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Autore: Endorphin_94    08/11/2018    1 recensioni
Chi sei? Cosa vuoi da me? Perché mi guardi così?
Perché quando combatto con te tutto intorno scompare?

Non sarà per niente facile per Ichigo arrivare in fondo alla storia, alla fine della guerra, se inizierà a fare di testa sua. Se si perderà alla ricerca di qualcosa di diverso, all'inseguimento di sensazioni e poteri sempre più appaganti.
E soprattutto se allontanerà le persone vicine mentre gli avversari si avvicineranno sempre di più.
Remake di Extraterrestrial, con sorprese. Spiegazioni nell'intro.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5

Il sole di aprile

 
 
 
~ Kiss me
Ki-ki-kiss me
Infect me with your love
And fill me with your poison

 
 
 
La luce appare scintillando e illumina quella realtà liquida e fredda in cui possono parlare.
Eccoti, le sorride. Hai visto? Sapevo che sarebbero stati loro a cercarmi, prima o poi. È bastato aspettare.
La luce annuisce, sinceramente contenta.
Vogliono che li guidi, che apra loro la strada, riconoscono il mio potere, ma non sanno molto di me… immagino sia passato parecchio tempo.
La luce oscilla piano e si sposta interrogativa.
No, di te credo non sappiano proprio nulla, devono essere diventati degli idioti. Vogliono solo questo pianeta. Chissà poi cosa ci trovano di così meraviglioso, specie per come è ridotto ora…
Si guarda intorno nell’acqua blu illuminata dalla sua luce. Lei lo guarda di nuovo timidamente.
Assolutamente, le cose non cambiano: io farò quello che avevo deciso e mi che mi sono preparato a fare, le risponde. Arriveranno tra 15 anni di questo pianeta. In effetti non sono molti, credevo di averne di più... Insomma, l’avresti mai detto che, dopo tutto il tempo passato qui, avremmo più avuto fretta?
Ride, o almeno così gli sembra di fare e la luce ride con lui.
È arrivato il nostro momento.
 
 
 
«Momomiya-san! Ma non è possibile!»
Mi alzo di scatto dritta sulla sedia, appena la voce della professoressa arriva a trapanarmi i timpani.
«Eehh??! Sì, eccomi!»
Stavo dormendo in classe durante la lezione. Niente di nuovo insomma.
«Ripeta quello che ho appena detto, per favore».
«Ecco, io… allora… ehm, i triangoli, giusto?» farfuglio. Che imbarazzo!
«Potrebbe anche essere un po’ più precisa. Oppure raccontare a tutti quello che stava sognando».
Arrossisco senza sapere aggiungere altro. Vorrei scomparire. Spero non mi spuntino le orecchie e la coda!
La lavagna è piena di strani disegni di figure geometriche e formule incomprensibili. L’altra opzione non è migliore: nemmeno me lo ricordo quello che stavo sognando! Ma perché deve succedere a me?
I miei compagni di classe ridono di gusto al mio silenzio imbarazzato, Miwa e Moe più discrete mi guardano interrogative. Non è certo la prima volta che vengo richiamata perché mi appisolo in classe, specie da quando sono per metà gatto. Inoltre questa volta ho anche qualche ora di sonno arretrata…
La prof zittisce severamente la classe.
«Silenzio, voi! Momomya-san, per punizione prenderai tu il turno di pulizia dell’aula a fine giornata».
Perfetto.
Tra qualche altro risolino rivolto a me, la spiegazione riprende e io cerco di mettercela tutta per ascoltare, ma è tempo perso: è tutto il semestre che sono indietro, io e la matematica viviamo in mondi paralleli. Certo, se Shirogane non mi tenesse tutte quelle ore extra al Café, per di più a farmi le sue ramanzine paranoiche, avrei di sicuro più tempo per studiare! Oppure potrebbe darmi ripetizioni, genio com’è!
Comunque devo assolutamente fare qualcosa, o rischio grosso agli esami finali… e sarebbero i miei genitori a minacciare la mia sopravvivenza, altro che alieni!
Il resto dell’ora trascorre noioso e la successiva lezione di storia ancora di più. Trovo molto più interessante osservare la bellissima giornata di sole che si vede dalle finestre. I profili dei grattacieli splendono alla luce come tanti diamanti, il cielo è azzurrissimo e tira un bel vento che spazza via la foschia.
Non riesco a credere che fino a poco fa ero in cima a uno di quei palazzi… Seduta accanto a Kisshu.
E poi in mezzo a chissà quale bosco, sempre insieme a Kisshu.
Se non fosse per il fatto che mi sento cascare le palpebre dal sonno da tutta la mattina, sarei tranquillamente sicura che sia stato tutto un sogno.
Ma ora sono troppo rintontita per rimuginarci.
«Momomiya-san! Stia attenta per favore».
Ecco, di nuovo, sempre a me…
 
