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Autore: Crilu_98    07/11/2018    1 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Sattias scartò di lato appena in tempo per evitare gli zoccoli di un guerriero che puntò verso il centro del villaggio mulinando una spada corta: alte grida di furia, paura e dolore iniziavano a riempire la notte ed il ragazzo, d’istinto, si voltò a controllare Sabidia.
Tirò un sospiro di sollievo quando la vide ben nascosta tra un cespuglio di rovi, dove solo gli occhi terrorizzati potevano rivelare la sua presenza.
“Rimani lì!” ordinò, afferrando la spada di bronzo e correndo alla ricerca degli amici con il cuore in gola. La pesante arma sbatteva contro la sua coscia ad ogni passo:
Ma sarà inutile contro di loro!” pensò, con un singulto di orrore, quando vide un guerriero decapitare Grandalbero con un colpo netto.
“Laktéa!” gridò, tentando di sovrastare il rumore dello scontro “Manlios! Hostius! Etrilia, dove siete?”  
Il panico ebbe il sopravvento sulla sua mente e Sattias vacillò, sentendosi improvvisamente troppo piccolo e debole, un bambino da proteggere piuttosto che un difensore; la prudenza e l’astuzia valevano a poco in quella carneficina. Quando un guerriero lo assalì alle spalle cadde in ginocchio, quasi perdendo la presa sull’elsa della spada, sperando, intimamente, che la lama fredda e spietata del nemico ponesse fine a quell’angosciosa responsabilità… Essere un re incapace di difenderli…
Una freccia centrò con inconfondibile maestria la tenera carne alla base del collo quando l’uomo fu abbastanza sciocco da esporla alla luce delle fiamme; alle sue spalle, il ragazzo avvertì due presenze familiari. Hiccia aveva già puntato l’arco di Pileius altrove e stava attentamente cercando un altro punto debole nelle armature dei nemici; Hostius, invece, lo aiutò a rialzarsi senza dire una parola.
“Gli altri?” chiese Sattias, la voce resa roca dal fumo e dalla paura.
“Avevano preso Etrilia e Pileius è corso ad aiutarla!” ringhiò Hostius e una luce feroce gli illuminò i lineamenti squadrati “Ho perso di vista Manlios e Laktéa quando questi spiriti infernali ci sono piombati addosso! Non hanno fatto alcun rumore, nonostante le cavalcature!”
“Se quello che il popolo delle capre dice è vero” mormorò Hiccia, scoccando una freccia che trapassò il ginocchio di un guerriero, facendolo crollare a terra tra urla di dolore “Allora sono anni che si esercitano con queste imboscate. Non se ne andranno senza il loro bottino!”
Hostius strinse i pugni:
“Beh, il loro bottino dovrà fare a meno di noi!”
Sattias aveva ancora la gola stretta dal timore: non solo per Manlios e per Laktéa, che aveva giurato di proteggere… No, con una punta di vergogna si rese conto di temere soprattutto per sé stesso.
“Non sono un guerriero, non ho alcuna possibilità contro questi uomini. Non voglio morire…”
Poi, però, la sua attenzione fu catturata da una scena che gli fece gelare il sangue nelle vene: riuscì finalmente ad individuare – tra gli uomini che combattevano e le donne che urlavano, tra le capre che belavano, impossibilitate a fuggire dai recinti, e i bambini e i vecchi che piangevano davanti a tanta crudeltà – Manlios. E nell’attimo stesso in cui lo vide, Sattias capì che sarebbe morto: perché aveva messo un piede in fallo, stava cadendo senza alcun appiglio da afferrare, senza scudo né altra difesa, e non c’era modo di fermare la spada che scendeva implacabile verso il suo capo…
Ci fu un lampo, un guizzo talmente veloce che se avesse sbattuto le palpebre non lo avrebbe visto: per un folle istante pensò che fosse il picchio di Mamerte, sceso sul campo di battaglia per difendere il suo popolo, invece era Laktéa, che era balzata giù dall’albero su cui si era rifugiata ed aveva azzannato il collo dell’uomo con la stessa crudeltà sanguinaria di un lupo. Il guerriero urlò, ma ormai il sentiero dalla lama era tracciato e la testa di Manlios rotolò a terra, divisa dal corpo, inondando la roccia di sangue scuro.
