile una prima bozza di rapporto. Non alzò gli occhi verso Hirako quando questi le rivolse la parola per spezzare il silenzio del loro ufficio. A dirla tutta, solamente Furuta allungò l’occhio sui due colleghi, mentre questi apparentemente proseguivano nelle loro mansioni.

La risposta di Masa arrivò quando ormai erano passati abbastanza minuti da aspettarsela.  «Non mi piace l’azzurro per le damigelle, però non è il mio matrimonio.»

Take annuì sovrappensiero, toccandosi con la mano il nervo del collo perennemente in tensione. Detestava il lavoro d’ufficio più di quanto erano costretti a rincorrere qualche sospettato per strada. «Hai deciso di partecipare, però?»

«Ancora non ne sono certa, però Midori è stata la mia migliore amica per tanti anni. L’abito ha deciso di comprarmelo anche se ‘non sarò sicura di potermi prendere il giorno libero’. Come se fosse questo il problema.»

«Allora qual è?»

Entrambi si voltarono verso Furuta, ricordandosi della sua presenza. Lui tenne le iridi piccole e curiose su Masa, senza nascondere nemmeno un po’ quella vena di malizia che lo tendeva a contraddistinguerlo. Aiko però non sapeva da dove iniziare a raccontargli per spiegargli la situazione. Take era a conoscenza di quella storia solo perché erano colleghi da tanto, troppo tempo. Nell’arco degli anni aveva avuto modo di conoscere quella parte della vita della mora. Parlare con lui era quindi semplice, quando Aiko era di buon umore.

Si appoggiò col mento alla mano e sospirò pesantemente, mentre rifletteva. Alla fine disse la prima cosa che le venne in mente. «Ti sei mai sentito uno straniero nella tua stessa famiglia? Hai mai provato un senso di abbandono verso qualcuno che, al contrario, avrebbe dovuto farti sentire importante?»

Il sorriso sul viso di Nimura si ampliò leggermente, ma assunse una piega diversa. «Mi leggi proprio dentro, Aiko-chan.»

«Allora sai anche cosa si prova a trovare un amico che ti capisca, che abbia passato qualcosa di simile a quello che hai passato tu.» Masa prese a giocherellare con l’angolo del foglio, pur di non guardarlo negli occhi. «Quando il tempo passa e le persone cambiano, è difficile accettare il fatto che nonostante abbiamo una vita diversa, quella che ci siamo lasciati indietro era magari difficile, ma dava lo stesso delle soddisfazioni. Io e la futura sposa, Midori, eravamo come sorelle. Ora non saprei nemmeno dirti quale è il suo piatto preferito o se è felice di questo matrimonio o meno.»

Furuta sospirò drammaticamente, affranto. «So cosa si prova! Ah! Il mio primo amore ha avuto un declino simile.»

Hirako smise  di controllare l’elenco degli oggetti arrivati alla squadra con i rifornimenti mensili, iniziando ad ascoltarlo anche lui. Aiko sembrò sorpresa. «Davvero?», domandò curiosa.

Lui annuì, vigorosamente. «Eravamo così uniti. Proprio come fratello e sorella», una mezza risata gli sfuggì dalle labbra, mentre si sporgeva verso di lei, lanciando qualche occhiatina di tanto in tanto anche al rosso. Con le mani appoggiate alla seduta vuota di Sasaki, Nimura proseguì in quello che per lui doveva essere un avvincente racconto. «Poi lei è scappata via e adesso recuperare il rapporto è molto difficile. Ci sono dei giorni in cui sono certo che lei mi detesti. Altri in cui, invece, sento che non è possibile.»

«Scappata di casa?»

«Esattamente. Anche lei ha avuto un passato difficile.» Di nuovo, Furuta guardò verso Hirako. «Come tutti noi, del resto.»

«Se avete tutto questo tempo per raccontarvi delle storie sul passato, forse vi lascio troppo liberi.» Arima entrò nella stanza seguito da Sasaki e Ikari, alternando lo sguardo sui tre sottoposti posizionati di fronte ai loro computer.

Masa stirò la schiena, scostandola dalla sedia mentre alzava le braccia sopra al capo. «Non essere così severo, capo. Ci stiamo dando da fare per quel prospetto sulle zone di predazione di Hakatori. Senza contare che parlando fra noi possiamo solo accrescere la nostra conoscenza reciproca e rendere di più in certe…. Situazioni.»

Furuta gioì. «Come il Festival dello Sport!», disse concitato, lanciando un urletto e ricevendo come ricompensa un foglio di carta appallottolato in testa da Hirako. «Non vedo l’ora di vincere anche quest’anno!»

«Ho bisogno di un caffè adesso», borbottò Take, mentre Arima annuiva. Era appena arrivato ma non vedeva già l’ora di andarsene di nuovo. «Sasaki, ti unisci a noi?»

«Volentieri», rispose il mezzo ghoul, tenendo aperta la porta per lo Shinigami. «Ragazzi?»

Mentre Furuta si scusava e continuava a lavorare, Naoki stramazzò sulla sua sedia, apparentemente sfinito. Sembrava sempre stanco, quel ragazzo. Ed era anche il più giovane di loro.

Aiko si limitò ad alzare la tazza. «Io ho già fatto il pieno. Ci vediamo dopo.»

Il capo, il suo scagnozzo e il suo segretario (in realtà Sasaki e Hirako potevano palleggiarsi quei ruoli, arrivando a scambiarseli) lasciarono di nuovo la stanza, mentre le tre spalle rimasero avvolti in un silenzio avvolgente, interrotto solo a tratti dalle dita di Masa che battevano sul pc. La ragazza non era molto brava a mantenersi distaccata, però. Tutti quegli anni passati a mentire l’avevano temprata per le situazioni sotto pressione, ma quel caso era particolare.

Prima aveva qualcuno da cui scappare se fosse riuscita a levare le tende, una volta scoperta. In quel momento non più.

«Ei Nao, cosa ti ha chiesto Marude?»

Il classe speciale si stava mobilitando in fretta sulla questione della spia. Dopo aver tolto il caso a Nakarai non si era più saputo nulla per diverso tempo. Pochi giorni prima, però, Marude aveva iniziato a mandare lettere di notifica a tutti i componenti delle squadre con base nella prima circoscrizione. Avvisi di comparizione nel suo ufficio per un interrogatorio formale su presunte attività illecite.