Quando finalmente suona l’ultima campanella, tutti escono per andare a casa, carichi di una nuova lista di compiti e pagine da studiare per il fine settimana. Miwa e Moe si fermano a salutarmi un po’ dispiaciute per il mio ingiusto destino, quindi se ne vanno anche loro e resto sola in classe.
Mi trascino verso l’armadio delle scope con la flemma di una condannata a morte.
Avanti, Ichigo, se ti muovi finirai in fretta.
Oppure potrei scappare facendo finta di aver pulito.
Certo, così domani la prof mi darà il turno ogni giorno fino alla fine dei tempi.
Uff…
Sbuffo rivolta alla scopa, quindi inizio di mala voglia a spazzare il pavimento.
Perché mi devo beccare anche le punizioni? Già tiro a lucido da cima a fondo il Café Mew Mew quasi ogni giorno, con quel biondo dispotico e Minto a darmi ordini, praticamente passo la vita a pulire!
Forse avresti dovuto pensarci prima di addormentarti in classe come una zotica.
Immagino Aizawa che mi apostrofa seduta al tavolino del Café, col suo tè in mano e il suo sguardo altezzoso e faccio per lanciarle addosso lo straccio.
«Non è colpa mia!» grido all’aula vuota. «È il mondo che ce l’ha con me!»
“Smettila di fare scenate, Momomiya, sei solo capace di lamentarti.”
Mi giro verso la cattedra immaginando di incenerire con lo sguardo un irreale Shirogane con le mani dietro la testa.
«Tu! Non provare a farmi la predica, che ho ancora addosso la rabbia da ieri!»
Sposto energicamente una sedia da un banco, tanto da farla cadere. Incurante spazzo il pavimento sotto, raccogliendo almeno dieci carte di caramelle appiccicose.
Che ingiustizia. Se lavoro, nessuno lo riconosce. Appena mi lamento, lo vedono tutti.
Tiro su la sedia e passo oltre.
Devo studiare, ascoltare i miei genitori, lavorare al Café da brava ragazza che fa quello che le dicono di fare. Ah, già, devo anche lottare e guidare la squadra Mew Mew contro quei dannati alieni, però sempre stando buona buona agli ordini di quel presuntuoso, senza fare mosse avventate o che non vanno bene agli altri, altrimenti cade il mondo!
Stringo con rabbia il manico della scopa tra le dita e mi mordo le labbra irritata.
Impulsiva. Non pensi prima di agire.
Non puoi fare quello che vuoi tu. Segui il piano.
Non metterti in pericolo.
«Vi farò vedere quello che so fare, tutti voi lo vedrete!»

