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Autore: Xeimona    08/11/2018    1 recensioni
Un paese in ricostruzione, un amore multietnico al sapore di more.
(Gradite recensioni)
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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More Selvatiche
 
Spalancai le tende lasciando che il sole entrasse dalla finestra aperta. I raggi illuminarono la stanza e un delizioso profumo di lavanda mi avvolse.
Piccoli fiori lilla adornavano ogni angolo dell’ambiente, da qualche parte qualcuno suonava e lasciava vagare le note nell’aria.
- Clara, il dolce è pronto!-
-Arrivo mamma.-
Il vestito color crema si sollevava con tante piccole onde ad ogni gradino. La cucina emanava un odore delizioso, le mele avevano dato alla torta un aspetto invitante, di delizia dorata.
 
 
 
Vivevamo in campagna, lontano da tutto, la guerra ci aveva raggiunto, ma con poche risorse avevamo mantenuto insieme la famiglia. Gli aiuti americani erano stati un’ancora di salvezza e lui era stata la mia.
Ci aiutò a ricostruire una stalla per una piccola pecorella che avevamo trovato, simbolo di vita in un mondo straziato.
Aveva occhi color del ghiaccio il mio soldato, piccolo naso aquilino, labbra carnose ed un sorriso capace di far fiorire il mondo. Con la camicia bianca sbiadita, tirata su fino al gomito sfruttò i pochi pezzi di legno rimasti per creare un piccolo rifugio alla creatura ritrovata.
Il sole gli imperlava la fronte, le giornate diventavano sempre più calde e i suoi capelli ambrati iniziavano a crescere incolti.
Non parlava mai, ascoltava e rideva spesso, la sua risata cristallina echeggiava nella valle, meravigliosa, quasi recando affronto alla desolazione del mondo intorno.
In Italia da un paio di anni, comprendeva i nostri discorsi e ammirato ci contemplava mentre tentavamo di piantare semi nuovi e di far ripartire la nostra terra.
Un giorno, mentre raccoglievo more selvatiche lo sorpresi a dormire dietro un masso con il sole che gli illuminava il viso, rimasi ad osservarlo; memorizzai la curva degli zigomi, i piccoli nei sulle gote e mentre stavo per voltarmi per andar via un piccolo sorriso fece capolino all’angolo delle sue labbra.
-Hi.-
Il rossore divampò sulle mie guance e con un cenno della mano scappai via a passo veloce verso casa.
Con la nuova alba mi recai nuovamente alla roccia e un gruzzolo di frutti rossi vi era posato con sopra un piccolo biglietto di carta
“Hi, Pete”
Nel corso del tempo frutti nuovi adornavano la pietra dell’incontro: pere selvatiche, piccole mele, poi noci, castagne ed infine più nulla.
 
Con l’arrivo dell’inverno il mio Pete era svanito, seduta in giardino mi rintanavo nelle coperte di lana grezza e vagavo nel vuoto ricordando i particolari della camicia rovinata sui bordi, una piccola cicatrice sul gomito destro che risaltava a contrasto con la pelle baciata dal sole, nei miei sogni la sua risata cristallina echeggiava nelle campagne ed ogni giorno tornavo alla roccia lasciando un piccolo segno del mio passaggio.
Passò più di un anno dall’ultimo dono del mio soldato e portavo con me il rimpianto di non avergli detto il mio nome, di aver colmato il cuore con sole due parole e nulla di più, senza aver mai conversato, senza aver mai ricambiato il suo sorriso, persa negli occhi glaciali di uno sconosciuto; forse accantonata nelle memorie di un passato archiviato da parte di chi è andato avanti.
 
 
Una lacrima mi scese giù per la guancia, goccia di rugiada riempita di ricordi; mi affrettai ad asciugarla.
-Tesoro, la torta puoi poggiarla lì. –
Mia madre m’indicò un cestino vicino la porta, ognuno in paese stava preparando qualcosa per festeggiare i primi frutti della stagione, dono dei campi non più minati.
Intrecciai piccoli fiori di campo ai capelli e seguii la strada maestra, i bambini correvano elettrizzati cantando “E’ tornato “
 
-Clara! Clara! E’ tornato!-
Saltellavano così per le vie non battute.
Scambiai un uovo con tre piccole pesche, scelsi la più minuta e matura per andare a donare , ormai per abitudine, un omaggio alla roccia dei miei più dolci e platonici ricordi.
Sdraiato dietro la roccia il mio soldato prendeva il sole : -Ciao, io sono Clara-
Lo stesso sorriso dolce gli adornò il viso.
Mi prese la mano e vi posò sopra una minuscola ciliegia.
 
 
Era l’Estate del 1948; l’Estate in cui riuscii a ricambiare il sorriso più dolce del mondo e nuovamente nelle campagne echeggiava la sua risata cristallina, questa volta in armonia con il mondo in fiore circostante.
 
 

 
 
   
 
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