Proprio così. Marude li aveva dichiarati tutti colpevoli fino a prova contraria e questo, a Masa, non piaceva per niente. Nessuno era più intoccabile, nessuno godeva nemmeno del beneficio del dubbio dal momento che i primi tre ad aver subito l’interrogatorio erano stati Arima, Ui e Fura. Matsuri non aveva ricevuto comparizioni ufficiali, ma si vociferava che il classe speciale Marude avesse chiesto a Yoshitoki Washuu in persona di garantire per suo figlio.

«Tutto», fu la risposta esausta di Naoki. Guardò la compagna di squadra scuotendo piano il capo. «Se stai pensando di prepararti un discorso, non farlo. Non servirà. Lui saprà già tutto sulla tua carriera prima di vederti entrare nella stanza insieme al tuo garante. E saprà tutto anche su di lui, visto quante cose ha domandato anche al classe speciale Arima nonostante non fosse il suo colloquio.»

Furuta si appoggiò con il mento ai pugni chiusi, inclinando il capo. «Io ho rifiutato il garante», fece sapere, stupendo entrambi gli altri due. «Per questo mi ha chiamato nell’ufficio il primo giorno. Due domande stiracchiate e poi mi ha cacciato sostenendo che sono un po’ inutile.» Nimura sorrise, gioviale. «Non è mica colpa mia se non sono un uomo dalle grandi azioni come il nostro capo o come te, Aiko.»

«Quali grandi azioni», lo riprese lei, alzando un sopracciglio. «Ho solo rischiato di venire uccisa da Tatara.»

«Due volte», le ricordò il secondo livello, come se lei potesse averlo in qualche modo rimosso. Aiko pensò che erano molte, molte di più. «E hai anche affrontato il Gufo col Sekigan, vero? Ti massacrerà.»

Aiko sbuffò sonoramente, incrociando le braccia sotto al seno mentre appoggiava la schiena alla sedia. «Affrontato? Mi ha steso così in fretta che ho scoperto chi aveva attaccato solo in ospedale! E poi per cosa dovrebbe massacrarmi? Per essere una sopravvissuta?»

Furuta notò che aveva alzato i toni, così mise le mani avanti. «Certo che no! Sei solo tanto sfortunata, Aiko-san. Però ha molti agganci fra te e Aogiri da considerare. Naturalmente ti lascerà andare, sappiamo tutti che non sei una spia! Però sarà un colloquio molto lungo, il tuo.»

Masa iniziava a sudare freddo e Ikari lo intuì. Per questo le sorrise, ritrovando la sua positività. «Andrai benissimo! Ti farà giusto le domande che ha fatto a me, come per esempio i tuoi hobby o dove passi il tempo libero.» Poi ci pensò su. «Arima è il tuo garante?»

«Sì, certo.»

«Allora stai tranquilla, ti spalleggerà. Ogni volta che Marude insinuava qualcosa, il capo gli ricordava che in quanto agenti, abbiamo il diritto al beneficio del dubbio. Non siamo dei criminali, siamo la SIII!»

Furuta annuì solenne. «Lo farà sicuramente. Tu cerca di non sembrare nervosa anche se con Marude è quasi impossibile.»

«Esatto!» Ikari le sorrise, sporgendosi in avanti per prenderle la mano sulla scrivania. Lei gliela strinse, prendendo un respiro e cercando di riprendere colore sul viso. Sentiva come se le stessero portando via ossigeno. «Non hai nulla da nascondere. Andrai bene.»

Le sarebbe piaciuto dire che era vero, che non aveva niente da nascondere. Però avrebbe mentito senza pudore. La sua nuova, sfavillante vita senza Aogiri era più grigia e tesa di quella precedente ma si disse, fra sé e sé, che doveva essere l’assestamento. Si era abituata ai suoi carnefici arrivando a trovare conforto nella loro presenza costante alle sue spalle. Ora che era libera di cadere e farsi male era certamente spaventata, ma era doveva anche tenere conto del fatto che non c’era niente che potesse collegarla all’Albero. Non c’era mai stato nulla, eccetto Hsiao o Aizawa.

Anche in quel caso, comunque, sarebbe stata la loro parola contro la sua.

Era una criminologa e più di tutti sapeva che senza una prova certa e irrefutabile, allora Marude non avrebbe avuto nulla.

Poteva solo farla confessare, ma Aiko avrebbe preferito morire che prendersi anche una sola responsabilità di tutto ciò che aveva fatto negli ultimi cinque anni.

«Avete ragione ragazzi, grazie.»

Furuta alzò un dito, come per voler aggiungere altro, ma il bussare alla porta glielo impedì. Una testa traboccante di capelli rosa apparve di fronte a loro e Higemaru li guardò curioso, spiando anche la stanza. «Scusate l’interruzione. Aiko-san», alzò la mano che reggeva una cartellina di carta. «Mi manda il prima classe. Posso parlarti un secondo?»

«Sì, certo», Aiko si alzò, andando verso di lui e appoggiandosi con la schiena al muro. Aprì quel fascicolo, sfogliandolo. «Attaccate stanotte?»

«Sì», sussurrò Hige, incrociando le braccia. Uno dei suoi rari momenti di serietà. «Urie ha detto che prima lo facciamo, meglio è.»

«Ha scritto sul rapporto che la fonte è anonima. Reggerà?»

Di nuovo, il ragazzino annuì. «Il direttore il persona ha convalidato questo rapporto.»

«Oh, lo Psiche?»

Entrambi trasalirono quando Furuta si sporse sulla spalla di Masa per poter leggere quel rapporto senza nessunissimo ritegno. Lei fece per chiuderlo, ma poi pensò che non sarebbe stato saggio farlo. Avrebbe destato sospetti. «Lo conosci?», attaccò con non chalance, invece.

Nimura annuì. «Avevo delle conoscenze allo Psiche. Come molti altri investigatori, credo. Accidenti, perderò una marea di utili informazioni, quel posto era un calderone d’oro.»

Aiko lo guardò, voltandosi. Aveva ammesso con candore di utilizzare degli informatori non umani, in diretta violazione con il loro statuto? Scambiò uno sguardo con Hige, prima di rivolgersi al compagno di squadra. «Lo so, anche noi ci siamo stati», gli spiegò, mentre Naoki osservava la scena, non capendo. «Uno dei primi incarichi di Higemaru.»