Laktéa cadde di lato, soffiando minacciosa all’indirizzo dei nemici che la stavano circondando, mentre da qualche parte arrivò l’urlo inarticolato di Etrilia, che si divincolò dalle braccia di Pileius e corse verso il marito, o quel che ne restava.
Per tutta la sua vita, anche quando la memoria e la mente avrebbero iniziato a venir meno, Sattias avrebbe ricordato con estrema precisione tutti i dettagli di quella notte: gli occhi inespressivi di Manlios, che tante volte l’avevano osservato con affetto, spalancati sul cielo che non avrebbero mai più potuto vedere; il suo corpo che lentamente cadeva a terra, privo della vita e dell’energia che lo avevano animato fino a poco prima, e poi quello più piccolo e fremente di Laktéa mentre le strappavano le vesti di dosso, i suoi lamenti ed il fuoco, sempre più vicino, pronto a divorare ogni cosa…
Il timore divenne rabbia, il dolore ferocia. E al ragazzino impaurito si sostituì un uomo.
 
Laktéa riuscì a colpire con un calcio il ghigno arrogante del soldato quando quello fu abbastanza incauto da sollevare l’elmo per osservarla meglio. L’attimo in cui l’uomo allentò la presa sui suoi fianchi fu sufficiente per divincolarsi e svicolare via come un’anguilla, uno di quei pesci sinuosi che la sua gente catturava con lunghi spiedi fatti di canne. Il sangue su cui continuava a scivolare aveva la stessa consistenza appiccicosa e viscida della pelle di quei pesci, ma era molto più scuro e sprigionava un odore penetrante che rischiava di darle alla testa. I guerrieri erano tutt’intorno a lei, Laktéa sentiva le loro risate, percepiva il loro fiato sul corpo che avevano parzialmente spogliato e gli occhi sulle sue gambe nude; non osava voltare il capo di lato, perché sapeva di non potersi permettere distrazioni come il corpo massacrato di un amico riverso sull’erba.
Viaggiava con i Pikentii da pochi giorni, ma erano bastati affinché Laktéa capisse di aver trovato in loro una nuova casa: avevano diviso il pane con lei senza esitare, le avevano offerto il calore del loro fuoco e la protezione delle loro armi.
E poi c’era Sattias. Sattias che l’aveva salvata, accolta ed accettata nonostante fossero così diversi; Sattias che la capiva senza dover conoscere la sua lingua, perché gli era sufficiente osservarla con i suoi saggi e profondi occhi verdi; Sattias che forse giaceva scomposto da qualche parte, come il suo migliore amico, mentre la sua anima scendeva nella terra dei morti piangendo la luce ed il vigore abbandonati troppo presto…
Laktéa non credeva negli dei, di questo era certa: li aveva invocati fino a seccarsi la gola quando era stata catturata, ma nessuna divinità era balzata fuori dalle edicole di legno poste nei boschi sacri per correre in suo aiuto. Tuttavia, quasi inconsapevolmente, quando riconobbe nell’assassino di Manlios quel volto teso in un crudele sorriso di vittoria, Laktéa pregò.
“Ho due possibilità” pensò poi, acquattandosi sui talloni e liberandosi della pelliccia di lupo che la impacciava nei movimenti “Morire trascinando questi bastardi con me fino alla porta di Culsu o vivere per vedere nuovi orrori.”
Non era poi una scelta così difficile.
Ma proprio mentre lui si chinava per sollevarla dal terreno e caricarla sul suo cavallo, mentre lei gridava di rabbia preparandosi a colpirlo con il coltello duro e freddo che stringeva tra le dita, la punta di bronzo di una lancia trapassò il collo della cavalcatura.