Mi distraggo a guardare le cime degli alberi mosse dal vento fuori dalla finestra.
E sbadiglio, ammorbidendo un po’ la rabbia.
Questa situazione mi sta facendo impazzire.
Alla fine è colpa della notte passata in bianco se mi sono addormentata in classe. Quindi non di Minto o Ryo. Sono io che ho deciso.
Avrei proprio dovuto dormire ieri sera invece che uscire con Kisshu.
Ma perché l’ho fatto?
Non l’ho realizzato per tutta la mattina, ma ora credo proprio sia successo davvero. I ricordi scorrono frenetici e disordinati, ma non lasciano dubbi. Prima Kisshu a casa mia, poi il palazzo e il suo pianeta, il mio campanellino, la foresta con la pioggia…
L’ennesimo combattimento, eppure anche questo aveva qualcosa
Uff… basta, non ha senso, mi sta esplodendo il cervello.
Riprendo a pulire chiudendo con decisione la testa a questi pensieri e mi concentro: prima finisco, prima esco da qui.
Finito il pavimento, passo al secchio e allo straccio. Quanto sono luridi i banchi a fine giornata, ogni volta che ho il turno me ne accorgo. Un giorno dovrei chiedere a Retasu di venire a darmi una mano, uno dei suoi Retasu Rush sparato per l’aula mi farebbe davvero comodo…
Alzo la testa per stringermi un codino che mi si sta sciogliendo, ma…
«Nyaaahhhh!!!»
*CRASH * TONF * SPLASH *

Ahi.
Distesa sul pavimento, per qualche secondo resto attonita con un dolore al sedere che pulsa fino alle orecchie. Quando poi dell’acqua fredda arriva a bagnarmi lentamente una scarpa fino al calzino, mi alzo di scatto per sfuggirla e accorgermi che tutta l’acqua del secchio è finita sul pavimento in una bella pozzanghera grigia, con in mezzo la scopa e la sedia contro cui sono inciampata indietreggiando per lo spavento.
«Ma che accidenti…?»
Dall’esterno proviene una sonora risata da ragazzino, che ho sentito troppe volte per non riconoscere. Questa me la paga cara.
Con il volto rosso di rabbia, percorro a grandi passi la classe e apro con decisione la finestra, apostrofando la causa del mio disastro: «Kisshu! Che diavolo fai qui?!»
«Ehi Koneko-chan!» risponde lui come se nulla fosse. Sta ancora ridendo a crepapelle. «Hai un modo tutto tuo di fare le pulizie, vedo».
«Mi hai fatto quasi venire un infarto!»
«Come sei esagerata, micetta, mi lusinga vedere che sobbalzi al solo vedermi… stavo solo facendo un giro».
«Certo, un giro, proprio alla mia scuola?»
«Ma come, io vengo a trovarti ed è questa la tua accoglienza? Non si trattano così gli amici».
«Noi non siamo amici
«Come ti pare, volevo solo vedere cosa facevi tutto il giorno...»
Si guarda intorno distratto e vedo i suoi occhi allargarsi alla vista di due ragazze che escono dal portone della scuola e attraversano il piazzale.
«Oh, ma ci sono delle altre bamboline in giro!»
Accidenti! Abbasso la voce: «È anche per questo che non devi venire qui, qualcuno potrebbe vederti!»
«Cos’è, ti vergogni di me?» sogghigna.
Qualcosa in me sente un invitante odore di sfida.
«Magari sarai tu a vergognarti se ora le persone ti vedessero mente Mew Ichigo ti prende a calci nel sedere».
«Allettante… Però a me sembra che ‘Mew Ichigo’ ora sia troppo impegnata a mettere sottosopra questa stanza». Ghigna mellifluo.
Io arrossisco arrabbiata senza saper controbattere.
«Non è vero, io non…»
«Oh, ma era un complimento, secondo me stai facendo un ottimo lavoro» ride lui. «E come mai sei tutta sola? Io speravo di conoscere qualcuna delle tue amichette…»
Prima che glielo possa impedire, Kisshu si siede comodamente sul davanzale della finestra e sbircia curioso nella mia classe, io arretro sulla difensiva. Quindi sembra avere un’intuizione e alza un sopracciglio.
«Sei in punizione
«Fatti gli affari tuoi!» avvampo. Istintivamente scatto in avanti per dagli uno spintone, ma neanche a dirlo, quel codardo si smaterializza.
Riappare in piedi dove era prima, fuori dalla mia portata.
«Ah ah, piano, so che non vedi l’ora di mettermi le mani addosso, ma non mi sembra il caso di scaldarti così…»
«Sparisci, Kisshu» ringhio al limite della pazienza.
«Va bene, va bene, sparisco. A proposito, ci vediamo stasera alle undici».
«Cosa?! Come stasera
«Abbiamo da fare, non ricordi?»
«Io non ti ho mai detto che-…»
«Poco fa hai detto che ‘gli farai vedere quello che sai fare’ e sembravi parecchio convinta».
Se ancora qualche centimetro del mio volto non era arrossito, lo sento diventare di ogni colore.
Accidenti a Kisshu.
«Come ti permetti di origliare, adesso me la paghi!»
Infilo la mano in tasca alla ricerca del ciondolo, ma temo sia nella borsa. Kisshu ne approfitta per allontanarsi in volo.
«Tieniti questo spirito per stasera, io ora devo andare Koneko-chan! Mi ha fatto molto piacere venire qui oggi. Non addormentarti, mi raccomando, ti voglio in forma!»
«Brutto stupido, io-…»
*CRASH*
Ad uno schiocco delle dita di Kisshu, il secchio di prima si rovescia di nuovo e mi tocca correre ad asciugare. Appena torno a guardare fuori per scaricargli addosso una lista di insulti, lui è sparito.
Dannazione.
 