«Sarebbe stata una serata divertente se non avessi avuto paura di venire scoperto da un momento all’altro», ridacchiò Touma, prima di rivolgersi a Furuta. «La prego di mantenere il riservo sulla questione, secondo livello.»

«Io non so proprio nulla», ridacchiò Nimura, fingendo di non averne proprio parlato e passandosi una mano sulla bocca, come per chiudere una zip aperta. Fece ritorno al suo posto, lasciandoli soli.

«Volevo parlarti anche di un’altra cosa», sussurrò Touma, riacquistando il sorriso. «Ti ricordi di Kikyo Omeda?»

Masa corrugò la fronte, facendo mente locale. «L’amica di Mei? La ragazza della grande ruota che è stata colpita dalla kagune di Diamante?»

Come premio per avere indovinato, ricevette una piccola pacca sul braccio dal Quinx. «Usciamo insieme.»

«Sul serio? Dopo che la nostra squadra le ha ucciso il fidanzato?»

Aiko ricordava molto bene le lacrime di quella giovane ragazza dai riccioli capelli biondi, mentre parlavano di Saburo. Ricordava anche il caso del Funambulo e come avessero lavorato in fretta proprio grazie a Uta.

Che ironia.

«Lo avete ucciso tu e Urie, tecnicamente. Quando l’ho incontrata per caso l’altro giorno ero molto felice di poterglielo spiegare e lei ha accettato di ascoltarmi! Sai, mi sento strano, ma lei mi piace sul serio. Riesce a farmi sentire come se-»

«Higemaru.» Masa lo interruppe bruscamente, pentendosi del tono quando lui la guardò stranito, con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse. «Perdonami, ma ho davvero molto lavoro. Possiamo parlarne un’altra volta?»

In realtà lo voleva solo fuori dall’ufficio, insieme al fascicolo. Non voleva che il suo nome risultasse in nessun modo. I Quinx avrebbero smantellato lo Psiche e lei ne sarebbe uscita pulita. Era questo il piano di Urie.

Hige tirò un sorriso, fingendo di non esserci rimasto male. Aiko sentì il cuore restringersi. «Certo, possiamo parlarne a casa.»

Un po’ per farsi perdonare, un po’ per perdonare se stessa, la mora lo abbracciò.

«Sì, ne parleremo a casa. Ora va’ e concentrati sulla missione, ok? Poi sceglieremo assieme i vestiti per l’appuntamento, domani.»

Lui annuì, prima di salutare Ikari e Furuta.

Lasciò l’ufficio, lasciandola un attimo ferma contro il muro.

 

Perché non poteva accettarlo?

Perché non accettava la libertà?

 

 

«Primo livello  Masa, giusto?»

Aiko cercò di mantenersi ferma su quella sedia dannatamente scomoda, mentre rispondeva all’uomo che le sedeva di fronte.

Il classe speciale Itzuki Marude irradiava un’aria di pura autorità. Era in assoluto la persona più rispettata del bureau dopo la famiglia Washuu e certamente batteva in questo qualche membro della medesima, come Matsuri per esempio. Lui non sembrava molto interessato alla loro conversazione mentre sfogliava il suo fascicolo. A dirla tutta, le pareva annoiato.

Cercò gli occhi del suo garante, ma questi non le ricambiò lo sguardo. Quando Arima aveva mandato Take al suo posto, sostenendo che andava bene lo stesso e che lui si era stufato di vedere Marude tre volte al giorno, Aiko aveva sentito il mondo caderle addosso. Hirako non aveva la stessa influenza né la stessa presenza dello Shinigami Bianco, ma dalla sua aveva una calma unica. Se il mondo fosse crollato, Take si sarebbe semplicemente spostato di lato.

Lei cercò di essere come lui.

Disinvolta.

«Ha un profilo psicologico molto interessante, agente», bofonchiò Marude, passandosi una mano sul mento e valutando Dio sa solo cosa, prima di puntare gli occhietti scuri e sottili su di lei. «Straordinario che le sia stato approvato l’accesso al progetto Quinx. Immagino che Arima abbia messo una buona parola.» Non le diede il tempo di rispondere. Le buttò di fronte tutte e quattro le sue lettere di trasferimento. Con l’eccezione di quella firmata da Urie per l’accesso momentaneo alla squadra Suzuya, recavano tutte la firma dello Shinigami della CCG. «Vedo che è sua abitudine raccomandarla.»

«Solo perché è sempre stato il mio capo», rispose con naturalezza Masa, incrociando le mani sul ginocchio accavallato.

«Non lo era quando militava nella squadra Itadashi. È stata annientata totalmente nello scontro contro Tatara la notte dell’assedio della ventesima, giusto?»

Aiko trovò molto indelicato quel modo di porsi. Soprattutto perché aveva in mano la sua intera carriera. Poteva verificarlo da solo. «Sì, signore. Allora credo che sia stato il classe speciale Ui a raccomandarmi per l’accesso alla squadra Hirako.»

«E come mai?»

«Evidentemente gli ho fatto davvero molta pena quando mi ha salvata, signore.»

Marude non aggiunse niente su quella questione. Passò al nocciolo però. «Si è salvata da uno scontro con Tatara», lesse, prima di sfogliare le pagine velocemente, trovando un punto in particolare. Decisamente aveva fatto i compiti a casa e, come Aiko temeva, era fra i sospettati. «Sei mesi dopo un’altra tragedia: in una missione ha perso il suo compagno, il prima classe Orihara, contro il Gufo col Sekigan.»

«Ero incosciente allora. Durante lo scontro ho perso i sensi e-»

«E solamente tre mesi dopo anche la sua nuova partner, Osaki, è stata uccisa. Da Noro.» Marude non diede segno di aver prestato attenzione alla sua obiezione, così Aiko non ne mosse di nuove. Era tutto lì, nero su bianco. Poteva giocarsi la carta della fatalità. «Due settimane fa è entrata nella squadra di Arima dopo uno scontro quasi mortale con Tatara. Il secondo. Sorprendente quanto sia fortunata, primo livello Masa. Tre boss di Aogiri, quattro vittorie.»

Aiko assottigliò gli occhi. «Lei le chiama vittorie? Ho visto morire i miei partner.»

«Osaki no, però. O sbaglio? Era sola al momento dell’attacco anche se vi hanno viste lasciare insieme l’ufficio.»