La bestia nitrì, imbizzarrita, prima di crollare sulle ginocchia nodose e rovinare a terra; il guerriero, però, era molto più abile di tutti i suoi compagni ed era già balzato a terra, atterrando ben saldo sulle gambe. Dietro il cavallo agonizzante, sullo sfondo del villaggio in fiamme, si stagliarono tre volti assetati di sangue: Hostius, i denti storti stretti in un ghigno feroce, si abbatté come una furia sui guerrieri sconcertati, strappando ad uno la spada ed utilizzandola per massacrare gli altri; Pileius, con gli occhi cangianti accesi dal dolore, aveva abbandonato l’arco e con grazia ed agilità sferrava precisi attacchi con il coltello, recidendo tendini e giugulari. Sattias piantò a terra lo stendardo con un suono secco e il picchio verde sembrò prendere il volo mentre il pezzo di stoffa veniva agitato dal vento: i capelli bruni erano sporchi di cenere e sangue e la sua pelle riluceva per il sudore mentre a grandi passi si dirigeva verso Laktéa.
Il capo dei guerrieri lo osservò pensieroso per qualche istante, prima di gridare un comando secco che fece accorrere in suo soccorso numerosi uomini.
Il cuore della ragazza mancò un battito quando li vide lanciarsi sul giovane come lupi affamati, ma Sattias non perse mai la calma: con lo sguardo glaciale fisso sull’assassino di Manlios affrontò un nemico dopo l’altro senza mostrare pietà. Miracolosamente la lancia non venne spezzata dalle lame di ferro e quando alla fine i due si trovarono faccia a faccia, attorno a loro giacevano numerosi corpi insanguinati.
Il guerriero scoppiò a ridere, una risata rauca e sinceramente divertita, prima di togliersi l’elmo, rivelando lineamenti squadrati, una pelle baciata dal sole e una lunga capigliatura bionda.
E’ giovane” si disse Sattias, studiandolo alla ricerca del suo punto debole “Sembra avere la mia stessa età.”
Lo straniero mormorò qualcosa nella sua lingua, stendendo le labbra carnose in un sorriso beffardo mentre estraeva la lunga spada, che alla luce del fuoco mandava lampi argentati.
Laktéa li vide correre l’uno verso l’altro senza riuscire a reagire: rimase ad osservarli combattere, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime quando vedeva la lama tagliente della spada sfiorare troppo da vicino il corpo del ragazzo.
Ad un tratto Sattias affondò la lancia sotto il braccio teso del nemico, trovando la carne morbida del fianco: tuttavia, seppur barcollante ed accecato dal dolore, l’altro non cadde, anzi, scartò di lato così velocemente che Sattias non fece in tempo ad estrarre l’arma e la lancia si spezzò con un sonoro schiocco, che risuonò come un tuono nonostante le grida ed il roborare del fuoco.
E’ perduto!” pensò Laktéa, trovando finalmente la forza di rizzarsi sulle gambe malferme e guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa che l’aiutasse a salvarlo.
Non ne ebbe il tempo, però, perché mentre il guerriero si slanciava su Sattias, zoppicando per la punta di lancia che aveva ancora infissa nel fianco, Hiccia, poco distante, alzò l’arco e scoccò: la freccia disegnò un arco perfetto nel cielo buio e calò implacabile sul nemico, trapassandogli la fronte. Lui rimase in piedi qualche altro istante, con la bocca aperta nell’ultimo grido di guerra e gli occhi che si spalancarono stupefatti mentre la luce della vita li abbandonava; poi cadde a terra, scomposto, affondando il viso nel terreno già umido di molto altro sangue.
Sattias, ansante, voltò le spalle al cadavere, incurante delle urla degli invasori che si ritiravano scompostamente dopo la morte del loro capo; non gli importava neanche del magnifico bottino – l’armatura, la spada magica, lo scudo – che si lasciò alle spalle e che gli venne sottratto quando i nemici sollevarono il corpo per portarlo via.