Quando, a pulizie finalmente finite, salto giù dai gradini dell’ingresso della scuola per correre a casa, sento vibrare forte il cellulare nello zaino.
“Ti va un gelato oggi? Passo a prenderti alle 4?
Masaya.”
Sìììì!!! Che bello, un appuntamento!
Saltello e giro su me stessa con un mega-sorriso per un po’, prima di rispondere. Ci voleva proprio questo per migliorare la giornata, non vedo l’ora! Non sono mai stata più contenta che oggi sia il mio giorno libero al Café Mew Mew, così passerò tutto il pomeriggio con Masaya.
Di colpo non penso più a Kisshu, alla notte scorsa, né a Shirogane e le sue paranoie. Quando si tratta di Masaya niente ha più importanza.
Con la testa tra le nuvole arrivo in fretta a casa, entro salutando mia madre a mala pena e schizzo di sopra a prepararmi.
Tuttavia davanti all’armadio aperto, il mio entusiasmo si spegne e si trasforma presto in ansia, alimentata dal ticchettare della sveglia sul comodino: cosa mi metto?!
Masha svolazza per la stanza cinguettando: «Ichigo! Ichigo!»
«Non dirlo nemmeno, sono già in ritardo» sbuffo rovistando tra i cassetti in cerca di qualcosa che mi piaccia e sia appropriato: come al solito in questi momenti è come se di colpo odiassi tutti i miei vestiti.
«Ritardo! Ritardo!» ripete Masha.
«Devi proprio ricordarmelo? Piuttosto dammi una mano!»
Vediamo… il vestito giallo no, l’ho già messo mille volte! Questo no... questa gonna nemmeno. Ne ho uno bianco nuovo, ma… no, troppo serio, accidenti, è solo un gelato!
Uff… mi chiedo come facciano le persone puntuali ad essere allo stesso tempo perfettamente pronte.
“Anticipo, Momomiya, qualcosa che una popolana come te ignora”.
Ah, sta’ zitta Aizawa!
Salgo su una sedia per rovistare negli scomparti più alti alla ricerca di qualcosa che mi salvi la giornata, ma niente. Niente di niente.
Le 15.50 fanno bella mostra di sé sulla sveglia.
«Non ce la farò mai… Nyaaaaaah! Non voglio più uscire!» gemo in preda alla disperazione.
«Tutto bene tesoro?» chiede mia madre dal piano di sotto.
«No! Accidenti, mamma, non ho ancora trovato qualcosa da mettermi!!»
Mia madre mossa a compassione sale ad aiutarmi, rovista un po’ nel suo armadio ed estrae un bellissimo vestito con la gonna a balze color pesca.
«Ti adoro mammina cara, sei la migliore, ti voglio tanto, tantissimo bene!!» farfuglio provandomelo allo specchio.
«Puoi averlo solo se tornerai presto e finirai i tuoi compiti stasera, intesi?»
«Certo, mamma, tranquilla!» le rispondo volando in bagno a sistemarmi i capelli.
 