Masa si strinse nelle spalle. Aveva una risposta alle domande che doveva ancora porle. Quell’uomo era bravo. Dannatamente bravo. «Sì. Avevamo deciso di cenare insieme alla squadra, ma poi io mi sono sentita molto stanca a causa del doppio turno che avevano terminato.» Si voltò verso Take, che non aveva ancora detto assolutamente nulla. Non stava minimamente prendendo le sue parti. Se solo ci fosse stato Arima… «Come il prima classe Hirako può testimoniare, ero a casa a dormire quando è successo. Ai tempi dividevo l’appartamento con il prima classe Itou ed è tornato per cercarmi. Dormivo e non ho nemmeno sentito le chiamate.»

«Ha una risposta per tutto, primo livello?»

«Non ho risposte, sto solo raccontando ciò che è successo.»

Marude fece una pausa. Sembrava più che stesse raccogliendo argomentazioni, piuttosto che una gentilezza verso di lei. «Vivere con i suoi colleghi è un vizio, noto», constatò poco dopo.

A quel punto, Aiko sentì di avere il diritto di offendersi. «Sta insinuando qualcosa, classe speciale?»

«Lo sto facendo?»

Hirako alzò una mano verso Masa, pronta a scattare. «Vivere insieme per i Quinx, è una regola. Si controllano a vicenda.» Riabbassò il braccio, senza staccare gli occhi da Marude mentre lo faceva. «Come lei sa, anche se Aiko è una di noi adesso, rimane un’arma umana. Deve rimanere con persone che possono controllarla.»

«Per questo sono così perplesso dalla sua richiesta di trasferimento. Prima Suzuya, ora voi. Dimmi Hirako, tu hai per caso puoi darmi una delucidazione?»

Il rosso non rispose a lui. Guardò Aiko, abbastanza rassegnato. «Diglielo.»

«Take…»

«Preferisci passare per una persona in cerca di alibi o per ciò che sei?»

Si sentì umiliata come mai prima di allora. Nemmeno Eto, quando la costringeva a farle il bagno, l’aveva mai fatta sentire così piccola e inutile. Guardò Hirako con tutto il risentimento che provava, prima di rivolgersi nuovamente a Marude. Scelse di mentire per non mettere in mezzo Urie. «Incompatibilità ambientale», snocciolò scocciata, mentre accanto a lei il rosso rimaneva apparentemente impassibile. «Ho avuto dei problemi con i Quinx e ho pensato di prendere aria altrove. Volevo lavorare con Suzuya perché nella sua squadra vanta tra i migliori del dipartimento, compreso il prima classe Nakarai che è un criminologo eccellente. Ora, per lo stesso motivo, sono nella squadra Arima.»

«Di che tipo di incompatibilità parliamo, agente Masa?»

«Non venivo ricambiata sentimentalmente da un membro della squadra.»

Dall’espressione di Marude, non doveva sapere niente. In qualche modo, le voci su lei e Urie che Aizawa non mancava mai di alimentare, non dovevano essergli arrivate. Si segnò un paio di appunti, prima di chiudere il fascicolo. «Abbiamo finito», le disse, guardandola alzarsi insieme a Hirako. «Per adesso», aggiunse poi. «Mi riserbo di parlare di nuovo con lei, agente di primo livello Masa, presto.»

Con un dito spense il registratore, mentre lei abbozzava un inchino e si avviava verso la porta. Arrivata lì, però, non riuscì a trattenersi. Nessuno le aveva detto che avrebbe avuto un secondo colloquio, quindi significava che rimaneva una sospettata.

«Sono quasi morta per salvare due colleghi. Sono quasi morta diverse volte per questo dipartimento. Cos’altro devo fare per risultare credibile se il mio sangue non basta, classe speciale?»

Marude non sembrò affatto impressionato. Anzi, sbuffò. «Vuoi una medaglia per aver fatto il tuo lavoro?»

Aiko non avrebbe accettato un altro insulto. Uscì per prima, mentre Hirako abbozzava un altro veloce inchino e la seguiva. Camminarono verso l’ascensore in silenzio, per evitare le telecamere del corridoio. Un comune accordo muto.

Quando furono dentro, però, Aiko si voltò a fronteggiarlo. «Grazie per non avermi difesa, Take.»

Lui alzò le sopracciglia. «Non mi è parso che ne avessi bisogno. Alla fine sei anche riuscita a trattarlo con sufficienza.»

«Non importa più. Non serviva questo colloquio per ricordarmi che capo di merda sei.» Le porte dell’ascensore si aprirono e lei uscì rapidamente, sparendo nel corridoio. Lui, invece, non mosse un passo.

 

 

Aizawa non ricordava più cosa significasse vivere senza quel principio di emicrania mattutino, naturalmente dato dal post sbornia. Nonostante fosse un medico, continuava a bere ogni sera come se fosse un adolescente, anche se non lo era più da parecchio tempo.

Quando anche il caffè smise di farlo sentire meglio, si preoccupò. Solo per i primi due secondi quanto meno, visto che non aveva saputo resistere alla tentazione di prendere la fiaschetta dalla tasca posteriore dei pantaloni- opportunamente occultata dal camice- per correggerlo.

«Dovrei denunciarti e farti entrare in un programma di recupero.»

Il biondo non sembrò sorprendersi da quelle parole, né dalla bocca da cui uscirono. Noriko lo fronteggiava con espressione amareggiata, ma non lo toccò affatto. «Guarda che lo so che anche tu correggi il termos. Non puoi farmi la morale.»

La dottoressa si mise seduta al suo fianco, sul divanetto della hall, guardandosi attorno. «Almeno vedi di non farlo in pubblico, va bene?»

«Tanto lo sanno tutti.»

«Se dovessi perdere il lavoro?»

«Chi se ne frega? Intanto continuo a venirci solo perché Urie, Masa e Shimura vengono a prendermi la mattina. Mi hanno ritirato la patente per guida in stato di ebbrezza.»

Noriko lo guardò costernata, incrociando le mani sul ventre, mentre lo studiava attentamente. I capelli un po’ unti, la barba non curata e la camicia sgualcita. Non era più lui. Dell’affascinante dottorino che passava le giornate a fare lo splendido con chiunque per quei corridoi, non era rimasto niente. «So che ti manca, ma credi che lei avrebbe voluto vederti in questo stato?»