Si accorse di star piangendo solo quando le lacrime gli offuscarono la vista; avvertì delle piccole mani accarezzargli le guance per asciugarle e la gratitudine nei confronti di Laktéa, oltre che il sollievo di saperla sana e salva, minacciarono di farlo svenire.
Quando il momento di debolezza passò, Sattias si trovò davanti uno spettacolo inaspettato: i sopravvissuti del popolo delle capre si aggiravano come fantasmi attorno alle loro capanne distrutte, invocando i nomi dei cari dispersi, ma i suoi amici erano tutti raccolti attorno allo stendardo che sventolava sotto la debole luce dell’alba. Hostius e Pileius avevano deposto lì sotto il corpo mutilato di Manlios ed Etrilia sedeva a gambe incrociate in mezzo a loro, accarezzando con disperata devozione la testa che teneva sulle ginocchia.
“Eccolo lì, il mio popolo” pensò, ed un moto d’orgoglio gli scaldò il petto, attenuando un poco il dolore per la perdita dell’amico. Rimasero in silenzio a lungo, assaporando l’incredibile sensazione di essere ancora vivi contro tutte le previsioni, percependosi per la prima volta non come un gruppo di ragazzi condannati dal destino, ma come una famiglia unita nel lutto.
“Dobbiamo seppellirlo” mormorò Sattias alla fine.
“Qui?” domandò Etrilia con voce tremante. Era la prima volta che la vedevano smarrita e confusa. Era evidente che il pensiero che avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle anche la tomba del marito, per non rivederla mai più, la riempiva di sgomento. Sabidia le posò le mani sulle spalle:
“Gli costruiremo una bella tomba e chiunque passerà da questi monti si fermerà ad onorarlo. Lo sai che non possiamo fare altrimenti.”
 
“E’ una bella tomba davvero” pensò Sattias qualche giorno più tardi davanti alla bassa e tozza montagna di pietre che indicava il luogo in cui riposava il corpo di Manlios. Quando il dolore della perdita fu tale da costringerlo ad allontanare lo sguardo, Sattias lo posò sui compagni che rendevano a Manlios l’ultimo tributo; ognuno di loro aveva infilato nel sudario un piccolo oggetto che speravano potesse essere utile all’amico nell’aldilà. Perfino Laktéa, evidentemente estranea a quell’usanza, non aveva esitato a poggiare sul cuore del ragazzo il piccolo coltello di selce che portava infilato nel mantello di pelliccia.
“Credete che torneranno presto?” chiese Hiccia, osservando, pallida in volto, la devastazione che i guerrieri avevano portato nel villaggio. Con grande sorpresa di tutti, a rispondere fu Laktéa:
“No presto” mormorò, lanciando una veloce occhiata spaventata a Sattias “Sattias uccide figlio di Diomedas. Diomedas furioso, ma funerali prima di tutto. Dopo… Dopo Diomedas cerca uomo con picchio.”
Le minacciose implicazioni di quella scoperta aleggiarono per qualche istante nell’aria, prima che Sattias scuotesse il capo bruscamente, come per scacciare una mosca:
“Non è prudente avventurarci oltre da soli, dato che siamo un piccolo gruppo: Diomedas e i suoi guerrieri troverebbero facilmente le nostre tracce e noi non saremmo in grado di respingerli. Il popolo delle capre va a nord… Uniamoci a loro. Conoscono la strada meglio di noi e saremo al sicuro.”
Etrilia, che quella mattina non aveva ancora aperto bocca, stirò le labbra in un sorriso sinistro:
“Non l’hai ancora capito, Sattias? Finché Diomedas avrà respiro, noi non saremo al sicuro in nessun luogo…”


Angolo Autrice: 
Sono cattiva? Sì, sono cattiva. Ma questo era un mondo spietato, quindi era improbabile che tutti giungessero vivi alla fine del viaggio :(

   Crilu

 
   
 
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