*DRIN
«Aoyama-kun, benvenuto» sento mia madre di nuovo al piano di sotto.
Oh cavolo, oh cavolo, oh cavolo, è arrivato!
«Buon pomeriggio, Momomya-san».
Mi affaccio dalle scale e vedo Masaya mentre la saluta educatamente con un leggero inchino. Oggi è davvero bellissimo. Sorrido e sento le ginocchia sciogliersi. Il suo viso perfetto, i suoi occhi profondi… 
In fretta sistemo il bagno alla meglio, do un’ultima occhiata allo specchio e scendo le scale, pregando di non inciampare nei miei piedi.
«A-Aoyama-kun… Buon pomeriggio» metto insieme un saluto decente.
«Buon pomeriggio anche a te, Momomya-san, che bel vestito».
Quel sorriso illuminerebbe qualsiasi posto.
«G-Grazie!» divento color fragola
«Dove andate di bello?» interviene mia madre, io sono imbambolata.
«Al parco» sorride Masaya. «Prenderemo un gelato».
«Ah, Ichigo sarà entusiasta!»
«Dai, mamma…»
«Non fate troppo tardi, ragazzi, mi raccomando, sono certa che Ichigo ha dei compiti da recuperare».
«Mamma!» Se non la smette di mettermi in imbarazzo mi spunteranno le orecchie da gatto!
«No di certo, Momomya-san» risponde Masaya.
«Allora divertitevi!»
Ancora rossa come un peperone esco velocemente di casa prima che mia madre mi metta ancora più a disagio davanti a Masaya e ci avviamo verso il parco.
Spero che tutto vada bene, che non capiti nulla di insolito e di non fare nessuna delle mie consuete brutte figure o mosse maldestre. Sono sempre nervosa quando esco con Masaya, ma lo stesso lui è così calmo e sereno. Adoro passare del tempo con lui.
 