Una risata senza colore lasciò le labbra screpolate dell’uomo. «Non iniziamo con il discorso del ‘lei avrebbe voluto qualcosa di diverso per te’. Se fosse vero, non mi avrebbe lasciato per andare a morire come una deficiente. Mei ha deciso come suicidarsi, io ho il diritto di decidere come farlo io.»

«Hai bisogno di aiuto, Ivak. Ascoltami, va bene? Non ti parlo da psicologa, ma da amica.»

Aizawa non sembrava molto convinto di quelle parole. Tutt’altro. Appoggiò il bicchierino sulla superficie del tavolo, prima di fare per alzarsi. «Non ti vedo da settimane, in realtà. Lo sto vedendo ora chi è davvero mio amico.»

Lei lo trattenne per il polso, ora arrabbiata. «Se costruisci muri fra te e le persone, non lamentarti del fatto che loro non riescono ad abbatterli.» Lo lasciò andare, gustandosi un attimo lo sguardo derelitto dell’altro, prima di sentirsi in colpa. Sospirò, affranta, facendogli cenno di sedersi di nuovo. Quando lo fece, lei appoggiò la mano sul suo ginocchio. «Vieni nel mio ufficio e parliamo per bene, ok? Voglio aiutarti Ivak.» Lo guardò annuire, cerca che non sarebbe mai andato da lei. Non sembrava nemmeno del tutto cosciente di dove si trovasse. «Ammetto però di non essere venuto qui per parlare di te, oggi.»

«Se ti servono pettegolezzi su qualcuno, sono uscito dal giro. Non mi interessa più della mia vita, figurati gli altri.»

Lei si morse il labbro inferiore. «Però prima hai parlato di Masa, vero? Con lei parli ancora?» Lui non rispose, ma lei non demorse. «Vorrei parlarti di lei. Io non riesco ad avere una conversazione con quella benedetta ragazza, ma dopo quello che le è successo con Tatara devo assolutamente fare delle sedute con lei. Lo devo fare, Ivak. Se no andrò io nei guai.»

Il medico smise di guardarla in viso, da quel momento in poi. Strinse i pugni, mentre un velo di incertezza gli patinava gli occhi limpidi. Quando riprese a parlarle, sembra deciso. «Aiko è una delle poche persone che si occupano di quel disastro che sono diventato. Se mi stai chiedendo di intercedere per te con lei, mi dispiace ma non posso. Non le stai molto simpatica.»

«Lo avevo intuito.» Comprendendo che l’altro non gradiva la conversazione, Noriko interruppe ogni contatto fisico, spostandosi di poco sul divano per lasciargli spazio. Incrociò le dita delle mani davanti a sé, mentre il caschetto biondiccio segnato da qualche stila argentata le scivolava di fronte al viso. «Deve essere molto compromessa, se sei diventato così serio.»

Ivak sbuffò. «Non ho mai detto che lo è. Semplicemente, non ha bisogno di uno psicologo ora. Ha bisogno di starsene un po’ tranquilla e tu non sei la persona adatta per parlarle.»

«Può sempre parlare con l’altro psicologo del dipartimento, quello del turno di notte.»

Il patologo scrollò le spalle, tornando ad appoggiare la schiena al divano. Improvvisamente realizzò che non poteva preoccuparsi della questione: Aiko non sarebbe mai andata a parlare né con Noriko, né con un altro psicologo. Non era il suo stile. Senza contare che negli ultimi giorni l’aveva vista stanca, spenta. Ivak non aveva ancora avuto modo di parlarle perché i soli momenti in cui erano stati nello stesso luogo, era la macchina di Urie.

E lui non era mai sobrio.

«Lasciala perdere. Ha già tutti i suoi problemi a cui pensare. Non diventare uno di essi.»

Noriko si sistemò gli occhiali sul naso. «Quindi dei problemi ci sono?»

L’uomo si sentì improvvisamente stupido. Forse a Noriko serviva questo, infondo. Qualcuno che confermasse le sue teorie. «Problemi per dire», cercò di rimediare. «Dopo essere entrata nella squadra di Arima ha rivoluzionato la sua vita. È difficile inserirsi in quel team. Dalle tempo per adattarsi.»

«Aiutare gli agenti nei trasferimenti è una delle mie mansioni», imperterrita, la psicologa rimase ferma sulle sue convinzioni. Aveva un buon pretesto di partenza per parlare con l’agente Masa. «Grazie delle dritte, Ivak.»

«Io non ti ho dato proprio nessuna dritta», si stizzì lui, alzandosi in piedi e ficcando le mani nelle tasche del camice. «Poi non venire a dire che non ti ho avvertita.»

Non le diede il tempo di dire o fare nulla. Si sentiva un po’ deluso da lei, che da anni cercava di tirare fuori da Masa Dio solo sa cosa e non pareva interessarsi più di molto di lui.

In un momento di puro vittimismo, Ivak riprese ad auto commiserarsi, attaccandosi alla fiaschetta non appena le porte dell’ascensore si chiusero.

 

 

Aiko non aveva capito perché Naoki volesse accompagnarla così tanto al :re, almeno fino a che non erano arrivati e lui aveva iniziato a fare il cascamorto con un giovane cameriere. L’investigatrice se lo ricordava, quel ragazzo. Era il giovane che aveva urlato contro gli agenti della CCG al funerale di Mei.

«Ciao Moryemaru», lo aveva salutato con gentilezza, sfilandosi il cappotto argentato e appoggiandolo sulla sedia vuota. Aveva stupito entrambi, sia il ghoul con addosso il grembiule che il collega. «Ci siamo visti al-»

«Me lo ricordo», l’aveva interrotta il giovane, trafiggendola con gli occhi eterocromi. Non aveva paura delle colombe, lo aveva già dimostrato altre volte. «Non sono qui per prendere le vostre ordinazioni, comunque. Ci penserà Nishiki», proseguì con una vena altezzosa nella voce, mentre il Serpente, seduto a un tavolo, guardava nella sua direzione. «Io sono solo qui a fare l’ambasciatore. Agente Masa, Touka ti aspetta sul retro.»

Aiko annuì, avviandosi nella direzione che il braccio teso di Moryemaru indicava. Aveva ricevuto un sms quella mattina stessa, nella quale la signorina Kirishima le chiedeva di passare al bar. Non ci aveva trovato niente di strano inizialmente. Aveva così tante preoccupazioni per la testa che, forse per difesa, aveva catalogato quella mossa un po’ particolare di Touka come una possibile richiesta di aiuto. Sapeva che al :re poteva passare la peggiore feccia del mondo dei ghoul così come i più bisognosi e derelitti di loro. Forse voleva qualche rassicurazione su Ayato o su Fueguchi, non sarebbe stata la prima volta.

Il fatto che l’avesse contattata sul telefono, poi, non l’aveva messa affatto in allarme. Le aveva lasciato un bigliettino da visita diversi mesi prima, quando durante un interrogatorio a quella che a quanto pare era diventata la ragazza di Higemaru, la vetrina del bar era stata sfondata da un ghoul latitante.

Si aspettava quindi di trovare Touka nei guai.

Non di trovare lei stessa guai.

Ne aveva già fin troppi, ma questo non doveva interessare a Uta. A giudicare dall’espressione serafica sul viso del ghoul tatuato, niente gli interessava davvero.

L’agente rimase immobile sulla soglia che separava il magazzino dal lungo corridoio che portava al locale. Tenne le iridi dorate in quelle rosse del Clown per diversi secondi, in silenzio, fino a che Moryemaru, spazientito, la spinse avanti per poter passare. «Ho fatto. Posso andare? Non voglio rimanere nella stessa stanza col secondo di Hirako ancora per molto.»

«Vai pure e grazie mille, Maru.» Touka gli sorrise gentile, ma lui non ricambiò. Si limitò ad accennare un piccolo inchino mentre si slacciava il grembiule. Sparì in fretta su per le scale, lasciando sole le due donne con il Clown.

Non erano sole, in effetti, ma Aiko notò il signor Yomo solo quando fece due passi avanti, mettendosi al suo fianco. «Va’ dai clienti, Touka. Rimango io a controllarlo.»

«Così mi offendi», cantilenò Uta, alzando le mani in un gesto arrendevole. «Io voglio solo parlare un po’ con Labbra Cucite. Se avessi avuto altre intenzioni non vi avrei chiesto di intercedere.»

Touka lo guardò, assottigliando gli occhi sotto al ciuffo viola. «Non fare puttanate qui. Non nel mio locale.»

Non aggiunse altro, quella donna di acciaio. Passò accanto ad Aiko, sfiorandole con una mano il braccio, prima di rientrare.

Rimasta sola con i due ghoul, Masa attese. Fu Uta a iniziare il discorso. «So che stasera distruggeranno lo Psiche», le disse, cogliendola del tutto impreparata. Nessuno lo sapeva, eccetto pochi agenti. Come avevano fatto quelle informazioni ad arrivare alle orecchie dei Clown? «Però non sono arrabbiato. Quella attività non è mia, ma di Souta. Nemmeno lui è arrabbiato. In realtà sono mesi che stiamo pensando di sciogliere quel club, è diventato poco esclusivo.»

«Mi stai dicendo che ti ho fatto un favore?», chiese la ragazza, pentendosi di non aver portato con sé il cappotto. Forse era quel magazzino ad essere freddo, o semplicemente l’atmosfera fra loro si era fatta gelida.

Uta sorrise, sornione. «No. Perché tu non volevi denunciare lo Psiche vero? Volevi denunciare me.»

Masa assottigliò gli occhi, ma istintivamente si spostò verso Yomo. «Perché avrei mai voluto farlo?»

«Ci ho ragionato un po’ su e sono arrivato alla conclusione che forse hai qualche problema con la tua copertura. Hanno scoperto che usavi il locale e hai deciso di usarmi come tua fonte?»

Yomo, che teneva gli occhi solamente sul vecchio amico, come se ci fosse solo lui nella stanza, prese la parola. «Perché hai preteso di parlare con lei, se non ti importa del locale?»

«Perché non vorrei che succedesse qualcosa anche all’Helter Skelter. O al mio negozio di maschere. Nel primo caso sarebbe un bel problema, visto che  come minimo Itori le verrebbe a strappare gli occhi davanti a tutti i suoi amichetti col cappotto dal colore discutibile.»

«Non voglio denunciare nessun’altra delle vostre attività», gli fece sapere Aiko, mantenendo i nervi saldi. Le mancava così poco a perdere del tutto la testa in una crisi. Eppure, in quel momento, sentiva di essere in debito con Uta. Non l’aveva denunciata e avevano ancora da risolvere quella cosuccia successa settimane prima. Quando lui aveva assunto il suo aspetto per coprirla. «Mi dispiace di aver fatto il tuo nome. Però Senza Faccia era l’unica persona che in effetti potevo star certa che non avrebbero mai catturato.»

«Sono lusingato.»

«E ne ho parlato con solo una persona.»

Uta annuì, pensieroso. «Va bene, non mi interessa. Volevo solo farti sapere che adesso hai ben due debiti con me.»

Aiko si irrigidì mentre il Clown le passava accanto per andarsene. Era davvero finita così, quella conversazione? Non aveva nient’altro da dirle?

Confusa, guardò verso il signor Yomo. Lui, dall’alto della sua impassibilità, si sentì solamente di darle un consiglio, prima di tornare a sua volta al locale.

«Se fossi al tuo posto, lascerei per sempre Tokyo.»

 

Non aveva parlato molto in auto, mentre lei e Ikari facevano ritorno alla sede della CCG per terminare il loro turno. Grazie al cielo il ragazzino era abbastanza logorroico da coprire i suoi silenzi con inutili congetture sul motivo per cui Moryemaru non gli volesse parlare.

Tutto quel chiacchiericcio l’aveva irritata così tanto da portarla a rispondere.

«Perché il tuo partner ha preso il suo fidanzato e lo ha ridotto in un milione di piccoli pezzettini. Era ridotto così male che non si capiva nemmeno cosa fosse in partenza, quell’ammasso di carne, quando è arrivata fra le mani di Aizawa per estrarre il kakuoh. Ti consiglio di non dirgli mai che lo usi come quinque se non vuoi perdere ogni chance con lui.»

Sorprendentemente, Naoki non aveva reagito con sorpresa. Aiko registrò il fatto che doveva sapere benissimo che al :re erano tutti ghoul, ma le parve strano. Non se ne erano mai accorti i Quinx, perché lui sì?

«Sei strana oggi. Cosa è successo nel retrobottega del bar?»