Il sole di aprile splende ancora luminosissimo, il vento forte ha spazzato via le nuvole lasciando tutto lo spazio al cielo azzurro: è ancora meglio di stamattina. Non c’è un filo di foschia, si vede bene tutta la città, in lontananza perfino la torre metallica bianca e rossa – per fortuna senza grossi bozzoli di chimeri-farfalla attaccati sopra. Si vedono perfino le colline e le montagne dei distretti più interni.
Anche se è grande e caotica, Tokyo in primavera rinasce, si illumina di luce e si riempie di rumori e profumi. Non vedo l’ora della piena fioritura dei ciliegi, sarà bellissimo vederli con Masaya.
Sospiro, sorrido. Ogni volta che esco con lui è più bella della precedente. Penso che questo non cambierà mai, Masaya è magico.
Camminiamo sorridenti uno accanto all’altra, passiamo davanti alle vetrine dei negozi, attraversiamo le strade affollate di lavoratori, famiglie e turisti. Come sempre tutti camminano veloci, ma si vede che la bella giornata migliora l’umore di tutti. Per non parlare di come rende bello Masaya: il vento scompiglia i suoi capelli lucenti, i suoi bellissimi occhi scuri sono più luminosi che mai, potrei specchiarmici…
«Perché ridi, Ichigo?»
«Ehm… io, ecco….» Ti prego, non le orecchie e la coda!!! «Io non sto ridendo, sto sorridendo!» E sicuramente sembravo un’idiota…
«Ah si? È come mai?»
«Ehm… è una così bella giornata!»
«È vero».
Sorride.
Wow.
Per poco non cado a terra per colpa delle mie gambe improvvisamente molli, ma l’agilità del gatto mi viene incontro nel mascherare il tutto e Masaya sembra non accorgersene.
Accidenti… Lui è così perfetto e sicuro di sé, mentre io sono così maldestra da non riuscire neanche a sostenere una conversazione!
Camminiamo in silenzio per un po’, attraversiamo una largo incrocio rumoroso e pieno di gente che va di fretta, quindi ci fermiamo su un ponte pedonale che attraversa una rotaia, dove c’è una vista particolarmente ampia sul quartiere. All’orizzonte si vede perfino l’acqua della baia con il porto, è fantastico.
Masaya tuttavia osserva senza dire nulla, non ha l’aria felice.
«È sempre peggio. Guarda quante gru si vedono. Stanno continuando a costruire, ad accumulare cemento… come se non ce ne fosse abbastanza. Il consumo di suolo in Giappone è fra i più alti del pianeta, e lo è anche la densità abitativa» dice in tono calmo, ma comunque duro.
Io spengo in fretta il sorriso che avevo, e cerco di seguire il suo discorso.
«Sto collaborando con dei ricercatori dell’università per scrivere un report su questo tema, in modo da sensibilizzare le persone. Non si rendono conto. Non devono togliere il poco spazio che è rimasto alla natura. Anzi dovrebbero restituirlo».
Resta in silenzio appoggiato alla ringhiera, il viso neutro.
«Hai… hai ragione» inizio esitando, cercando di pensare a qualcosa di appropriato da rispondergli. Accidenti, ha fatto un discorso così intelligente, per non parlare della collaborazione con l’università! Cosa potrei rispondere?
Mi faccio coraggio e provo ad aggiungere qualcosa di positivo.
«Però guarda, ci sono anche tanti alberi qua e là, alcuni sono altissimi! Anche vicino a casa mia hanno costruito un parchetto nuovo di recente…»
«Non è abbastanza» risponde piatto abbassando lo sguardo e riprendendo a camminare. «Non è mai abbastanza».
Non mi resta che affrettarmi a seguirlo, maledicendo la mia lingua lunga e il mio cervello da gallina. Ma perché non ne dico una giusta, perché faccio sempre figuracce?? Spero di non averlo offeso.
Per fortuna, appena raggiungiamo la nostra gelateria preferita vicino al parco in cui andiamo spesso, Masaya sta di nuovo sorridendo sereno.
«Sono sicuro che non vedevi l’ora di arrivare qui, vero?»
Arrossisco, ma sorrido anch’io e ci guardiamo negli occhi per qualche secondo… finché lui apre la porta del negozio ed entriamo.
 