La mora distolse lo sguardo, spostandolo sul finestrino. Mentre il compagno di squadra parcheggiava, lei si sentiva sempre più stanca di quella giornata. Voleva solo tornare a casa e dormire una vita intera.

«Non sono affari tuoi, Nao. Ti prego di non mettere mai il naso in questioni che non ti riguardano», gli disse solo una volta scese dal veicolo, portando la valigetta nera di fronte  a sé mentre incideva lentamente verso l’ingresso principale. Il ragazzo dai capelli blu la seguì curioso, per nulla spaventato e soprattutto molesto.

«Se sei nei guai dovresti parlarne con Arima-sensei

«Non sono nei guai. Va tutto benissimo», mentì. Più a se stessa che all’altro.

Passò sotto al rilevatore di cellule rc, passando il badge per aprire il cancelletto dell’accetto al personale. Fece a mala tempo a compiere questa azione, che venne richiamata. Si voltò verso il bancone dell’accettazione, dove Eri, una delle nuove segretarie, sventolava un paio di buste nella sua direzione. Si avvicinò salutandola, mentre questa sorrideva giuliva. Per chi non doveva combattere, doveva sembrava un bel lavoro, quello dell’investigatore.

Eri poi aveva una vera e propria passione per i più prestanti dei colleghi di Masa. «Arima-san ti ha lasciato un promemoria. È davvero un bellissimo uomo anche dopo tutte queste ore di lavoro», le disse con tono sognante, strappandole un sorrisetto divertito. Naoki ridacchiò, mentre Aiko riceveva una busta chiusa e rigida. «Questa invece l’ha portata un fattorino prima.»

L’agente corrugò la fronte. «Non c’è l’indirizzo.»

Eri e Naoki si scambiarono un’occhiata stranita. «Ed è un problema?», domandò il collega, portando la mano libera nella tasca del cappotto.

«Direi di sì. Questa è una raccomandata, Nao. Come faceva il fattorino a sapere che io lavoro qui se non c’è l’indirizzo né il timbro dell’ufficio spedizioni postali?»

Calò il silenzio, poi parlò la segretaria. «Devo dare l’allarme bomba?»

Aiko sentì le punte dei polpastrelli iniziare a sudarle. «No, non farlo. Devo arrivare in laboratorio e accendere un disturbatore di segnale. Se è collegato a un trasmettitore ed è una bomba, potrebbero farla detonare da distanza.» Lesse il panico negli occhi della ragazza, così passò a Naoki la sua quinque, constatando che anche lui sembrava fatto di marmo. «Fate finta di niente. Ci penso io. Eri, mi serve che tu mi descriva questo fattorino.»

La segretaria cercò di non tremare, mentre si metteva lentamente seduta sul suo sgabello. «Stavo parlando con Fura-san quando si è avvicinato. Non ha detto niente, mi ha solo lasciato la postata e tra le tante buste c’era anche questa. Forse era biondo? Portava un cappellino.»

«Gli hai visto il viso?»

«Aveva una mascherina. Ho pensato fosse malato.»

Aiko si immobilizzò. Poi strinse la busta nella mano. «Non credo sia una bomba. Non sento fili. Andò comunque in laboratorio ad aprirla…. Così potrò usare quel disturbatore e passarla ai raggi x. Naoki, raccogli una testimonianza ma non fare rapporto, va bene? Non allarmiamoci, magari non è niente.»

Ikari annuì, «Va bene, Aiko.»

 

Una chiave elettronica per l’accesso alla Cochlea. Questo fu il contenuto della busta che non aveva il mittente, né riportava un biglietto o un motivo per il quale un passepartout  per il carcere di massima sicurezza più famoso di Tokyo dovesse arrivare nelle sue mani. Aiko lo tenne chiuso fra di esse per minuti interi, mentre sedeva nello spogliatoio della SIII. Lo rigirò fra le dita in cerca di una motivazione, spiazzata dall’assenza totale di razionalità nella sua vita. Prima veniva quasi uccisa dal suo mentore, poi entrata a far parte della miglior squadra della CCG, venendo al contempo ‘licenziata’ da Eto, per poi finire ricattata apertamente da Uta con tanto di testimone. La chiave della Cochlea inviata, presumibilmente, da Nagachika, era la ciliegina sulla torta.

Riflettendoci, era quasi del tutto impossibile che l’avesse portata lui stesso. Se fosse stato riconosciuto? Anche lui aveva lavorato per il bureau, infondo. No, non aveva senso. Un depistaggio quindi? A opera di chi?

«Aiko, mi stai ascoltando?»

Chissà da quanto tempo Arima la stava chiamando. Quando Masa si voltò verso la porta per guardarlo, portando la tessera nella tasca del cappotto, cercò di sembrare più rilassata possibile. In realtà voleva solo piangere, non si sentiva così frustrata da molti anni. «Scusami, ero distratta. Posso fare qualcosa per te?»

«Hai letto il mio promemoria?»

Lei annuì, «Devo passare da Noriko. Speravo di parlarne con te a fine turno in realtà.»

Lo Shinigami controllò l’orologio. «Il turno è finito un’ora e un quarto fa.»

Aiko realizzò la portata del suo problema solo quando le venne sbattuto in viso per quanto tempo si era chiusa in se stessa a ponderare ogni possibile via per districare quella matassa di prove senza conclusioni. Aveva fra le mani così tanti indizi senza senso da poterci scrivere dieci storie differenti.

«Possiamo parlare, allora?»

Lui le diede le spalle, iniziando ad allontanarsi. «No. Vai da Noriko e fai le sedute obbligatorie. Ci vediamo domani mattina alle nove.»

 

 

«Non ce lo voglio il daikon nella zuppa di miso, caposquadra!»

Urie non diede segno di aver sentito Saiko, nonostante questa stesse facendo di tutto per attirare la sua attenzione. Compreso tirare in modo insopportabile la sua camicia.

«Piace a tutti e poi è nutriente», rispose asettico, mentre affettava il ravanello, facendo almeno il favore alla ragazza di ridurlo a pezzettini davvero microscopici. Lei lo criticò con lo sguardo, prima di ricevere una mano fra le codine corte da parte di Hsiao. La taiwanita si sporse per prendere le salse aromatiche dal frigo e poterle mettere sul tavolo, lasciando così senza compiti l’altra. «Macchan non torna per cena? Nemmeno a lei piace il daikon

Urie alzò il polso sinistro, scostando con la punta del naso la manica della camicia, visto che con la mano destra stava continuando a mescolare la cena, così da non fare addensare il brodo. «Forse hanno trovato una pista.»

Higemaru, seduto sul divano, smise di provarsi la pettorina che avrebbero usato per l’assalto allo Psiche. «Ti ha avvertito, caposquadra? Perché non ha chiamato a casa.»

«Non ha chiamato nemmeno me!», si attaccò al suo braccio Yonebayashi, tirandolo verso il basso. «Se non torna entro un’ora non potrà salutarci prima della missione!»

«Sopravvivremo senza il suo sarcasmo», borbottò Aura dalla poltrona, appoggiandosi col gomito al bracciolo. «Adesso che ha una nuova squadra si è persa tante cene, cosa ha di speciale quella di oggi?»

Touma sbuffò, prima di lanciargli un cuscino che gli spettinò la spessa frangia. «Dici solo sciocchezze ultimamente! Se vuoi anche tu una promozione, lavora!»

«Nessuno è stato promosso qui! È solo passata a un’altra squadra!»

Urie tornò al suo brodino, scuotendo piano il capo. Era effettivamente tardi, ma non si sentì irrequieto. Aiko lavorava davvero tanto nell’ultimo periodo e lui poteva immaginarsela addormentata su un divanetto o su una sedia. Forse stava finendo di compilare un rapporto o ancora peggio, era stata coinvolta da Arima in qualche azione improvvisata. Non era così raro.

Prese un sorso dal cucchiaio di legno, isolandosi dal resto dei suoi compagni che continuavano a parlare con tono alto, al loro solito, cercando di capire se la zuppa fosse sufficientemente salata. Prese un paio di foglie di alga wakame, ma non la aggiunse subito. Prima gettò uno sguardo al suo cellulare, che squillava appoggiato sul ripiano della cucina.

Aizawa.

Un senso di malessere misto a negatività lo colsero. Non aveva voglia di andare di nuovo a recuperarlo ubriaco, giacché avevano in mente quell’assalto improvvisato ai danni dei Clown. Poteva pensarci Shimura, per una sera.

Spense lo schermo e riprese a cucinare.

Riuscì a ignorare quella prima chiamata, così come la seconda.

Alla terza però s’irritò leggermente.

«Ovunque tu sia, la risposta è no. Sapevi che stasera il taxi non sarebbe stato a disposizione. Chiama Shimura o prenota un autista che ti riporti a casa.»

-Cookie, hanno arrestato la tua fidanzata.-

 

«Cookie, hanno arrestato la tua fidanzata.»

Il patologo ci andò con i piedi di piombo per due motivi: non esisteva un modo piacevole per dare quella notizia e voleva vendicarsi di Urie perché si era posto in modo così sgarbato. Quando però l’altro non rispose, gli dispiacque un pochino.

Solo un po’ però.

«Ti è venuto un colpo?»

-Non ho capito in che senso, Aizawa. Spiegati meglio.-

Il biondo alzò le spalle, tenendo la mancina nel camice. «Non esiste un altro ‘senso’ alla mia affermazione. Hanno arrestato Aiko. Ti dirò di più, la stanno ancora arrestando. Tra poco la porteranno via. Ha detto che ci penserà Ui.»

Gli occhi chiari di Ivak non si spostarono nemmeno per un secondo dalla figura di Masa, seduta su un gradino della scalinata. I capelli neri le coprivano il viso, nascondendo la sua espressione ai suoi occhi, mentre una camicia costrittiva, rinforzata con acciaio quinque e bande elastiche rigide, le avvolgeva il busto tenendole ferme le braccia e impedendole di attivare con facilità la kagune.

L’avevano legata esattamente come avrebbero fatto con qualsiasi altro ghoul pericoloso e in quel frangente, Aizawa non si sentiva di biasimarli.

Le sue labbra presero una piega amareggiata, mentre la barella che trasportava Noriko gli passava accanto. Se non avesse saputo per certo che quella era la psicologa del dipartimento, probabilmente non l’avrebbe riconosciuta con facilità.

-Cosa è successo? Cosa ha fatto?-

«Ha usato la kagune contro un membro del dipartimento.»

-Chi?! Aizawa, dimmi cosa diavolo è successo o giuro che…-

«Noriko.» Il medico si schiarì la voce, dando le spalle allo speciale Ui, che si stava avvicinando di nuovo a Masa, chinandosi su di lei per dirle qualcosa. Non poteva sentirlo, ma dalla sua faccia scura, non dovevano essere buone notizie. «Non so di preciso cosa è successo, va bene? Io sono salito al piano terra quando è suonato l’allarme. A quel punto, Aiko aveva già fatto questa cazzata. Ho provato a chiedere in giro e tutto quello che sono riuscito a scoprire è che Aiko ha aggredito Noriko.»

-Chi te lo ha riferito?-

«Mengwi e Katsuko. Erano alla macchinetta del caffè quando la porta dell’ufficio della psicologa si è scardinata e lei è volata contro la balaustra di metallo. Se non ci fosse stato il parapetto, l’avrebbe scaraventata direttamente nella hall. Urie, Aiko aveva ancora la kagune sfoderata quando Ui l’ha fermata.»

Insieme alla porta, se n’era andato anche un pezzo di muro e quella balaustra che aveva appena citato si era leggermente piegata contro la schiena della donna. Aizawa si chiese che danni interni avesse riportato, oltre a quelli evidentemente esterni.

Sperò che quel colpo non l’avrebbe ammazzata, o avrebbe segnato la condanna anche di Aiko.

-Sto arrivando-, decretò Urie, mentre delle voci confuse sullo sfondo andavano sovrapponendosi e poi allontanandosi. –Informati su dove la portano, va bene?-

«Al Corniculum. Vai nella dodicesima. Io vedo di far pena a qualcuno così da scroccare un passaggio sul blindato che la trasporterà.»

Il capo dei Quinx chiuse la chiamata, facendo così abbassare il braccio del medico.

Aizawa sospirò grave, guardando Aiko, mentre questa venne fatta alzare da Kuramoto, sotto lo sguardo deluso di Koori.

Cosa diavolo hai combinato, Aogiri?

 

Continua …

 

 

 

 

  
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