«Sei sicura che vuoi un gelato così, Ichigo?» chiede Masaya perplesso appena la cameriera appoggia sul tavolino la mia coppa quattro gusti con panna, fragole e lamponi, e porge a lui il suo cono al limone.
«Sì, certo!» affermo sicura partendo all’attacco.
Masaya fa una risata leggera e sincera. «Sei sempre la solita».
«Ma è così buono!» rispondo a bocca piena.
«Ne sono sicuro, solo che mi sembra un po’ abbondan-…»
*Stock
All’improvviso il cono di Masaya si spezza di netto nella sua mano e il gelato gli cade dritto sulla camicia.
«Accidenti, che sbadato!» esclama imbarazzato cercando di rimediare. In fretta gli passo un fazzoletto dalla mia borsa e lui raccoglie il gelato, ma ormai il danno è fatto: una grossa macchia gialla e appiccicosa proprio in bella vista sulla camicia azzurra.
«Aoyama-kun, mi dispiace tanto!»
«Ma di cosa, non è colpa di nessuno» sorride, non se la prende nemmeno per un attimo. Si pulisce alla meglio col fazzoletto, un po’ impacciato, ma non perde la calma. Anche per questo lo adoro, è educato in ogni situazione.
Torniamo a chiacchierare e finiamo insieme il mio gelato, dimenticandoci in fretta dell’incidente, quindi ci avviamo verso il parco.
Qui la giornata di primavera mostra il meglio di sé: gli alberi sono pieni di gemme e boccioli e l’erba di margherite, il laghetto scintilla al sole come se fosse pieno di pietre preziose – dò un paio di occhiate furtive a destra e sinistra per accertarmi che non ci siano alieni in giro alla ricerca della Mew Aqua, ma sembra tutto tranquillo. Le anatre si avvicinano a noi e Masaya lancia in acqua delle briciole che ha portato apposta in un sacchetto.
«Oh, come sono carine, posso dargliene un po’ anch’io?» gli domando estasiata e lui sorridendo mi porge il sacchetto. Lancio qualche briciola e osservo i cuccioli di anatroccolo fare a gara per chi se l’aggiudica.
Quindi mi cade lo sguardo su un bellissimo cigno bianco che galleggia più avanti e col sacchetto di briciole corro in quella direzione per vederlo meglio. Masaya non mi segue, resta appoggiato alla staccionata di legno. Raggiungo il cigno che però non si avvicina molto alla riva, anche se gli lancio qualche briciola di pane.
«Qui, cigno bello, vieni!»
Quando finalmente si volta, noto per un attimo nei suoi occhi uno strano scintillio…
*SPLASH*
Mi volto in fretta al rumore di un fragoroso scroscio d’acqua e vedo Masaya bagnato fradicio, con le anatre vicine a lui che starnazzano all’impazzata.
«Aoyama-kun, va tutto bene?» corro da lui.
«Io… Non lo so, le anatre sembravano così tranquille poco fa, ma ad un tratto hanno schizzato acqua ovunque. Non credevo di averle disturbate» mi risponde, visibilmente scosso. Le anatre subito si calmano e si allontanano come se niente fosse e l’acqua del laghetto torna liscia e calma come prima.
Sembra davvero strano che si comportino così, e sono molto dispiaciuta che per la seconda volta Masaya si sia rovinato i vestiti, ma più che provare ad aiutarlo ad asciugarsi non posso fare.
Masaya addocchia una panchina esposta bene al sole e andiamo a sederci lì, un po’ imbarazzati per la strana situazione.
Dietro di noi c’è un grosso albero molto alto, dalle foglie verde scuro e piccoli fiorellini bianchi, che ci ripara dal vento. Masaya si accorge del mio sguardo estasiato rivolto alla pianta e sorride.
«Ti piace questo albero? È un ciliegio, sai? Alla fine della primavera fa questi piccoli fiori bianchi o anche rosa e poi in estate produce i frutti».
«Davvero? Che bello!»
Mi piace moltissimo quando Masaya mi parla della natura. Indico un altro albero fiorito poco lontano: «Anche quello è un ciliegio?»
«No, quello è un pesco» risponde lui paziente senza perdere il suo sorriso dolce.
«Oh, davvero? Come sei intelligente, Aoyama-kun, io non saprei riconoscere subito un albero così».
«Non ci vuole molto, basta leggere i libri giusti. Se vuoi ti posso insegnare qualcosa».
«Sarebbe bellissimo, grazie. Certo, ora mi piacerebbe poter prendere uno di quei fiori…»
Mi sporgo dalla panchina e provo a raggiungere un ramo del ciliegio, ma l’albero è grandissimo e sono tutti troppo alti.
Masaya mi ferma con tono paziente: «Non credo si riesca, mi dispiace. E poi non si dovrebbero strappare i fiori dagli alberi in primavera, non sono ancora pronti per staccarsi».
Ora sono a disagio, forse ha ragione lui, mi sento una stupida. «Sì… è vero, scusami…»
«Non c’è bisogno che ti scusi».
Si sporge in avanti verso il sole e si strofina la camicia ancora umida con le mani. «Credo che ormai possiamo andare, se non ti dispiace vorrei…»
Si volta verso di me, ma si interrompe. Mi guarda attentamente, con un’espressione strana…
Sento il viso farsi caldissimo e un forte nodo allo stomaco. È così vicino, è bellissimo
«Ichigo, hai…» inizia a mezza voce. Quindi allunga una mano verso il mio viso…
Ho caldo, ho i brividi, ho il cuore a mille!
E la sua mano si sposta alla mia destra, verso la tempia e mi tocca i capelli…
Quando la ritrae, regge un piccolo rametto verde con tre fiori bianchi del ciliegio sopra di noi.
«Come mai hai questo fra i capelli?»
Resto bloccata per un attimo tra le mie forti sensazioni.
«Io… io avevo… cosa?»
«Questi fiori di ciliegio» dice lui.
Esalo il respiro e sento gli ingranaggi del mio cervello ripartire. Avevo quel rametto tra i capelli. Non ne avevo idea, come ho fatto a non essermene accorta?
«Io davvero non lo so...»
Masaya alza leggermente le spalle e mi porge i fiori con un mezzo sorriso.
Sento un vento leggero sul viso, un odore lontano, ma familiare mi stuzzica il naso. Ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano qui, ma di nuovo non noto nulla. Prendo i fiori dalla mano di Masaya e li metto nella borsa, avvolti in un fazzoletto.
 
Camminiamo sulla via del ritorno silenziosi. Masaya ha ancora la camicia umida e insisto perché vada subito verso casa sua senza prima accompagnarmi.
«Sei sicura?»
«Certo, Aoyama-kun, non ti preoccupare, ora l’importante è che tu stia bene e non ti prenda un raffreddore».
«Allora grazie, Ichigo… e scusami ancora per il pomeriggio… Io non so come siano successe quelle cose, spero di non averti messo troppo in imbarazzo».
«Ma no, davvero è tutto a posto».
Mi dispiace un po’ vederlo così imbarazzato.
Ci salutiamo e lui si allontana verso il suo quartiere, mentre io svolto dalla parte opposta per tornare a casa.
Non potevo certo dire qualcosa davanti a Masaya, ma inizio ad avere un certo sospetto riguardo alle cose strane che sono successe e a chi ne sia responsabile…
Svolto tra le villette del mio quartiere, i muri illuminati dal sole che tramonta. Si è alzato di nuovo il vento forte, che fa muovere tutte le cime degli alberi dei cortili. Ma non mi fermo, anzi accelero il passo e mi guardo alle spalle di continuo.
Passo in rassegna ogni momento del pomeriggio, ogni stranezza. Ma sì, non c’è dubbio, come ho fatto a non arrivarci prima? Accidenti a lui, Kisshu.
Prima ieri sera, poi oggi a scuola e adesso ha rovinato il mio appuntamento con Masaya. Sento che è qui da qualche parte, so che mi sta seguendo.
Ma ne ho abbastanza: non voglio incontrarlo. Non voglio che venga di nuovo a parlarmi, mi fa rabbia che si intrometta così nella mia vita.
All’ultimo angolo che giro prima della via di casa, il vento dà una sferzata improvvisa che mi scompiglia i capelli e per poco non mi solleva del tutto il vestito. Mi attacco alla cancellata di un palazzo con le mani strette tra le gambe a tenere la gonna e quando la raffica si smorza, noto uno dei nastri che avevo annodato nei capelli svolazzare via in alto nella direzione opposta.
Perdo definitivamente la pazienza.
«Devi lasciarmi stare, hai capito?!» grido senza pensare troppo alla direzione, a chi mi possa sentire, o al fatto che forse è impossibile anche per Kisshu controllare il vento.
«Lasciami in pace!»
Percorro di corsa gli ultimi metri senza fermarmi o voltarmi indietro fino a che non mi chiudo finalmente la porta di casa alle spalle.

 




 
   
 
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